LA CULTURA DELLO STUPRO CONDANNA ALLA PAURA LE DONNE IN BRASILE

Aggiornamenti:

Da

ULTIM’ORA.
Pochi minuti fa a San Paolo: polizia militare reprime manifestazione contro il golpe indetta da MTST (Movimento Lavoratori Senza Tetto) e Povo Sem Medo, che hanno pacificamente occupato l’ufficio della presidenza della Repubblica, e si appresta ad affrontare anche la concomitante manifestazione delle donne contro la violenza e la cultura dello stupro. Nelle immagini, una giovane manifestante, rea di aver chiesto informazioni sul fermo di alcuni manifestanti è stata brutalmente aggredita dai poliziotti…
fonti video: https://www.facebook.com/midiaNINJA / https://www.facebook.com/BuzzFeedBrasil/

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
seguici anche sulla pagina Facebook:
https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia

 

Fonte:

https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/?fref=ts

Da

Pochi giorni dopo il caso di stupro collettivo di una minorenne di Rio che ha suscitato indignazione e polemiche in tutto il paese e portato in piazza decine di migliaia di donne è stata presentata ieri, 31 maggio, la nuova Segretaria per le politiche femminili del governo Temer. Si tratta di Fátima Pelaes (PMDB-AP), sociologa, evangelica, deputata federale del PMDB-AP per 20 anni, dal 1991 al 2011 e fermamente contraria alla depenalizzazione dell’aborto, anche in seguito a un caso di stupro, che, nella vigente legislazione datata 1984, costituisce invece l’unica eccezione per la pratica abortiva legale. La neo-segretaria ha affermato che non “innalza mai bandiere contrarie ai valori biblici” come, appunto, l’aborto o la costituzione di famiglie omosessuali. Sulla questione della liberalizzazione dell’aborto la Pelaes ha avuto, in realtà, opinioni differenti fino al 2002, quando ha “conosciuto Gesù” ed è passata a dire che “il diritto di vivere deve essere riconosciuto a tutti”. Nel 2010, in un suo intervento alla Camera, la Pelaes raccontò che lei stessa era stata generata a partire da un “abuso” che sua madre aveva subito mentre si trovava detenuta per un “crimine passionale”.
“Per questo oggi sono qui a dirvi che la vita comincia nel momento del concepimento”, affermò, riferendosi al fatto che se sua madre avesse abortito non si sarebbe trovata lì in quel momento. Riguardo all’aver mutato di opinione nel merito, ha affermato di essere stata “curata”.
fonte: http://brasil.estadao.com.br/…/geral,nova-secretaria-de-mul…

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
seguici anche sulla pagina Facebook:
https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia

foto di Il Resto del Carlinho - Utopia.

Fonte:

https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/photos/a.538129989619778.1073741829.537079876391456/808581955907912/?type=3&theater

26.05.16

La cultura dello stupro che condanna alla paura le donne in Brasile

 

Secondo una ricerca dell’istituto di statstica Datafolha, il 90% delle Brasiliane dicono di temere di essere violentate. Sui social network, le reazioni al caso dell’adolescente carioca ripropongono meccanismi di colpevolizzazione della la vittima

di Camila Moraes, pubblicato su El Pais il 26.05.16

Disegno di Ribs

La ragazza carioca le cui immagini di violenza sessuale sono state condivise su Internet ha ricevuto solidarietà sui social network, ma non solo. Molti suoi falsi profili sono stati creati, con post che risaltavano il suo presunto “cattivo comportamento”, circostanze e attenuanti che avrebbero reso quasi inevitabile il tragico esito. Mentre ancora sono in corso le indagini sull’accaduto, gli esperti avvertono che la pratica non è isolata. Fa parte della cultura dello stupro che fa si che le donne aggredite si sentano colpevoli e non rinuncino a denunciare i crimini, contribuendo così all’impunità dei responsabili delle violenze.

Il problema non è di poco conto, perché, secondo il Forum Brasiliano di Sicurezza pubblica è uno dei fattori dell’elevato tasso di sottostima dei casi di stupro. L’organizzazione stima che solo il 30% – 35% dei casi siano registrati. Contando solo gli episodi denunciati, in Brasile un caso di stupro avviene ogni 11 minuti. Secondo i risultati di una ricerca che il Forum ha realizzato lo scorso anno, in collaborazione con l’Istituto di Statistica Datafolha, il 90% delle donne e il 42% degli uomini hanno detto di temere una violenza sessuale. A Rio de Janeiro – dove ora si sta indagando sul caso della ragazza di 16 anni grazie al fatto che è stato condiviso sui social network – circa 4.000 casi si sono verificati lo scorso anno, e quasi la metà di essi hanno coinvolto ragazze minori di 13 anni, secondo un studio della Segreteria di Sicurezza dello Stato, il “Dossier Donna”.

Il termine cultura dello stupro” deriva da “rap culture” ed è stato coniato dalle femministe degli Stati Uniti negli anni ’70.  In essa è inclusa la colpevolizzazione delle vittime da parte della società – donne che “se la sono andata a cercare”, indossando abiti corti e scollati, frequentando cattive compagnie e consumando bevande alcoliche in feste alle quali non avrebbero dovuto partecipare se fossero “brave ragazze di famiglia”.

È presente nelle leggi, nel linguaggio, in immagini commerciali ed in una serie di fenomeni. Ha scritto, per esempio, il cantante Lobão (ndt. noto per le sue posizioni reazionarie) sul proprio profilo di Twitter: “Non c’è da sorprendersi con questi sfortunati casi di stupro. In un paese che fabbrica “miniputas” (mini-puttane), con una ricca sessualizzazione precoce e con una grave infantilizzazione della popolazione, riducendo le responsabilità”.

Al quotidiano Globo, la difensore pubblico Arlanza Rebello ha osservato, citando Jair Bolsonaro, che persino i politici brasiliani riproducono il discorso secondo cui molte donne hanno chiesto di essere violentate:  “È un contesto molto grave di conservatorismo e banalizzazione”.

Il presidente dell’Associazione brasiliana di Neurologia e Psichiatria Infantile a Rio de Janeiro, ha detto al giornale che “i ragazzi finiscono per commettere il reato sapendo che gli altri lo hanno praticato impunemente, per una questione di autoaffermazione.”

