giovedì 31 luglio 2014
Pubblicato da samantha a 07:43
Fonte:
http://samanthacomizzoli.blogspot.it/2014/07/farah-non-si-cancella-la-memoria.html
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La polizia israeliana segue la pista dell’omicidio per vendetta e crede che la stessa banda abbia tentato di rapire un bambino palestinese di 9 anni il giorno prima. Agli arresti domiciliari Tariq Abu Khdeir, il quindicenne con passaporto americano ripreso mentre veniva brutalmente picchiato dai soldati israeliani
Tariq Abu Khdeir qualche ora dopo l’arresto
della redazione
Roma, 07 luglio 2014, Nena News – Nove giorni di arresti domiciliari per Tariq Abu Khdeir, l’adolescente palestinese con passaporto americano picchiato selvaggiamente dalla polizia israeliana e arrestato durante gli scontri di giovedì scorso nel campo profughi di Shu’afat a seguito della conferma della pista sul rapimento di suo cugino Mohammed Abu Khdeir, 16 anni, seviziato e bruciato vivo da estremisti israeliani. Tariq, rilasciato su cauzione dopo un processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme, secondo sua madre Suha “sarebbe rimasto a marcire in prigione come tutti gli altri, se non avesse avuto il passaporto americano”. “Il consolato americano a Gerusalemme – ha aggiunto la donna – è stato di grande aiuto non appena ha saputo dell’arresto di Tariq”.
Washington, che ha mostrato un improvviso interesse per le violenze inflitte dall’esercito israeliano ai palestinesi solo perché era coinvolto un suo cittadino, ha ordinato un’inchiesta sull’accaduto. Tariq, infatti, sarebbe stato ripreso da una telecamera mentre subiva il pestaggio da parte di due soldati israeliani: un video che ha fatto il giro del mondo, considerato “una montatura, pura propaganda” da parte della polizia israeliana ma che, nonostante le polemiche, mostra due militari accanirsi con calci in ogni parte del corpo di quello che sembra un ragazzo. “Abbiamo visto il video – ha detto un ragazzo di 15 anni che si trovava nel tribunale per subire un analogo processo – e per noi è una cosa normale. I soldati israeliani picchiano le persone ogni giorno”. Due attivisti del Programma Ecumenico di Accompagnamento in Palestina e Israele, intervistati dall’agenzia Ma’an, hanno ricordato che “ci sono così tanti bambini palestinesi che devono affrontare tutto questo e che non ricevono alcuna attenzione da parte dei media. Questa copertura è incredibilmente di parte”.
Intanto, la polizia israeliana ha confermato la pista dell’omicidio per vendetta nei confronti di Mohammed Abu Khdeir e arrestato sei estremisti israeliani – definiti “nazionalisti” da autorità e media internazionali – responsabili del sequestro e della brutale uccisione. La svolta – nei giorni successivi alla scoperta del cadavere le autorità israeliane avevano anche tentato di far passare l’assassinio dell’adolescente palestinese per ‘omicidio di onore legato all’omosessualità’ – è arrivata in seguito all’autopsia, che ha rilevato tracce di fumo e fuliggine nei polmoni di Mohammed, segno che era ancora vivo quando è stato dato fuoco al suo corpo.
