(Immagine mia)
1) Tu sei, da qualche tempo, un drag performer. Come sei arrivato a cimentarti in questa forma d’arte?
Un po’ per caso, un po’ per passione. Fin da quando ero bambino ho sempre fatto teatro, il primo ruolo a 6 anni, poi le esperienze nella scuola secondaria ed infine tanti anni di spettacolo trascorsi con una compagnia teatrale amatoriale fondata con alcune persone amiche (ahimè, ormai sciolta). Insomma, sono stato più su un palco che sul divano di casa. Per me fare teatro è da sempre stato un modo per esprimere il proprio sé tramite quell’armatura che è il personaggio. Nel 2020, subito dopo le prime riaperture post-pandemiche, mi sono avvicinato al mondo del clubbing queer: prima come fotografo, poi come presentatore/vocalist ed infine come performer. Il richiamo del palco cominciava ad essere molto forte. Quell’anno eravamo già alla dodicesima stagione di Drag Race, l’arte drag era diventata un fenomeno mainstream (con tutti i vantaggi e svantaggi che questo comporta) e allora mi sono detto: perchè non cimentarsi con questa particolare forma d’arte? Perché non creare un personaggio mio? Anziché continuare ad interpretare i personaggi creati da qualcun altro. Perché no? E da quel momento è cominciata la gestazione di Effe, il mio personaggio drag.
2) Il tuo è un personaggio particolare. Ci racconti com’è nato e perché?
Effe non è il tipico personaggio drag con sembianze femminili, outfit coloratissimi, parrucche esagerate e accessori stravaganti. Effe è un demone agender uscito direttamente dall’inferno, il mio inferno personale. Insomma, non credo ci sia bisogno di dirlo, ma io ho visto tutti i film di Tim Burton e le serie di Ryan Murphy! E durante l’adolescenza ero anche un po’ emo! Come molte persone queer durante l’adolescenza ho capito di essere diverso. Vivevo nel mio paesino d’origine che non potrei definire diversamente se non democristiano, e non solo perché ha dato i natali a Giulio Andreotti, ma perchè lì vige la regola perentoria del “si fa, ma non si dice”. Il mio problema, però, era che io non ci facevo, io c’ero. Anche se all’epoca non avevo ancora fatto coming out, e non conoscevo neanche i termini adatti per descrivermi, sprizzavo ambiguità da tutti i pori dilatati per l’acne giovanile. Rispetto a molte persone queer che affermano di sentirsi “sbagliate”, io non ho mai faticato ad accettare la mia identità sessuale, però, mi sentivo “malvagio”. Si, malvagio, un misto tra il senso di colpa per essere diverso e la consapevolezza che la mia diversità avrebbe fatto soffrire le persone a me care. Con il coming out di fatto è andato così. Mi sentivo così intimamente malvagio che ogni tanto mi facevo il segno della croce giusto per essere sicuro di non essere posseduto dal diavolo. Questa percezione di me come creatura malvagia me la porto avanti da tutta la vita. Effe non è altro che una sintetizzazione di questi sentimenti. In pratica ho preso il demone che mi sentivo interiormente e l’ho portato all’esterno tramite il trucco e gli outfit di scena. Mi sono ribaltato come un piumino double face. Portare Effe al di fuori è stato un processo di catarsi, ho partorito e liberato l’idea che avevo di me. Stare a contatto e mostrare la mia interiorità (non interiora) mi aiuta ad esorcizzare la paura che ho di me stesso. Effe è il ritratto nascosto in soffitta dell’anima di Fabrizio. Tant’è che quando guardo le mie foto in drag mi riconosco tanto, se non di più, di quando guardo le foto di Fabrizio.
3) Il tuo è un drag estetico, politico o entrambe le cose? Ti reputi un attivista?
Il drag è sempre politico, anche se non lo si fa intenzionalmente. Il drag è una performance di genere, si gioca con la propria identità e con i costrutti sociali relativi al genere (il sistema binario uomo/donna), quindi, che lo si voglia o no, il drag è intrinsecamente politico. Non credo sia un caso che i conservatori reazionari di tutto il mondo temono i performer drag come Superman teme la kryptonite rossa (vedi quello che sta accadendo in USA con le restrizioni contro gli spettacoli drag). Il drag rappresenta un elemento di rottura in quell’ordine artificioso che è il binarismo di genere. Per questo terrorizza tutte quelle persone reazionarie che, in nome di un fantomatico ordine, vorrebbero mantenere in vita artificiosamente quel costrutto sociale che è il binario uomo/donna, che per inciso ormai fa acqua da tutte le parti. Nel 2023 chi glielo va a spiegare ad una bambina che dovrebbe ambire a fare l’infermiera e non l’ingegnera? Questo è accanimento terapeutico. Io sono a favore dell’eutanasia, accompagniamo il binarismo di genere verso una morte dignitosa!