E la sociologa Andréia Soares Pinto, coordinatrice del Dossier Donne, ha fatto appello alla società durante l’intervista rilasciata al canale GloboNews: “Abbiamo bisogno di incoraggiare le donne a ridurre la sottostima dei casi di stupro. Questi numeri ci aiutano a fare pressione e ci permettono di far avanzare politiche pubbliche per combattere il problema.”

Almeno altri due casi di stupri di gruppo hanno avuto luogo nella stessa settimana – con ripercussione sulla stampa – in altri luoghi del paese.

A Bom Jesus, un piccolo paese nell’interno dello stato del Piauí, una giovane di 17 anni è stata violentata il 20 maggio da cinque individui (solo uno dei quali maggiorenne) che, secondo le indagini, lei conosceva. Come nel caso della ragazza di Rio, la polizia ritiene che sia stata drogata con una sostanza immessa nella sua bevanda alcolica prima di subire la violenza da parte di persone a lei vicine. Lo stesso giorno, in una scuola statale a sud di San Paolo, una ragazza di 12 anni è stata violentata da tre adolescenti, studenti dello stesso istituto, che l’hanno chiusa in bagno e quindi violentata. Secondo la madre, la ragazza sarebbe stata sottoposta ad una profilassi anti-AIDS ed è ancora traumatizzata.

Lo stupro nella legislazione brasiliana

Nel 2009, la legge 12.015 del codice penale brasiliano è stata modificata ed è passata a considerare, oltre al rapporto sessuale, gli atti di libidine come reato di stupro. Circoscrivere un reato di  stupro è un processo spesso umiliante per le donne. Nel 2015, la Commissione di Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che rende molto più difficile l’accesso alle cure mediche per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013, prevede che, per essere assistite, le vittime di stupro dovranno passare prima da una stazione di polizia. Poi, dovrebbero sottoporsi ad un esame del corpo del delitto per poi, e solo allora, potersi recare in ospedale con i documenti necessari a comprovare che effettivamente sono state stuprate. Per essere ratificato, il progetto dovrà ancora essere votato dall’assemlea plenaria della Camera. Contro questa realtà, le donne brasiliane sono scese in piazza lo scorso anno, in numerosissime manifestazioni di protesta in tutto il paese, momenti di lotta che sono diventati noti come la Primavera Femminista.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!la-cultura-dello-stupro-che-condanna-all/c1a0w

LA TORTURA SESSUALE IN TURCHIA E’ UN CRIMINE DI GUERRA

La tortura sessuale della Turchia sono un crimine di guerra

L’Avvocata İpek Bozkurt dice che il recente uso della tortura sessuale contro le donne nell’escalation di guerra in Turchia costituisce un crimine di guerra.

La guerra si sta intensificando nel Kurdistan settentrionale (in Turchia), lo stato turco utilizza tattiche che riecheggiano la guerra sporca del anni 1990. I soldati hanno evacuato i villaggi. La polizia ha arrestato i politici kurdi. È stato dichiarato il coprifuoco in molti settori.

Un’altra tattica che riecheggia gli effetti psicologici del 1990 è il crescente attacco contro le donne. La polizia e soldati hanno più volte trattato le donne come oggetto sessuale per demoralizzarle e degradarle nella strategia di guerra.

Il 10 agosto la guerrigliera curda Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) ha bloccato una strada vicino alla città curda di Varto. La polizia ha torturato Ekin fino alla morte, la ha trascinata sul terreno e ha fatto circolare una foto con il suo corpo nudo. Il 23 agosto la polizia ha arrestato Figen Şahin di 25 anni nella città di Adana, dopo che un quartiere prevalentemente curdo ha dichiarato l’autogoverno. La polizia l’ha torturata con abusi sessuali e minacciata di condividere le fotografie del suo corpo nudo.

İpek Bozkurt è un avvocata attivista della piattaforma turca Donne contro gli omicidi, che lavora contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Ha detto che nella recente guerra, lo Stato sta usando il corpo delle donne come un campo di battaglia.

“Con gli anfibi ai piedi e la loro postura quelli che l’hanno uccisa stanno in realtà cercando di mostrare – esponendo il corpo di una guerrigliera – che la considerano un oggetto sessuale, senza onore “
İpek ha dichiarato che l’esposizione del corpo nudo di Ekin Wan come oggetto sessuale costituisce un crimine di guerra ai sensi della Convenzione di Ginevra.

E’ un comportamento incompatibile con il rispetto della dignità umana e i principi della Convenzione di Ginevra. Ha fatto notare che la convenzione riconosce lo stupro e il maltrattamento delle donne come crimini di guerra.

İpek ha detto inoltre che l’attivismo delle donne potrebbe svolgere un ruolo chiave nel processo di pace. “Negli ultimi quindici anni, il movimento delle donne ha fatto molti passi avanti in questo paese, credo che le donne possono svolgere un ruolo importante, unite nella richiesta di una politica rispettosa dei diritti umani senza più uccisioni.”

 

 

Fonte:

http://www.uikionlus.com/la-tortura-sessuale-della-turchia-sono-un-crimine-di-guerra/

14 febbraio: One billion rising revolution e Piazzate d’amore in varie città italiane – Gli eventi a Reggio Calabria

 

Anche quest’anno il 14 febbraio 2015 in più di 100 città in Italia si ballerà per dire basta alla violenza contro le donne e le bambine. Torna per il terzo anno consecutivo One billion rising la campagna ideata da Eve Ensler che ha spinto più di un miliardo di persone in 207 paesi a danzare e manifestare contro le violenze subite dalle donne.

Le Nazioni Unite stimano che 1 donna su 3 sul pianeta sarà picchiata o stuprata nel corso della vita. Questo significa un miliardo di donne e bambine. Per chiedere di porre fine a questa violenza, la scrittrice statunitense Eve Ensler, fondatrice del movimento V-Day e autrice de I monologhi della vagina, ha ideato la campagna One Billion Rising, dando vita, il 14 febbraio 2013, alla più grande manifestazione di massa nella storia dell’umanità: oltre 10.000 eventi in tutto il mondo, seguiti dai maggiori canali d’informazione (dal New York Times a The Guardian, dalla BBC ad HBO).