La polizia israeliana sta proseguendo con le indagini e, stando a quanto riporta il quotidiano Haaretz, crede che ci sia un legame tra il sequestro di Mohammed e il tentativo di sequestro di un bambino di nove anni, Musa Zalum, a Gerusalemme est il giorno precedente. Il bambino sarebbe stato avvicinato da un’auto e, a portiere aperte, forzato a entrare. Dopo aver urlato in direzione della madre, sarebbe stato afferrato per il collo: la madre Dina, giunta in prossimità dell’auto, sarebbe stata colpita da persone che urlavano tra di loro in ebraico. Secondo quanto riporta Haaretz, la polizia israeliana crede che si tratti di una banda di “nazionalisti” formatasi per vendicare la morte dei tre coloni adolescenti scomparsi e trovati morti una settimana fa nei pressi di Hebron. Per quest’ultimo assassinio, le indagini non si sono rivelate poi così accurate come per l’omicidio di Abu Khdeir: devastazione totale della Cisgiordania per due settimane, con sette vittime accertate, e arresto indiscriminato di centinaia di palestinesi, ora in detenzione amministrativa. Nena News
Fonte:
http://nena-news.it/palestina-omicidio-abu-khdeir-fermati-sei-estremisti-israeliani/
— Michele Giorgio, GERUSALEMME,
Territori Occupati. Proseguono le ricerche dei tre israeliani rapiti e la campagna di arresti e raid che stringe in una morsa la Cisgiordania. Tra gli ultimi fermati anche Samer Issawi, protagonista un anno fa di uno sciopero della fame lungo 266 giorni contro la “detenzione amministrativa”, il carcere senza processo.
Laila Issawi ha capito subito che quei soldati, quelle camionette, apparse all’improvviso davanti casa, erano lì per suo figlio Samer. D’impulso si è messa al computer, per lanciare l’allarme. Ma nel giro di qualche minuto è arrivata la conferma. Lunedì sera Samer Issawi, protagonista del più lungo sciopero della fame in un carcere israeliano, è stato arrestato a casa del fratello Mehdat, a Isawiyya, un sobborgo di Gerusalemme. Era stato liberato lo scorso dicembre sulla base dell’accordo raggiunto qualche mese prima con Israele che aveva messo fine a 266 giorni di digiuno di protesta contro la sua detenzione. Qualche mese fa è stata arrestata anche la sorella Shirin. «Samer sapeva che gli israeliani non avrebbero rispettato l’accordo e che presto o tardi sarebbe tornato in prigione», raccontava ieri il padre Tareq.
La notizia dell’arresto di Samer Issawi ha fatto il giro della rete. La battaglia contro la “detenzione amministrativa” – senza prove e senza processo — portata avanti prima da Issawi e ora da centinaia di prigionieri politici in sciopero della fame dal 24 aprile, è seguita in ogni angolo di mondo. Grazie ai social perchè i media tradizionali, in buona parte, la ignorano nonostante la “misura cautelare” attuata da Israele sia contraria alle leggi internazionali e sia stata condannata più volte dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani. Come ignorano la portata e le conseguenze dell’operazione militare “Brother’s keeper” lanciata da Israele dopo la scomparsa il 12 giugno nella Cisgiordania meridionale di tre ragazzi ebrei, probabilmente rapiti dal movimento islamico Hamas. Ufficialmente “Brother’s keeper” è una campagna per la ricerca dei tre adolescenti — Eyal Yifrach, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel, tra i 16 e i 19 anni, – con l’impiego di migliaia di soldati. Sino ad oggi però si è manifestata soprattutto come una clava per colpire Hamas e per infliggere una punizione alla popolazione palestinese che, non è un mistero, vede nel rapimento un mezzo per ottenere la liberazione dei detenuti politici chiusi nelle carceri israeliane. I palestinesi arrestati in 12 giorni sono almeno 471 (11 sono deputati del Consiglio legislativo, tra i quali lo speaker Aziz Dweik). Israele ne conferma 354. In questi giorni l’esercito israeliano ha anche effettuato perquisizioni — veri e propri raid distruttivi, denunciano i palestinesi – in 1800 edifici e abitazioni civili, istituzioni pubbliche, scuole, università e in sedi di mezzi d’informazione. In città e campi profughi.
