Intervista a callme_effe_, drag performer “demoniaco”

(Immagine mia)

1)     Tu sei, da qualche tempo, un drag performer. Come sei arrivato a cimentarti in questa forma d’arte?

Un po’ per caso, un po’ per passione. Fin da quando ero bambino ho sempre fatto teatro, il primo ruolo a 6 anni, poi le esperienze nella scuola secondaria ed infine tanti anni di spettacolo trascorsi con una compagnia teatrale amatoriale fondata con alcune persone amiche (ahimè, ormai sciolta). Insomma, sono stato più su un palco che sul divano di casa. Per me fare teatro è da sempre stato un modo per esprimere il proprio sé tramite quell’armatura che è il personaggio. Nel 2020, subito dopo le prime riaperture post-pandemiche, mi sono avvicinato al mondo del clubbing queer: prima come fotografo, poi come presentatore/vocalist ed infine come performer. Il richiamo del palco cominciava ad essere molto forte. Quell’anno eravamo già alla dodicesima stagione di Drag Race, l’arte drag era diventata un fenomeno mainstream (con tutti i vantaggi e svantaggi che questo comporta) e allora mi sono detto: perchè non cimentarsi con questa particolare forma d’arte? Perché non creare un personaggio mio? Anziché continuare ad interpretare i personaggi creati da qualcun altro. Perché no? E da quel momento è cominciata la gestazione di Effe, il mio personaggio drag.

2)     Il tuo è un personaggio particolare. Ci racconti com’è nato e perché?

Effe non è il tipico personaggio drag con sembianze femminili, outfit coloratissimi, parrucche esagerate e accessori stravaganti. Effe è un demone agender uscito direttamente dall’inferno, il mio inferno personale. Insomma, non credo ci sia bisogno di dirlo, ma io ho visto tutti i film di Tim Burton e le serie di Ryan Murphy! E durante l’adolescenza ero anche un po’ emo! Come molte persone queer durante l’adolescenza ho capito di essere diverso. Vivevo nel mio paesino d’origine che non potrei definire diversamente se non democristiano, e non solo perché ha dato i natali a Giulio Andreotti, ma perchè lì vige la regola perentoria del “si fa, ma non si dice”. Il mio problema, però, era che io non ci facevo, io c’ero. Anche se all’epoca non avevo ancora fatto coming out, e non conoscevo neanche i termini adatti per descrivermi, sprizzavo ambiguità da tutti i pori dilatati per l’acne giovanile. Rispetto a molte persone queer che affermano di sentirsi “sbagliate”, io non ho mai faticato ad accettare la mia identità sessuale, però, mi sentivo “malvagio”. Si, malvagio, un misto tra il senso di colpa per essere diverso e la consapevolezza che la mia diversità avrebbe fatto soffrire le persone a me care. Con il coming out di fatto è andato così. Mi sentivo così intimamente malvagio che ogni tanto mi facevo il segno della croce giusto per essere sicuro di non essere posseduto dal diavolo. Questa percezione di me come creatura malvagia me la porto avanti da tutta la vita. Effe non è altro che una sintetizzazione di questi sentimenti. In pratica ho preso il demone che mi sentivo interiormente e l’ho portato all’esterno tramite il trucco e gli outfit di scena. Mi sono ribaltato come un piumino double face. Portare Effe al di fuori è stato un processo di catarsi, ho partorito e liberato l’idea che avevo di me. Stare a contatto e mostrare la mia interiorità (non interiora) mi aiuta ad esorcizzare la paura che ho di me stesso. Effe è il ritratto nascosto in soffitta dell’anima di Fabrizio. Tant’è che quando guardo le mie foto in drag mi riconosco tanto, se non di più, di quando guardo le foto di Fabrizio.

3)     Il tuo è un drag estetico, politico o entrambe le cose? Ti reputi un attivista?