Dopo One Billion Rising (2013) e One Billion Rising for Justice (2014), l’appuntamento del 2015 è con One billion rising revolution, il 14 febbraio, sempre nel giorno di San Valentino: non fiori e cioccolatini, quindi, ma un vero atto d’amore celebrato dalle donne e dagli uomini che le rispettano, con la volontà di manifestare insieme per chiedere un mondo in cui le donne possano vivere al riparo dalla violenza e dall’abuso.

In Italia saranno oltre 100 le città coinvolte: da Roma a Milano, da Genova a Bologna, da Lecce a Trieste, insieme a decine di realtà di provincia in tutto il paese, da nord a sud, animate da una rete di associazioni e militanti che operano durante tutto l’anno sul territorio ma anche da scuole, università, istituzioni culturali. Tra le numerose associazioni nazionali aderenti alla campagna ricordiamo D.I.Re, Amnesty International, Fare Bene Onlus, Differenza Donna, Doppia Difesa Onlus, Arcilesbica, Arci Donna, Rete Se Non Ora Quando, CGIL Nazionale, Maschile Plurale.

A inaugurare la lunga serie di eventi italiani sarà l’Università La Sapienza di Roma, che con un giorno di anticipo, il 13 febbraio, aderisce all’iniziativa con flashmob, concerti, letture, esibizioni acrobatiche e performance a partire dalle ore 12.00 sul piazzale della Minerva, all’interno della città universitaria. Nella capitale si continuerà il giorno successivo con numerosi eventi in alcuni luoghi simbolo: Piazza Farnese (ore 12.00), Colosseo, Arco di Costantino (ore 14.00), Piazza del Campidoglio (ore 15.00) e al Pantheon (ore 15.30).

Danza e rivoluzione

Anche quest’anno al centro della manifestazione ci saranno la musica e la danza: le note di un unico inno, Break the Chain, per spezzare le catene della violenza, e dimostrare che si può farlo con gioia, in maniera politica ma con il sorriso. La danza è una delle più potenti forze sulla terra e noi abbiamo solo iniziato a sfruttarne il potenziale. La danza è sfida. È gioiosa e rabbiosa. È contagiosa e libera, fuori dal controllo di Stati e corporazioni. È  il più antico modo di comunicare il sentimento di libertà e riscatto. Abbiamo appena iniziato a danzare. Quest’anno dobbiamo andare oltre. Dobbiamo andare fino in fondo e arrivare al cambiamento. Dobbiamo creare la rivoluzione.

Per maggiori informazioni sugli eventi italiani e per aderire alla campagna

www.facebook.com/obritalia
http://obritalia.livejournal.com/
www.onebillionrising.org

Nicoletta Billi
Nicoletta Corradini
Coordinamento One Billion Rising Italia
[email protected]

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/One-billion-rising-revolution

 

 

In alto i cuori in molte città d’Italia per chiedere gli stessi diritti per lo stesso amore, che sia eterosessuale o tra persone dello stesso sesso.
Nella giornata di San Valentino anche Amnesty International scende in piazza, insieme a moltissime associazioni italiane, per aderire alle Piazzate d’Amore, flashmob convocati per sabato 14 febbraio in oltre 30 città italiane.

L’idea nasce nell’ambito del lavoro comune portato avanti da molte associazioni per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuate (Lgbti) unite, quest’anno, per rafforzare le loro richieste.

“Un simbolo semplice, un cuore e un uguale, per tenere assieme i valori dell’amore e dell’uguaglianza, per rivendicare l’applicazione piena dell’articolo 3  della nostra Carta costituzionale, per chiedere per tutti gli amori gli stessi diritti” – ha dichiarato Flavio Romani, presidente di Arcigay.

“In tema d’amore non dovrebbero esserci contrapposizioni – ha aggiunto – il diritto d’amare e di veder riconosciuto il proprio amore è legato al diritto di esistere di ogni essere umano, all’ambizione legittima di realizzare le proprie aspirazioni e progettare il proprio orizzonte”.

‪#‎LoStessoSi‬ è l’hashtag della mobilitazione sui social media. Le città dove avranno luogo le Piazzate d’Amore sono 33 (Torino, Genova, Milano, Pavia, Verona, Vicenza, Padova, Trieste, Ravenna, Parma, Pistoia, Empoli, Firenze, Cecina (LI), Livorno, Pesaro, Assisi (PG), Pescara, Roma, Viterbo, Napoli, Potenza, Foggia, Taranto, Lecce, Reggio Calabria, Messina, Cremona, Catania, Palermo, Cagliari, 2 eventi a Bologna) ma diverse altre stanno aderendo all’iniziativa. ‬‬

Per essere aggiornato su luoghi e orari dei flashmob, consultare la pagina Facebook ufficiale

Nell’ambito della campagna per i diritti umani in Italia, Amnesty International si batte per i diritti delle persone Lgbti, chiedendo una legge che consenta il matrimonio egualitario.

Tra le altre raccomandazioni, si chiede anche una legge che includa l’omofobia e la transfobia tra i motivi alla base dell’aggravante del reato d’odio e una legge che permetta la libera scelta dell’identità di genere senza l’obbligo di cambiamento chirurgico del sesso.

Le altre associazioni che aderiscono all’iniziativa: Anddos, Agedo, Arci, Arcigay, ArciLesbica, Articolo 29, Associazione LGBT Quore Torino, Associazione Radicale Certi Diritti, Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, Cgil Nazionale – Nuovi Diritti, Cild – Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, Condividilove, Coordinamento Torino Pride GLBT, Edge, Equality Italia, Esedomani Terni, Famiglie Arcobaleno, Gay Center, Gaycs, Gaynet, I Mondi Diversi, La Fenice Gay, Love out Law, Uaar.