E’ subito cresciuto anche il numero dei detenuti “amministrativi”. Addamir, l’associazione che sostiene i prigionieri politici (in totale oltre 5 mila), ha documentato 104 nuovi ordini di questo tipo di detenzione. E quando i palestinesi hanno provato ad opporsi alle incursioni, i soldati israeliani non hanno esitato a sparare – “per legittima difesa”, spiega un portavoce dell’Esercito – facendo almeno cinque morti, tra i quali un 15enne di Dura (Hebron), Mahmud Dudin, colpito in pieno petto da un proiettile. Qualche anno in meno di Dudin aveva Ali al-Awour, un bambino ucciso a metà giugno, a Gaza, da un missile sganciato da un drone israeliano contro un presunto miliziano jihadista. E gli stessi anni o poco più avevano gli altri quattro ragazzi palestinesi uccisi dalle forze militari dall’inizio del 2014: Adnan Abu Khater, 16 anni; Yousef al-Shawamrah, 14 anni; Muhammad Salameh, 16 anni; Nadim Nawarah, 17 anni.
Chiedere che i tre ragazzi israeliani facciano al più presto ritorno a casa sani e salvi è doveroso. Allo stesso tempo è inaccettabile l’atteggiamento di buona parte del mondo politico ed istituzionale in Occidente che rimane in silenzio quando l’occupazione militare israeliana uccide ragazzi palestinesi, spesso bambini, e ne incarcera tanti nelle sue prigioni. Non esistono esseri umani di serie A e serie B.
Oggi molto più di qualche anno fa si tende ad ignorare in Occidente la realtà quotidiana dei palestinesi e a considerare le incursioni militari israeliane quasi come normali “operazioni di polizia” contro criminali comuni e non come attività di una forza di occupazione. Questi, ad esempio, sono i giorni in cui i decine di migliaia di ragazzi della Cisgiordania sono impegnati negli esami di maturità e all’università. E i raid militari israeliani hanno un impatto devastante su questi giovani, come raccontano Aisha Shalash e Hanin Dweib, due studentesse dell’università di Bir Zeit. «La notte del 18–19 giugno — hanno scritto le due giovani in un messaggio postato in rete — mentre eravamo impegnate negli esami finali di laurea, anche il nostro campus universitario è stato perquisito…Abbiamo visto le immagini dell’esercito israeliano che riempiva le strade del campus, sfasciando porte di acciaio e di legno…I soldati hanno trovato solo le bandiere, i manifesti e gli accessori utilizzati nelle elezioni studentesche, li hanno confiscati e se ne sono andati..(dopo) abbiamo continuato a chiederci: perché stanno facendo questo? Perché sconvolgono il nostro studio e i nostri esami? Non siamo forse umani? Non abbiamo il diritto all’istruzione? A un futuro di speranza? A una vita in libertà di giustizia e pace? Perché il mondo non ascolta mai noi palestinesi?»
Fonte:
Posted on 17 giugno 2014 by dimitri
“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo”
Il 19 giugno Napoli ospiterà un prezioso evento musicale. Certo, niente di mai visto, ma per noi sarà un concerto che significa tantissimo: più di 10 artisti si esibiranno in solidarietà alla causa palestinese e le sottoscrizioni all’ingresso andranno interamente a finanziare la costruzione di un asilo nella Striscia di Gaza, intitolato a Vittorio Arrigoni. Ma perchè Daniele Sepe, La Maschera, gli Slivovitz e altri faranno questo? Perchè noi ci stiamo impegnando tanto tra attacchinaggi, volantinaggi e altro perchè riesca al meglio?
Perchè la Palestina parla di noi.
Per quanto possa sembrarci lontana geograficamente, lontana dai nostri occhi e dalle nostre orecchie, la “questione palestinese” dovrebbe essere vicina al cuore e alla mente di tutti noi. Perchè la profonda ingiustizia di cui è pregna la storia di un qualsiasi palestinese ci riguarda, appartiene a tutti coloro che, guardandosi in tasca, allo specchio, ripensando alle proprie giornate tra studio, lavoro, ricerca di un lavoro, si sentono affaticati, infelici, frustrati e in fondo sanno che questo mondo è troppo iniquo e crudele per essere vissuto così com’è.
