Chicago, polizia uccide diciottenne afro-americano disarmato

 L’episodio è avvenuto il 28 luglio ma le immagini sono state diffuse oggi
05 agosto 2016
Il Dipartimento della polizia di Chicago ha pubblicato oggi il video sull’uccisione del diciottenne Paul O’Neal, avvenuta il 28 luglio. Nel filmato si vedono gli agenti che inseguono il giovane, accusato di aver rubato una macchina. Il colpo fatale non viene mostrato nel video, ma l’audio riprende il suono dei proiettili esplosi. O’Neal era disarmato. Il diciottenne è l’ultima vittima afroamericana della polizia negli Stati Uniti. Il filmato che l’Independent Police Review Authority del comune di Chicago ha pubblicato mostra una Jaguar nera segnalata come rubata inseguita dalla polizia. Un agente in auto apre il fuoco, sei sette colpi, contro l’auto che si schianta. Il conducente fugge. La polizia lo insegue in una strada laterale e quindi oltre una staccionata. Dopo si vede il via vai degli agenti concitati. Paul O’Neal muore per le ferite riportate. Al suo inseguimento hanno preso parte elicotteri, numerose auto, decine di agenti. Sharon Fairley, la portavoce dell’agenzia indipendente che controlla l’operato della polizia della città, ha definito le riprese come “scioccanti”. Tre agenti sono stati sospesi dal servizio. E la famiglia di O’Neal ha deposto una querela contro di loro.
Fonte:

Road to Rio Ep 10 e 11

 

Road to Rio Ep 11

Pubblicato il 02 ago 2016

Il racconto in tempo reale di donna Irone. Da una favela del compleixo da Maré, chiusa in un negozio non può uscire perché il Bope è nella favela e stanno sparando. Moriranno più di dieci persone quella notte del 25 luglio 2016.

Fonte:

 

 

Road to Rio Ep 10

Pubblicato il 02 ago 2016

In questo decimo episodio, il “ripulisti” del lungomare, soprattutto, ma anche di tutte quelle zone che sono potenzialmente più turistiche. Spariti, come d’incanto, centinaia di senza dimora. Così, in una notte. Problemi anche per gli artigiani che vendono i loro prodotti sulle spiagge. Sequestrata la merce, manufatti, denunciati i lavoratori. Questa è gente che vive sulla spiaggia, ci lavora da anni ed è la loro unica forma di rendita con la quale mantengono le famiglie.
La colonna sonora ci conferma che i musicisti brasiliani possono suonare davvero qualsiasi cosa.

Fonte:

 

Road To Rio – micro episodi seriali dalla città dei Giochi

 

BLACK LIVES UNITED A RIO

Reportage. Davanti alla celebre chiesa della Candelaria nel giorno in cui si ricorda la strage di senza tetto avvenuta qui nel 1983. Nel paese che detiene il triste record di innocenti morti ammazzati dalla polizia, attivisti afroamericani e movimenti delle favelas hanno unito le loro voci per dire basta alla violenza razzista delle forze dell’ordine. Negli Usa come in Brasile, «è genocidio dei neri». Il 6 e il 7 agosto si replica, sfidando le Olimpiadi

La protesta che a Rio ha unito le associazioni che lottano nelle favelas contro le uccisioni della polizia e il movimento Usa «Black Lives Matter»

23 luglio, Chiesa de La Candelaria, Rio da Janeiro. Si è scelta non a caso questa data e questo luogo per sancire un nuovo percorso tra diverse associazioni brasiliane contro le uccisioni della polizia nelle favelas (Maes de Maio, Candelaria Nunca Mais e Brazil Police Watch tra le altre) e il movimento statunitense Black Lives Matter. Gli attivisti statunitensi sono da qualche giorno in città e ci resteranno fino a inizio dei Giochi quando, insieme ai brasiliani, il 6 e il 7 agosto, saranno per le strade di Rio contro quello che chiamano apertamente il genocidio dei neri. Sono previsti una serie di appuntamenti dal giorno successivo alla cerimonia d’apertura.

