FARAH: NON SI CANCELLA LA MEMORIA

giovedì 31 luglio 2014

Oggi Farah è un campo profughi di 7000 persone nato nel 1948. Le famiglie sono arrivate qui con la Nakba da Haifa e Jaffa. Vivevano sul mare e ora al mare non possono nemmeno andarci, così come a Gerusalemme.
L’insediamento illegale israeliano più vicino è Elon Moreh, ma tutte le notti nel campo arrivano i soldati israeliani sparando e rapendo shebab o bambini. Attualmente 20 shebab del campo sono in prigione, la maggior parte di loro sono in detenzione amministrativa. 4 di loro sono bambini. Il campo ha avuto 40 martiri, uno di loro è in detenzione; ovvero non hanno ridato il corpo alla famiglia. Il martire si era fatto esplodere a Gerusalemme, Mohammed Azaul, e sperano di riaverlo quest’anno per dargli degna sepoltura. Ora è nel cimitero dei numeri.
Farah ha uno dei più grandi campi dal calcio della West Bank. Farah è famosa per gli shebab e per la tradizione di Resistenza. Quasi tutti qui sono stati detenuti da israele fra la prima e la seconda intifada. Tutte le Donne qui hanno figli o mariti feriti, uccisi o detenuti.
Ma Farah è conosciuta in Palestina per un altro motivo: qui vi era un’orribile prigione.
La prigione di Farah è stata un “dono” degli inglesi, ma nel 1982 viene presa sotto il controllo israeliano e da Ariel Sharon. Diventa un posto dove rinchiudere gli shebab.
Nel 1995, dopo gli accordi di Oslo, Arafat chiude la prigione e la trasforma in un centro sportivo; dove c’è appunto il campo da calcio.
I componenti della sede municipale di Farah ci accompagnano dentro all’ex prigione. Il responsabile è stato detenuto qui, per due anni e ci fa da cicerone…
Nel giardino ci sono bellissime palme e fiori, dall’esterno sembra una bellissima fortezza. All’entrata c’è una scrivania, è tutto pulito e ben imbiancato. Quell’entrata, una volta, era il luogo dove si svolgevano i “falsi” processi.
E da qui in poi…inizia l’orrore.
C’è un primo corridoio che porta in un luogo all’aperto, vicino ad un muro. Quando i prigionieri passavano quel corridoio dovevano fermarsi nel luogo all’aperto, denudarsi davanti ai soldati (uomini e donne) e stavano lì, in piedi, perchè in quel momento dovevano dimenticare il loro nome e imparare la loro nuova identità: un numero. Mentre erano lì, nudi, davanti ai soldati succedeva un po’ di tutto, soprattutto nei confronti delle prigioniere donne e dei bambini. Chi faceva resistenza volontaria o involontaria nell’imparare il proprio numero, veniva sbattuto contro quel muro. L’attuale responsabile se lo ricorda bene quel muro. Segue subito un altro orrore… ci sono dei quadrati di cemento che fanno da sedute. Lì sopra venivano legati due a due i prigionieri di schiena fra loro e con le mani legate dietro alle loro schiene. Restavano lì per ore, sotto al sole e i soldati gli tiravano le pietre in testa. Ci dicono di due bambini, legati lì, e dei soldati che gli stavano davanti e ci fanno intendere che i soldati si masturbassero davanti addosso ai bambini.
Subito dopo c’è un altro muro, bianco, perchè è stato imbiancato, ma non sono riusciti con quel bianco a coprire quello che c’era sotto…ci sono i nomi dei prigionieri che loro stessi hanno inciso nella pietra.
Ed ecco un altro corridoio che porta alle celle d’isolamento. Le celle sono larghe circa 80 cm e lunghe circa 1 mt e mezzo, senza bagno. Dentro a quelle celle ci restavano minimo 18 giorni. Lì dentro gli veniva passato il cibo da sotto la porta e urina e feci stavano sul pavimento, perchè appunto, non c’era il bagno.
Anche qui israele prima di lasciare lo stabile ha imbiancato le pareti nel tentativo di coprire cosa succedeva là dentro. Ed in effetti il sangue alle pareti è stato coperto, ma anche qui, non hanno potuto coprire quello che i prigionieri avevano inciso nel muro: i loro nomi, i nomi di chi amavano, i calendari e i giorni che passavano.
Esco nel giardino, bellissimo, ma per quanto con la bellezza abbiano fatto quel luogo un centro sportivo; è un luogo dell’orrore che nessuno può dimenticare e si respira nell’aria..l’odore della tortura e della violenza.
Parlo con il responsabile che è stato, appunto, due anni lì dentro. Mi dice che ha scritto un diario in quei due anni e che lo legge spesso ai suoi figli perchè devono sapere chi è il mostro e devono essere preparati. Mi dice anche che teneva i noccioli delle olive che mangiava in carcere per fare il rosario musulmano e pregare. “Ho ancora tutte quelle cose fatte con il nulla in prigione, anche se una notte i soldati sono entrati in casa mia e mi hanno rubato un po’ di quelle cose. Spero di riaverle”.
Farah, la memoria non la si può cancellare con un’imbiancatura alle pareti. La prigione di Farah è un lagher israeliano dove torturavano i Palestinesi.