Fonte:

 

Qui gli eventi a Reggio Calabria:

La Collettiva AutonoMIA, L’UDI e la CAV Gallico organizzano il 14 febbraio, dalle 17.30 in poi davanti al Teatro Cilea, per la giornata globale contro la violenza sulle donne e sulle bambine, One Billio Rising REVOLUTION
Lanciato dalla scrittrice Eve Ensler, fondatrice del V-Day, è un movimento globale che ha come principio fondante il diritto di ogni donna a vivere e decidere del proprio corpo, della propria salute e del proprio destino, scegliendo la danza come segno di rinascita, sfida e liberazione.
Lo spirito e gli obiettivi di quest’anno allargano l’orizzonte di rivendicazione, siamo consapevoli dell’impossibilità di porre fine alla violenza contro le donne senza analizzare l’influenza esercitata dalla povertà, dal razzismo, dalla guerra, dal disprezzo dell’ambiente, dal capitalismo, dall’imperialismo e dal patriarcato. La parola chiave di quest’anno quindi è RIVOLUZIONE.
A Reggio Calabria per questo motivo abbiamo deciso di dedicare la giornata alle donne curde di Kobane, a coloro che la rivoluzione l’agiscono nel quotidiano sia politicamente che con la resistenza sul campo.
Quattro saranno i momenti che verranno intervallati da interventi e discussione pubblica.
Attraverso un canto dedicato alle brigantesse faremo un omaggio al grande Mimmo Martino appena scomparso.
Con una loro danza dedicheremo la giornata alle donne di Kobane e alla loro rivoluzione.
Parte centrale sarà la danza OBR e chiuderemo l’evento insieme all’Arcigay “I due Mari” con il flash mob, che in contemporanea si svolgerà in tutte le piazze italiane, contro l’omotransfobia.
All’interno di Palazzo San Giorgio, sarà allestita la “galleria della rivoluzione” con la presenza delle realtà che la agiscono quotidianamente, con la loro attività, sul territorio.
Un filo rosso che ci unisce nella lotta quindi, e che, partendo da Kobane ci conduce, attraverso quella mondiale di OBR, quella italiana contro l’omotransfobia, alle “rivoluzioni” e le lotte delle donne e gli uomini calabresi.
Danzeremo quindi ma soprattutto racconteremo di noi, uomini e donne che rivendicano politiche serie di prevenzione e contrasto contro tutte le violenze, in particolare quelle contro le donne e le bambine.
Vi aspettiamo dunque: è la nostra rivoluzione!
“La mia rivoluzione è
Connessione non consumo
Passione non profitto
Orgasmo non proprietà
La mia rivoluzione è della terra e verrà da lei
Per lei, grazie a lei”
(Eve Ensler)
#LoStessoSi : Lo Stesso Amore Gli Stessi Diritti♥ FLASH MOB ♥
REGGIO CALABRIA_ Ore 17:30
Corso Garibaldi di Reggio calabria (difronte teatro Cilea)

Il 14 Febbraio, il giorno di San Valentino, l’Italia sarà attraversata da un’ondata d’Amore. In 26 piazze, da Palermo a Trieste, migliaia di persone alzeranno i loro cuori per dire che ogni amore merita le stesse tutele e che i diritti devono essere gli stessi, per tutte e tutti. Il 14 Febbraio vieni anche tu a dire #LoStessoSì

L’evento, si svolgerà all’interno dell’organizzazione #OBR, realizzato insieme a Collettiva AutonoMIA Reggio Calabria, Udi Reggio Calabria e Cav Gallico. Saranno due i momenti, il primo OBR, a seguire Piazzate d’amore. ( https://www.facebook.com/events/782117161869521/ )

Cerca i componenti del comitato Arcigay “I due mari” di Reggio Calabria o la Collettiva AutonoMIA Reggio Calabria per prendere il cartello!

♥ RICORDA L’HASHTAG ♥
#LoStessoSi

Fonte:

Stupro: processo Tuccia arriva in Cassazione

Arriva in Cassazione il processo contro il militare di stanza all’Aquila che nel 2012, a Pizzoli, stuprò e seviziò “Rosa”. Appello delle donne alla presenza

donne con rosa

Il prossimo 8 gennaio la Corte di Cassazione di Roma si riunirà in udienza per il processo a carico di Francesco Tuccia, l’ex militare campano originario di Montefredane (Avellino), di stanza all’Aquila quando la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012 stuprò una studentessa ventenne di Tivoli all’esterno della discoteca Guernica di Pizzoli. Dopo lo stupro la abbandonò nella neve, priva di sensi e in una pozza di sangue. “Rosa”, come da allora è stata sempre chiamata la giovane donna, sarebbe stata destinata a morte certa se non fosse stata ritrovata dai buttafuori del locale.

Francesco tucciaUna vicenda dolorosissima per la donna, condivisa con molte altre della rete dei centri antiviolenza, in particolare del centro antiviolenza dell’Aquila riconosciuto parte civile nel processo. Un processo travagliato che ha portato ad una condanna, in primo grado di giudizio, di 8 anni per Francesco Tuccia (nella foto). Condanna poi confermata dalla Corte di Appello dell’Aquila con l’aggravante di crudeltà e sevizie ma derubricando le lesioni da dolose a colpose.

Quella notte di febbraio, al rapporto non consensuale, si aggiunsero sevizie: la ragazza venne penetrata con un oggetto che le perforò l’utero e il fatto che la giovane fosse ubriaca e quindi probabilmente non del tutto lucida non è stata considerata un’attenuante.

Ora spetta alla Corte di Cassazione di Roma esprimere l’ultimo giudizio e il Centro antiviolenza per le donne dell’Aquila ha lanciato un appello per la partecipazione all’udienza che si terrà a Roma, nei palazzi di Piazza Cavour, l’8 gennaio 2015 alle ore 9. Riportiamo il comunicato.

Processo a carico di Francesco Tuccia, udienza di Cassazione

Il prossimo 8 gennaio 2015 si terrà a Roma presso la Corte di Cassazione, l’udienza del processo a carico di Francesco Tuccia, imputato per i noti fatti relativi allo stupro perpetrato a Pizzoli nel febbraio 2012 ai danni di una giovane donna, studentessa presso l’Università dell’Aquila.

Ricordiamo che nel corso del procedimento, l’imputato è stato condannato in primo grado, nel gennaio 2013 a 8 anni di reclusione, condanna confermata in Appello nel dicembre 2013.

Nel processo, il Centro Antiviolenza per le donne dell’Aquila è stato ammesso come Parte Civile e come tale sarà ancora a fianco della giovane donna impegnata in questa lunga battaglia per la riaffermazione del diritto di ognuna a vivere libera dalla violenza maschile.