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foto Ivan Grozny Compasso

Una lotta unica

Dal nord al sud dell’America, un’unica voce. È significativo farlo in Brasile, durante i Giochi, nel Paese che detiene il triste record di morti ammazzati durante operazioni di polizia. Super militarizzato sempre, ancora di più in questi giorni. «Negli Stati uniti non crediate che sia così diverso. Come azione di monitoraggio abbiamo riscontrato, quest’anno, seicento afro americani colpiti da proiettili sparati dalla polizia», ricorda Daunasia Yancey, voce riconosciuta di Black Lives Matter. «Quello che sta accadendo negli Stati uniti e in Brasile è figlio di una politica razzista molto chiara», rincara la dose.

Elizabet Martin è una donna del Massachusetts, ha perso suo figlio che in Brasile c’era venuto in vacanza, anche lui ucciso dalla polizia di qui. Lei ha fondato il Brazil Police Watch: «Sono molto preoccupata per quello che può succedere con i Giochi. Ci sarà ancora più esercito, controllo del territorio, violenza. Se, per preparare e garantire una Olimpiade bisogna uccidere i propri cittadini, bisogna gridarlo al mondo che c’è qualcosa di molto sbagliato».

Nella Chiesa de La Candelaria, risalente al 1710, opera neo classica, grande orgoglio non solo della cultura carioca ma brasiliana, il 23 luglio 1983 più di quaranta senza dimora si trovavano proprio qui. Quattro agenti aprirono il fuoco contro di loro e otto morirono trucidati. Da allora casi come questo sono accaduti altre volte, con la differenza che si sono scelti luoghi più periferici vista l’eco addirittura internazionale che ebbe la vicenda.

L’impunità è garantita poiché di fronte all’insistenza di associazioni dei familiari delle vittime e altre organizzazioni come Amnesty International Brasil, le autorità di polizia replicano di essere stati costretti a rispondere al fuoco per legittima difesa. «Dal 2012, dal 5 al 20% dei casi sono stati indagati. L’impunità è garantita, in pratica. Il 77% dei morti, parliamo dunque di cifre molto significative, 5600 persone solo nel 2012, anno della Coppa del Mondo, erano neri abitanti delle favelas. Vere e proprie esecuzioni». E sono state davvero tante.

Quest’anomala messa, perché di questo si dovrebbe trattare, è celebrata da padre Renato Chiera, fondatore della Casa do Menor, che si scaglia contro il razzismo usato come incudine contro i più poveri. Accusa i politici, non risparmiando nessuno. Fa i conti dei Giochi scherzando amaramente sul fatto che il municipio è fallito per organizzarli e non ha pensato all’istruzione, ai servizi, a ciò di cui la gente ha maggiormente bisogno.

Centoundici colpi

Ogni tanto l’omelia si interrompe per ricordare non solo i caduti de La Candelaria ma anche quelli di molti altri episodi, non solo brasiliani. Quelli statunitensi, ad esempio. Tra gli altri Alton Sterling ucciso a Baton Rouge in Louisiana, Philando Castiglia nel Minnesota e Michael Brown a Ferguson. Si è ricordato poi il caso della favela di Costa Barros, qui a Rio de Janeiro, quando cinque ragazzi morirono sotto centoundici colpi sparati da poliziotti militari: Wesley Castro di 20 anni, Cleiton Correa del Souza di 18, Wilton Estevs Jr. di 20, Carlo Eduardo da Silva Souza e Roberto Souza Penha di soli sedici anni. Tornavano da un compleanno quando l’auto su cui viaggiavano è stata investita da una pioggia di colpi. Centoundici appunto. Tra i banchi anche le madri di questi ragazzi, alcune davvero giovanissime. Si fanno coraggio l’una con l’altra. Tra le organizzatrici c’è l’esperta Debora Silva Maria, fondatrice del Movimento Maes de Maio. Molto disponibile, dispensa una parola per tutti. Ha tempo pure di rilasciare qualche intervista. Ci sono televisioni tedesche e francesi oltre che brasiliane e l’inviato del New York Times. Lei risponde anche per quelle che hanno meno voglia di esporsi. Anche Debora ha perso un figlio di 29 anni, a São Paulo. Rimase celebre una sua frase pronunciata direttamente alla presidente Dilma Roussef, qualche mese dopo la sua prima elezione: «Non possiamo ancora festeggiare la fine della dittatura, perché vi siete dimenticati di avvertire le forze armate».