Il drag è sempre politico, anche se non lo si fa intenzionalmente. Il drag è una performance di genere, si gioca con la propria identità e con i costrutti sociali relativi al genere (il sistema binario uomo/donna), quindi, che lo si voglia o no, il drag è intrinsecamente politico. Non credo sia un caso che i conservatori reazionari di tutto il mondo temono i performer drag come Superman teme la kryptonite rossa (vedi quello che sta accadendo in USA con le restrizioni contro gli spettacoli drag). Il drag rappresenta un elemento di rottura in quell’ordine artificioso che è il binarismo di genere. Per questo terrorizza tutte quelle persone reazionarie che, in nome di un fantomatico ordine, vorrebbero mantenere in vita artificiosamente quel costrutto sociale che è il binario uomo/donna, che per inciso ormai fa acqua da tutte le parti. Nel 2023 chi glielo va a spiegare ad una bambina che dovrebbe ambire a fare l’infermiera e non l’ingegnera? Questo è accanimento terapeutico. Io sono a favore dell’eutanasia, accompagniamo il binarismo di genere verso una morte dignitosa!

L’estetica infine è solo un mezzo con cui cerco di dare forma ai sentimenti e alle idee che mi frullano in testa, che per lo più riguardano i temi civili e sociali che mi stanno a cuore.

Io al massimo mi posso definire un divulgatore. Attivista è un termine che da qualche anno a questa parte mi imbarazza. Quando penso alle persone attiviste di una volta (oddio che frase da vecchio!) la mente va subito a persone come Marsha P. Johnson, Sylvia Rivera, Harvey Milk, Mario Mieli, Angelo Pezzana, Massimo Consoli, Mariasilvia Spolato, Porpora Marcasciano, Marco Bisceglia, Fernando Aiuti. Persone fortemente connesse con la loro comunità, che si prendevano cura di quest’ultima. Quando penso alle persone che fanno attivismo oggi mi viene da definirle piuttosto influencers. Persone totalmente concentrate su se stesse e i loro traumi, sulla polemica del giorno, i likes, e che tra un callout e l’altro cercano sempre di rifilarti il loro libro. La comunità non viene più vista come costituita da sorelle, fratelli e siblings, l’altrə è solo un nuovo potenziale follower. Intendiamoci, ciò non è colpa di chi fa l’influencer parlando di certe tematiche, dai movimenti del 60 in poi ci sono stati più di 60 anni di liberismo e l’avvento dei social che hanno esacerbato una certa tendenza occidentale all’individualismo. Per me le vere persone che fanno attivismo sono quelle che si ritrovano a fare volontariato nelle associazioni. Quelle che quando vengono invitate sul palco del Festival di Sanremo salgono con la tshirt della taglia sbagliata a fare da sfondo all’influencer milionaria Chiara Ferragni vestita haute couture.

4)     Nei tuoi spettacoli e negli eventi a cui partecipi sfoggi solitamente un look kink con abbigliamento in latex. E’ soprattutto un’esigenza di scena o anche un tuo fetish?

Come detto, il mio drag è molto intimo e personale. Io sono una persona kinky e questo non poteva che manifestarsi anche nel mio drag. Ciò mi ha creato anche qualche problemino con le serate queer, perché questo gigante oscuro (sono alto 187 centimetri senza scarpe) stonava in mezzo a quell’arcobaleno che sono gli spettacoli drag classici. In Italia sono uno dei pochi performer drag a lavorare nel clubbing fetish e BDSM e ad aver costruito e incentrato la propria estetica intorno al latex (rubber o lattice). Chi frequenta gli ambienti fetish sa che occorre seguire un codice, una giacca non è mai una semplice giacca, ma deve essere realizzata in un certo modo, con certi dettagli, certi colori, avere un certo taglio, etc. Io prendo questi elementi codificati e li abbino, rimescolo e decostruisco in funzione dello spettacolo o del messaggio che voglio portare sul palco. Includendo accessori e oggetti di scena tipici delle pratiche BDSM. Nel mio piccolo cerco di queerizzare i codici estetici del fetish.

Per il latex provo una sincera attrazione sensoriale. Non è moltissimo che ho scoperto questo materiale, ma me ne sono subito innamorato. Il mio primo approccio è stato durante un fashion show del brand Black Crystal Latex durante la premiere del Torture Garden 2022, in cui mi sono esibito. La prima volta che l’ho indossato sono stato colpito subito dal suo odore e dalla sensazione della pelle a contatto con questa membrana estremamente liscia. Quando indossi un abito in latex sei vestito e contemporaneamente nudo. Nonché, dalla sua lucidità. I capi che indossavo erano di un nero profondissimo e pur così luminoso. Lo trovo misterioso, oscuro, suadente e ovviamente sensuale, che poi è anche lo stile del mio personaggio.

