Calabria: detenuto malato chiede di avvicinarsi alla famiglia, invece lo mandano a Vibo

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di Emilio Quintieri (Radicali Italiani)

 

Il Garantista, 10 settembre 2015

 

Sono tanti anni che i Radicali Italiani e pochi altri sostengono che la legalità prima di pretenderla bisognerebbe darla e che le nostre carceri, che dovrebbero essere il regno del diritto, siano i luoghi più illegali del Paese ove non esiste alcuna effettiva tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti sanciti dall’Ordinamento Penitenziario. In Calabria, come nel resto delle altre Regioni d’Italia, viene sistematicamente violato il principio di umanità e di territorialità della pena.

Negli scorsi mesi Giuseppe Macrì, 47 anni, di Delianuova in Provincia di Reggio Calabria, ristretto nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro in espiazione di una condanna a 6 anni di reclusione per detenzione abusiva di arma da sparo, durante una visita ispettiva esperita il 16/06/2015 dal Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro Angela Cerra, rappresentava di avere seri problemi di salute e che voleva essere trasferito a Reggio Calabria, perché la vicinanza ai suoi figli lo avrebbe fatto stare meglio. Dalle informazioni acquisite presso la Direzione della Casa Circondariale di Catanzaro emergeva che, effettivamente, il condannato, era affetto da numerose patologie e che aveva bisogno di cure e controlli periodici, soprattutto neurologici, psichiatrici ed otorino-laringoiatrici.

Per cui, l’avvicinamento al proprio nucleo familiare, poteva sicuramente giovare al miglioramento del tono dell’umore e dello stato psicologico del detenuto con probabile riduzione degli episodi critici. Le doglianze del detenuto, a cui resta da espiare ancora qualche anno, hanno trovato riscontro durante l’istruttoria espletata e lo stesso Dirigente del Servizio Sanitario Penitenziario ha segnalato l’opportunità di un trasferimento del predetto in altro Istituto il più possibile vicino alla residenza del suo nucleo familiare.

Per tale motivo, il Magistrato di Sorveglianza Angela Cerra, in accoglimento del reclamo, disponeva che l’Amministrazione Penitenziaria (Prap e Dap), provvedesse con sollecitudine ad adottare le determinazioni di competenza in merito a quanto indicato nella parte motiva del decreto del 07/07/2015 e cioè di trasferire il detenuto richiedente in un Istituto Penitenziario il più vicino possibile al luogo di residenza dei propri familiari.

L’Amministrazione Penitenziaria, nei giorni scorsi, in esecuzione di quanto disposto dall’Ufficio di Sorveglianza di Catanzaro, disponeva l’assegnazione e la traduzione del detenuto Macrì dalla Casa Circondariale di Catanzaro (distante 134 km) a quella di Vibo Valentia (distante 79 km) mentre lo stesso aveva richiesto di essere trasferito in uno degli Istituti di Reggio Calabria (distante 65 km) o, comunque, per come disposto dal Giudice Cerra, in altro Istituto più vicino alla residenza del nucleo familiare (ad esempio la Casa Circondariale di Palmi, distante 31 km oppure quella di Locri, distante 69 Km).

Tra l’altro, secondo quanto denunciato ai Radicali dai familiari del Macrì, nel nuovo Istituto di Vibo Valentia, il proprio congiunto, non avrebbe più assicurate le cure necessarie per la tutela della sua salute e non avrebbe nemmeno più la possibilità di avere un altro detenuto piantone in cella che gli presti assistenza quando ne abbia la necessità.

L’Ordinamento Penitenziario (Legge nr. 354/1975) all’Art. 42 dispone che i trasferimenti dei detenuti siano disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’Istituto, per motivi di Giustizia, di salute, di studio e familiari e che nel disporre detti trasferimenti debba essere favorito il criterio di destinare i soggetti in Istituti prossimi alla residenza delle famiglie.

Non si comprende, per quale motivo, l’Amministrazione Penitenziaria, abbia individuato e tradotto il detenuto presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia, Istituto come Catanzaro lontano dal luogo di residenza del nucleo familiare, quando invece vi sono tanti altri Carceri nella zona di Reggio Calabria, sicuramente più vicini alla famiglia dello stesso. Eppure il provvedimento disposto dalla Magistratura di Sorveglianza, Autorità preposta al controllo della legalità dell’esecuzione della detenzione le cui decisioni sono vincolanti per l’Amministrazione Penitenziaria, è abbastanza chiaro perché parla di “altro Istituto il più possibile vicino al suo nucleo familiare”.

Nel caso in questione, si registra ancora una volta, l’ennesima violazione del principio di umanità e di territorialità della pena e quindi dei diritti fondamentali dei detenuti nonché l’inottemperanza, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria centrale e periferica, delle determinazioni assunte dalla Magistratura di Sorveglianza che priva la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti di ogni effettività e che, contestualmente, lede gravemente le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al potere giudiziario ed in particolare alla Magistratura di Sorveglianza quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti e di eventuali loro violazioni ad opera dell’Amministrazione Penitenziaria.

