PALMIRA, QUELLA PRIGIONE ORA IN MANO ALL’ISIS DI CUI NESSUNO HA MAI PARLATO

Pochi luoghi al mondo concentrano in sé bellezza e tragedia come Palmira. Questa metafora esistenziale, se così possiamo definirla, accomunava tutta la Siria prima del 2011. Chi vi andava in vacanza, o chi veniva a contatto con questo Paese, rimaneva affascinato dalla bellezza di questa terra. Palmira era, ed è, il simbolo vivente e pulsante di quello che è riuscito molto bene al regime siriano in questo mezzo secolo: cercare con la bellezza della Siria di nascondere gli orrori della dittatura. Infatti, chi andava a Palmira si fermava ad ammirare i resti dell’antica città di Zenobia e non conosceva, perchè gli veniva nascosto, il significato che per i siriani aveva questa città. Palmira per i siriani significa due cose: radici (quelle visibili ancora oggi) e morte, la morte di decine di migliaia di siriani nel carcere di questa città.

palmira prigioneQuesta prigione è stata descritta da molti sopravvissuti come l’inferno in terra. Faraj Bayrakdar, poeta ed ex carcerato, in un suo libro, “I tradimenti della lingua e del silenzio”, ricorda quando era su di un autobus, insieme ad altri condannati, e il poliziotto annunciò che la loro destinazione sarebbe stata Palmira, alcuni detenuti cominciarono ad urlare: “Palmira no!”. Per la maggioranza dei carcerati, Palmira era il preludio della morte.

Bara Sarraj, arrestato il 5 marzo del 1984 e liberato 12 anni dopo, in un’intervista riguardo al suo libro “Da Tadmur (nome in arabo di Palmira) ad Harvard”, tentò di descrivere a parole cosa significasse per lui Palmira: “Il linguaggio non basta per descriverla. La paura era una sensazione interna che ti faceva sentire il cuore tra i piedi e non nel petto. La paura è lo sguardo sui volti delle persone, i loro occhi nervosi quando il momento della tortura si avvicina”.

Palmira è un luogo che dovrà essere consegnato al patrimonio della memoria, un esempio di come la crudeltà umana abbia raggiunto nuove vette proprio di fianco a turisti ignari che si scattavano foto tra le rovine a pochi km da questo macello a cielo aperto. Ma nella banalizzazione che si fa quotidianamente della Siria, forse tutto ciò è già consegnato al dimenticatoio.

Solo oggi, quando il nemico perfetto, l’Isis, (sorto dalle ceneri del Ba’th iracheno, dal malessere dei sunniti iracheni messi all’angolo dallo strapotere sciita in Iraq e dalle complicità di regimi arabi e stati occidentali) conquista questa città, il mondo accende i riflettori su Palmira con la stessa ipocrisia con cui li ha spenti mentre sapeva quello che succedeva.

Si invoca il salvataggio dei resti di Palmira dalla furia iconoclasta dell’Isis ma si dimentica il popolo. Come ha vissuto il popolo in questi quattro anni? Che fine farà la popolazione? I prigionieri del carcere dove sono?

Ancora una volta, si chiede di garantire prima di tutto la popolazione ma c’è la consapevolezza che non verrà fatto.

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/21/palmira-quella-prigione-ora-in-mano-allisis-di-cui-nessuno-ha-mai-parlato/1705506/

Kobane, simbolo o battaglia decisiva?

Sembra che a Kobane si decidano le sorti del conflitto in Siria. A giudicare dall’attenzione mediatica, pare che la guerra infuri solo in questa città al confine con la Turchia che da oltre una settimana è assediata dai miliziani dell’Isis. Eppure in Siria la guerra continua. L’aviazione del regime di Damasco sta bombardando da giorni la città di Da’ra, adoperando i famigerati barili bomba che hanno già distrutto mezza Aleppo. A Homs, nel quartiere periferico del Waer, solo ieri sono morte sei persone, fra cui 3 bambini, uccisi da un colpo di artiglieria lealista. Nei dintorni di Hama, ci sono intensi scontri fra brigate ribelli e forze governative. Tutto ciò non è rilevante, in quanto non c’è l’Isis ma la “cara” vecchia guerra fra regime e ribelli siriani.