Rivolgiamo, pertanto, un appello a tutte le donne a partecipare e far sentire la propria presenza ribadendo che la violenza maschile ci riguarda tutte.

Centro Antiviolenza per le donne dell’Aquila

 

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2015/01/03/stupro-processo-tuccia-arriva-in-cassazione/

In ricordo di Stefania Noce a conclusione del processo per il suo omicidio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: http://27esimaora.corriere.it/articolo/stefania-uccisa-perche-donna/

 

Perdonami Ninni e perdonatemi compagne se le mie parole vi sembrerenno odiose e insensate. Ho letto della conclusione del processo per gli omicidi di Stefania Noce e del nonno di lei Paolo Miano: http://catania.meridionews.it/articolo/29715/processo-noce-confermato-ergastolo-a-gagliano-finalmente-e-finita-ce-labbiamo-fatta/ Le mie idee in fatto di detenzione mi impediscono di unirmi all’esultanza di tante e tanti per la sentenza di ergastolo nei confronti dell’ex fidanzato di Stefania, Loris Gagliano, l’uomo che l’ “amava” al punto da ucciderla. Sul perchè l’ergastolo sia per me in realtà una sconfitta della giustizia ho già scritto in quest’altro post alla cui spiegazione rimando: https://www.peruninformazionelibera.blog/sullergastolo-agli-assassini-di-rostagno-e-del-suono-di-una-sola-mano/

Ora vorrei scrivere qualche parola per ricordare Stefania Noce. Basta fare qualche ricerca in rete per scoprire che Stefania era anzitutto una donna vera che aveva a cuore i diritti di tutte le donne. Lei si interrogava sul senso dell’essere femministe,  perchè voleva la libertà delle donne da quella forma di dominio maschilista che purtroppo l’ha uccisa. Ma a me piace ricordare soprattutto la sua integrità, quel suo slogan “Non sono in vendita”, che vuol dire molto più di quel che sembri: una femminilità non svenduta ma vissuta fin in fondo nella dignità dell’essere donna.

 

Donatella Quattrone

25 novembre, perchè questa data

le-sorelle-mirabal-mariposas-03La scelta del 25  novembre  viene fatta  a Bogotà nel 1980, dove si tiene il primo Incontro femminista internazionale. Le partecipanti accettano la proposta della delegazione Dominicana di rendere omaggio alle sorelle Mirabal brutalmente assassinate il 25 novembre del 1960 per ordine del dittatore Trujillo.

Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiara – con voto unanime – il 25 novembre “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”, invitando i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica. Studi e ricerche – in Europa e nel mondo –  dimostrano come la violenza sia la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni. Ancora prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra.

Nel 2005 la “Marcia Mondiale delle Donne” invita tutte le donne ad appendere alle finestre un lenzuolo con scritto: “Mai più violenza sulle donne”. Nel giro di pochi anni la giornata acquista significato grazie alle iniziative e alle azioni politiche promosse dal movimento delle donne. Associazioni femminili e centri antiviolenza intendono richiamare l’attenzione della  società e delle istituzioni su un fenomeno che non accenna a diminuire.

LE SORELLE MIRABAL

Le sorelle Mirabal nacquero a Ojo, nella Repubblica Dominicana, da una famiglia benestante, erano quattro: Patria, Maria Teresa, Minerva e Belgica Adele, morta nel febbraio di quest’anno.

Patria, Maria Teresa e Minerva animarono, un movimento clandestino chiamato “14 giugno”, contro la sanguinaria dittatura di Trujillo. Per il loro modo di agire, gentile e nobile, furono soprannominate “las Mariposas” (le farfalle).

Incarcerate più volte, non abbandonarono mai la lotta. Nel 1960 condannate a cinque anni di lavori forzati, furono rilasciate grazie alla pressione internazionale. Il 25 novembre dello stesso anno Minerva e Maria Teresa decisero di far visita ai loro mariti detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, le accompagna, anche se suo marito era rinchiuso in un altro carcere, contro le preghiere della madre: teme per lei e per i suoi tre figli. I timori  della madre si rivelano esatti: le tre donne caddero in un’imboscata degli agenti del servizio segreto militare. Portate in una piantagione di canna di zucchero vennero massacrate, bastonate e strangolate. La loro auto fatta cadere in un burrone per simulare  un incidente.

L’assassinio delle sorelle Mirabal provocò grandissima commozione in tutto il paese; la terribile notizia si diffuse come polvere, risvegliando l’indignazione popolare.  La dittatura di Trujillo finì l’anno dopo con l’assassinio del dittatore.

La sorella sopravvissuta, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani. Per sopportare il dolore, il senso di colpa per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle, diventa custode della loro memoria; nel marzo del 1999 pubblica un libro Vivas in su jardin. “Sopravvissi per raccontare la loro vita”, dice Dedè

La scrittrice dominicana Julia Alvarez  dedica loro un romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto, nel 2004, il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek.

PDF TESTO

nella foto le sorelle Mirabal

 

 

Fonte:

http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2014/11/07/25-novembre-perche-questa-data/

 

 

Massacro del Circeo. Il gioco macabro di tre “bravi ragazzi”

Monday 29 September 2008
Il 29 settembre del 1975 prendeva corpo uno dei peggiori fatti di cronaca nera della storia italiana. Tre giovani neofascisti romani sequestrano e massacrano le diciassettenni Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, in quello che passa alla storia come “il massacro del Circeo”.
di Cecilia Dalla Negra