Ci si aspetta che, con cortese sollecitudine, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria, provveda con urgenza a riesaminare nuovamente il caso del detenuto Giuseppe Macrì disponendo il suo trasferimento in altro Istituto Penitenziario più vicino alla residenza del nucleo familiare così come disposto dal Magistrato di Sorveglianza e come sancito dall’Ordinamento Penitenziario che assegna grande rilevanza al mantenimento ed al miglioramento delle relazioni familiari.

 

 

Tratto da http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/calabria-detenuto-malato-chiede-di-avvicinarsi-alla-famiglia-invece-lo-mandano-a-vibo

In cella nudi tra vomito e escrementi nel carcere di Rossano

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Costretti a vivere nelle loro feci e nel loro vomito. A dormire per terra, senza un materasso. I detenuti delle celle 1, 2 e 7 hanno ematomi su tutto il corpo. Alcuni di loro sostengono di essere stati pestati dai carcerieri. Ad uno gli avrebbero rotto un orecchio a forza di botte. Nessun medico, dice, l’ha poi visitato. Segregati completamente, anche durante l’ora d’aria che viene trascorsa in uno spazio più piccolo della cella, circondata da una rete metallica. Non è la descrizione del carcere di Guantamo o di Abu Grahib, e nemmeno delle celle turche descritte nel film “Fuga da mezzanotte”.
Accade qui da noi. A Rossano, provincia di Cosenza. Nello stesso carcere dove circa un mese fa un detenuto di etnia curda si è dato fuoco usando la piccola bomboletta di gas del fornellino usato per cucinare ed un accendino. Due anni fa si è suicidata anche una guardia carceraria, un assistente capo di 44 anni. Si è sparato un colpo di pistola alla tempia.
A descrivere l’orrore del carcere di Rossano è la deputata Enza Bruno Bossio del partito democratico. Ha accertato le condizioni inumane e degradanti durante una visita ispettiva, senza preavviso. Accompagnata dal Emilio Quintieri, ragazzo dei Radicali, calabrese, da sempre attento i diritti dei detenuti. Gli addetti del carcere hanno cercato di impedire la visita della deputata, chiedendole di entrare in un altro momento. Lei ha insistito e alla fine hanno acconsentito che entrasse, ma da sola.
Poiché voleva capire come mai un detenuto che era al carcere di Catanzaro fosse stato trasferito all’improvviso a quello di Rossano, la deputata ha accettato di entrare alle condizioni poste. Una volta varcata la soglia dell’ istituto ha trovato una condizione terribile. Il detenuto in questione era in un reparto di isolamento. Non l’hanno fatta entrare nella sua cella, che comunque presentava condizioni accettabili. I familiari avevano detto alla Bruno Bossio che gli era stata bloccata la corrispondenza epistolare. Ad un certo punto però i detenuti, per attirare l’attenzione della deputata, si sono messi a gridare e allora ha potuto scoprire una situazione che lei non pensava nemmeno potesse esistere all’interno di un carcere italiano.
Una realtà atroce che in pochi hanno l’opportunità di vedere, compresi i deputati che fanno le visite ispettive con preavviso: detenuti semi-nudi, con le sole mutande addosso; un uomo in una cella senza il letto né un materasso, seduto per terra in mezzo ai suoi escrementi e sporcizia; un altro ha il letto nella cella, ma senza lenzuola e non ha vestiti; un altro per terra circondato dal suo vomito perché sta male, è celiaco e vomita in continuazione. Ha visto detenuti ricoperti di lividi, uno con un orecchio rotto che non ha ricevuto nessuna assistenza sanitaria.
Le guardie si sono giustificate dicendo che questi detenuti sono tenuti in quelle condizioni perché hanno tentato il suicidio, altri perché hanno tentato di evadere. Giustificazione senza senso, l’esperienza ha dimostrato gli effetti deleteri che l’isolamento produce sulla psiche e sul fisico delle persone costrette a subirlo.
Ad aggravare la situazione è stata la telefonata della comandante delle guardie penitenziarie, la vice commissaria Elisabetta Ciambrello: ha insultato la deputata dicendole che non si doveva permettere di entrare in carcere senza chiedere prima il permesso. Le è stato ricordato che il regolamento, per quanto riguarda le visite ispettive parlamentari, permette di fare le ispezioni anche all’improvviso e senza chiedere il permesso a nessuno.
Enza Bruno Bossio ha informato dell’accaduto la segretaria dei radicali Rita Bernardini, il responsabile nazionale carceri del Pd Sandro Favi e la segreteria del ministro della giustizia Orlando. Nei prossimi giorni procederà ad una formale denuncia indirizzata alla procura di Castrovillari e presenterà un’interrogazione parlamentare per chiedere una risposta scritta del governo. Il Ministro ha fatto sapere di essere stato informato della visita della deputata del Pd e di essere anche lui indignato, e ha giurato che interverrà immediatamente. Speriamo che sia vero, speriamo che lo faccia con efficacia.