Invece, Kobane ha assunto un significato simbolico perché vede i curdi del partito Pyd (alleati del Pkk) scontrarsi con l’Isis in una zona di confine con la Turchia che potrebbe coinvolgere quest’ultima nel conflitto. Ma chi sono questi curdi che si scontrano con l’Isis? All’inizio della rivolta siriana, ormai tre anni fa, l’esercito lealista si ritirò dalla regione del Hasaka, lasciandola in mano ai miliziani curdi che repressero il movimento curdo-siriano solidale con la rivoluzione. Uno dei principali leader di questo movimento era Mashaal Tammo, fondatore e presidente del Partito del Futuro Curdo, che fu assassinato nel 2011 e che aveva già trascorso tre anni nelle carceri siriane a causa delle sue posizioni.

La situazione dei curdi in Siria non è mai stata facile, anzi. Centinaia di migliaia di curdi siriani risultavano apolidi, in quanto il regime siriano non gli aveva mai riconosciuto la cittadinanza. Nel marzo del 2004, durante una partita di calcio, scoppiarono dei tumulti fra la tifoseria arabo-siriana e quella curdo-siriana che portarono all’intervento dell’esercito. Seguirono diversi giorni di arresti, repressione e decine di morti (tutti curdi). Vista questa situazione di repressione, parve normale ai curdi, non affiliati al Pyd o al Pkk (entrambi hanno da sempre goduto di una protezione siriana in funzione anti turca), allinearsi con la ribellione, subendo per questo la persecuzione del regime e dello stesso Pyd.

Dal canto suo, la Turchia di Erdogan ha necessità che il Pkk e il Pyd non si rafforzino, grazie a una legittimazione internazionale derivante dalla guerra che questi conducono contro l’Isis, in quanto li potrebbe indurre nel nome dell’indipendenza da Ankara a riaccendere la stagione degli attentati. Non va però dimenticato che Erdogan ha centinaia di migliaia di profughi siriani in casa, che premono perché la Turchia mantenga le sue promesse: la caduta di Assad. L’altro problema, forse più insidioso dei curdi è la presenza di una massiccia comunità alawita (setta a cui appartiene Assad) che potrebbe causare problemi qualora la Turchia decidesse, come ha già peraltro comunicato, d’intervenire contro il regime di Damasco.

Il dato certo è che la guerra dell’Isis sta legittimando molti attori: i curdi del Pyd si sono trasformati in eroi, nonostante la persecuzione portata avanti in Siria contro i curdi e i siriani solidali con la rivoluzione, anche grazie alle brigate di sole donne che agli occhi dell’Occidente richiamano all’emancipazione femminile; il regime di Assad pare sia diventato un partner (indiretto) degli Usa e l’Iran emerge sempre di più come la nuova potenza egemone che – nonostante la brutale repressione che porta avanti contro gli oppositori e il regime integralista che lo governa – tutela la democrazia contro il terrorismo di matrice sunnita. Chi escono delegittimati sono: la rivoluzione siriana, accomunata al fanatismo dell’Isis; l’Islam, in quanto viene costantemente associato al fondamentalismo; i musulmani, indistintamente, colpevoli di non condannare mai abbastanza l’Isis e, ovviamente, il popolo siriano che continua a venir massacrato nel disinteresse generale.

Fonte:
 

SIRIA: VANESSA E GRETA, DUE RAGAZZE CORAGGIOSE

Ieri è uscita su tutti i giornali la notizia del rapimento in Siria di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, due volontarie italiani di vent’anni che si erano recate nel paese per portare aiuti umanitari. C’è qualche commentatore (sedentario) che ha già cominciato ad additare le due ragazze come delle “sprovvedute” e “ingenue”, a causa della loro età. Avessero avuto loro –i commentatori- la forza e il coraggio di andare più volte in un paese in guerra a portare aiuti alla popolazione che soffre e che è stata dimenticata da tutti (meno che da Vanessa, Greta e altri volontari che operano da tempo).

A vent’anni si è capaci di spaccare il mondo, di essere idealisti ma non per questo meno concreti. Così, due giovani, cariche di entusiasmo, si calano nelle viscere di un paese in guerra e, perché qualcosa è andato storto, vengono tacciate di essere state “sprovvedute”. Eppure, ci si lamenta che i giovani in Italia sono lontani dalle cose serie, immersi in una vita nella quale pare non ci sia spazio per idee e cultura.