Anche di Patricia Olivera, la sorella di uno degli scampati alla tragedia del 23 luglio 1983, si ricordano duri attacchi verso chi fa di tutto per insabbiare cosa è accaduto da allora e cosa è successo dopo. Da anni lotta per vedere incriminati i veri mandanti, sa che i quattro sono solo degli esecutori, visto che quello non è rimasto affatto un caso isolato. Solo il più visibile.

C’è anche Fatinha, una delle storiche fondatrici del Movimento Candelaria Nunca Mais, fondato una settimana dopo il massacro. Con l’arcivescovo di allora, Dom Eugenio Sales, intimò di non smettere mai di ricordare «fino a che saranno uccisi bambini nelle strade di Rio». Dopo 27 anni non solo ci sono i brasiliani ma pure statunitensi uniti nella stessa convinzione. Fatinha è molto provata, non solo dal tempo, che evidentemente non ha cancellato quella notte. Ci sono molti ragazzini attorno a lei, indossano delle magliette azzurrine e fanno parte di uno dei progetti che queste donne hanno realizzato nella favelas.

«È un genocidio»

«È in atto, nelle Americhe, in diverse forme, un vero e proprio genocidio. Non è una questione che riguarda solo i neri – lo dice con impeto il reverendo e attivista John Selders – è una questione che riguarda tutti gli uomini, nessuno escluso. I poveri e la comunità nera sono le vittime, americane, ma negli altri continenti siamo sicuri che non stia avvenendo la stessa cosa contro altri popoli che si vogliono esclusi?». Un lungo applauso chiude il suo intervento. Un’attivista di Black Lives Matter, la cugina di un’altra vittima, Waltrina Middleton, fa partire un coro gospel. Lo seguono tutti e uno dopo l’altro alzano il pugno chiuso. Madri, fratelli, preti, brasiliani, statunitensi. Tutti. A pugno chiuso.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/black-lives-united-a-rio/

La polizia di Miami ha sparato a un afroamericano disarmato

  • 22 Lug 2016 13.45

Il 18 luglio nel nord di Miami, in Florida, un poliziotto ha sparato a un afroamericano che stava cercando di calmare un uomo affetto da autismo per riportarlo in una casa famiglia. Charles Kinsey, terapeuta comportamentale, era disarmato e al momento dello sparo era sdraiato a terra con le mani alzate. Il colpo lo ha ferito a una gamba. La polizia di Miami ha dichiarato che gli agenti avevano ricevuto una segnalazione che riferiva di un uomo armato che stava tentando il suicidio. Il video del New York Times.

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/video/2016/07/22/miami-poliza-afroamericano-video

ATTIVISTI DEL MOVIMENTO BLACK LIVES MATTER IN BRASILE

NEW YORK TIMES:
ATTIVISTI DEL MOVIMENTO BLACK LIVES MATTER IN BRASILE
articolo pubblicato sul New York Times il 20 luglio 2016*

I giochi olimpici de Janeiro Rio potrebbero rivelarsi mortali per i neri poveri della città. A lanciare l’allarme, giovedì (20.07), una delegazione di attivisti americani del movimento Black Lives Matter e gruppi di attivisti brasiliani.

Gli attivisti americani si trovano a Rio per una visita di quattro giorni volta ad evidenziare i rischi che il gigantesco apparato di sicurezza olimpica costituisce, in un paese in cui un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato gli agenti delle forze dell’ordine come responsabili di una “parte significativa” delle quasi 60.000 morti violente all’anno.

Durante i giochi, ch si svolgeranno tra il 5 ed il 21 agosto, circa 85.000 tra soldati e poliziotti saranno di pattuglia nel tentativo di rendere sicura questa città notoriamente pericolosa per i 10.000 atleti e per gli spettatori stranieri, che si calcola saranno tra i 350.000 ed i 500.000. Si tratta di più del doppio del contingente di sicurezza ai Giochi Olimpici di Londra del 2012.