Pubblicato da samantha a

 

 

 

Fonte:

http://samanthacomizzoli.blogspot.it/2014/07/farah-non-si-cancella-la-memoria.html

PALESTINA: OMICIDIO ABU KHDEIR, FERMATI SEI ESTREMISTI ISRAELIANI

 

07 lug 2014
by Redazione

La polizia israeliana segue la pista dell’omicidio per vendetta e crede che la stessa banda abbia tentato di rapire un bambino palestinese di 9 anni il giorno prima. Agli arresti domiciliari Tariq Abu Khdeir, il quindicenne con passaporto americano ripreso mentre veniva brutalmente picchiato dai soldati israeliani

 

Tariq Abu Khdeir qualche ora dopo l'arresto

Tariq Abu Khdeir qualche ora dopo l’arresto

della redazione

Roma, 07 luglio 2014, Nena News Nove giorni di arresti domiciliari per Tariq Abu Khdeir, l’adolescente palestinese con passaporto americano picchiato selvaggiamente dalla polizia israeliana e arrestato durante gli scontri di giovedì scorso nel campo profughi di Shu’afat a seguito della conferma della pista sul rapimento di suo cugino Mohammed Abu Khdeir, 16 anni, seviziato e bruciato vivo da estremisti israeliani. Tariq, rilasciato su cauzione dopo un processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme, secondo sua madre Suha “sarebbe rimasto a marcire in prigione come tutti gli altri, se non  avesse avuto il passaporto americano”. “Il consolato americano a Gerusalemme – ha aggiunto la donna – è stato di grande aiuto non appena ha saputo dell’arresto di Tariq”.

Washington, che ha mostrato un improvviso interesse per le violenze inflitte dall’esercito israeliano ai palestinesi solo perché era coinvolto un suo cittadino, ha ordinato un’inchiesta sull’accaduto. Tariq, infatti, sarebbe stato ripreso da una telecamera mentre subiva il pestaggio da parte di due soldati israeliani: un video che ha fatto il giro del mondo, considerato “una montatura, pura propaganda” da parte della polizia israeliana ma che, nonostante le polemiche, mostra due militari accanirsi con calci in ogni parte del corpo di quello che sembra un ragazzo. “Abbiamo visto il video – ha detto un ragazzo di 15 anni che si trovava nel tribunale per subire un analogo processo – e per noi è una cosa normale. I soldati israeliani picchiano le persone ogni giorno”. Due attivisti del Programma Ecumenico di Accompagnamento in Palestina e Israele, intervistati dall’agenzia Ma’an, hanno ricordato che “ci sono così tanti bambini palestinesi che devono affrontare tutto questo e che non ricevono alcuna attenzione da parte dei media. Questa copertura è incredibilmente di parte”.