circeo1.jpgUN GIOCO DA BRAVI RAGAZZI – Un promontorio isolato, che racchiude le acque del golfo di Gaeta, in provincia di Latina. Lazio, Italia, secolo scorso, ma di poco. È la noiosa fine d’estate del 1975 quando tre giovani di alto rango e dalle simpatie politiche destrorse, decidono di spezzare la routine alto borghese e viziata rendendo l’idilliaco panorama laziale – rifugio estivo della Roma bene – nel teatro di un massacro dalla ferocia inaudita. Che riempirà le cronache fra disgusto e rabbia, con i dibattiti scatenati fra gli intellettuali che litigano sulla natura più o meno politica di un atto di barbara violenza compiuto contro due ragazze inermi. Tra gli strascichi umani e processuali della vicenda ci sarà lo spazio in cui far entrare gli alterchi intellettuali, le divisioni politiche e le lotte femministe: su tutto, spiccherà una giustizia incapace di punire tutti i colpevoli, capace invece di rimetterne alcuni  in libertà, lasciandogli la possibilità di compiere nuovi fatti di sangue. A colpire l’immaginario collettivo e indignare la pubblica opinione oltre alla violenza del gesto, gli artefici. Il massacro del Circeo passerà alla cronache per essere stato compiuto da tre “bravi ragazzi” dell’alta borghesia romana. I figli invidiati, gli studenti modello, che nascondono sotto abiti di marca realtà assai diverse.
Un gioco violento il loro, per rompere quell’ozio e quella noia viziata che sono propri di chi nella vita non ha dovuto ottenere nulla, perché ogni cosa è dovuta. Anche il corpo di una donna – considerata niente più di questo – da seviziare, violentare e massacrare per interrompere il ciclo della noia di fine estate. Ma nel loro gesto atroce non scelgono due donne qualunque: Rosaria e Donatella sono due ragazze umili, figlie dell’emarginazione e del degrado di una grande capitale che dimentica le proprie estremità, le proprie appendici periferiche. È la lezione da dare quindi in quanto classe sociale dominante a chi deve sottostare per ceto e appartenenza. E se di genere femminile, ancora di più.

GLI AUTORI, LE VITTIMEGiovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira sono tre ventenni dall’aspetto rassicurante. Vestono elegante, hanno orologi pregiati ai polsi, macchine sportive e all’ultima moda. Forse un sogno di emancipazione per due ragazze di 17 anni che vengono dalla periferia romana fatta di quell’isolamento tanto caro a Pier Paolo Pasolini. Ragazze di borgata, di umili origini, che della vita hanno perso l’illusione del sogno ancora prima di cominciare. Rosaria Lopez nemmeno ha finito le scuole medie per occuparsi dei genitori anziani, con cui divide due stanze all’Ardeatino, giù al sud, lontano dal centro sfavillante della dolce vita. Donatella Colasanti è figlia di un impiegato e di una casalinga, ed è stata lei a conoscere i suoi aguzzini qualche giorno prima, al “bar del Fungo” all’Eur, fra un caffè e un aperitivo. ghiracirceo.jpg
Sono giovani, affascinanti, dall’aspetto affidabile. Solo all’apparenza però, perché dei tre Giovanni Guido, studente di architettura, è l’unico incensurato. Gli altri “fratellini”, come si chiamano fra camerati, sono compagni di giornate, scampagnate, rapine e stupri. Figli della Roma che conta, Angelo Izzo e Andrea Ghira sono famosi in città per la prepotenza che li caratterizza, e per passioni non propriamente convenzionali. Se il primo è in cura da uno psichiatra che gli diagnostica nevrosi maniaco-depressive, il secondo subisce una pericolosa fascinazione per tutto ciò che è discriminante: in casa sua verranno ritrovati busti di Hitler e Mussolini, scritti di Julius Evola che inneggiano alla supremazia della razza. Al liceo ha abbracciato la causa squadrista, ed ha fondato un gruppetto neofascista che teorizza la violenza e il crimine come forma di affermazione sociale. È lui il capo della banda, e si fa chiamare Jacques. Per non essere riconosciuto, certo, ma anche per la sua ammirazione verso quel Berenger, criminale marsigliese, che ha messo a segno rapine e sequestri su Roma proprio negli anni ’70. Ma non finisce qui. Perché Izzo e Ghira sono già noti alla polizia per aver compiuto rapine, sequestri di persona, violenze sessuali. Sono stati arrestati per stupro, ma sebbene condannati non hanno mai scontato un giorno di carcere. “Era prassi consolidata nel gruppo stuprare le ragazze”, ammetterà candidamente Izzo, durante un’intervista recente.
Le due prede che incontrano nel bar dell’Eur, poi, devono apparir loro particolarmente ambite, se oltre ad essere giovani donne sono anche parte di quella plebe che tanto disprezzano.

guidocirceo.jpgL’INCUBO – Iniziano così, fra i tavolini di un bar, 36 ore di incubo per Donatella e Rosaria, che culmineranno con la tragedia. I ragazzi danno loro appuntamento per lunedì 29 settembre alle 4 del pomeriggio. “Andiamo a una festa, ci divertiamo, vedrete” dicono loro, mentre le caricano sulla Fiat 127 di Guido. Parte la corsa verso Villa Moresca. Residenza estiva della famiglia Ghira, è una grande abitazione disposta su due piani, giardino, taverna, garage. Affaccia sul bel panorama dell’Isola di Ponza ed è isolata, immersa nel silenzio come ogni villa del Circeo. Un inferno, se sei stato sequestrato, perché nessuno può sentire le tue grida. Sono le 18.30 quando arrivano e, puntando le pistole contro le ragazze, le chiudono nel bagno. Per Giovanni Giudo c’è anche il tempo di tornare a casa, a Roma, e cenare con i genitori come nulla fosse. A vigilare sulle ragazze sequestrate resta Angelo Izzo, che le costringe a turno ad avere rapporti con lui. Sono le 23 quando rientra Guido, questa volta insieme a Ghira: sono drogati, e da questo momento inizieranno sevizie, violenze sessuali, percosse. Donatella approfitta di un attimo di distrazione, striscia fino al telefono, chiama il 113. “Mi stanno ammazzando” riesce a dire, prima che una spranga di ferro le colpisca la schiena. Sente le grida di Rosaria che arrivano dalla stanza accanto, come se qualcuno la stesse affogando. Ed è proprio quello che stanno facendo, perché Rosaria Lopez, 17 anni, dopo le violenze subite viene annegata nella vasca da bagno. Donatella riuscirà a salvarsi solo fingendosi morta. È a questo punto che i tre chiudono i corpi dentro due sacchi di plastica, nascondendoli nel baule della macchina con cui erano arrivati. Sono le 21 di martedì 30 settembre, il supplizio delle ragazze è andato avanti per 36 ore. Rientrano a Roma, parcheggiano l’auto nei pressi di via Nomentana e cercano una pizzeria. Come non avessero massacrato e violentato due ragazzine sino a quel momento. Come non ne avessero nascosto i cadaveri nella propria auto. Ma Donatella è viva, e si fa sentire. Un metronotte, richiamato dai suoi lamenti, la trova agonizzante e coperta di sangue nella notte inoltrata: in quel bagagliaio, accanto al cadavere dell’amica, c’è rimasta quasi tre ore.
Le immagini del ritrovamento faranno il giro del mondo, e lasceranno l’Italia attaccata allo schermo di una tv in bianco e nero, che quel sangue e quella violenza li lascia solo immaginare.