Ma mentre il gigantesco apparato di sicurezza può aiutare a proteggere i visitatori stranieri da scippi e rapine a mano armata, furti d’auto e sparatorie dei narcotrafficanti che fanno regolarmente parte della vita di Rio, gli attivisti degli Stati Uniti e le loro controparti locali hanno avvertito che la maggiore presenza di forze dell’ordine potrebbe causare un picco di omicidi da parte della polizia.

“Si parla dei costi per la costruzione delle strutture olimpiche, dell’acqua sporca, dello Zika e della criminalità, ma io voglio che il mondo conosca l’orrore della polizia che uccide i cittadini come parte della preparazione delle Olimpiadi”, ha detto Elizabeth Martin, una donna del Massachusetts il cui nipote Joseph è stato ucciso nel 2007 da un agente di polizia fuori servizio, mentre festeggiava il suo 30° compleanno a Rio.

Il Brazil Police Watch (Osservatorio sulla Polizia Brasiliana), gruppo fondato dalla Martin dopo la morte di Joseph, ha organizzato il viaggio.

I sei attivisti americani hanno iniziato la loro visita a Rio con un incontro carico di emozioni con le famiglie delle vittime della violenza della polizia locale, leader di comunità e attivisti anti-razzisti. I due gruppi hanno condiviso le loro storie personali e discusso sulle analogie tra la situazione dei neri in Brasile e negli Stati Uniti, denunciando il profilo razziale degli omicidi della polizia e la criminalizzazione delle comunità povere.

“È importante trovarsi e stare insieme, perché sappiamo che questa violenza è collegata”, ha detto Daunasia Yancey, attivista nera dei Black Lives Matter che arriva da Boston. “La violenza contro i neri è globale e la nostra resistenza è globale.”

Secondo la Yancey, sia negli Stati Uniti che in Brasile, le uccisioni di giovani neri da parte della polizia sono un problema sistemico. “Non si tratta solo di singoli casi di cattivi poliziotti. Si tratta del sistema di polizia, questo è il modo in cui la polizia lavora”, ha detto.

Monica Cunha, di Rio de Janeiro, il cui figlio Rafael è stato ucciso dalla polizia nel 2006, annuisce e dice: “Essere neri oggi in Brasile vuol dire essere marchiati per morire, spesso per mano della polizia”.

L’esatta misura della quantità degli omicidi commessi della polizia in Brasile rimane oscura e attivisti per i diritti umani e organizzazioni internazionali accusano da tempo la polizia della nazione sudamericana della pratica abituale di esecuzioni sommarie, normalmente giustificate come uccisioni a seguito di presunte “resistenze all’arresto” (ndt. i ben noti “autos de resistencia” ossia “atti di resistenza” detti anche “atti di resistenza seguiti da morte”. Si tratta di un sistema legale ereditato dalla dittatura militare ed ancor oggi in vigore, che, non prevedendo alcuna indagine nel caso in cui si certifichi che una morte è avvenuta in un confronto a fuoco, copre di fatto gli omicidi commessi dai poliziotti garantendo loro l’impunità)

Secondo le stime di Amnesty International, la polizia di Rio è responsabile di uno ogni cinque omicidi occorsi nel 2015 e che il numero degli omicidi per mano della polizia è aumentato nello stato di Rio di circa il 40 per cento durante la Coppa del di calcio del 2014.

Gli attivisti del Black Lives Matter hanno detto che più di 600 persone sono state uccise dalla polizia negli Stati Uniti finora nel corso di quest’anno.

Durante l’incontro, sono state ricordati alcuni dei più eclatanti omicidi commessi dalla polizia sia negli Stati Uniti che in Brasile: Alton Sterling a Baton Rouge, in Louisiana; Philando Castiglia nel Minnesota; Michael Brown a Ferguson, Missouri; il massacro nel 1993 di otto bambini di strada al di fuori della chiesa della Candelaria di Rio; l’uccisione nel dicembre dello scorso anno di cinque giovani nella periferia di Rio, con la polizia che aprì il fuoco contro di loro mentre si trovavano dentro la loro auto (ndt. il caso del quartiere Costa Barros, dove cinque ragazzi tra i 16 ed i 20 anni che tornavano a casa dopo aver festeggiato in un parco pubblico il primo stipendio di uno di loro, vennero massacrati senza alcun motivo da 111 colpi di fucile sparati da poliziotti militari. Per approfondire: http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews…).