Greta e Vanessa ci raccontano un’altra storia, fatta d’impegno. Ma, solo ora che sono scomparse le vengono dedicate le prime pagine dei giornali. Perché prima, quando tutto andava bene durante i loro viaggi in Siria, nessuno le ha intervistate o ascoltate? Non era forse qualcosa di straordinario? Ovviamente, non stupisce che nessuno abbia dato peso a queste due ventenni – proprio perché troppo giovani per gli standard italiani, in cui si ha bisogno dei capelli brizzolati per dare peso a una persona. D’altronde, quello di (ri) “scoprire” una persona solo quando le cose vanno male – ma non prima – è una sindrome tutta italiana.

Intanto, aspettiamo queste due coraggiose ragazze.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/07/siria-vanessa-e-greta-due-ragazze-coraggiose/1084628/

185 MORTI E 1385 FERITI A GAZA DALL’INIZIO DELL’OPERAZIONE BORDO PROTETTIVO, 1 MORTO IN CISGIORDANIA. NEL FRATTEMPO, NELLA VICINA SIRIA, SI CONTINUA A MORIRE SOTTO LE BOMBE DI ASSAD

(Foto: Reuters)

(Foto: Reuters)

Giorno 6 – domenica 13 luglio

Giorno 5 – sabato 12 luglio

Giorno 4 – venerdì 11 luglio

Giorno 3 – giovedì 10 luglio

Giorno 2 – mercoledì 9 luglio

Giorno 1 – martedì 8 luglio

 

AGGIORNAMENTO ORE 21.45 – EGITTO PROPONE UN CESSATE IL FUOCO DA DOMANI ALLE 6 E UN EVENTUALE ALLENTAMENTO DELL’ASSEDIO SU GAZA. SILENZIO DA ISRAELE E HAMAS

L’Egitto ha proposto che un cessate il fuoco abbia inizio alle sei del mattino di domani, martedì 15 luglio e che, eventualmente, si proceda a un allentamento dell’assedio di Gaza “quando la situazione si stabilizzerà”. Lo riferisce al-Jazeera, il cui corrispondente Gregg Carlstrom nota che “un linguaggio simile è stato adottato anche per l’accordo che ha posto fine alla guerra del 2012, ma non è stato mai veramente implementato”. Né Israele né Hamas si sono espressi finora sull’iniziativa egiziana.

AGGIORNAMENTO ORE 21 – AL-JAZEERA: 185 MORTI E 1385 FERITI, A KHAN YOUNIS UCCISO ADOLESCENTE IN MOTOCICLETTA

I morti palestinesi nei primi sette giorni dell’operazione israeliana “Barriera protettiva” contro la Striscia di Gaza sarebbero ora 185 e i feriti 1385. Lo riferisce al-Jazeera. Il portale israeliano Ynet da’ notizia di 5 persone rimaste uccise a Gaza dopo un raid dell’aviazione israeliana, mentre l’agenzia palestinese Ma’an riferisce di un adolescente palestinese, Ziyad al-Najjar, di 16 anni, colpito nella zona di Khan Younis da un razzo dell’aviazione mentre era in motocicletta. Sempre secondo Ma’an, tre persone sarebbero morte e altre sette ferite nel bombardamento dell’aviazione israeliana sulla casa della famiglia Sheikh al-Eid a Rafah.

AGGIORNAMENTO ORE 20 – ESERCITO ISRAELIANO: “HAMAS SEMBRA PRONTO PER IL CESSATE IL FUOCO”. MA IL MOVIMENTO RIBADISCE: “SOLO ALLE NOSTRE TRE CONDIZIONI”

“Notiamo – ha dichiarato un alto ufficiale dell’esercito israeliano a Haaretz – che Hamas è sempre più vicino ad accettare il cessate il fuoco. Sia Hamas che la Jihad islamica avranno interesse a chiudere la partita e mettere fine alle operazioni militari”. Secondo l’intelligence israeliana, l’esercito avrebbe colpito il 50 per cento dei luoghi di fabbricazione dei missili (inclusi quelli a gittata superiore a 80 km) nella Striscia di Gaza. L’intelligence stima inoltre che, in base ai razzi lanciati in questi giorni e ai siti bombardati, l’arsenale a disposizione dei movimenti islamisti sarebbe circa il 55 per cento.

