MESSINA E IL SOSTEGNO A FREDOM FLOTILLA

Marianne verso Gaza - Foto di Pablo Miranzo Marianne verso Gaza – Foto di Pablo Miranzo

Salperà il prossimo 14 settembre 2016 verso Gaza, AMAL (Speranza), la nave acquistata dalla Coalizione internazionale Freedom Flotilla, che per ora si trova a Barcelona.

Per discutere del progetto e dell’itinerario è stato organizzato un incontro il prossimo 2 settembre, a partire dalle 17:30, presso la Sala Ovale del Comune di Messina. Nel comunicato diramato, si legge anche la notizia che in tanti attivisti aspettavano: Estelle, l’imbarcazione sequestrata nella spedizione nel 2012, sarà restituita. A stabilirlo, con una sentenza che ha segnato la storia, è stata la Corte suprema.

Gli organizzatori, però, non vogliono abbassare la guardia sui fatti gravi che ancora accadono a Gaza: i cechi bombardamenti, anche sulla popolazione inerme, passano costantemente nel silenzio generale, inclusi i social network che normalmente sono invasi dai “Je suis”, dichiarazioni di solidarietà, di turno.

AMAL sarà in Italia a settembre, dunque, e la sua sua ultima tappa sarà proprio nella città di Messina. Ecco perché, in previsione di questo arrivo, il comitato messinese auspica “l’adesione ai principi della Freedom Flotilla da parte di tutte le organizzazioni democratiche a livello locale e nazionale”, ma anche “la promozione di dibattiti, letture di poesie, proiezione film, concerti a favore della Palestina e di Gaza su tutto il territorio nazionale”.

Al progetto hanno già aderito numerose associazioni, tra cui l’ARCI Thomas Sankara, il movimento Cambiamo Messina dal Basso, la Casa RossaR@PMessina, il Centro cultutrale islamico, la CGIL area Lavoro e Società, la Comunità palestinese cittadina, il Coordinamento siciliano di solidarietà con la Palestina, il CUB Gruppo Pari opportunità di CMdB, il Partito della Rifondazione comunista, Sangha dello Stretto, il partito SEL Sinistra italiana.

Gli organizzatori lanciano appelli affinché possano arrivare nuove adesioni. L’invito, infatti, è molto chiaro: il Gruppo chiama “a raccolta tutte le organizzazioni democratiche del paese e singoli Cittadini, per rompere il blocco che impedisce ai Palestinesi di Gaza qualsiasi contatto con il mondo”.

I principi che stanno alla base di Freedom Flotilla e che accomunano tutti i membri e i partecipanti sono innanzitutto quelli legati al credere nei diritti umani universali, nella libertà e nell’uguaglianza di tutti. La finalità è, si legge nel comunicato diramato, “ispirare e unire le comunità di tutto il mondo contro il blocco illegale e immorale di Gaza e agire uniti per porvi fine”. Oltre ad opporsi a qualsiasi forma di punizione collettiva e dichiarazione di colpa, il collettivo Freedom Flotilla respinge “qualsiasi forma di razzismo e discriminazione, inclusi antisemitismo e islamofobia”.

A voler segnare qualche tappa della storia del progetto, basti ricordare che nel 2008 le barche del Free Gaza Movement iniziarono i primi i tentativi via mare con lo scopo di cassare il blocco israeliano di Gaza che opprimeva e ancora opprime la popolazione palestinese e nega a essa il diritto alla libertà di movimento e di commercio. Qualche successo fu segnato: le prime imbarcazioni, infatti, furono in grado di arrivare cinque volte a Gaza e tornare indietro in Europa. La dura risposta di Israele non si fece attendere: tutte le barche salpate alla volta di Gaza, l’anno successivo, quindi nel 2009, furono non solo fermate, ma anche attaccate violentemente dalla marina israeliana, tanto da dover capitolare.

Questi eventi sono stati la spinta per la nascita di un coordinamento internazionale a cui partecipano attivisti provenienti da tutto il mondo: Italia, Spagna, Svezia, USA, Canada, Australia, Norvegia, Grecia. Nasce così la Coalizione internazionale della FreedomFlotilla.

Nel 2010, la Freedom Flotilla I fu attaccata e abbordata ancora dalla marina israeliana in acque inernazionali. A farne le spese, morendo, furono ben 10 attivisti che si trovavano a bordo della nave Mavi Marmara.

Nel 2011, la Freedom Flotilla II, insieme alla nave italiana “Stefano Chiarini“, tenta di partire dalla Grecia e dalla Turchia. Delle 12 imbarcazioni, solo tre riescono a partire verso Gaza e vengono attaccate dalla marina israeliana in acque internazionali. Le imbarcazioni vengono confiscate illegalmente da Israele.