John Selders, un pastore di Hartford, Connecticut, ha detto che i punti in comune tra la situazione dei neri in Brasile e negli Stati Uniti creano un legame che trascende barriere linguistiche e culturali.

“Voi non siete soli qui in Brasile,” ha detto Selders, mentre l’interprete faceva eco alle sue parole in portoghese. “Noi siamo voi. Voi siete noi. Noi siamo un solo popolo.”

guarda anche il video:
https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/videos/831491776950263/

*fonte: http://www.nytimes.com/…/ap-lt-brazil-black-lives-matter.ht…

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foto di Il Resto del Carlinho Utopia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Beaumont-sur-Oise: la polizia uccide, notte di rivolta

Mercoledì 20 Luglio 2016 11:02

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Un giovane di 24 anni, Adama, è morto nelle mani della polizia ieri nei pressi di Beaumont-sur-Oise, una cité dell’estrema periferia a Nord di Parigi. Secondo il racconto di chi ha assistito all’arresto, tra cui il fratello della vittima, il 24enne è stato inseguito e picchiato poi portato esanime dentro il commissariato. Qualche ora dopo la polizia ne ha annunciato la morte, ufficialmente per un problema cardiaco.
Una ricostruzione che non ha convinto nessuno e che suona come la solita presa in giro a chi sa benissimo cosa succede davvero nei commissariati di banlieu.
Da subito decine di giovani hanno iniziato a riunirsi davanti alla gendarmerie per protestare contro la brutalità della polizia. Nella notte si sono verificati incidenti nelle zone limitrofe con macchine date alle fiamme e barricate, l’arrivo della polizia, a piedi e in elicottero, è stato accolto con lanci di oggetti (e forse colpi di arma da fuoco). Le forze dell’ordine hanno reagito lanciando granate stordenti tra cui la tristemente nota LBD40 che ha causato la morte di Remi Fraisse nell’ottobre del 2014.
In Francia le violenze e il razzismo della polizia sono un’esperienza quotidiana per chiunque abiti nei quartieri, 103 persone sono state uccise dalle forze dell’ordine dal 2005 godendo, proprio come in Italia, di una totale impunità. Proprio nel 2005 la morte Syd e Bouna aveva scatenato una rivolta che si era propagata in tutte le banlieu della Francia in un’ esplosione di rabbia contro una giustizia schierata sempre dalla parte degli abusi in divisa.
Un’inchiesta è stata attivata dall’Ispezione della gendarmerie ma la tensione non sembra placarsi nei quartieri nord. Anche da questa sponda dell’atlantico la questione della violenza razzista della polizia torna di drammatica attualità grazie alla risposta di chi non lascia che tutto passi sotto silenzio. E stanotte è un’altra notte…

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/17400-beaumont-sur-oise-la-polizia-uccide-notte-di-rivolta

Rio 2016: Jhonata, 16 anni ucciso con uno sparo alla testa da un poliziotto militare nella favela Borel

01.07.16

RIO 2016: JHONATA, 16 ANNI, UCCISO CON UNO SPARO ALLA TESTA DA UN POLIZIOTTO MILITARE NELLA FAVELA BOREL. LA GIUSTIFICAZIONE: SACCHETTO DI POP CORN “CONFUSO” PER UN SACCHETTO DI DROGA

Un altro giovane nero di una favela di Rio è stato ucciso dalla polizia militare ieri sera (30.06) nella favela Morro do Borel a Rio de Janeiro. Si chiamava Jhonata Dalber Matos Alves e aveva 16 anni.