L’estetica infine è solo un mezzo con cui cerco di dare forma ai sentimenti e alle idee che mi frullano in testa, che per lo più riguardano i temi civili e sociali che mi stanno a cuore.
Io al massimo mi posso definire un divulgatore. Attivista è un termine che da qualche anno a questa parte mi imbarazza. Quando penso alle persone attiviste di una volta (oddio che frase da vecchio!) la mente va subito a persone come Marsha P. Johnson, Sylvia Rivera, Harvey Milk, Mario Mieli, Angelo Pezzana, Massimo Consoli, Mariasilvia Spolato, Porpora Marcasciano, Marco Bisceglia, Fernando Aiuti. Persone fortemente connesse con la loro comunità, che si prendevano cura di quest’ultima. Quando penso alle persone che fanno attivismo oggi mi viene da definirle piuttosto influencers. Persone totalmente concentrate su se stesse e i loro traumi, sulla polemica del giorno, i likes, e che tra un callout e l’altro cercano sempre di rifilarti il loro libro. La comunità non viene più vista come costituita da sorelle, fratelli e siblings, l’altrə è solo un nuovo potenziale follower. Intendiamoci, ciò non è colpa di chi fa l’influencer parlando di certe tematiche, dai movimenti del 60 in poi ci sono stati più di 60 anni di liberismo e l’avvento dei social che hanno esacerbato una certa tendenza occidentale all’individualismo. Per me le vere persone che fanno attivismo sono quelle che si ritrovano a fare volontariato nelle associazioni. Quelle che quando vengono invitate sul palco del Festival di Sanremo salgono con la tshirt della taglia sbagliata a fare da sfondo all’influencer milionaria Chiara Ferragni vestita haute couture.
4) Nei tuoi spettacoli e negli eventi a cui partecipi sfoggi solitamente un look kink con abbigliamento in latex. E’ soprattutto un’esigenza di scena o anche un tuo fetish?
Come detto, il mio drag è molto intimo e personale. Io sono una persona kinky e questo non poteva che manifestarsi anche nel mio drag. Ciò mi ha creato anche qualche problemino con le serate queer, perché questo gigante oscuro (sono alto 187 centimetri senza scarpe) stonava in mezzo a quell’arcobaleno che sono gli spettacoli drag classici. In Italia sono uno dei pochi performer drag a lavorare nel clubbing fetish e BDSM e ad aver costruito e incentrato la propria estetica intorno al latex (rubber o lattice). Chi frequenta gli ambienti fetish sa che occorre seguire un codice, una giacca non è mai una semplice giacca, ma deve essere realizzata in un certo modo, con certi dettagli, certi colori, avere un certo taglio, etc. Io prendo questi elementi codificati e li abbino, rimescolo e decostruisco in funzione dello spettacolo o del messaggio che voglio portare sul palco. Includendo accessori e oggetti di scena tipici delle pratiche BDSM. Nel mio piccolo cerco di queerizzare i codici estetici del fetish.
Per il latex provo una sincera attrazione sensoriale. Non è moltissimo che ho scoperto questo materiale, ma me ne sono subito innamorato. Il mio primo approccio è stato durante un fashion show del brand Black Crystal Latex durante la premiere del Torture Garden 2022, in cui mi sono esibito. La prima volta che l’ho indossato sono stato colpito subito dal suo odore e dalla sensazione della pelle a contatto con questa membrana estremamente liscia. Quando indossi un abito in latex sei vestito e contemporaneamente nudo. Nonché, dalla sua lucidità. I capi che indossavo erano di un nero profondissimo e pur così luminoso. Lo trovo misterioso, oscuro, suadente e ovviamente sensuale, che poi è anche lo stile del mio personaggio.
5) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Comprate accessori fetish, è un regalo che vi fate e che donate agli altri. Divertitevi, esploratevi, decostruite le vostre convinzioni sul genere, cercate di essere persone libere per quanto possibile e per rimanere aggiornati sui prossimi eventi fetish e queer seguitemi sul mio canale Instagram: @callme_effe_