- settembre 09, 2015
La lettera di Emilio Quintieri pubblicata su Il Garantista del 27 giugno
di Emilio Quintieri
Più volte mi è stato chiesto di raccontare la mia “esperienza carceraria” ma, fino ad ora, ho sempre evitato perché ripercorrere con la mente certi momenti non è affatto facile e, peggio ancora, quando li si deve rendere pubblici. Credo, però, che certi fatti non debbano passare inosservati per cui, ho accettato di raccontare la mia storia a “Il Garantista”. Da anni svolgo attività politica con la Federazione dei Verdi ed ultimamente con i Radicali, mi sono occupato – e mi occupo – di problemi legati al carcere, anche accompagnando parlamentari negli istituti penitenziari durante le ispezioni, per fargli rendere conto delle condizioni degradanti di detenzione sanzionate dalla Corte europea dei Diritti umani.
Alla luce di questo mio impegno, ho anche accettato alle ultime elezioni la candidatura nella Circoscrizione della Calabria, con la Lista Radicale “Amnistia, Giustizia e Libertà”. La mia vicenda ha inizio proprio pochi giorni prima delle elezioni, il 13 febbraio del 2013, quando alle 5 del mattino, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del tribunale di Paola nell’ambito dell’Operazione Antidroga “Scacco Matto”, vengo arrestato dai carabinieri e condotto presso la casa circondariale di Paola insieme ad altre persone. Mi veniva contestato di aver detenuto illecitamente ed occultato, negli anni precedenti, quantità imprecisate di cocaina e marijuana e di averla ceduta a terzi. Unici elementi di prova nei miei confronti, raccolti in sede di indagine, le dichiarazioni rese ai carabinieri da alcuni soggetti tossicodipendenti che mi accusavano di avergli ceduto, in più occasioni e dietro pagamento, piccole quantità di droga. Contrariamente agli altri indagati, in sede di interrogatorio di garanzia, ho scelto di non fare “scena muta”, ho risposto alle domande del giudice, rifiutandomi di rispondere a quelle che ritenevo potessero fornire elementi suscettibili di provare la responsabilità di terzi.
Le mie spiegazioni non vennero ritenute credibili e, per il rifiuto da me opposto, il giudice respinse l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Mi sono dunque rivolto al Tribunale del Riesame di Catanzaro che però ha rigettato la richiesta, sostenendo che dovessi restare in carcere perché esistevano diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dagli inquirenti il cui contenuto appariva esplicito ed univoco, nonché attività di riscontro, di osservazione e pedinamento. Non riuscivo a crederci. Dopo qualche mese, il pm otteneva il giudizio immediato per tutti i reati contestati. Io scelsi di seguire il rito ordinario ritenendo di poter essere prosciolto da ogni accusa. La prima udienza, fissata per il 10 luglio, veniva rinviata al 2 ottobre per lo sciopero – giusto – degli avvocati. Così sono tornato in cella. Ma la situazione per me si faceva ogni giorno più insopportabile, anche per i continui contrasti con la direzione dell’istituto. Così analizzati tutti gli atti processuali, ho chiesto di essere scarcerato contestando anche quanto inspiegabilmente riportato nell’ordinanza dai giudici del Riesame rispetto all’esistenza di intercettazioni o riscontri da parte degli investigatori che confermassero l’attività delittuosa ipotizzata. Niente da fare! Nel frattempo, dopo ripetuti procedimenti disciplinari, sono stato trasferito nel carcere di Cosenza e dopo un breve periodo, trascorso anche in regime di isolamento, mi sono stati concessi gli arresti domiciliari in un paesino di montagna, lontano dalla mia città. Alla prima udienza utile, ho presentato personalmente una questione di legittimità costituzionale sulla famigerata Legge Fini-Giovanardi. Successivamente, alla ripresa del processo, ho depositato la sentenza della Corte costituzionale che accoglieva le stesse questioni di costituzionalità che altre autorità giudiziarie avevano sollevato.