L’ITER GIUDIZIARIO – Gianni Guido e Andrea Izzo vengono arrestai poche ore dopo il ritrovamento di Donatella Colasanti. Ghira inizialmente non è neanche indiziato, e nei lunghi anni del processo non verrà mai catturato. Conosciuti dalle forze dell’ordine per i precedenti, i “bravi ragazzi” vengono mandati in primo grado nel luglio del 1976. Mentre i primi due vengono accusati di omicidio pluriaggravato e condannati all’ergastolo, Ghira è fuggito. Arruolato nel Tercio, dicono, la Legione straniera spagnola, da cui sarebbe poi stato espulso nel 1994 per abuso di droga. Morto di overdose e sepolto nel cimitero di Melilla, con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Almeno questo è quello che sostiene l’esame del Dna effettuato sul cadavere riesumato nel 2005. Non è quello che sosteneva invece Donatella Colasanti, parte civile al processo, che ha continuato a denunciarlo per anni senza ascolto: “Ghira non solo è vivo, ma abita ancora a Roma”. La Cassazione, nel 1981, confermerà le condanne per Izzo e Guido. La loro storia però sarà costellata, da questo momento in poi, da tentativi di evasione più o meno riusciti, che porteranno addirittura Izzo a uccidere ancora. Ottenuto il regime di semilibertà nel 2001, nel maggio 2005 ucciderà la compagna Maria Carmela Limucciano e sua figlia Valentina, di 14 anni. Un “errore” della giustizia, come tanti altri. Forse più grave, se si tiene conto della ferocia con cui si erano mossi i colpevoli di questo terribile caso di cronaca nera. Che sarà capace di scatenare dibattiti intellettuali sulle colonne dei giornali, tra firme come Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini. E la cui vicenda giudiziaria sarà accompagnata dai movimenti femministi, anche loro costituitisi parte civile al processo contro gli aguzzini. Un processo condotto e vinto dall’avvocato Tina Lagostena Bassi, portavoce dei diritti delle donne calpestati dalla violenza maschile.izzocirceo.jpg

EPILOGO TRISTE – Donatella Colasanti è sopravvissuta alle violenze di quel giorno, ma non al loro ricordo. Una donna distrutta, rovinata, che se n’è andata silenziosamente nel 2005, dopo una lunga malattia. Continuando a chiedere che venisse fatta giustizia, con quella morte negli occhi che appartiene solo a chi la morte l’ha sfiorata, e l’ha vista da vicino. Difficile pensare di poter dimenticare, nel corso di una vita, violenze tanto gravi che sono state subite. Ancora più difficile se nella consapevolezza che a muoverle fu la bestialità di ragazzini arroganti e annoiati, che sotto le camicie inamidate nascondevano un’identità per troppo tempo impunita di violenti criminali.

Cecilia Dalla Negra

 

 

 

Fonte:

http://www.fondazioneitaliani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=7126&Itemid=1

“Stretta” antiabortista del Parlamento spagnolo: domani presidio informativo della Collettiva AutonoMia

Reggio Calabria. Nuova iniziativa di protesta per la Collettiva AutonoMia: l’appuntamento è per domani – 27 giugno – alle 18 davanti al Teatro comunale “Francesco Cilea”, in relazione alla campagna Yo Decido, in sostegno alle donne spagnole che lottano contro la “legge Gallardon”, che restringe di molto i casi in cui la donna può ricorrere all’aborto quale propria libera scelta.

La data è tutt’altro che casuale: proprio domani infatti il Parlamento iberico incardinerà il dibattito sulla normativa antiabortista.

«Insieme alle nostre sorelle spagnole e a tutte le donne che si stanno nuovamente mobilitando in tutt’Europa – si legge nella nota diramata ai media dalla Collettiva – chiediamo che non venga approvata la proposta del governo Rajoy», dopo la spinta forte delle «lobby confessionali» alla “194” già avvenuta in Italia e, su scala continentale, la mancata approvazione della risoluzione Estrela a Strasburgo.

L’iniziativa di domani al “Cilea” si caratterizzerà quale presidio informativo, per tutelare «un’Europa laica e dei diritti, il rispetto della nostra libertà di scelta e d’autodeterminazione, la tutela della nostra salute sessuale a riproduttiva».

 

Mario Meliadò

Giovedì 26 giugno 2014
Ore 22:34

 

Fonte:

http://www.reggiotv.it/notizie/attualita/37476/-stretta-antiabortista-parlamento-spagnolo-domani-presidio-informativo-collettiva-autonomia

ANNULLATO L’ERGASTOLO ALL’ATTIVISTA PINAR SELEK

dal blog di Valentina Perniciaro:11 giugno 2014

Ogni tanto una buona notizia, ma di un buono che sembra quasi di sentirne il profumo.
L’11 giugno 2014 la Corte di Cassazione di Ankara ha annullato la controversa condanna all’ergastolo per Pinar Selek, militante per i diritti umani, sociologa e femminista, dal 2009 rifugiata in Francia.
Fu accusata di un attentato avvenuto ad Istanbul (che causò la morte di 7 persone e il ferimento di un centinaio) nel 1998, e quindi di esser membro del Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK); nel 2003 fu rimessa in libertà dopo che una perizia attribuiva l’esplosione ad una fuga di gas.
Malgrado questo è stata appellata come “terrorista” per più di un decennio fino alla condanna all’ergastolo avvenuta nel 2013, di cui lei ha avuto notizia in Francia, dove è rifugiata e dove le mobilitazioni di solidarietà si sono accavallate numerose.
Un processo kafkiano, un processo farsa, un processo tutto politico verso una coraggiosa militante, che dimostra chiaramente le modalità della giustizia turca.
Un processo che ora si rifarà, ma almeno con l’ergastolo annullato. 