5)     C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Comprate accessori fetish, è un regalo che vi fate e che donate agli altri. Divertitevi, esploratevi, decostruite le vostre convinzioni sul genere, cercate di essere persone libere per quanto possibile e per rimanere aggiornati sui prossimi eventi fetish e queer seguitemi sul mio canale Instagram: @callme_effe_

Intervista a Diego Tigrotto

1) Ti definisci un artivista sex positive: cosa indicano queste espressioni?

Artivista è una crasi tra le parole artista e attivista perché cerco di esprimere la filosofia sex positive anche attraverso l’arte.

2) Da anni indossi quotidianamente tutine animali: perché questa scelta?

Nasce come forma radicale dell’espressione di sé, che è uno dieci principi del Burning Man. Io ho partecipato a quest’evento nel Nevada e ho visto che indossare le tutine animali mi risuonava e ho sposato questa forma di espressione. Mi piace cercare abiti non solo di animali, ma anche colorati, metto smalto, ecc. E’ anche una forma di esibizionismo, un non volersi nascondere ed un modo per filtrare le persone che sono o no attratte da questa modalità: ognuno ha il suo modo di esprimersi, di vivere la propria socialità.

3) In uno dei tuoi cortometraggi, “Ki è my Papino?”, metti in scena la fantasia di un abuso incestuoso e nei tuoi cerchi di condivisione sottolinei la necessità del non giudizio nei confronti di qualunque fantasia sessuale. Che rapporto c’è tra la liberazione delle fantasie e il consenso?

La fantasia raccontata nel corto rientra nella sfera del non consenso-consensuale, , cioè nel poter giocare con fantasie di abuso avendo concordato prima le modalità ed i limiti, in modo da viverle senza commettere degli abusi reali. Le fantasie sono centrali nella sessualità ma se ne parla poco perché a volte vengono giudicate come sporche o immorali.

4) Ci parli del progetto La Tana Libera Tutt* e degli eventi ad essa connessi?

La Tana Libera Tutt* è un progetto che ha come scopo principale quello di promuovere la filosofia sex positive e i suoi quattro pilastri: consenso, non giudizio, consapevolezza e piacere. Lo facciamo in modo pratico attraverso laboratori e workshop ma anche parlando nei cerchi di condivisione e tramite la rete dei social. E’ un progetto in divenire: ultimamente stiamo preparando un mazzo di Tarocchi Sex Positive.

Sex positive è un termine che, nonostante abbia ormai sessant’anni, è ancora poco conosciuto in Italia nella cultura attuale.

5) Partecipi a diversi Porn Film Festival indipendenti. Come definiresti l’esperienza di questi festival?

I festival sono innanzitutto un’occasione per incontrarsi con altre persone che a loro volta si occupano del porno diverso da quello mainstream, un tipo di porno che ha intenti anche politici. Quando ci vado cerco materiale d’ispirazione. Allo stesso tempo cerco di creare materiali da condividere e che possano essere stimolanti anche per le altre persone. Ultimamente ho fatto un video che è stato selezionato per il Porn Film Festival di Berlino e per il San Francisco Porn Film Festival. Questi sono i festival a cui ho già partecipato insieme al Hacker Porn Film Festival di Roma, il Vienna Porn Film Festival e quello di Atene.

6) Nel mockumentary “Sexplorer” troviamo la parodia di un documentario su riti ecosessuali. Cos’è per te l’ecosessualità?

L’ecosessualità è un movimento ideato da Annie Sprinkle e lanciato come possibilità di vivere la sessualità all’aperto, nella natura, una sessualità connessa con i sensi, con il tutto, in modo tantrico ma anche giocoso. Nel Ecosex Manifesto si parla del fare l’amore con la natura oltre che nella natura. La natura, quindi, oltre ad essere cornice, diventa anche parte integrale dell’atto sessuale, il quale non è, perciò, da intendersi necessariamente come genitale.

