REGGIO CALABRIA, NO CARBONE, 23 GIUGNO: NOI SIAMO PAOLO, NOEMI, DOMENICO

Il Comitato area grecanica: “Il 23 giugno la terza udienza del processo intentato da Sei contro libertà di espressione”

Si terrà martedi 23 giugno alle ore 9:00 presso il Tribunale di Reggio Calabria, la terza udienza del processo intentato dalla società SEI S.p.a., formata da Gruppo Repower (57,5%), del Gruppo Hera (20%), da Foster Wheeler Italiana S.r.l. (15%) e da Apri Sviluppo S.p.A. (7,5%), contro Noemi Evoli e Paolo Catanoso del Coordinamento Associazioni Area Grecanica, difesi dagli Avv. Angiolino Palermo e Angela De Tommasi, e Domenico Larosa del Movimento Difesa Ambientale, difeso dagli Avv. Antonino De Pace e Mario Zema.

La SEI S.p.a., attraverso il suo legale rappresentate Fabio Bocchiola, e difesa dagli Avv. Alberto Panuccio, Renato Vitetta e Luca Zampano, il 2 maggio dello scorso anno citò in giudizio gli attivisti no carbone chiedendo loro un maxi risarcimento di 4 milioni di euro per un presunto danno d’immagine arrecato alla società che vorrebbe costruire una centrale a carbone nell’area ex liquichimica di Saline Joniche.

“A finire sotto accusa – afferma il Coordinamento Associazioni Area Grecanica – è stata l’azione di contrasto al progetto SEI svolta nel corso di questi anni dal Coordinamento Associazioni Area Grecanica, di cui Evoli e Catanoso sono membri, attraverso la diffusione di alcuni comunicati stampa e locandine dal chiaro contenuto satirico, tesa a dimostrare la nocività e gli effetti negativi che la costruzione di una centrale a carbone avrebbero causato su tutta l’area.

Numerosi sono stati gli attestati di solidarietà e stima ricevuti dalla popolazione, dal mondo associazionistico e dalle istituzioni per quello che da più parti viene ritenuto un atto intimidatorio e tendente alla limitazione della libertà di pensiero.

“Non amiamo chi vuole, in qualsiasi modo, censurare la libertà di espressione” fu il saluto del comandante della Rainbow Warrior di Greenpeace che lo scorso 8 luglio fece tappa a Reggio Calabria per portare sostegno ai nocoke calabresi dopo la realizzazione di una campagna di grandi affissioni con la quale Greenpeace, riproducendo una delle vignette incriminate, sfidò apertamente la SEI a procedere per vie legali. “Il progetto della SEI è uno scempio al territorio e l’ennesima minaccia fossile all’ambiente, al clima e all’economia. Che lo si voglia portare avanti, per giunta, reprimendo il dissenso a suon di minacce è una vera vergogna” furono le parole di Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.

Il caso finirà in Parlamento. Duro l’intervento della deputata calabrese Dalila Nesci “…vorrei che nell’Aula della Camera riflettessimo su quanto la Calabria sia schiacciata dalla violenza del potere: politico, mafioso oppure economico. Il potere impone il silenzio perché teme la libertà di opinione e perfino di satira….”

Dopo la vittoria del ricorso al TAR del Lazio e l’archiviazione della denuncia presentata dall’ex consulente della SEI, Franco D’Acquaro, contro lo stesso Paolo Catanoso portato in Tribunale, anche in questo caso, per quelle parole di informazione e denuncia che il Coordinamento No Carbone ha utilizzato come unica arma per difendere il proprio territorio dalla minaccia di un investimento inutile e dannoso, la battaglia continua ancora per via legali.

Appuntamento dunque per il prossimo 23 giugno al CEDIR di Reggio Calabria. La SEI S.p.A. chiede 4 milioni di euro a Evoli, Catanoso, La Rosa, ma sul banco degli imputati – conclude il Coordinamento – ci saranno tutti coloro che difendono la libertà di espressione e il proprio territorio da chi vuole farne terra di conquista. Ci saremo noi con la forza delle nostre ragioni”.