Nelle scorse udienze sono stati sentiti gli ufficiali dell’Arma dei carabinieri che hanno svolto le indagini. Hanno affermato di non aver mai documentato alcuna attività di detenzione o cessione di stupefacenti da parte mia, che non sono mai state effettuate sul mio conto intercettazioni telefoniche ed ambientali e che l’arresto era scaturito solo per via delle dichiarazioni rilasciate dai tossicodipendenti. Precisavano, infine, che nell’ambito dell’inchiesta, erano emersi solo dei miei contatti con alcuni degli altri indagati di natura esclusivamente amichevole. Nulla a che fare con lo spaccio di droga! Inoltre qualcuno tra i miei accusatori ha ammesso di essersi inventato tutto, “pressato” dai carabinieri. Il processo intanto è ancora in corso. Se ne riparlerà ad ottobre. Mi domando: è mai possibile che in uno Stato di diritto una persona venga arrestata e portata in carcere solo sulla base di qualche dichiarazione, priva di qualsivoglia riscontro, perché sospettata di aver detenuto e poi ceduto qualche dose di droga? È mai possibile che si possa restare in “carcerazione preventiva” ed in attesa di giudizio tanto tempo? https://emilioquintieri.wordpress.com/
Fonte:
http://ilgarantista.it/2014/06/30/io-in-carcere-senza-prove/
Droga: il 38,6% dei detenuti in carcere per droghe, il 45% delle denunce per cannabis, sanzioni amministrative in costante aumento. Presentato alla Stampa del 5° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Le associazioni chiedono una nuova politica sulle droghe.
Con la sentenza della Corte Costituzionale del 12 febbraio 2014, la legge Fini-Giovanardi è stata abolita e si è tornati alla legge del 1990, con le modifiche introdotte nel 1993 dal referendum popolare e quelle del decreto Lorenzin. Il V Libro Bianco offre una valutazione finale sui risultati dell’inasprimento repressivo introdotto nel 2006 dall’allora governo Berlusconi. Una valutazione preziosa per pianificare una riforma organica della legislazione antidroga.
– il 30% entra in carcere per reati di droga. Con la Fini-Giovanardi si registra un aumento degli ingressi in carcere per droga: nel 2006 gli ingressi per violazione dell’art.73 del Testo Unico sugli Stupefacenti erano il 28% del totale, nel 2013 sono stati il 30, 5% (con un picco del 32,4 % nel 2012)
– il 38,6% dei detenuti presenti sono imputati/condannati per reati di droga. Si tratta di quattro detenuti su dieci: in queste cifre si riassume il sovraffollamento carcerario.
– Tossicodipendenti presenti in carcere: il 23,7% sul totale delle presenze. Passati gli effetti dell’indulto, siamo tornati alla “normalità” del carcere come risposta alla tossicodipendenza, con un trend stabile: 23,9% nel 2010, 24,4% nel 2011, 23,8% nel 2012. Il più grave indice di fallimento per una legge che si proponeva di “non tenere in carcere tossicodipendenti”.
– Misure alternative, ritorna la centralità del carcere: al 31/12/2013 risultavano in affidamento 3328 tossicodipendenti, contro i 3852 del 1 gennaio 2006. Al di là dei numeri, è cambiata la cornice dell’istituto dell’affidamento terapeutico: fino alla legge Fini-Giovanardi, la maggioranza delle misure era concessa dalla libertà, dopo il 2006 la maggioranza delle persone che ottengono l’affidamento passano prima dal carcere.
– 33.676 persone denunciate per reati di droga: dopo il picco del 2010 con 39.333 denunce, il trend è decrescente, pur rimanendo a livelli elevati
– il 45% del totale delle denunce è per cannabinoidi: rispetto al 2005, sono aumentate di ben il 35% le operazioni delle forze dell’ordine per cannabis, e diminuite quelle per cocaina, eroina e droghe sintetiche.
– 224.530 persone con procedimento penale pendente nel 2011. Con un aumento consistente dai 197.000 procedimenti del 2006, a conferma della criminalizzazione indotta dalla legge.
– segnalazioni per cannabis in ascesa: nonostante diminuiscano le segnalazioni (dal picco di 47.932 nel 2007 ai 34.609 nel 2013, dato ancora parziale), la stragrande maggioranza è per cannabis, in ascesa dal 73% del 2009 al 78,5% del 2012.