Intanto, la polizia israeliana ha confermato la pista dell’omicidio per vendetta nei confronti di Mohammed Abu Khdeir e arrestato sei estremisti israeliani – definiti “nazionalisti” da autorità e media internazionali – responsabili del sequestro e della brutale uccisione. La svolta – nei giorni successivi alla scoperta del cadavere le autorità israeliane avevano anche tentato di far passare l’assassinio dell’adolescente palestinese per ‘omicidio di onore legato all’omosessualità’ – è arrivata in seguito all’autopsia, che ha rilevato tracce di fumo e fuliggine nei polmoni di Mohammed, segno che era ancora vivo quando è stato dato fuoco al suo corpo.

La polizia israeliana sta proseguendo con le indagini e, stando a quanto riporta il quotidiano Haaretz, crede che ci sia un legame tra il sequestro di Mohammed e il tentativo di sequestro di un bambino di nove anni, Musa Zalum, a Gerusalemme est il giorno precedente. Il bambino sarebbe stato avvicinato da un’auto e, a portiere aperte, forzato a entrare. Dopo aver urlato in direzione della madre, sarebbe stato afferrato per il collo: la madre Dina, giunta in prossimità dell’auto, sarebbe stata colpita da persone che urlavano tra di loro in ebraico. Secondo quanto riporta Haaretz, la polizia israeliana crede che si tratti di una banda di “nazionalisti” formatasi per vendicare la morte dei tre coloni adolescenti scomparsi e trovati morti una settimana fa nei pressi di Hebron. Per quest’ultimo assassinio, le indagini non si sono rivelate poi così accurate come per l’omicidio di Abu Khdeir: devastazione totale della Cisgiordania per due settimane, con sette vittime accertate, e arresto indiscriminato di centinaia di palestinesi, ora in detenzione amministrativa. Nena News

 

 
Fonte:

http://nena-news.it/palestina-omicidio-abu-khdeir-fermati-sei-estremisti-israeliani/

PALESTINA SOTTO SEQUESTRO

Nota personale: 

ricordo che i tre israeliani scomparsi sono coloni illeggittimi di uno stato occupante. Magari se lo ricordasse anche e almeno  il manifesto, visto che comunque resta l’unico quotidiano a interessarsi della Palestina. 

D. Q.

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Da il manifesto

Edizione del 25 giugno 2014

• aggiornata oggi alle 17:17

 

— Michele Giorgio, GERUSALEMME,

Territori Occupati. Proseguono le ricerche dei tre israeliani rapiti e la campagna di arresti e raid che stringe in una morsa la Cisgiordania. Tra gli ultimi fermati anche Samer Issawi, protagonista un anno fa di uno sciopero della fame lungo 266 giorni contro la “detenzione amministrativa”, il carcere senza processo.

Laila Issawi ha capito subito che quei sol­dati, quelle camio­nette, apparse all’improvviso davanti casa, erano lì per suo figlio Samer. D’impulso si è messa al com­pu­ter, per lan­ciare l’allarme. Ma nel giro di qual­che minuto è arri­vata la con­ferma. Lunedì sera Samer Issawi, pro­ta­go­ni­sta del più lungo scio­pero della fame in un car­cere israe­liano, è stato arre­stato a casa del fra­tello Meh­dat, a Isa­wiyya, un sob­borgo di Geru­sa­lemme. Era stato libe­rato lo scorso dicem­bre sulla base dell’accordo rag­giunto qual­che mese prima con Israele che aveva messo fine a 266 giorni di digiuno di pro­te­sta con­tro la sua deten­zione. Qual­che mese fa è stata arre­stata anche la sorella Shi­rin. «Samer sapeva che gli israe­liani non avreb­bero rispet­tato l’accordo e che pre­sto o tardi sarebbe tor­nato in pri­gione», rac­con­tava ieri il padre Tareq.