Jhonata non abitava in quella zona, vi si era recato per far visita agli zii. Era uscito di casa insieme ad un amico per andare a comprare un sacchetto di pop corn e forse proprio quel sacchetto che aveva in mano gli è stato fatale: sarà droga, hanno pensato i poliziotti militari e BUM! Centrato in piena testa. I poliziotti diranno poi che nella zona era in corso un conflitto a fuoco con i trafficanti, che una moto con dei banditi a bordo era appena transitata e che il ragazzo è stato colpito per sbaglio, la solita storia insomma…

Tutte le testimonianze degli abitanti della zona concordano nel dire che la situazione era assolutamente tranquilla e che non c’era nessuna sparatoria in corso.

Un abitante della favela ha filmato il momento in cui il ragazzo è stato raccolto e portato via dai poliziotti, ancora in vita. All’ospedale hanno tentato un intervento urgente, ma Jhonata non ce l’ha fatta. Nella serata gli abitanti di Borel sono scesi in strada per protestare. La polizia ha represso la giusta rivolta con lacrimogeni e pallottole di gomma. Nella favela è scattato il coprifuoco e a tarda notte giungevano notizie di abitanti chiusi nelle loro case invase dai gas lacrimogeni. Mentre scriviamo mancano 35 giorni, 14 ore e 34 minuti alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici.

13.07.16

Nei quartieri dei ricchi la polizia militare non si confonde mai

Il 30 giugno scorso, Jhonata, studente di 16 anni, è stata l’ennesima vittima delle UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) in una favela di Rio. è stato “PACIFICATO PER SEMPRE” con uno proiettile conficcatogli nella testa da un poliziotto militare. Secondo le testimonianze degli abitanti della favela, i poliziotti avrebbero confuso il sacchetto di pop corn che Jhonata portava in mano con un sacchetto di droga. La polizia militare di Rio de Janeiro (come potrete constatare in questo breve documento) è un’autentica specialista in “confusioni”! Si confonde praticamente ogni giorno, ma solo nelle favelas e nelle periferie. Non si registrano, infatti, casi di “confusione” nei quartieri benestanti della città…

I numeri spaventosi di omicidi commessi dai poliziotti militari di Rio sono tornati spaventosamente a crescere con l’approssimarsi della Coppa del Mondo di calcio prima ed ora con le Olimpiadi.

Negli ultimi 10 anni, secondo i dati raccolti dalla ONG Human Rights Watch, la sola polizia di Rio ha ucciso “ufficialmente” più di 8000 persone, il 77% delle quali giovani, nere e abitanti nelle periferie e nelle favelas. Tra gennaio e maggio di quest’anno, sempre secondo i dati ufficiali, si sono registrati 322 omicidi. Anche i poliziotti muoiono in servizio: le statistiche indicano che un poliziotto muore ogni 25 civili uccisi.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!jhonata-16-anni-ucciso-dalla-polizia-mil/c1bnl

Valdik Gabriel, “Biel”, 11 anni. ucciso con uno sparo alla nuca da un agente della Guardia Civile Metropolitana di San Paolo, come il piccolo Italo

01.07.16

L'ultima foto scattata dal padre a Valdik

I lettori del nostro sito ricorderanno sicuramente il caso, e la storia, di Italo, 10 anni, ucciso il 2 giugno scorso da un poliziotto militare con uno sparo alla testa, al termine di un inseguimento all’auto che aveva rubato con un suo amico di 11 anni. Poco più di venti giorni dopo la storia, analoga, si è ripetuta.

Valdik, o Biel, come era chiamato dai suoi famigliari e dagli amici, è morto sabato scorso dopo essere stato colpito alla nuca, al termine di un inseguimento, da un agente della GCM (Guardia Civile Metropolitana) di San Paolo. Il bambino, di 11 anni, si trovava nei sedili posteriori di un’auto, una vecchia Chevette, rubata. L’auto era stata segnalata agli agenti da due motociclisti.

Secondo la famiglia, con lui c’erano altri due minorenni, tra i 12 ed i 15 anni, che sarebbero riusciti a scappare.