7) Un altro tema ricorrente nei tuoi lavori è quello dello spanking, che troviamo nel corto da te diretto “A Spanking Ode” e in una scena della pellicola “Female Touch” di Morgana Mayer. Che rapporto c’è tra parafilie, BDSM e la filosofia sex positive?

La parola parafilia è quasi medica ma nel sex positive ha una valenza diversa. Le pratiche del BDSM sono incluse nell’ambito sex positive. Lo spanking è una delle pratiche che ho potuto fare in pubblico. La sento come una pratica intima, un contatto molto sensuale ma allo stesso tempo giocoso.

8) C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?

Questo periodo è stato molto duro per il nostro progetto de La Tana Libera Tutt* per via della pandemia da Covid 19. Però sono riuscito a creare nuovi progetti: i Tarocchi, articoli pubblicati sul web, un fumetto sex positive e a produrre un altro video. L’isolamento mi ha permesso di trovare il tempo per creare progetti diversi e portare avanti il mio lavoro non solo attraverso le esperienze fisiche.

Diego Tigrotto

SexPositiveArtivist

LaTana LiberaTutt*

Sessualità alternative, BDSM e parafilie: ne parlo con Ayzad

 

 

 

 

 

 

(https://ayzad.com/bio/)

1) Come è nato il tuo interesse per le sessualità alternative?

Credo si tratti semplicemente di una delle tante espressioni della curiosità che ho sempre avuto nei confronti di tutto – che poi è lo stato naturale di ogni persona fin dall’infanzia. In tutta sincerità, trovo incredibile che non sia un interesse che hanno tutti!
Il primo incontro con l’argomento è stato – prima ancora di sapere cosa diavolo fosse il sesso in generale – attraverso i fumetti controculturali degli anni ’70 e i disegni animati di Penelope Pitstop, che erano un’apologia non so quanto inconsapevole del bondage. Poi sono arrivate letture più o meno intellettuali, video, incontri con persone esperte e praticanti, viaggi, conferenze, eventi… e sto ancora scoprendo un sacco di cose interessanti.

2) Perché hai deciso di diventare un divulgatore in questo campo?

Inizialmente ero semplicemente “quello che ne sa”, a cui sempre più persone venivano a chiedere informazioni. Poi mi sono reso conto di quanto ciò che avevo imparato avesse migliorato la mia qualità di vita, e ho pensato che sarebbe stato utile semplificare quella degli altri risparmiando loro tutti gli errori, gli equivoci e l’ignoranza che avevano danneggiato me. Infine, appena pubblicato il mio primo libro ho cominciato a ricevere talmente tanti messaggi di ringraziamento da parte di chi grazie al mio lavoro aveva finalmente trovato la serenità… che non ho più avuto il cuore di cambiare mestiere.

3) Hai scritto due manuali sul BDSM. Perché hai scelto di soffermarti in particolare su questo argomento?

Un po’ perché è il tipo di arte erotica che apprezzo di più anche nella vita privata, e un po’ perché raccoglie quasi tutti i principi e la cultura delle sessualità alternative.

4) Ne Il dizionario del sesso insolito hai stilato un glossario sulle parafilie. Com’è nato questo libro?

Dallo shock che ho provato partecipando al mio primo convegno di sessuologia, in cui mi sono reso conto dell’esistenza di due mondi che non si sapevano parlare: i professionisti da una parte, e i praticanti dall’altra. Gran peccato, fra l’altro, perché entrambi i gruppi avrebbero moltissimo da insegnarsi l’un l’altro. Quel libro ha quindi la funzione di “stele di Rosetta” – ma con la riedizione in formato digitale, che contiene più di 10.000 link interni, è diventato anche quasi un videogame in cui si può saltare da una voce all’altra alla scoperta di un universo praticamente infinito.

5) Ti consideri una persona sex-positive?

Assolutamente sì. Tanto che ho scritto perfino il Manifesto degli esploratori sessuali, che in sostanza raccoglie in un unico documento tutti i principi della sex positivity.

6) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Non ti conviene, perché quando comincio a parlare di questi argomenti tendo a non smetterla più! La cosa migliore è invitare chi ci legge a visitare il mio sito, dove potranno trovare moltissimi articoli, podcast, video e risorse per approfondire il tema dell’eros insolito.