La noti­zia dell’arresto di Samer Issawi ha fatto il giro della rete. La bat­ta­glia con­tro la “deten­zione ammi­ni­stra­tiva” – senza prove e senza pro­cesso — por­tata avanti prima da Issawi e ora da cen­ti­naia di pri­gio­nieri poli­tici in scio­pero della fame dal 24 aprile, è seguita in ogni angolo di mondo. Gra­zie ai social per­chè i media tra­di­zio­nali, in buona parte, la igno­rano nono­stante la “misura cau­te­lare” attuata da Israele sia con­tra­ria alle leggi inter­na­zio­nali e sia stata con­dan­nata più volte dalle orga­niz­za­zioni per la tutela dei diritti umani. Come igno­rano la por­tata e le con­se­guenze dell’operazione mili­tare “Brother’s kee­per” lan­ciata da Israele dopo la scom­parsa il 12 giu­gno nella Cisgior­da­nia meri­dio­nale di tre ragazzi ebrei, pro­ba­bil­mente rapiti dal movi­mento isla­mico Hamas. Uffi­cial­mente “Brother’s kee­per” è una cam­pa­gna per la ricerca dei tre ado­le­scenti — Eyal Yifrach, Gilad Shaar e Naf­tali Fraen­kel, tra i 16 e i 19 anni, – con l’impiego di migliaia di sol­dati. Sino ad oggi però si è mani­fe­stata soprat­tutto come una clava per col­pire Hamas e per inflig­gere una puni­zione alla popo­la­zione pale­sti­nese che, non è un mistero, vede nel rapi­mento un mezzo per otte­nere la libe­ra­zione dei dete­nuti poli­tici chiusi nelle car­ceri israe­liane. I pale­sti­nesi arre­stati in 12 giorni sono almeno 471 (11 sono depu­tati del Con­si­glio legi­sla­tivo, tra i quali lo spea­ker Aziz Dweik). Israele ne con­ferma 354. In que­sti giorni l’esercito israe­liano ha anche effet­tuato per­qui­si­zioni — veri e pro­pri raid distrut­tivi, denun­ciano i pale­sti­nesi – in 1800 edi­fici e abi­ta­zioni civili, isti­tu­zioni pub­bli­che, scuole, uni­ver­sità e in sedi di mezzi d’informazione. In città e campi profughi.

E’ subito cre­sciuto anche il numero dei dete­nuti “ammi­ni­stra­tivi”. Adda­mir, l’associazione che sostiene i pri­gio­nieri poli­tici (in totale oltre 5 mila), ha docu­men­tato 104 nuovi ordini di que­sto tipo di deten­zione. E quando i pale­sti­nesi hanno pro­vato ad opporsi alle incur­sioni, i sol­dati israe­liani non hanno esi­tato a spa­rare – “per legit­tima difesa”, spiega un por­ta­voce dell’Esercito – facendo almeno cin­que morti, tra i quali un 15enne di Dura (Hebron), Mah­mud Dudin, col­pito in pieno petto da un pro­iet­tile. Qual­che anno in meno di Dudin aveva Ali al-Awour, un bam­bino ucciso a metà giu­gno, a Gaza, da un mis­sile sgan­ciato da un drone israe­liano con­tro un pre­sunto mili­ziano jiha­di­sta. E gli stessi anni o poco più ave­vano gli altri quat­tro ragazzi pale­sti­nesi uccisi dalle forze mili­tari dall’inizio del 2014: Adnan Abu Kha­ter, 16 anni; You­sef al-Shawamrah, 14 anni; Muham­mad Sala­meh, 16 anni; Nadim Nawarah, 17 anni.

Chie­dere che i tre ragazzi israe­liani fac­ciano al più pre­sto ritorno a casa sani e salvi è dove­roso. Allo stesso tempo è inac­cet­ta­bile l’atteggiamento di buona parte del mondo poli­tico ed isti­tu­zio­nale in Occi­dente che rimane in silen­zio quando l’occupazione mili­tare israe­liana uccide ragazzi pale­sti­nesi, spesso bam­bini, e ne incar­cera tanti nelle sue pri­gioni. Non esi­stono esseri umani di serie A e serie B.