Nel 2012, Estelle parte dalla Finlandia e fa sosta in ben 13 porti europei per sensibilizzare le popolazioni sulla grave crisi umanitaria causata dal blocco di Gaza. In Italia approda a La Spezia e poi da Napoli parte diretta a Gaza. Ancora una volta, viene attaccata dalla marina israeliana in acque internazionali e trainata al porto israeliano di Ashdod.

Nel biennio 2013-2014, inizia la campagna “commercio e non aiuti”. Viene costruita l’Arca di Gaza per trasportare prodotti dal porto verso gli acquirenti internazionali e incoraggiare il mondo a commerciare con i produttori di Gaza. Israele si sente minacciato e non si limita solo a sabotare il progetto, ma addirittura decide di bombardare l’Arca fino ad distruggerla.

Nel 2015, Marianne salpa da Messina verso Gaza e viene bloccata in acque internazionali dalla marina israeliana e le persone a bordo private della libertà. La Svezia, palesemente contraria al sequestro, protesta contro Israele per questa operazione che sembra contraria al diritto internazionale, chiedendo inoltre che il console svedese possa mettersi in contatto diretto con le persone detenute. Il Primo Ministro israeliano, una volta avvenuto l’ancoraggio, lancia pubblicamente un plauso alla sua marina militare per l’andamento dell’operazione. Tanto che i mass media leggono e interpretano positivamente tale comportamento. Ma gli attivisti denunciano una realtà differente. Infatti, sembrerebbe che dalle prime dichiarazioni rilasciate dai passeggeri liberati, supportate da un video (dove si sentono le scariche delle pistole elettriche taser, che provocano le grida di dolore delle persone colpite), emergerebbe una storia differente: quasi 40 militari a fronte di 18 tra passeggeri ed equipaggio sulla Marienne.

 

 

Fonte:

http://www.ilcarrettinodelleidee.com/sito/messina-e-provincia/incitta/item/3574-messina-e-il-sostegno-a-freedom-flotilla.html

29 bambini tra le vittime della strage al matrimonio in Turchia. E anche il kamikaze era un bambino.

 La tragica contabilità di un massacro odioso, che ha preso di mira bambini e adolescenti che partecipavano a una festa nuziale. Ancora più tragico se si considera che anche il kamikaze era un ragazzino tra i 12 e i 14 anni. 54 le vittime identificate
22 agosto 2016
Sono bambini e adolescenti la maggior parte delle vittime del sanguinoso attacco di sabato notte durante una festa di nozze a Gaziantep, città turca vicina al confine con la Siria. Le vittime sono in tutto 54 e tra quelle identificate, Secondo la stampa turca la maggior parte delle vittime dell’attacco erano bambini o adolescenti. Fino ad ora 29 dei 44 morti identificati avevano meno di 18 anni e almeno 22 delle vittime meno di 14. L’esame del Dna e la pista siriana Le autorità turche stanno tentando in queste ore di dare un’identità al kamikaze che si è fatto esplodere alla festa. Dopo che ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che l’attentatore aveva “tra i 12 e i 14 anni” e ha indicato collegamenti con l’Isis, i media turchi riportano la notizia secondo cui sono in corso gli esami autoptici e quello del Dna per stabilire chi sia il kamikaze. Secondo le prime informazioni delle indagini l’attentatore potrebbe essere entrato in Turchia dalla Siria, ma si indaga su possibili cellule cresciute sul territorio turco a Istanbul o nella stessa Gaziantep, secondo Hurriyet. Lo stesso esplosivo usato a Suruc Secondo il quotidiano turco il tipo di bomba usata nell’attentato, con pezzi di metallo all’interno, è simile agli esplosivi impiegati negli attacchi kamikaze contro filocurdi nella città di confine di Suruc e alla stazione di Ankara l’anno scorso, entrambi collegati all’Isis. L’attentato ha anche provocato il ferimento di oltre 60 persone.
Fonte:

In Turchia 50 morti in un attentato a un matrimonio curdo

  • 21 Ago 2016 11.18

Almeno 50 persone sono morte e quasi cento sono rimaste ferite in un’esplosione avvenuta durante una festa di matrimonio nella tarda serata di sabato 20 agosto a Gaziantep, una grande città nel sudest della Turchia, vicino al confine siriano. Il ricevimento si stava svolgendo per strada, in un quartiere centrale a maggioranza curda. Secondo Ankara l’esplosione è stata provocata da un kamikaze del gruppo Stato islamico, che è attivo nella zona.