Perchè i bombardamenti, la militarizzazione, lo sterminio sistematico di una popolazione, il furto di terra, sono tutte conseguenze dirette -e non “grandi inconvenienti”- dello stesso modello sociale ed economico che regola le nostre vite nel concreto e senza darci scampo. Solo che lì si presenta senza orpelli, nella sua forma più pura e atroce. Un modello che si fonda e si riproduce grazie allo sfruttamento, il sopruso e l’oppressione da parte di pochi a danno di molti. Un disegno che però può essere cancellato e reinventato solo da noi, insieme.
E noi parliamo di Palestina?
Talvolta, sempre più raramente, ci arriva confusa un’eco dal TG: “Bombardamenti, tre morti, razzi qassam”- o, come negli ultimi giorni, “rapimenti”. Ma tutto è riportato in modo così confuso che nemmeno il tempo di una pietosa compassione e si cambia canale, senza riuscire a farsi un’idea e a prendere una posizione in una questione che sembra così lontana nel tempo e nello spazio.
A Napoli sono anni che tentiamo di stabilire una controtendenza, di dare voce, nonostante il mutismo mediatico anche in casi gravissimi, ad un’istanza di libertà e giustizia. Dibattiti, assemblee, presentazioni di libri, presidi, cortei, l’organizzazione dell’accoglienza e partenza della Freedom Flotilla III: qualsiasi momento per informare, sensibilizzare, attivare quante più persone possibili su una terra, una storia, una popolazione che da 66 anni subisce un vero e proprio tentativo – attualmente in stadio avanzato – di genocidio, ma che da altrettanto tempo si afferma, lotta e resiste.
Una tra le più rilevanti proteste di massa attualmente in corso è quella portata avanti dai detenuti palestinesi in carceri israeliane. Si tratta soprattutto di arresti “preventivi”, la maggior parte senza alcuna giustificazione dichiarata. Ma nonostante le condizioni disastrose a cui sono costretti, attualmente 125 prigionieri sono in sciopero della fame per richiedere la fine della detenzione amministrativa (almeno 6 mesi senza processo né accuse dichiarate), per protestare contro il mancato rispetto dell’accordo del 2013 che prevedeva la liberazione di alcuni detenuti. E anche qui Israele tenta di annientarli e di annientare la loro protesta che si diffonde e trova sostegno anche fuori dalle mura carcerarie: è di 15 giorni fa la proposta di legge di Netanyahu per costringere i detenuti all’alimentazione forzata.
Con Vittorio nel cuore…
Se dovessimo trovare un altro motivo per ritenere prezioso questo appuntamento, sarebbe sicuramente la volontà di tante e tanti di ricordare un compagno, un amico, giornalista e internazionalista che ha speso tutta la sua vita per la causa di un popolo oppresso e senza voce: Vittorio Arrigoni. Ormai sono 3 anni che la sua assenza pesa su di noi, sulla sua famiglia e su tante compagne e compagni palestinesi, italiani e di ogni parte del mondo che l’hanno conosciuto più o meno direttamente. Il suo omicidio rientra nel quadro di brutalità e ingiustizia che lo Stato di Israele tenta di fare della Palestina. Continuare a lottare al fianco dei palestinesi e per cambiare questo mondo pensiamo che sia il modo migliore per ricordarlo.
Sosteniamo Dima, un motivo in più per partecipare!
A maggior ragione abbiamo pensato anche quest’anno di supportare Dima, un’associazione nata dalla volontà di un gruppo di attivisti impegnati da anni sul fronte della solidarietà con il popolo palestinese e per una pace giusta e duratura in tutto il Medio Oriente. Devolveremo infatti le sottoscrizioni di entrata del concerto a Dima con l’obbiettivo di portare finalmente a termine la costruzione di un asilo – che porterà proprio il nome di Vittorio – nel campo profughi di Khan Younis nella Striscia di Gaza.
Insomma, di motivazioni per parlare e soprattutto cantare di Palestina ne abbiamo parecchie! Diamo quindi voce, una volta per tutte, a un popolo che viene sistematicamente ammutolito ma che non ha mai perso la voglia e la forza di lottare e resistere!
Con Vik e la Palestina nel cuore!
Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
Fonte:
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