L’agente della guardia metropolitana che ha ucciso Biel ha subito dichiarato che dall’auto erano stati sparati dei colpi di pistola nella sua direzione e per questo avrebbe risposto al fuoco. Le perizie hanno dimostrato che nessuno sparo è stato effettuato dall’interno dell’auto e nessuna arma è stata ritrovata, oltre al fatto che i finestrini erano tutti chiusi. I colleghi dell’agente che ha sparato, dal canto loro, hanno rafforzato la tesi dichiarando di “non essere sicuri” che sia avvenuta una sparatoria.

Waldik Gabriel e Ítalo sono vittime di uno stato che uccide bambini neri invece di proteggerli

di Bianca Santana, pubblicato su HuffPost Brasil il 27.06.16

“Giustizia per Biel!” è stata la parola d’ordine intonata da amici e famigliari che apriva la strada ad una cassa di un metro e mezzo, circondata da fiori bianchi e gialli. Il vetro incastonato nel legno sottile permetteva di vedere solo il volto di Waldik Gabriel Silva Chagas, 11 anni, ucciso la domenica precedente (26.06) dallo Stato brasiliano.

Il bambino nero, gracile, sembrava essere ancora più giovane. È stato colpito alla nuca da un proiettile della Guardia Civile Metropolitana, mentre era seduto sul sedile posteriore di una vecchia auto. Secondo la Guardia Civile, l’auto era stata descritta da due motociclisti che erano stati rapinati e stava fuggendo dall’inseguimento degli agenti. Secondo Nilma Silva, matrigna di Gabriel, stava andando con gli amici ad una festa di piazza nel quartiere vicino.

L'auto sulla quale si trovava Valdik con il foro del proiettile sul lunotto posteriore
Dolore al funerale del piccolo Valdik
Valdik
Italo

Valdik, 11 anni (a sinistra) e Italo, 10 anni

Indipendentemente da quanto sia successo, un unico colpo ha colpito l’auto. Non è stato sparato alle gomme, per evitare una possibile fuga, ma nel lunotto posteriore. Alla nuca di un bambino di 11 anni. “Non ci risulta che frequentasse brutte compagnie. Ma se anche così fosse, questo è quello che dovevano fare?” Domanda Nilma.

Nel via vai di persone vicine a Gabriel, curiosi e giornalisti, di fronte all’obitorio del cimitero comunale di Vila Formosa, un uomo osserva in silenzio. Abisogun Olatunji, 34 anni, nero, membro dell’Unione dei Collettivi Pan-africanisti, era lì in solidarietà alla famiglia e per vedere se avevano bisogno di una qualche assistenza: “Ogni 23 minuti un giovane nero muore brutalmente assassinato in Brasile. Si tratta di una pulizia etnica, politica di Stato. Dobbiamo affrontare questa situazione.”

Il gruppo è anche in contatto con la famiglia di Italo Ferreira de Siqueira Jesus, 10 anni, ucciso dalla polizia militare all’inizio di questo mese. “La cosa peggiore è vedere la mancanza di risposta da parte della società”, dice Abisogun. “Ci occupiamo anche di lavoro educativo, di coscienza, autostima. Ma per poterlo fare, abbiamo bisogno di essere vivi.”

Oltre che militante nero, Abisogun è professore di storia nelle scuole municipali e statali. Nel 2014, mentre stava partecipando ad una riunione di docenti nella scuola dove lavora, ha sentito degli spari.

La polizia aveva ucciso uno studente di fronte alla scuola. “Io vivo nella zona di Itaim Paulista e ho un figlio di tredici anni, Ayodele. Qualche sera fa mi era venuta voglia di mangiare delle patatine fritte e avevo pensato di chiedere a lui di andarle a comprare. Ma ci ho ripensato immediatamente e gli ho detto: “Resta pure in casa che ci vado io, che ho meno chance di morire”.