Due donne davanti all’obitorio di Gaziantep piangono la morte di alcuni familiari nell’attentato suicida avvenuto ieri sera. - Osman Orsal, Reuters/Contrasto
Due donne davanti all’obitorio di Gaziantep piangono la morte di alcuni familiari nell’attentato suicida avvenuto ieri sera. (Osman Orsal, Reuters/Contrasto)
Alcune persone osservano il luogo in cui è avvenuto l’attentato da dietro il nastro della polizia, impegnata nei primi rilievi. - Ilyas Akengin, Afp
Alcune persone osservano il luogo in cui è avvenuto l’attentato da dietro il nastro della polizia, impegnata nei primi rilievi. (Ilyas Akengin, Afp)
Un giovane mostra i pezzi di ferro che erano contenuti nella bomba esplosa ieri sera in una strada di Gaziantep, nel sud della Turchia. - Ilyas Akengin, Afp
Un giovane mostra i pezzi di ferro che erano contenuti nella bomba esplosa ieri sera in una strada di Gaziantep, nel sud della Turchia. (Ilyas Akengin, Afp)

 

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/notizie/2016/08/21/in-turchia-50-morti-in-un-attentato-a-un-matrimonio-curdodelle-nozze-curde

Il Sultano scatenato

“Con la pena di morte non si entra in Europa”. Oggi per il manifesto.

Fonte:

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Di

Centinaia di corpi seminudi ammucchiati per terra, in quello che sembra un hangar o un caravanserraglio, mani legate dietro la schiena, lo sguardo perso senza luce di chi, sconfitto, chiede pietà ma non s’aspetta altro che violenza. Giovanissimi e inermi i soldati che si sono arresi, che hanno rifiutato di sparare sulla folla, che hanno ceduto alle promesse di fraternità dei manifestanti pro-Erdogan nella lunga notte del golpe tentato e fallito, e che ora invece vengono bastonati, diventano la colonna infame della vendetta del Sultano.

In queste ore il presidente turco trionfante aggiunge alla lista di proscrizione tutti i nemici, o quelli che considera tali o a malapena orientati verso la predicazione dell’autoesiliato Gülen, l’ex sodale e potente islamista ora diventato capro espiatorio di ogni malefatta. Da ieri agli arresti, oltre a 650 civili e a più di 6 mila soldati, ci sono anche 8mila agenti di polizia a quanto pare non sufficientemente fedeli, nonostante che la polizia sia stata la guardia pretoriana del regime contro i soldati golpisti. Ai quali si aggiungono 130 generali dello stato maggiore turco finiti in galera insieme a 800 magistrati (di cui due di Corte costituzionale). Più che un repulisti, una vera decimazione e deportazione.

Si riempiono le galere, è il tempo delle sparizioni, della tortura, delle confessioni estorte. E il popolo aizzato e in trionfo chiede il ripristino della pena di morte, che il governo di Ankara aveva eliminato come richiesto dall’Ue per l’ingresso del paese nell’Unione.

Un ingresso sempre rimandato – un tempo perfino sostenuto dal carcere dal leader kurdo Ocalan imprigionato dal 1999, ma come prospettiva di soluzione “europea” della questione kurda – e alla fine abbandonato da Bruxelles. Mentre Stati uniti, Paesi europei e Nato hanno preferito delegare al «nostro» Sultano atlantico il lavoro sporco di destabilizzare la Siria – in rovine – così diventando il santuario dei ribelli anche jihadisti.

È il buio della specie. Queste immagini di deportazione evocano inevitabilmente l’universo concentrazionario e di sterminio che l’Occidente raffinato ha allargato soltanto 70 anni fa nel cuore d’Europa, i fili spinati dell’ultima guerra fratricida balcanica. Così come la declinazione ordinaria di ogni colpo di stato – nonché occidentale – che si rispetti, dalla Grecia, al Cile, all’Argentina.

Fermiamo la mano del boia, delle deportazioni, delle sparizioni e delle torture. Delle esecuzioni a sangue freddo come quella del vice-sindaco di un municipio di Istanbul. Siamo al disprezzo dell’umanità. Ogni civiltà invece si misura sul rispetto del vinto. I governi europee, l’Ue, gli Stati uniti e la Nato sono stati tutti a guardare nella notte del tentato golpe, aspettando partecipi la sua riuscita. Perché non c’è F-16 che si levi in volo da Incirlik senza che i comandi centrali della Nato lo sappiano. Abbiamo assistito come spettatori interessati, per prendere le distanze solo dopo il fallimento del golpe. Il rischio è che staremo a guardare anche adesso lo spettacolo dei campi di concentramento che apre un nuovo sipario di dolore nel sud ferito del nostro Continente. Fermiamo il Sultano.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/il-sultano-scatenato/

TURCHIA, UNO STRANO COLPO DI STATO

Aggiornamento: i morti sono centinaia. La Turchia è nel caos.