 

Intervista ad Alithia Maltese, insegnante di shibari ed educatrice di sessualità alternativa

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Credits Vazkor

1)      Com’è nato il tuo interesse per la sessualità alternativa e il bondage in particolare?

Da piccola amavo legare le cose. Usavo quella che doveva essere una corda per saltare: sedie, tavoli, bottiglie, niente poteva stare al suo posto. Costruivo fortini, tende, castelli. Raggiunta la maturità sessuale ho iniziato a fantasticare di legare le persone. Nel giro di poco tempo la fantasia è diventata realtà. Sentivo, però, che mancava qualcosa. Usare sciarpe e cinture non era così soddisfacente. Giocare con la cera e fare sesso estremo con le persone che frequentavo non raccontava tutto di me. Inoltre avevo bisogno di parlare con qualcuno che avesse i miei stessi istinti, avevo bisogno di confronto. Così ho chiesto consiglio a un’amica che sapevo avere i miei stessi interessi e lei mi ha suggerito di iscrivermi a FetLife, un social network dedicato al BDSM che conta quasi nove milioni di iscritti in tutto il mondo. Qui ho scoperto dell’esistenza della comunità torinese, dei party e dei corsi di bondage. Mancava ancora un evento dedicato ai più giovani e così ho deciso di impegnarmi in prima persona fondando il TNG Torino, l’aperitivo informale dedicato al BDSM per persone tra i 18 e i 35 anni. A un certo punto mi è capitato di essere invitata a eventi pubblici, come il Fish&Chips Film Festival del cinema erotico, a parlare di temi quali il consenso, la violenza, il BDSM. Sono stata chiamata in quanto organizzatrice di eventi a tema sia come persona con un bel po’ di esperienza alle spalle. Non mi andava di arrivare a questi incontri impreparata, così ho cominciato a studiare educazione sessuale e a sviluppare un metodo personale per trattare argomenti connessi alla sessualità alternativa. Così ho avviato la mia attività di insegnante di shibari. Collegata all’attività di educazione e divulgazione è venuta fuori l’esigenza di accostare alla teoria la pratica e non avrei potuto scegliere altro strumento che le corde.

2)    Essendo un’educatrice di sessualità alternativa quali sono le tematiche che tratti nei tuoi corsi?

Il tema principale è sempre la comunicazione. Che stia tenendo una conferenza sul consenso o un workshop sul bondage per l’intimità, la comunicazione col partner è alla base di tutto. La comunicazione è uno strumento potentissimo attraverso cui possiamo esercitare in modo efficace il nostro consenso e che quindi permette di condurre una sessione BDSM in modo genuinamente soddisfacente. E il dialogo con l’altro passa soprattutto attraverso il corpo, anche se non siamo abituati a farci caso. E la comunicazione passa soprattutto attraverso il corpo. Per me legare vuol dire avere un dialogo. Trasmetto il mio stato d’animo, comunico i miei desideri alla persona che sto legando e contemporaneamente mi metto in ascolto. Il corpo parla, basta saperlo osservare.

3)      Quanto è ancora forte il tabù verso le pratiche BDSM?

Dal mio punto di vista il tabù è ancora molto forte e temo che per questo si debba ringraziare per questo l’immagine mainstream del BDSM, che è fuorviante e per nulla rappresentativa del mondo che vorrebbe mostrare. Troppo spesso il cinema e la letteratura d’intrattenimento hanno dipinto chi pratica BDSM come persone violente, con traumi irrisolti. Finché questo mondo verrà guardato dal buco della serratura, parlandone con pregiudizio e senza reale interesse nel comprendere di che cosa si tratti, questa visione persisterà. A me non interessa che il BDSM venga accettato o considerato normale. Quello che mi piacerebbe è che chi vuole avvicinarsi a questo mondo possa avere la possibilità di farlo in maniera consapevole. Sarebbe preferibile che il BDSM non venisse rappresentato per nulla invece che mostrato come una patologia psichiatrica.

4)      Perché in tanti credono che il BDSM sia violenza?

Alla base di tutte le pratiche del BDSM c’è il consenso. La violenza è, per definizione, un’azione volontaria esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Questo rende BDSM e violenza mutualmente esclusivi.