Oggi molto più di qual­che anno fa si tende ad igno­rare in Occi­dente la realtà quo­ti­diana dei pale­sti­nesi e a con­si­de­rare le incur­sioni mili­tari israe­liane quasi come nor­mali “ope­ra­zioni di poli­zia” con­tro cri­mi­nali comuni e non come atti­vità di una forza di occu­pa­zione. Que­sti, ad esem­pio, sono i giorni in cui i decine di migliaia di ragazzi della Cisgior­da­nia sono impe­gnati negli esami di matu­rità e all’università. E i raid mili­tari israe­liani hanno un impatto deva­stante su que­sti gio­vani, come rac­con­tano Aisha Sha­lash e Hanin Dweib, due stu­den­tesse dell’università di Bir Zeit. «La notte del 18–19 giu­gno — hanno scritto le due gio­vani in un mes­sag­gio postato in rete — men­tre era­vamo impe­gnate negli esami finali di lau­rea, anche il nostro cam­pus uni­ver­si­ta­rio è stato perquisito…Abbiamo visto le imma­gini dell’esercito israe­liano che riem­piva le strade del cam­pus, sfa­sciando porte di acciaio e di legno…I sol­dati hanno tro­vato solo le ban­diere, i mani­fe­sti e gli acces­sori uti­liz­zati nelle ele­zioni stu­den­te­sche, li hanno con­fi­scati e se ne sono andati..(dopo) abbiamo con­ti­nuato a chie­derci: per­ché stanno facendo que­sto? Per­ché scon­vol­gono il nostro stu­dio e i nostri esami? Non siamo forse umani? Non abbiamo il diritto all’istruzione? A un futuro di spe­ranza? A una vita in libertà di giu­sti­zia e pace? Per­ché il mondo non ascolta mai noi palestinesi?»

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/palestina-sotto-sequestro/#

NAPOLI, 19 GIUGNO… CANTA PALESTINA! COSTRUIAMO L’ASILO VITTORIO ARRIGONI!

Posted on 17 giugno 2014 by dimitri

 

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“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo”

 

Il 19 giugno Napoli ospiterà un prezioso evento musicale. Certo, niente di mai visto, ma per noi sarà un concerto che significa tantissimo: più di 10 artisti si esibiranno in solidarietà alla causa palestinese e le sottoscrizioni all’ingresso andranno interamente a finanziare la costruzione di un asilo nella Striscia di Gaza, intitolato a Vittorio Arrigoni. Ma perchè Daniele Sepe, La Maschera, gli Slivovitz e altri faranno questo? Perchè noi ci stiamo impegnando tanto tra attacchinaggi, volantinaggi e altro perchè riesca al meglio?

Perchè la Palestina parla di noi.

Per quanto possa sembrarci lontana geograficamente, lontana dai nostri occhi e dalle nostre orecchie, la “questione palestinese” dovrebbe essere vicina al cuore e alla mente di tutti noi. Perchè la profonda ingiustizia di cui è pregna la storia di un qualsiasi palestinese ci riguarda, appartiene a tutti coloro che, guardandosi in tasca, allo specchio, ripensando alle proprie giornate tra studio, lavoro, ricerca di un lavoro, si sentono affaticati, infelici, frustrati e in fondo sanno che questo mondo è troppo iniquo e crudele per essere vissuto così com’è.
Perchè i bombardamenti, la militarizzazione, lo sterminio sistematico di una popolazione, il furto di terra, sono tutte conseguenze dirette -e non “grandi inconvenienti”- dello stesso modello sociale ed economico che regola le nostre vite nel concreto e senza darci scampo. Solo che lì si presenta senza orpelli, nella sua forma più pura e atroce. Un modello che si fonda e si riproduce grazie allo sfruttamento, il sopruso e l’oppressione da parte di pochi a danno di molti. Un disegno che però può essere cancellato e reinventato solo da noi, insieme.