Fonte:

http://tg24.sky.it/tg24/mondo/2016/07/16/turchia-fallito-colpo-di-stato.html

 

Turchia, un strano colpo di stato

16.07.2016 Murat Cinar
Turchia, un strano colpo di stato
(Foto di Carlos Delgado)

Il 15 luglio 2016, verso le 22, le Forze Armate turche hanno dichiarato il colpo di stato. Nel giro di pochi minuti il paese ha iniziato a guardare alla televisione o in internet le prime immagini scioccanti. I carri armati dell’esercito avevano chiuso i due ponti del Bosforo di Istanbul si posizionavano all’ingresso dell’aeroporto principale di Istanbul. La sede centrale del canale televisivo statale TRT era stata occupata. Dopo pochi minuti una delle speaker del TRT leggeva il comunicato stampa divulgato dall’esercito che parlava del colpo di stato militare, il quarto in 36 anni.

Tuttavia nelle ore successive le notizie che arrivavano disegnavano un colpo di stato un po’ diverso dalle versioni precedenti. Prima di tutto i vertici del governo e il Presidente della Repubblica erano sani e salvi. Il Primo Ministro Binali Yildirim è apparso subito davanti le telecamere definendo l’accaduto un “tentativo organizzato da un piccolo gruppo”. In diretta via Skype, Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan – che in quel momento per motivi di sicurezza si trovava a Marmaris e non ad Ankara – parlava al canale televisivo Cnn Turk, invitando i cittadini a scendere in piazza e respingere i golpisti.

Mentre nei golpe precedenti anche i politici dell’opposizione venivano portati in carcere senza grandi resistenze, questa volta i leader dei partiti all’opposizione condannavano il tentativo. Kemal Kilicdaroglu del CHP (Partito Popolare Repubblicano, la principale forza di centro-sinistra del paese) è stato il primo a prendere posizione. Devlet Bahceli dell’MHP (Partito del movimento nazionalista) ha espresso solidarietà con il governo. Anche i vertici dell’HDP (Partito democratico del popolo, che unisce forze filo-curde e di sinistra) si sono espressi a favore della democrazia e contro il colpo di stato.

Nelle ore successive i soldati schierati in diverse parti del paese hanno incontrato una notevole resistenza da parte dei cittadini e della polizia. Sui ponti del Bosforo la popolazione civile ha cercato di respingere i soldati, che hanno sparato uccidendo 2 persone. All’appello del Presidente della Repubblica si aggiungeva anche quello della Polizia dello Stato, che invitava i cittadini a scendere in piazza per respingere il tentativo di colpo di stato. Nelle grandi città dai megafoni delle moschee si sentiva la voce degli gli imam, anche se non era l’ora di una delle cinque preghiere giornaliere. Oltre ai primi messaggi di solidarietà provenienti dall’estero, anche la Corte Costituzionale e diversi ufficiali dell’esercito si dissociavano dal colpo di stato. Dunque in poche ore sembrava che il mondo politico, una parte della popolazione civile, il mondo giuridico e una buona parte dell’esercito avessero isolato i golpisti.

Tuttavia il tentativo di colpo di stato non prevedeva il ritiro immediato. Un’esplosione in una caserma a Golbasi Ankara ha causato la morte di 17 poliziotti. Sempre ad Ankara un F16 ha colpito un elicottero guidato dai golpisti. L’ex Capo di Stato Maggiore Necdet Ozel ha confermato il sequestro dell’attuale Capo di Stato Maggiore e di diversi ufficiali da parte dei soldati golpisti. In quei momenti i media hanno iniziato a parlare degli attacchi al Parlamento e di bombardamenti di aerei ed elicotteri. Collegandosi telefonicamente al canale televisivo ImcTv, diversi parlamentari del CHP hanno confermato che la maggior parte di loro si trovava nei rifugi e che fuori risultavano diversi feriti. Con l’arrivo delle prime notizie che anticipavano una lunga notte, Primo Ministro ha comunicato l’ordine di colpire ogni aereo che volava sopra Ankara. Mentre la popolazione civile e alcuni poliziotti riuscivano a respingere i soldati che avevano occupato il canale TRT, arrivava la notizia di altre due occupazioni: il canale televisivo Cnn Turk e l’agenzia stampa Dogan. La trasmissione si è interrotta e si sono sentiti spari in diretta. Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon condannava il tentativo di colpo di stato, il Presidente della Repubblica raggiungeva l’aeroporto di Istanbul.