5)      Il bondage è meramente connesso alle pratiche sessuali kinky o può essere considerato anche un’arte a sé stante?

Intanto dovremmo chiederci se tutte le pratiche kinky sono necessariamente sessuali e in che senso. Questa domanda ha molte risposte. Molti ti direbbero che non giocano con persone con cui non andrebbero a letto. Qualcuno pratica solo col proprio partner. In effetti alcune pratiche sono esplicitamente sessuali. Personalmente per me il BDSM non è per forza collegato al sesso o al mio desiderio sessuale ma senza ombra di dubbio ha a che fare con l’intimità e con la ricerca del piacere, di qualunque tipo esso sia. Il bondage è una pratica BDSM, è proprio lì, nella prima lettera dell’acronimo. Gioco spesso con alcune delle persone per me più care, mi piace condividere con loro momenti di intimità unici e irripetibili, ci piace prenderci cura gli uni degli altri anche attraverso queste pratiche, soprattutto nelle corde. Per me chi dice che il bondage è un’arte a sé mente sapendo di mentire. Probabilmente lo fa per renderlo più accettabile agli occhi della società. Il bondage, dicevo, è una pratica BDSM. Se si lega qualcosa o qualcuno per altri motivi, con altri obiettivi, artistici o promozionali per esempio, allora non rientra più nel BDSM e non è più bondage: è performance, è altro.

6)    Il termine shibari è un sinonimo o una tipologia di bondage?

Il bondage è la pratica in cui si limita o si impedisce temporaneamente la possibilità di movimento di una persona e/o la sua capacità sensoriale. Il rope bondage è il bondage fatto con le corde. Lo shibari, chiamato anche kinbaku, è il bondage giapponese: lo strumento principale sono le corde, le legature realizzate seguono la tradizione, l’estetica e la filosofia giapponese. Se mettessimo a confronto due foto, una di western bondage (rope bondage all’occidentale) e una di shibari anche chi non ha mai preso una corda in mano sarebbe in grado di capire che, pur trattandosi comunque di rope bondage, ci sono delle nette differenze tra le due pratiche, già a partire dall’estetica.

7)    Da persona facente parte di ambedue i contesti, come consideri il rapporto tra la comunità LGBTQ+ e il mondo BDSM?

Sono bisessuale, vengo dall’associazionismo LGBTQ+, non posso fare a meno di continuare a guardare a quel mondo, di cui faccio parte e con il quale collaboro. Negli anni ho riscontrato una certa resistenza da parte della comunità LGBTQ+ a interagire con la scena BDSM. Una resistenza sempre minore, per fortuna; negli ultimi anni molte persone giovani, soprattutto bisessuali, si stanno avvicinando a questa realtà. La mia percezione è che le persone LGBTQ+ talvolta pensino di trovare un ambiente non accogliente, anzi, magari anche discriminante, soprattutto per via degli stereotipi che il BDSM si porta addosso. La letteratura e la cinematografia alla quale siamo esposti sono ancora infarcite di cliché e storture: il masterone maschione seduce e sottomette la giovane e bella ragazza inesperta, la mistress in latex frusta violentemente un uomo, possibilmente di mezza età. La pornografia non ci viene in aiuto. Tutte le scene sono estremizzate, le interazioni sessualizzate in modo eteronormato o secondo il gusto eteronormato. Chiunque ci penserebbe due volte prima di rischiare di trovarsi in un ambiente composto da macchiette. La verità è che non siamo così. Certo, questi stereotipi da qualche parte sono saltati fuori, e forse dovremmo guardare più a romanzi come Histoire d’O (romanzo pubblicato nel 1954 e film realizzato nel 1975) che alle opere del Marchese de Sade o di Leopold Von Sacher-Masoch per cercare una spiegazione. La letteratura rosa, con quelle storie di procaci maschioni rapitori di svenevoli fanciulle, gli Harmony, così vicini alle casalinghe degli anni Ottanta, il successo delle 50 sfumature e il caso dei 365 giorni hanno contribuito a fare in modo che il vecchio immaginario BDSM, tanto basato sul genere e sui ruoli, si perpetrasse anche nell’epoca contemporanea. In un’intervista che mi ha rilasciato Rita Pierantozzi su scena BDSM e comunità LGBTQ+ https://www.alithiamaltese.com/scena-bdsm-e-comunita-lgbtq/, lei mi diceva che “molta della comunità GLBTQ+ è chiusa in un tentativo di normalizzazione che percorre vie eteronormate e fa fatica ad accettare realtà alternative. Si fa fatica ad accogliere bisessuali, persone trangender e non binary, figuriamoci persone kinkster. Il doppio stigma è difficile da portare”. Molto spesso persone LGBTQ+ mi chiedono: “Come posso fare ad avvicinarmi al BDSM in un ambiente queer?” In realtà il nostro aperitivo è queer. Io e Médou, che organizza con me il TNG Torino, siamo bisessuali, un altro degli organizzatori è non binary, ci sono molte persone LGBTQ+ e speriamo che, un po’ col passaparola, un po’ grazie ai miei interventi nelle associazioni LGBTQ+, ce ne siano sempre di più. È giusto che tutte e tutti abbiano uno spazio sicuro di confronto in cui poter sperimentare e conoscere persone.