 

Fonte:

http://baruda.net/2014/06/11/annullato-lergastolo-allattivista-pinar-selek/

A Salerno “femminile palestinese” è resistenza all’occupazione

 

A Salerno “femminile palestinese” è resistenza all’occupazione con Luisa Guarro e Dalal Suleiman nello spettacolo teatrale “mi chiamo Omar”

Giovedì 24 aprile p.v alle ore 21,00, al Teatro Ghirelli di Salerno, prosegue la rassegna “femminile palestinese – la donna, l’arte, la resistenza”, a cura di Maria Rosaria Greco, con il racconto “mi chiamo Omar”, scritto e diretto da Luisa Guarro, rappresentato da Dalal e Omar Suleiman e la loro compagnia teatrale con cena araba a conclusione della serata.

– La scelta della data non è casuale, così vicina al 25 aprile, giornata della liberazione del popolo italiano, per sottolineare l’importanza che la rassegna dà alla resistenza di tutti i popoli contro qualsiasi occupazione straniera. Come pure è particolarmente significativo il partenariato consolidato con l’Agenzia giornalistica Nena-News Agency (Near East News Agency), impegnata da anni a garantire un’informazione indipendente ed accurata su tutto il Vicino Oriente, dando voce alla resistenza alla colonizzazione: nello specifico parlando dei conflitti, dei processi di cambiamento politico, delle lotte dei lavoratori, del protagonismo emergente delle donne, delle condizioni dei giovani e delle produzioni culturali.

– “Mi chiamo Omar” è la storia di una famiglia palestinese attraversata dalla storia della Palestina. Omar è il narratore che porta in scena la memoria fra immagini e suggestioni, una memoria delicata che infonde ammirazione e insieme un senso di inadeguatezza: è più forte di qualsiasi denuncia politica o filosofica. Il racconto parla di una casa in un remoto villaggio della Palestina, terra di battaglie e soprusi e violenze, di cui quasi non c’è traccia nella scena, se non come malinconico sottofondo nella consapevolezza di chi ascolta. Viene mostrata una vita quotidiana, lontana, altra, lenta , primordiale, da osservare e ascoltare, per uscire dalla convinzione che il proprio sia l’unico mondo possibile, l’unico plausibile.
Lo spettacolo sin dalla sua struttura scenica vuole riportare la potenza magica della narrazione orale. Un telo gigante, grande come uno schermo del cinema, rappresenta “la mente di chi ascolta” e su di esso prendono forma le immagini evocate dal racconto. Gli spettatori assistono, così, al tramutarsi delle parole in suggestioni che, nell’impossibilità di eguagliare il reale accaduto, diventano disegni animati (video-proiettati) ombre e immagini rarefatte, di attori che, dietro quel telo, interpretano i parenti più prossimi di Omar e il suo passato.
Infine i partecipanti vengono invitati a cena, sono ospiti, accolti sul palco e immersi nella scena, resa calda ed accogliente dalle musiche arabe e dagli odori dei cibi.

– Il racconto è il terzo appuntamento della rassegna salernitana “femminile palestinese” che si inserisce nella campagna nazionale lanciata a Roma nello scorso gennaio da “Cultura è Libertà”, associazione che sostiene e promuove la cultura palestinese, in quanto espressione dell’esistenza e resistenza di un popolo. Nello specifico il progetto salernitano dedica una particolare attenzione al ruolo della donna nel mondo arabo e all’importanza del contributo femminile nella cultura palestinese, alla capacità che le donne hanno di mettere in discussione i confini e le narrazioni dell’occupazione. Attraverso l’arte e la creatività la donna sa esprimere resistenza all’occupazione, alla colonizzazione, alla diaspora, alla discriminazione, alla violenza.

– Il progetto quindi si articola in tre appuntamenti, con la presenza di donne palestinesi o che parlano di Palestina. Il primo è stato la conferenza di Isabella Camera D’Afflitto, arabista dell’università La Sapienza di Roma, su “femminismo arabo: dall’Egitto alla Palestina” al Marte di Cava de Tirreni il 6 marzo u.s. Il secondo è stato l’incontro con la regista indipendente di Gerusalemme, Sahera Dirbas e la proiezione del suo film “Jerusalem bride” all’Università di Salerno, presso la biblioteca Santucci della cattedra di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali, il 25 marzo u.s. Ora è il momento dello spettacolo teatrale “mi chiamo Omar”, che si conclude con cena araba, al Teatro Antonio Ghirelli (TAG) di Salerno il 24 aprile p.v. alle ore 21,00.

– La rassegna “femminile palestinese – la donna, l’arte, la resistenza” è promossa da “Cultura è Libertà” e dalla “Comunità Palestinese della Campania” e raccoglie il sostegno e il partenariato di molti altri attori: il Comune di Salerno, la Mediateca MARTE di Cava Dè Tirreni, la Fondazione Salerno Contemporanea, il Teatro Antonio Ghirelli (TAG), l’Università degli Studi di Salerno, Nena-News Agency (Near East News Agency – Agenzia Stampa Vicino Oriente), la Fondazione Alfonso Gatto, la Rete Radiè Resh gruppo di Salerno, l’ANPI sezione di Salerno, l’associazione di donne “se non ora quando” sezione di Salerno e l’associazione Asinu. Sostiene il progetto inoltre la Banca di Credito Cooperativo di Aquara.

In dettaglio lo spettacolo “mi chiamo Omar”
scritto e diretto da Luisa Guarro
con: Omar Suleiman, Sergio Del Prete, Elisabetta Ingino, Antonella Mahieux, Sara Schiavo, Dalal Suleiman.
disegno luci: Paco Summonte
suoni: Paolo Petraroli
illustrazioni: Irene Servillo e Antonio Ruberto
progetto video: Luisa Guarro e Alessandro Papa
foto di scena: Alfonso Fierro.

Prevendita dei biglietti presso il Bar G. Verdi di piazza Luciani – Salerno
Biglietto d’ingresso inclusa cena araba € 15,00 (€ 8,00 per studenti)

 

 

Fonte:

https://www.facebook.com/events/270688119759232/