Nel 2015, quando l’ ECA (lo Statuto di Bambini e Adolescenti) ha completato 25 anni, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) denunciò gli alti indici di omicidi di bambini e adolescenti in Brasile. Le principali vittime sono giovani neri e poveri, che vivono nelle favelas e nelle periferie delle grandi città, come Biel e Italo. Nel 2013, sono stati registrati 10.500 casi: una media di 28 bambini e adolescenti uccisi al giorno. Siamo al secondo posto nella classifica dei paesi con il più alto numero di omicidi di bambini e giovani entro i 19 anni, dietro solo alla Nigeria.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!valdik-gabriel-11-anni/c1wrz

 

 

Leggi anche qui:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!in-memoria-di-biel-e-italo/c8n5

Genova 2001, 47 euro di sanzione per le menzogne sulla scuola Diaz

Venerdì 08 Luglio 2016 11:36

47 euro e 57 centesimi, ossia il corrispettivo di una giornata di lavoro: è questa la ridicola sanzione inflitta a Massimo Nucera, assistente capo di polizia che nel 2001 si trovava a Genova durante il G8, all’epoca nelle funzioni di semplice agente.

La vicenda che vede coinvolto Nucera restituisce senza dubbio solo una piccola parte dell’insieme di abusi e violenze commessi dalle forze dell’ordine in quei giorni di luglio, ma è a suo modo emblematica sia delle clamorose menzogne e dei depistaggi costruiti ad hoc per crere allarmismi e tensioni (utili poi a giustificare le violenze e le torture compiute in piazza e alla scuola Diaz), sia della sistematica tutela e impunità di cui hanno potuto godere quanti, tra le Fdo, per quegli eventi si sono ritrovati ad affrontare denunce e processi.

Dopo l’irruzione alla Diaz, Massimo Nucera aveva dichiarato di essere stato accoltellato da un no-global, portando come prova un giubbotto lacerato (qui una sua intervista dell’epoca in cui afferma, tra le altre cose, che “se all’interno della Diaz qualcuno si è fatto male non è stato fatto da parte nostra“). Peccato che le successive indagini rivelarono che era stato lo stesso agente, forse con l’aiuto di qualche solerte collega, ad autoinfliggersi maldestramente i tagli sulla giacca. Per questo episodio Nucera è stato condannato per falso e lesioni a 3 anni e 4 mesi ma come per molti altri responsabili e protagonisti degli abusi di Genova 2001 è poi intervenuta la prescrizione a salvarlo, lasciando intatta solo l’accusa di falsa testimonianza. La vicenda si è così conclusa nel 2013 con la semplice sospensione di un mese dello stipendio decisa dal Consiglio provinciale di disciplina della polizia.

conti

Nucera, però, non contento del trattamento di favore ricevuto, decide di fare ricorso contro questa decisione, trovando nel marzo 2014 l’accondiscendente assenso dell’allora capo della polizia Alessandro Pansa (da qualche mese passato a capo dei servizi segreti italiani), che decide di ridurre la sanzione da un mese a un solo giorno di sospensione. Insomma, uno dei tanti irrisori provvedimenti con cui si sono conclusi in questi anni i processi per gli abusi in divisa di Genova 2001 (senza considerare le varie figure che su quelle giornate di luglio hanno invece addirittura costruito carriere e promozioni), di cui peraltro si ha notizia solo a più di 2 anni di distanza dalla decisione presa.

Tra le motivazioni addotte da Pansa nel firmare il generoso sconto della sanzione a Massimo Nucera vengono citati “l’ottimo stato di servizio, i premi ricevuti e le capacità dimostrate”. Basterebbe certo l’episodio di cui si è reso protagonista durante il G8 di Genova a dar conto della meschina e schifosa condotta dall’agente in questione, ma se per “capacità dimostrate” si intendono menzogne e false testimonianze Nucera mostra in effetti una spiccata propensione in materia: nel 2005, a Teramo, al termine di una partita tre celerini picchiano selvaggiamente un tifoso della squadra di basket locale “senza alcuna valida giustificazione” (così recita la sentenza). Nucera verrà accusato di aver coperto i colleghi raccontando che il tifoso si era fatto male prima, durante una rissa mai avvenuta. Anche in questo caso la condanna per falsa testimonianza a 1 anno e 4 mesi nei suoi confronti verrà di nuovo prescritta in Appello nel 2010.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/varie/item/17351-genova-2001-47-euro-di-sanzione-per-le-menzogne-sulla-scuola-diaz