Ma da fonti presenti ai colloqui ora in corso al Cairo per cercare una tregua, Hamas ha detto di acconsentire al cessate il fuoco solo se verranno rispettate tre condizioni:

-l’apertura del valico di Rafah e degli altri valichi di frontiera per l’importazione e l’esportazione;

-il rilascio di tutti i palestinesi arrestati da Israele nei rastrellamenti dell’ultimo mese in Cisgiordania in seguito alla scomparsa dei tre coloni israeliani;

-nessuna intromissione israeliana in un governo palestinese

Inoltre, Hamas chiede che qualcuno monitori il rispetto dell’accordo da parte di Israele. Il corrispondente di al-Jazeera ha riferito che, stando a quanto detto da un ufficiale di Hamas, Stati Uniti, Turchia e Qatar sono i maggiori attori di questi colloqui al Cairo.

Secondo Haaretz, sono 70 i missili lanciati dalla Striscia di Gaza verso Israele: in un’esplosione di qualche ora fa sono rimaste ferite due ragazzine israeliane a Lakiya, nel sud di Israele.

 

AGGIORNAMENTO ore 17.15 – ONU: “L’80% DELLE VITTIME SONO CIVILI, IL 20% BAMBINI”

Nonostante i tentativi israeliani di convincere della volontà di evitare vittime civili, le Nazioni Unite hanno stimato che oltre l’80% delle 173 vittime ad ora dell’attacco israeliano non sono miliziani, ma civili. Di questi il 20% sono bambini (almeno 36). Oltre 1.200 feriti, i due terzi dei quali donne e minori. Le case distrutte sono oltre 940, 400mila persone sono senza elettricità e 17mila i rifugiati interni.

Fonte:
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Le forze israeliane sparano, uccidono un palestinese a sud di Hebron

Pubblicato il 14 luglio 2014 da AbuSara

http://www.maannews.net/eng/ViewDetails.aspx?ID=712825

BETLEMME (Ma’an) – I soldati israeliani hanno ucciso un palestinese vicino nel villaggio  di Samu nei pressi di Hebron presto lunedi mattina, ha detto la gente del posto.

Munir Ahmad Badarin, 22 anni, è stato colpito all’addome e alla coscia durante gli scontri con le forze israeliane ed è morto in un ospedale pubblico di Yatta.

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Testimoni hanno detto a Ma’an che le forze israeliane sul posto hanno  negato ai paramedici l’accesso al ferito per oltre 30 minuti.

La morte di Badarin è il primo nella Cisgiordania occupata da quando l’assalto di Israele a Gaza è iniziato.

A Beit Ummar, le forze israeliane hanno sparato e ferito il  21enne Mahmoud Muhammad Yasser Breghith a una gamba e Mahmoud Nasser Juma Hitawi, 20, ai piedi, ha detto un funzionario del comitato locale.

Le vittime sono state curate in un ospedale pubblico per le ferite non gravi.

I fatti hanno avuto luogo durante gli scontri con i manifestanti che sono scesi in strada per manifestare contro l’offensiva militare israeliana a Gaza.

Giovani palestinesi hanno scagliato pietre, bottiglie vuote, fuochi d’artificio e bottiglie molotov contro i soldati israeliani nel quartiere Asida, con i soldati che utilizzano armi da guerra, proiettili di gomma e gas lacrimogeni sui manifestanti.

Un portavoce dell’esercito israeliano non ha risposto immediatamente alle chiamate in cerca di commento.

 

 

Fonte:

http://reteitalianaism.it/public_html/index.php/2014/07/14/le-forze-israeliane-sparano-uccidono-un-palestinese-a-sud-di-hebron/#more-5389

 

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NOI SIRIANI, MORTI DI SERIE C…

di Shady Hamadi

Anche oggi l’aviazione siriana sta bombardando le città del Paese. Aleppo soccombe lentamente, schiacciata dalla forza distruttrice dei barili bomba – riempiti anche di pezzi di metallo, così da colpire ancora più persone – sganciati dagli elicotteri dell’esercito. Come al solito, a far accendere i riflettori mediatici sulla più grande tragedia degli ultimi tre decenni, sono sempre e solo le notizie di jihadisti con passaporto occidentale andati in Siria a combattere, le lamentele di una giornalista per la paga troppo bassa o il turista di guerra giapponese che va a fotografare i corpi straziati dei siriani. Degli oltre cento morti giornalieri, da quattro anni a questa parte, a nessuno importa perché ci si è abituati.