Parlando davanti alle telecamere Recep Tayyip Erdogan si è detto sicuro che l’accaduto fosse opera del suo ex alleato storico, l’attuale nemico numero uno, ossia il leader spirituale della comunità religiosa Fettullah Gulen e ha aggiunto che i giudici avevano già iniziato a lavorare per identificare e arrestare i colpevoli. “Questa è una grande occasione, dato che il 30 agosto, come sempre, avremmo rinominato e rinnovato diverse posizioni dell’esercito” ha dichiarato poi. “Faremo di tutto per escludere questi traditori”. Poco dopo il quotidiano britannico The Financial Times divulgava un breve comunicato di Fettullah Gulen, in cui l’ex imam condannava il colpo di stato.

Nel mentre a Istanbul ed Ankara gli scontri tra i soldati da una parte e civili e polizia dall’altra si intensificavano, soprattutto intorno alla sede centrale della radio statale Trt a Harbiye. Nell’ospedale di Haydarpasa arrivavano i primi sei morti e centinaia di feriti. Ormai migliaia di persone erano all’aeroporto di Istanbul a sostenere il Presidente della Repubblica e per le strade del paese per respingere i golpisti. Si vedevano le prime immagini dei soldati arrestati ad Ankara e Istanbul. Gli agenti dei servizi segreti hanno cercato di liberare il Capo dello Stato Maggiore e ci sono stati dei forti scontri, causando diversi morti.

In sintesi, un colpo di stato che si può definire “fallito” ha causato circa 100 morti e più di mille feriti in meno di 24 ore. Le operazioni sono tuttora in corso; sono stati arrestati più di 1.500 militari, tra soldati e ufficiali. Con le prime ore del mattino in diverse postazioni i soldati semplici si sono arresi, consegnandosi alla polizia.

Molto probabilmente nei prossimi giorni si capirà meglio la natura di questo tentativo, ma già ora si può dire che si è trattato di un colpo di stato senza precedenti, sia per il suo stile, sia per la reazione del governo e della popolazione civile. I social media e diversi portali di notizie parlano addirittura di un golpe pilotato. Nonostante sia ancora troppo presto per parlare di certi dettagli, possiamo dire che il domani porterà un’ulteriore polarizzazione. Sembra che un conflitto sociale e politico in atto ormai da vari anni adesso si sposterà anche all’interno dell’esercito. Ancora una volta la volontà amministrativa si troverà a fare i conti con le forze armate del paese.

 

Fonte:

http://www.pressenza.com/it/2016/07/turchia-un-strano-colpo/

Cosa sappiamo finora dell’attentato all’aeroporto di Istanbul

All’aeroporto Atatürk di Istanbul, il 29 giugno 2016. - Osman Orsal, Reuters/Contrasto
All’aeroporto Atatürk di Istanbul, il 29 giugno 2016. (Osman Orsal, Reuters/Contrasto)
  • 29 Giu 2016 10.42

Cosa sappiamo finora dell’attentato all’aeroporto di Istanbul

La sera del 28 giugno c’è stato un attacco terroristico all’aeroporto Atatürk di Istanbul. L’attentato ha causato 41 morti e 239 feriti. Ecco cosa sappiamo finora.

  • Verso le 22 (le 21 in Italia), tre attentatori hanno aperto il fuoco con dei mitra contro i passeggeri, la polizia e il personale dell’aeroporto fuori e dentro uno dei terminal dedicati ai voli internazionali. Poi, quando la polizia ha cominciato a sparare, gli aggressori si sono fatti esplodere. Non si conosce ancora la loro identità. È circolata l’ipotesi di un quarto attentatore in fuga, ma l’informazione non è stata confermata.
  • Un video circolato su internet mostra uno degli attentatori che corre e apre il fuoco dentro il terminal. La polizia gli spara e l’uomo resta a terra per circa venti secondi prima di farsi esplodere. Secondo un testimone intervistato dalla Bbc, uno degli attentatori era vestito di nero e aveva il volto scoperto.
  • Tra le vittime ci sono almeno 13 stranieri, tra i quali un iraniano e un ucraino, hanno fatto sapere le autorità turche. Secondo la Farnesina per ora non risultano italiani tra le vittime.
  • I feriti sono 239, alcuni in gravi condizioni, secondo un bilancio ufficiale diffuso dalle autorità locali. L’ambasciata dell’Arabia Saudita in Turchia ha dichiarato che tra i feriti ci sono sette sauditi.
  • I voli sono stati sospesi dopo l’attacco. La circolazione degli aerei è ripresa verso le 3 di notte (le 2 in Italia), ma ci sono state molte cancellazioni. L’aeroporto Atatürk è uno dei più frequentati in Europa ed è l’undicesimo nel mondo per traffico di passeggeri.
  • Non è ancora arrivata nessuna rivendicazione, ma le autorità turche sospettano il coinvolgimento del gruppo Stato islamico, come ha confermato il premier Binali Yıldırım. L’attentato all’aeroporto Atatürk è stato ben organizzato e coordinato. Per le modalità ricorda quello del 22 marzo allo scalo di Zaventem a Bruxelles.
  • A Istanbul ci sono stati già tre attentati quest’anno. A colpire la città turca sono stati i militanti curdi, che da decenni combattono per ottenere l’autonomia, ma anche i jihadisti dello Stato islamico, che hanno una forte presenza nel paese e passano per la Turchia sulla strada verso la Siria e l’Iraq.
  • Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha chiesto sostegno alla comunità internazionale, chiedendo una svolta nella lotta al terrorismo. Gli Stati Uniti hanno espresso “fermo sostegno alla Turchia”.