E noi parliamo di Palestina?
Talvolta, sempre più raramente, ci arriva confusa un’eco dal TG: “Bombardamenti, tre morti, razzi qassam”- o, come negli ultimi giorni, “rapimenti”. Ma tutto è riportato in modo così confuso che nemmeno il tempo di una pietosa compassione e si cambia canale, senza riuscire a farsi un’idea e a prendere una posizione in una questione che sembra così lontana nel tempo e nello spazio.
A Napoli sono anni che tentiamo di stabilire una controtendenza, di dare voce, nonostante il mutismo mediatico anche in casi gravissimi, ad un’istanza di libertà e giustizia. Dibattiti, assemblee, presentazioni di libri, presidi, cortei, l’organizzazione dell’accoglienza e partenza della Freedom Flotilla III: qualsiasi momento per informare, sensibilizzare, attivare quante più persone possibili su una terra, una storia, una popolazione che da 66 anni subisce un vero e proprio tentativo – attualmente in stadio avanzato – di genocidio, ma che da altrettanto tempo si afferma, lotta e resiste.

Una tra le più rilevanti proteste di massa attualmente in corso è quella portata avanti dai detenuti palestinesi in carceri israeliane. Si tratta soprattutto di arresti “preventivi”, la maggior parte senza alcuna giustificazione dichiarata. Ma nonostante le condizioni disastrose a cui sono costretti, attualmente 125 prigionieri sono in sciopero della fame per richiedere la fine della detenzione amministrativa (almeno 6 mesi senza processo né accuse dichiarate), per protestare contro il mancato rispetto dell’accordo del 2013 che prevedeva la liberazione di alcuni detenuti. E anche qui Israele tenta di annientarli e di annientare la loro protesta che si diffonde e trova sostegno anche fuori dalle mura carcerarie: è di 15 giorni fa la proposta di legge di Netanyahu per costringere i detenuti all’alimentazione forzata.

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Con Vittorio nel cuore…
Se dovessimo trovare un altro motivo per ritenere prezioso questo appuntamento, sarebbe sicuramente la volontà di tante e tanti di ricordare un compagno, un amico, giornalista e internazionalista che ha speso tutta la sua vita per la causa di un popolo oppresso e senza voce: Vittorio Arrigoni. Ormai sono 3 anni che la sua assenza pesa su di noi, sulla sua famiglia e su tante compagne e compagni palestinesi, italiani e di ogni parte del mondo che l’hanno conosciuto più o meno direttamente. Il suo omicidio rientra nel quadro di brutalità e ingiustizia che lo Stato di Israele tenta di fare della Palestina. Continuare a lottare al fianco dei palestinesi e per cambiare questo mondo pensiamo che sia il modo migliore per ricordarlo.

Sosteniamo Dima, un motivo in più per partecipare!
A maggior ragione abbiamo pensato anche quest’anno di supportare Dima, un’associazione nata dalla volontà di un gruppo di attivisti impegnati da anni sul fronte della solidarietà con il popolo palestinese e per una pace giusta e duratura in tutto il Medio Oriente. Devolveremo infatti le sottoscrizioni di entrata del concerto a Dima con l’obbiettivo di portare finalmente a termine la costruzione di un asilo – che porterà proprio il nome di Vittorio – nel campo profughi di Khan Younis nella Striscia di Gaza.

Insomma, di motivazioni per parlare e soprattutto cantare di Palestina ne abbiamo parecchie! Diamo quindi voce, una volta per tutte, a un popolo che viene sistematicamente ammutolito ma che non ha mai perso la voglia e la forza di lottare e resistere!

Con Vik e la Palestina nel cuore!

Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2014/06/17/napoli-19-giugno-canta-palestina-costruiamo-lasilo-vittorio-arrigoni/