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/08/12/in-cella-nudi-tra-vomito-e-escrementi-abu-ghraib-e-in-calabria/

L’esperienza di Emilio Quintieri, in carcere senza prove

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La lettera di Emilio Quintieri pubblicata su Il Garantista del 27 giugno

 

di Emilio Quintieri

Più volte mi è stato chiesto di raccontare la mia “esperienza carceraria” ma, fino ad ora, ho sempre evitato perché ripercorrere con la mente certi momenti non è affatto facile e, peggio ancora, quando li si deve rendere pubblici. Credo, però, che certi fatti non debbano passare inosservati per cui, ho accettato di raccontare la mia storia a “Il Garantista”. Da anni svolgo attività politica con la Federazione dei Verdi ed ultimamente con i Radicali, mi sono occupato – e mi occupo – di problemi legati al carcere, anche accompagnando parlamentari negli istituti penitenziari durante le ispezioni, per fargli rendere conto delle condizioni degradanti di detenzione sanzionate dalla Corte europea dei Diritti umani.

Alla luce di questo mio impegno, ho anche accettato alle ultime elezioni la candidatura nella Circoscrizione della Calabria, con la Lista Radicale “Amnistia, Giustizia e Libertà”. La mia vicenda ha inizio proprio pochi giorni prima delle elezioni, il 13 febbraio del 2013, quando alle 5 del mattino, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del tribunale di Paola nell’ambito dell’Operazione Antidroga “Scacco Matto”, vengo arrestato dai carabinieri e condotto presso la casa circondariale di Paola insieme ad altre persone. Mi veniva contestato di aver detenuto illecitamente ed occultato, negli anni precedenti, quantità imprecisate di cocaina e marijuana e di averla ceduta a terzi. Unici elementi di prova nei miei confronti, raccolti in sede di indagine, le dichiarazioni rese ai carabinieri da alcuni soggetti tossicodipendenti che mi accusavano di avergli ceduto, in più occasioni e dietro pagamento, piccole quantità di droga. Contrariamente agli altri indagati, in sede di interrogatorio di garanzia, ho scelto di non fare “scena muta”, ho risposto alle domande del giudice, rifiutandomi di rispondere a quelle che ritenevo potessero fornire elementi suscettibili di provare la responsabilità di terzi.

Le mie spiegazioni non vennero ritenute credibili e, per il rifiuto da me opposto, il giudice respinse l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Mi sono dunque rivolto al Tribunale del Riesame di Catanzaro che però ha rigettato la richiesta, sostenendo che dovessi restare in carcere perché esistevano diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dagli inquirenti il cui contenuto appariva esplicito ed univoco, nonché attività di riscontro, di osservazione e pedinamento. Non riuscivo a crederci. Dopo qualche mese, il pm otteneva il giudizio immediato per tutti i reati contestati. Io scelsi di seguire il rito ordinario ritenendo di poter essere prosciolto da ogni accusa. La prima udienza, fissata per il 10 luglio, veniva rinviata al 2 ottobre per lo sciopero – giusto – degli avvocati. Così sono tornato in cella. Ma la situazione per me si faceva ogni giorno più insopportabile, anche per i continui contrasti con la direzione dell’istituto. Così analizzati tutti gli atti processuali, ho chiesto di essere scarcerato contestando anche quanto inspiegabilmente riportato nell’ordinanza dai giudici del Riesame rispetto all’esistenza di intercettazioni o riscontri da parte degli investigatori che confermassero l’attività delittuosa ipotizzata. Niente da fare! Nel frattempo, dopo ripetuti procedimenti disciplinari, sono stato trasferito nel carcere di Cosenza e dopo un breve periodo, trascorso anche in regime di isolamento, mi sono stati concessi gli arresti domiciliari in un paesino di montagna, lontano dalla mia città. Alla prima udienza utile, ho presentato personalmente una questione di legittimità costituzionale sulla famigerata Legge Fini-Giovanardi. Successivamente, alla ripresa del processo, ho depositato la sentenza della Corte costituzionale che accoglieva le stesse questioni di costituzionalità che altre autorità giudiziarie avevano sollevato.

Nelle scorse udienze sono stati sentiti gli ufficiali dell’Arma dei carabinieri che hanno svolto le indagini. Hanno affermato di non aver mai documentato alcuna attività di detenzione o cessione di stupefacenti da parte mia, che non sono mai state effettuate sul mio conto intercettazioni telefoniche ed ambientali e che l’arresto era scaturito solo per via delle dichiarazioni rilasciate dai tossicodipendenti. Precisavano, infine, che nell’ambito dell’inchiesta, erano emersi solo dei miei contatti con alcuni degli altri indagati di natura esclusivamente amichevole. Nulla a che fare con lo spaccio di droga! Inoltre qualcuno tra i miei accusatori ha ammesso di essersi inventato tutto, “pressato” dai carabinieri. Il processo intanto è ancora in corso. Se ne riparlerà ad ottobre. Mi domando: è mai possibile che in uno Stato di diritto una persona venga arrestata e portata in carcere solo sulla base di qualche dichiarazione, priva di qualsivoglia riscontro, perché sospettata di aver detenuto e poi ceduto qualche dose di droga? È mai possibile che si possa restare in “carcerazione preventiva” ed in attesa di giudizio tanto tempo?   https://emilioquintieri.wordpress.com/

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/06/30/io-in-carcere-senza-prove/