 

 

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/notizie/2016/06/29/attentato-istanbul-aeroporto-riassunto

SE LA TURCHIA VOLESSE DAVVERO AIUTARE I RIFUGIATI SIRIANI

Mentre l’esercito continua a sparare e uccidere i profughi al confine con la Siria, per paura di essere espulsi i giornalisti stranieri hanno smesso di raccontare il doppio volto dell’accoglienza turca

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di Rami Jarrah

Undici profughi, tra cui sei bambini, sono stati uccisi da militari turchi mentre tentavano di attraversare il valico di frontiera di Khirbit al Joz dalla città siriana di Idlib. L’incidente, avvenuto nell’ambito della fuga delle famiglie dai combattimenti, non è il primo di questa natura: nel corso degli ultimi mesi, più di 50 rifugiati sono stati uccisi mentre tentavano di attraversare il confine. Vergognosamente neanche uno tra i rapporti sui diritti umani rilasciati è servito a contrastare il fenomeno.

Se la Turchia vuole continuare a proporsi come uno dei principali sostenitori dei profughi siriani, ci sono una serie di passi che deve iniziare immediatamente a fare. Uno è, ovviamente, quello di smettere di uccidere i rifugiati.

Deve poi iniziare a concedere ai cittadini facenti parti di gruppi d’aiuto o equipe mediche la possibilità di Siria, riconoscendo il loro lavoro anche qualora essi fossero non d’accordo con le politiche della Turchia. Al contrario, ora c’è il monopolio dell’IHH (İnsani Yardım Vakfı, una fondazione conservatrice turca di stampo marcatamente confessionale, ndr).

Un’altra cosa sarebbe dare, effettivamente, ai giornalisti l’accesso ai campi proprio come ogni altro stato europeo ha fatto finora. Altrimenti la speranza di entrare in Europa, vissuta dalla Turchia da tanto tempo, dovrebbe essere qualcosa da abbandonare per salvare l’imbarazzo.

I giornalisti che vivono in Turchia non stanno facilitando la questione: ho visto personalmente molti casi di giornalisti stranieri che evitano le storie scomode che coinvolgono la Turchia perché vivono in essa. Ciò è onestamente una vergogna. “Se vai via e inizi a scrivere di Siria e Turchia da Chicago o, se tecnicamente possibile, anche dalla Via Lattea, probabilmente riusciresti a fare un lavoro molto migliore”. Del resto non mi aspetto che i numerosi giornalisti che mi tolgono l’amicizia su Facebook perché sono stato arrestato dai turchi abbiano pubblicato storie in cui si criticano le autorità turche.

Quindi non sarà possibile sapere da loro che i siriani in Turchia non sono in realtà dei rifugiati, che molti di loro sono stati recentemente obbligati e sono in procinto di ottenere un “permesso di soggiorno turistico”. Eppure lo stato turco continua a parlare dei siriani come se fosse un ente di beneficenza.

Qualcuno che paga per un permesso di soggiorno e può permettersi di fare un bonifico di 6000 dollari (uno dei requisiti per il permesso) non richiede denaro dall’Europa per farle finire nelle tasche della Turchia.

La Turchia non è il grande salvatore dei siriani in fuga dal terrore di là del confine. In realtà essa stessa è diventata un grosso ostacolo e i siriani che vi abitano sono silenti solo per una ragione: perché hanno paura.


Nella foto in copertina: profughi bloccati a Khirbet Al-Joz in attesa di un permesso per entrare in Turchia, via Pinterest.