Ben altra cosa è il conflitto israelo-palestinese, caricato all’inverosimile di simbolismo e ideologia e per questo capace di annientare qualsiasi dissenso interno in entrambe le parti. Da giorni Israele conduce raid aerei su Gaza e, in cambio, Hamas continua a lanciare una pioggia di missili sulle città israeliane vicine. Il dibattito si è acceso: si tifa uno o l’altro schieramento, si manifesta nelle piazze, anche italiane, scandendo i nomi delle vittime, si dà dei terroristi agli israeliani o ai palestinesi. Per la Siria nulla di tutto questo accade. Qualcuno vede Assad come un “dittatore buono”, antimperialista e estremo difensore dei palestinesi contro Israele. Pochi sanno, o non vogliono sapere, che centinaia di palestinesi sono morti di fame nel campo profughi di Yarmuk, a Damasco, assediato ancora oggi dalle forze fedeli ad Assad. Troppo pochi sanno, o non vogliono sapere, che migliaia di palestinesi si sono andati ad aggiungere all’esercito di profughi (6 milioni) che hanno lasciato la Siria. Suleyman, palestinese di Yermuk, da me incontrato alla stazione centrale di Milano, è uno di loro. Rifugiato in Siria dal 48, Suleyman è sordomuto, ma nonostante questo mi ha mimato, mugugnando e gesticolando, la tragedia che si è lasciato alle spalle: una tragedia di serie C. Sì, di serie C. Se c’è qualcuno che ha ritenuto le vittime israeliane di serie A e quelle palestinesi di B, lasciatemi dire che quelle siriane sono di C!

La voce del mondo si alza indignata contro i raid aerei israeliani e i missili di Hamas ma lascia Assad libero di continuare il suo genocidio (non trovo espressione più appropriata) e si preoccupa solo dei terroristi dell’Isis che, guarda caso, combattono le forze dell’opposizione siriana e non il regime, quasi ci fosse una convergenza di interessi. Nel frattempo, il Papa piange solo i cristiani crocifissi (si è scoperto poi che erano musulmani) ma non Wissam Sara, figlio di uno scrittore rinchiuso per anni nelle carceri siriane, morto sotto torture indicibili. Ma, d’altra parte, la guerra in Siria è “difficile da comprendere, senza parti da poter sostenere: in un buio di tutti contro tutti” – come commentava Roberto Saviano qualche giorno fa. Se questo assunto fosse vero, allora i siriani meriterebbero di morire perché non sono stati capaci di indicare chi sostenere a Saviano e agli altri che la pensano come lui. Eppure Primo Levi, osannato dallo stesso Saviano, ci insegna che nel buio c’è sempre una luce di giustizia. Questa giustizia è ancora viva, ed è rappresenta dalla parte da sostenere. Questo gruppo è composto dagli ultimi superstiti di quel movimento che ha dato vita nel 2011 alla rivoluzione siriana. Sono scrittori, giovani, pacifisti, cristiani e musulmani che gridano solidarietà dall’angolo dove sono stati relegati. Purtroppo, forse ne sono consapevoli, non la otterranno perché l’Occidente non crede in loro. Forse ci crederebbe se Hamas o Israele fossero il responsabile di quello che avviene in Siria ma, poiché è un dittatore arabo a macellare il suo stesso popolo, va bene così. Siamo ipocriti, questa è la verità. Scegliamo di stare in silenzio, credendo di essere neutrali, ma è proprio questa scelta che aiuta il proseguimento del massacro.

Forse, quando tutto sarà finito, bisognerà portare chi ha scelto di non fare nulla, giustificandosi dicendo che è una guerra di tutti contro tutti o che Assad è un buono perché protegge le minoranze, a vedere le fosse comuni ad Aleppo. L’unica certezza che oggi abbiamo noi siriani è che non siamo né palestinesi, né israeliani, per questo i nostri morti possono essere dimenticati.

 

 

Fonte:

http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/2014/07/noi-siriani-morti-di-serie-c.html