8)    Secondo te quanto c’è ancora da fare per diffondere un’autentica cultura del consenso?

C’è un unico modo perché si diffonda la cultura del consenso: fare della propria vita il proprio attivismo. Non basta parlare di consenso se poi non ci impegniamo a mettere in pratica tutto quello che ci diciamo durante le dirette instagram o su twitch. La divulgazione, la diffusione della cultura del consenso è molto importante ma abbiamo bisogno di gesti concreti, quotidiani, per fare in modo che l’idea di consenso attecchisca. E poi c’è un altro aspetto che per me è strettamente legato al consenso, ovvero l’autodeterminazione. Sono convinta che nel momento in cui ci autodeterminiamo riconosciamo il nostro valore e questo riconoscimento ci rende più forti, rende più forte il nostro messaggio, rende più forti i nostri sì e i nostri no. Senza dubbio è importante continuare a lavorare sulla società ma non dobbiamo dimenticarci di lavorare prima di tutto su noi stessi.

9)    C’è qualcosa che vorresti aggiungere al termine di quest’intervista?

Sì, consigli per chi vuole avvicinarsi al BDSM.

A chi volesse saperne di più o volesse iniziare la propria esplorazione in questo mondo consiglio di informarsi sugli eventi presenti nella propria zona ed entrare in contatto con la comunità locale. Conoscere dal vivo persone già esperte o che si stanno affacciando a questo mondo permette di confrontarsi, farsi un’idea non solo sul tipo di pratiche che ci possono interessare ma anche sul tipo di rapporto che vogliamo avere con quelli che saranno i nostri compagni di viaggio. Inoltre far parte di una comunità ti dà la possibilità di avere informazioni di prima mano sulle persone con le quali ti rapporti, cosa che non sarebbe possibile con l’online dating. Questo è il motivo per cui ho fondato il TNG Torino.

Premesso che non mi interessa cercare di convincere le persone a entrare a far parte di questo mondo, ritengo che anche chi non ne ha mai sentito parlare potrebbe prendere come esempio per la propria vita personale e di coppia alcuni aspetti del BDSM, per esempio l’educazione al consenso o come esplorare più liberamente le proprie fantasie. Chi lo pratica ha come obiettivo la ricerca del piacere e durante la sessione di gioco è possibile portare avanti questa ricerca con i mezzi più disparati. All’interno della pratica possiamo esplorare i nostri desideri e condividerli con la persona con cui giochiamo. Possiamo provare vergogna, piangere, rilassarci, godere, avere paura, lasciare il controllo in totale libertà, senza preoccuparci del giudizio di chi è lì con noi in quel momento. Questo ci permette di avvicinarci, di entrare maggiormente in intimità con il/la partner. Non condivido con te solo il mio corpo ma apro una finestra sui miei segreti e ti permetto di vedere cose di me che in altre occasioni non mostro. In più, come singole e singoli, praticare il BDSM ci porta a domandarci che cosa cerchiamo in una relazione (che duri nel tempo di una sessione di gioco o che sia il rapporto con il/la partner), chi siamo, che cosa vogliamo. Insomma, dal mio punto di vista è uno strumento di autodeterminazione in piena regola.