 

Fonte:

http://ildispaccio.it/reggio-calabria/78382-il-comitato-area-grecanica-il-23-giugno-la-terza-udienza-del-processo-intentato-da-sei-contro-liberta-di-espressione

 

 

Fonte:

https://www.facebook.com/135158633203549/photos/a.354914564561287.95855.135158633203549/963438833708854/?type=1&theater

Stefano Frapporti

 

 

Dal blog http://frapportistefano.blogspot.it/:

 

sabato 12 dicembre 2009

 

I FAMILIARI DI STEFANO CONTESTANO LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DA PARTE DEL PROCURATORE DOTT. DE ANGELIS

 

Sin dall’inizio di questa tragica vicenda noi abbiamo espresso pubblicamente la nostra dubbiosità sull’operato della giustizia, ma in fondo un filo di speranza rimaneva comunque.

 

Ora anche quel filo è svanito.

 

Leggendo le motivazioni con le quali è stata richiesta l’archiviazione al caso da parte del dott. De Angelis ci sentiamo veramente delusi, sfiduciati, ma soprattutto offesi per quello che ci è stato accreditato. Così scrive il procuratore: “le considerazioni elencate nella memoria depositata nell’interesse dei fratelli di Frapporti Stefano in cui per un verso si sostiene in punto di diritto l’illegittimità dell’arresto e per altro verso, addirittura, si insinua, in punto di fatto la commissione di gravi delitti ad opera dei carabinieri, con allusioni che rasentano i limiti della calunnia”.

 

Riguardo a queste considerazioni, ci teniamo a precisare che il nostro comportamento è stato dall’inizio fin troppo corretto, ma rimane evidente che colpiti da un simile dolore nessuno potrà mai vietarci di pensare, dubitare, porci delle domande e di esprimere le nostre perplessità sui tanti lati oscuri che avvolgono questa tragedia.

 

Per noi la vita ha un valore inestimabile e la morte lascia un grande vuoto incolmabile.

 

Per questo motivo riteniamo incomprensibile che il dott. De Angelis chieda l’archiviazione, senza aver svolto alcuna indagine sulla parte iniziale di questa vicenda, ossia la più importante: l’arresto di Stefano, sentendo almeno la versione dei testimoni oculari che peraltro danno una versione, sull’operato dei carabinieri, completamente diversa da quella che gli stessi hanno stilato nei verbali.

 

E’ invece documentato che le uniche indagini sono state effettuate sull’operato delle guardie carcerarie. Ed anche qui apprendiamo versioni che si contraddicono con quelle dichiarateci verbalmente dalle stesse il giorno seguente l’accaduto.

 

Sarebbero ancora tante le domande senza risposta e non certo di meno importanza ma per il momento ci sembra che bastino…

 

 

I fratelli: Ida, Marco e Claudio

 

 

Fonte:

sabato 5 settembre 2009

 Giustizia: morte in carcere di un incensurato, nessuno ne parla 
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni di Rovereto. È morto circa un mese fa, nel carcere di quella città, suicidatosi tramite impiccagione con il cordino elastico del pantalone di una tuta. Era stato fermato, al ritorno dal lavoro, da due agenti in borghese con il pretesto di una sua infrazione in bicicletta; pare che i due, invero, stessero indagando sul presunto spaccio di hashish in un bar lì vicino.Frapporti, perquisito senza esito, avrebbe confessato spontaneamente di detenere nella sua abitazione una certa quantità della stessa sostanza; e dunque sarebbe stato lì condotto, senza testimoni e, con tutta probabilità, senza un mandato di perquisizione. La casa, poi, non sarebbe stata “perquisita” dal momento che al mattino seguente non vi era segno alcuno della ricerca che gli agenti vi avrebbero svolto, come se Frapporti avesse indicato loro dove fossero i 99 grammi di hashish ritrovati.Egli avrebbe firmato un modulo con cui rinunciava ad avvertire i suoi famigliari dell’arresto; in seguito la sua richiesta di un contatto con sua sorella sarebbe stata rifiutata a causa di quel brogliaccio. Alcuni poliziotti penitenziari lo descrivono ancora tranquillo e pronto alla battuta alle 23.30, l’ora in cui avrebbe fatto ingresso in cella. Poco dopo veniva rinvenuto cadavere. I familiari, avvertiti il giorno seguente, hanno potuto vedere il suo corpo solo 48 ore dopo.Di questa storia si sono occupate le “solite” testate giornalistiche e i “soliti” ambienti: ovvero è stata raccontata nel mondo antiproibizionista e tra chi si occupa di carcere. Questa storia, che pure ha suscitato molta emozione tra i concittadini del Frapporti, è rimbalzata in questo microcosmo e non più oltre: ovvero non la conosce quasi nessuno.Non è la prima volta che ci occupiamo di morti in carcere avvenute in circostanze poco chiare. Ma questa vicenda chiama in causa, ancor prima, una legge (la Fini-Giovanardi) irrazionale e criminogena, ottusa e crudele, che finisce col penalizzare indiscriminatamente comportamenti diversi, assimilando consumo e spaccio. E chiama in causa, poi, una amministrazione penitenziaria sempre più incapace di custodire in sicurezza i detenuti, specie chi varca la soglia del carcere per la prima volta (è qui che è maggiore la percentuale dei suicidi). Infine. Se la ricostruzione dei fatti fosse davvero quella indicata all’inizio di questo articolo, chiediamo: qualcuno è in grado di motivarne la totale assurdità? Perché in assenza di una spiegazione diversa, il dubbio di un carcere incapace di garantire l’incolumità di quanti vi sono reclusi, senza tutela e senza diritti, si fa sempre più incalzante. E temibile.
di Luigi Manconi e Andrea Boraschi
L’Unità, 4 settembre 2009
Fonte:
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Vedi anche qui:

La Warrior Rainbow di Greenpeace a Reggio per sostenere la lotta contro la Centrale a carbone

rainbow warrior

È arrivata questa mattina nel porto di Reggio Calabria la “Rainbow Warrior”, l’imbarcazione simbolo di Greenpeace che ha programmato una tappa nel comune calabrese nell’ambito del tour “Non è un paese per fossili”.

A bordo del quartier generale di Greenpeace sono saliti i rappresentanti del Coordinamento No Carbone, impegnati nella lotta alla centrale a carbone di Saline Joniche: il coordinamento ha esposto nuovamente le proprie motivazioni contro la costruzione della centrale, definendola una “infrastruttura inutile, di cui il sistema energetico del paese non ha bisogno”.

Inoltre, applicando uno studio sull’inquinamento delle centrali a carbone realizzato per Greenpeace al caso della centrale di Saline, emergerebbe che la realizzazione di quell’impianto causerebbe 44 casi di morte prematura l’anno e danni economici (sanitari, ambientali, climatici) pari a 357 milioni l’anno.

Settimane fa, inoltre, la SEI – società che dovrebbe occuparsi della costruzione della centrale – ha denunciato tre attivisti del No Carbone, chiedendo una cifra pari a 4 milioni di euro, per alcune vignette satiriche diffuse dal coordinamento. Greenpeace è intervenuta anche sulla questione realizzando una campagna di grandi affissioni (6 metri per 3), riproducendo una delle vignette incriminate e sfidando apertamente la SEI a procedere per vie legali.
“Il progetto della SEI è uno scempio al territorio e l’ennesima minaccia fossile all’ambiente, al clima e all’economia. Che lo si voglia portare avanti, per giunta, reprimendo il dissenso a suon di minacce è una vera vergogna. La SEI esprime una visione miope del futuro energetico della Calabria, regressiva tanto quanto il suo tentativo di reprimere la libertà di espressione. Faremo di tutto affinché quella centrale non veda mai la luce” dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.

Dopo Boraschi sono intervenuti anche Nuccio Barillà, della segreteria nazionale di Legambiente, Francesca Panuccio del Coordinamento dell’Area Grecanica No al
Carbone ed Ezio Pizzi, presidente del Consorzio di Tutela del Bergamotto.

La Rainbow Warrior riprenderà il viaggio verso la Grecia, la Croazia e, infine, tornare in Italia e percorrere il mar Adriatico.

Creato Martedì, 08 Luglio 2014 13:55
Fonte:
http://ildispaccio.it/reggio-calabria/49478-la-warrior-rainbow-di-greenpeace-a-reggio-per-sostenere-la-lotta-contro-la-centrale-a-carbone