Fonte:

http://frontierenews.it/2016/06/se-la-turchia-volesse-davvero-aiutare-i-rifugiati/

Dino Frisullo

 

 

 

 

5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa


5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa

5 giugno 2016


Eh si ci manca. Come ci mancano De Andrè e Rino Gaetano, Monsignor Di Liegro e Amalia Rosselli, Alda Merini e Pier Paolo Pasolini. Come ci mancano nomi rimasti confinati in angoli remoti nella Storia di questo cazzo di Paese. Un Paese tanto bravo a dimenticare, rimuovere,a cui al massimo va una viuzza o un ricordo televisivo, ma solo se fa audience o se porta ad aumentare il consenso politico al leader di turno.

Compagni come Dino Frisullo, forse verranno ricordati diversamente quando saremo in un Paese diverso, quando vivremo in un contesto in cui saremo capaci di vergognarci del nostro egoismo, del nostro razzismo diffuso, dell’ignoranza che ha accompagnato le nostre vite. Se ne andava oggi nel 2003, in tempo per compiere i 51 anni, anni vissuti con intensità totale, con la stessa voracità delle sigarette fumate, degli articoli scritti, dei viaggi fatti senza risparmiarsi. Persona incasellabile: giornalista lo è stato ed a un livello che la mediocrità odierna poco conosce, militante antirazzista che non accettava mediazioni al ribasso, compromessi di bottega, doveri di partito. Kurdo fra i kurdi, in carcere come nei colori del Newroz, palestinese fra i palestinesi, in un corteo a Gerusalemme come in una piazza romana, migrante fra gli immigrati, all’occupazione della Pantanella come in una Piazza Navona orgogliosamente antirazzista.

Una vita senza respiro e senza lasciare respiro a chi gli stava intorno, fatta di discussioni interminabili, di vino buono e di cibo delle regioni che più lo avevano accolto, Puglia ed Umbria. Un sorriso contagioso come la capacità di squadernare la vita di chi con lui ha provato a cambiare il mondo, una determinazione pasticciona ed eternamente precaria, senza il bisogno di pensare al futuro come qualcosa di personale. Perché per Dino il futuro e il presente non potevano essere ridotti alla vita individuale. Ci manchi Dino, manca la tua caparbietà e il tuo radicalismo, la genialità arruffona e il tuo vivere prima che dichiararti, da comunista. E manca ancora un Paese capace di non dimenticarti, in cui prevalga la curiosità e la domanda profonda: “Chi c’era dietro quella foto? Perché c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia e rabbia?”

Stefano Galieni

 

*

Dino Frisullo: una poesia

Chi era Dino Frisullo?

 

Dino Frisullo, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per la lotta del popolo kurdo.

Qui di seguito una sua poesia

 

Livide d’improvviso le luci di montagna.

Ferma e dolente la luce delle stelle.

Ammutoliti i richiami degli uccelli.

Alle quattro del mattino

la luna piena chiede silenzio al mondo.

Poggia l’orecchio al suolo e ascolta.

Le prime bombe su Baghdad

vibrano dalla terra nelle viscere..

Dopo ogni scoppio la lunga eco

è u milione di cuori di madri all’unisono

è il loro respiro affannoso

che l’Eufrate porta al mare come un grido.

Dorme Khawla la principessina

sulla corona di plastica preme un cuscino sua madre

si chiede se dovrà premere più forte

quando giungerà l’onda d’urto della bomba.

Dopo gli scoppi il tuono immenso

non è il mar rosso che s’innalza a spezzare la portaerei una ad una,

non è il deserto che si leva

a spazzare i blindati con fiato rovene di sabia:

è il fragore di milioni di ruote

carri carretti motocicli in fuga

kurdi arabi povera gente stracci

danni correlati.

Nelle basi sibillano i video.

Sono limitati i computer dei signori della guerra.

Non registreranno il respiro il palpito il pianto.

Non avvertono il terrore e l’ira del mondo.

Non sentiranno aprirsi le acque del Mar Rosso.

 

Dino Frisullo 20 marzo 2003

 

 

Fonte:

http://www.deapress.com/culture/caffe-letterario/15024-dino-frisullo-una-poesia-.html

 

 

Leggi anche qui:

Dino Frisullo: 20.03 2003. Le bombe su Bagdad:

 

http://www.peacelink.it/pace/a/37926.html

 

IL 2 MAGGIO A ROMA. PER I DIRITTI UMANI E LA LIBERTA’ D’INFORMAZIONE

Il 2 maggio a Roma. Per i diritti umani e la libertà di informazione

libertareteLa libertà di pensiero e il diritto di esprimere le proprie opinioni e di informare ed essere informati sono sotto attacco in tutto il mondo e anche in Italia. Ce lo ha raccontato l’ultimo rapporto di Reporteres Sans Frontieres e lo dimostrano le cronache quotidiane. Non possiamo far finta di nulla!