– Sanzioni amministrative in aumento: nel 2013 sono state 15.977 contro 11.850 nel 2007.
Uno studio in profondità è stato condotto da Forum Droghe in Toscana su oltre 1000 fascicoli di detenuti uomini presenti nei penitenziari di Firenze, Pisa, Livorno, Lucca, Prato, dal marzo all’agosto 2013.
Lo studio si è proposto di rilevare quanti detenuti fossero reclusi per violazione del comma 5 dell’art.73, riguardante la “lieve entità” del crimine rispetto alla quantità di sostanza detenuta (in breve: piccolo spaccio o detenzione a fine personale di sostanza al di sopra della soglia quantitativa massima considerata dalla legge per uso personale). L’intento è di rilevare quanto la repressione insista sui “pesci piccoli”, piuttosto che sugli squali del narcotraffico.
I principali risultati dello studio:
– I reati minori incidono sull’insieme dei reati antidroga per il 30-40%. Questa percentuale è comunque da ritenersi ampiamente sottostimata, perché la specifica del reato di minore entità è spesso non registrata nella matricola dei penitenziari
– L’incarcerazione per reati minori di droga riguarda soprattutto gli stranieri. Ogni 7 detenuti per infrazione del comma 5 del 73, 6 sono cittadini stranieri .
– L’indagine ha aperto uno spaccato interessante sui meccanismi di law enforcement: spesso le forze dell’ordine scelgono di contestare la generica violazione dell’art.73 (pur in presenza di piccoli quantitativi di droga), poiché per tale ipotesi è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (laddove, per il comma 5, la misura cautelare deve essere motivata).
Drugs on Street è il protocollo adottato nel progetto Network Nazionale per la prevenzione degli Incidenti Droga e Alcol correlati (NNIDAC). La Relazione al Parlamento riporta i dati Istat del 2011. I morti collegati all’uso di alcol e droghe sono stati 144 e 9567 i feriti. Molti, ma solo il 3-4% del totale degli incidenti che sfiora i 4000 morti e i 300.000 feriti.
La responsabilità dell’uso di sole droghe illegali, in assenza di alcol, è in relazione a 22 morti e 1472 feriti.
Per quanto riguarda i test sulle droghe (saliva, sangue, urina, capello), questi hanno forti limiti per l’individuazione della pericolosità di un conducente. In conclusione, la sperimentazione voluta dal Dipartimento antidroga in 29 Comuni ha confermato la positività per droghe illegali dell’1,9%, senza peraltro poter dire una parola certa circa le abilità o non abilità alla guida di questi positivi.
C’è un importante effetto collaterale: in nome della prevenzione/controllo, si abbandona la vera prevenzione, fatta di crescita di consapevolezza delle persone.
I test ai lavoratori per le mansioni cosiddette a rischio si rivelano uno strumento di controllo sociale (individuare la pecora nera) e di minaccia di licenziamento. Alle aziende l’operazione costa oltre cinque milioni di euro, infatti la tariffa media degli esami di primo livello è di 50 euro a persona, mentre quella di secondo livello, a carico dei lavoratori, è di 85 euro.
Un apparato costoso per le aziende e per i lavoratori, al fine di pescare il classico ago nel pagliaio. Infatti, aumenta il numero globale dei soggetti esaminati (54.138 nel 2009 e 88.000 nel 2012) e si abbassa il numero dei positivi (649, pari all’1,2% nel 2009 e 211, pari allo 0,23% nel 2012).
Rimane costante, oltre il 60% la percentuale dei consumatori di cannabis: a giudizio degli operatori dei Sert sono in maggioranza coloro che hanno una diagnosi di “consumo sporadico”.
Si vuole promuovere la sicurezza o colpire uno stile di vita?
Qui un post di Radio Onda d’Urto sulla manifestazione antiproibizionista dello scorso 8 febbraio:
Qui un post di Dinamo Press sull’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi:
http://www.dinamopress.it/news/illegale-e-la-legge-ve-lavevamo-detto
Sulla carta di Genova e altre info visitare il sito http://genova2014.fuoriluogo.it/
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