Per illuminare alcune emergenze che nel mondo vedono sotto attacco giornalisti, blogger, citizen journalist e, in generale, chiunque, da attivista o semplice cittadino, voglia esprimere la propria opinione e diffondere notizie non censurate, Articolo 21, con FNSI, UsigRai, RSF Italia e Amnesty International Italia, e con la partecipazione di tante reti e associazioni, a cominciare dalla Tavola della Pace e dal Coordinamento Enti Locali per la pace e i diritti umani, sta organizzando a Roma per lunedì 2 maggio, vigilia della Giornata mondiale per la libertà di stampa, una maratona di sit-in davanti alle ambasciate di alcuni paesi verso i quali già nei mesi scorsi le nostre organizzazioni si sono impegnate per chiedere conto di censure, arresti e leggi liberticide.
A partire dalle 10 e fino alle 13 saremo in presidio davanti alle ambasciate di Iran, Egitto e Turchia, che formano un percorso anche simbolico della sistematica repressione che nel mondo non colpisce più solo la stampa, ma arriva anche a cinema, musica, poesia e persino alla ricerca, come per le persecuzioni in Turchia verso i docenti universitari che chiedevano pace nelle regioni curde.

La mobilitazione, in cui abbiamo coinvolto, oltre alle federazioni dei giornalisti internazionale ed europea, altre grandi associazioni e reti, come Human Rights Watch, ma anche esponenti della cultura e dello spettacolo, si concluderà a piazza Santi Apostoli, vicino alla rappresentanza dell’Unione europea, alla quale abbiamo già chiesto di essere ricevuti, come abbiamo chiesto al Ministro degli esteri Paolo Gentiloni.
In queste sedi porteremo un documento per chiedere alle istituzioni europee e italiane di avviare un’azione ufficiale a difesa della libertà d’informazione, secondo il dettato della nostra Costituzione e dei Trattati dell’Unione, nei confronti di tutti i paesi partner come verso alcuni dei Paesi membri.
Chiediamo a tutte e tutti, come associazioni, reti, ma anche come semplici cittadine e cittadini di partecipare a questo appuntamento con la vostra presenza ma anche con le vostre idee e il vostro ricco patrimonio culturale e politico che da sempre segue i principi ispiratori di questa battaglia per la libertà di espressione.

I promotori sono: 
Articolo 21, FNSI, UsigRai, RSF Italia, Amnesty International Italia, Pressing NoBavaglio

Hanno aderito finora: Arci, Associazione Amici di Padre Dall’Oglio, Associazione Amici di Roberto Morrione, Associazione Diritti e Frontiere (Adif), Associazione Rose di Damasco (Como), Carta di Roma, Cipsi, Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, Centro della Pace Forlì\Cesena, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Cospe,  Jobsnews, Libertà e Giustizia nazionale, Rivista Confronti, Coordinamento nazionale degli Enti Locali per la pace e diritti umani, Iran Human Rights, Italians for Darfur, Campagna LasciateCIEntrare, Lettera 22, LiberaInformazione, MoveOn Italia, Pressing NoBavaglio, Tavola della pace, UISP, Voglio Vivere Onlus di Biella

L’evento su facebook

LUOGO E ORA: Roma, 2 maggio 2016 dalle ore 10.00 alle 13.00

Il percorso:

Ore 10.00-11.00 – Consolato Iran – via Nomentana  di fronte alla basilica di S. Agnese (altro lato della via)
Ore 11.00-12.00 – Ambasciata Egitto – via Salaria 267
Ore 11.30-12.30 -Ambasciata Turchia – via Palestro angolo via San Martino della Battaglia (piazza Indipendenza)
12.30  Rappresentanza UE   – piazza SS. Apostoli angolo via Quattro Novembre

21 aprile 2016

Fonte:
http://www.articolo21.org/2016/04/il-2-maggio-a-roma-per-i-diritti-umani-e-la-liberta-di-informazione/

1 MAGGIO NO BORDER: ACCERCHIAMO L’AMBASCIATA TURCA – RESPINGIAMO L’ACCORDO UE-TURCHIA

1 Maggio No Borders

Accerchiamo l’Ambasciata turca – Respingiamo l’accordo Ue-Turchia

Appuntamento ore 12 piazza Indipendenza, Roma

English version here

QUI il video promo

Lo spezzone No Border alla May Day di Milano

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Fonte: