L’ignavia colpevole del mondo ha spento i riflettori sul Darfur

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WAR DARFUR

Quando il Segretario di Stato americano Colin Powell nell’agosto del 2004, tornando da una missione in Sudan, definì per la prima volta ciò che stava avvenendo in Darfur come “il primo genocidio del 21esimo secolo” si accesero all’istante i riflettori sul conflitto che dal febbraio del 2003 stava dilaniando la regione occidentale sudanese.

La presa di posizione statunitense apparve come il banco di prova per la comunità internazionale di essere in grado di fermare, compattamente, le atrocità di massa. Ma ben presto emerse l’ineluttabilità del fallimento dell’azione contro il regime del presidente Omar Hassan al-Bashir, ex generale giunto al potere nall’89 grazie a un colpo di stato.

Oggi, 11 anni dopo il viaggio di Powell, quei riflettori sono spenti e l’attenzione mediatica sul dramma del Darfur è finita da tempo. Non sono però finiti i massacri che in questo caldo agosto, alternato a piogge devastanti, in tutto il Darfur stanno stremando un popolo provato da anni di soprusi e di ogni genere di violazioni dei diritti umani.

Tutto ciò a fronte del dispiegamento nella regione di una forza di pace delle Nazioni Unite, composta da oltre 20mila cachi blu, che si è rivelata sin dal primo momento costosa e inefficace. Per non parlare della beffa di un presidente in carica, considerato dalla Corte penale dell’Aja un criminale di guerra e genocida, in grado di viaggiare con relativa libertà in Africa, come dimostra il recente viaggio in Sudafrica, e non solo nonostante un mandato di arresto internazionale.

E intanto in Darfur si continua a vivere nella paura e nella miseria. Gran parte della popolazione ormai è in condizioni al limite della sopravvivenza. A 12 anni dall’inizio del conflitto le stime Onu parlano di oltre 300mila vittime e di circa 6 milioni di persone bisognose di aiuti di ogni genere, di cui oltre il 30% ospitate nei campi gestiti dall’agenzia Ocha’ (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs). Nel primo semestre del 2015 ben 385mila sono stati i nuovi profughi a causa della recrudescenza del conflitto in molte aree della regione, che ha registrato il flusso di sfollati più consistente dal 2006 a oggi.

Dall’inizio dell’anno le possibilità di assistenza delle centinaia di migliaia di nuovi rifugiati, per lo più donne e bambini, e a rischio in tutto il Darfur. Le minacce sono sempre le stesse: insufficiente disponibilità d’acqua e di cibo, condizioni igienico-sanitarie e sicurezza inadeguate. La mortalità continua a essere molto alta. In pochi superano i 50 anni mentre tra i bambini molti non raggiungono il sesto anno di vita. Malnutrizione e infezioni le principali cause di morte per i più piccoli. Il settore sanità è quello che registra la maggiore criticità ed è considerato addirittura cronico dagli operatori umanitari sul campo che continuano a operare in un contesto difficile come testimoniano le continue espulsioni.
La protezione della missione di peacekeeping è del tutto insufficiente. Continuano a registrarsi scontri armati che coinvolgono i civili soprattutto nel Nord Darfur ed episodi di crimini di massa, in particolare stupri, usati come arma di guerra.

Il 2 novembre del 2014, su segnalazione di alcuni rifugiati sudanesi in Italia, Italians for Darfur è stata la prima organizzazione a denunciare sul proprio blog lo stupro di massa a Tabit, un villaggio a nord di al-Fasher. Oltre 200 tra donne, adolescenti e bambine erano state violentate nella notte tra giovedì 30 ottobre e il primo novembre da militari governativi e milizie arabe, gli ex janjaweed.

Secondo i testimoni, il raid punitivo sarebbe stato conseguenza della scomparsa di un militare della guarnigione dell’esercito del Sudan di pattuglia nell’area. La forza Onu dispiegata in Darfur non ha potuto effettuare nell’immediato un sopralluogo e confermare, in un primo momento, l’episodio. Dopo aver parlato nuovamente con abitanti del posto, senza la presenza di militari governativi, i caschi blu hanno invece raccolto elementi che non hanno più lasciato dubbi su quanto fosse avvenuto a Tabit.

Human Rights Watch ha poi pubblicato l’11 febbraio di quest’anno una approfondita ricerca che ha evidenziato le responsabilità delle truppe dell’esercito del Sudan che avevano eseguito una serie di attacchi contro la popolazione civile della cittadina vicino al-Fasher, arbitrarie detenzioni, pestaggi e maltrattamenti di decine di persone oltre allo stupro di massa di donne e ragazze. I militari hanno giustificato gli abusi dichiarando che le vittime fornivano aiuti ai guerriglieri coinvolti nelle operazioni contro il governo.

Il mondo, nonostante le prove di questa come di altre atrocità perpetrate in Darfur, è rimasto e resta a guardare nel silenzio più colpevole e sconcertante che l’ignavia internazionale abbia mai manifestato.

Fonte:

http://www.huffingtonpost.it/antonella-napoli/lignavia-colpevole-del-mondo-ha-spento-i-riflettori-sul-darfur_b_7935888.html

Violenze Usa: le torture della Cia e un militare stupratore

La CIA non ti spia: ti tortura

E’ ora dispo­ni­bile al pub­blico un esau­stivo rap­porto, risul­tato di cin­que anni di inda­gine del Senato USA, sugli inter­ro­ga­tori segreti della CIA di “sospetti ter­ro­ri­sti”: esso fa un qua­dro deso­lante di un pro­gramma lan­ciato all’indomani degli attac­chi dell’11 Set­tem­bre 2001, descri­vendo i livelli di bru­ta­lità, diso­ne­stà e vio­lenza — del tutto arbi­trari — della CIA nel tor­tu­rare i prigionieri.

Waterbording (foto da E-mensile)
Water­bor­ding (foto da E-mensile)


La rela­zione della com­mis­sione intel­li­gence del Senato USA è dispo­ni­bile qui:

http:// ​www​.washing​ton​post​.com/​w​p​-​s​r​v​/​s​p​e​c​i​a​l​/​n​a​t​i​o​n​a ​l​/​c​i​a​-​i​n​t​e​r​r​o​g​a​t​i​o​n​-​r​e​p​o​r​t​/​d​o​c​u​m​e​nt/

Essa sostan­zia le accuse di cru­deltà ad un pro­gramma della CIA le cui tat­ti­che gravi sono state abbon­dan­te­mente docu­men­tate, rive­lando ad esem­pio i det­ta­gli della tec­nica del water­boar­ding (quasi-annegamento) cui ven­gono sot­to­po­sti i dete­nuti, i metodi di “rec­tal rehy­dra­tion” (intro­du­zione anale di acqua) e altre pro­ce­dure dolo­rose di tor­tura che non sono mai state appro­vate ufficialmente.

Un film-denuncia di Amne­sty Inter­na­tio­nal che espo­neva gli stessi fatti era d’altronde già dispo­ni­bile dal 2008: ma senza con­se­guenze pra­ti­che. Mi pare che il Senato USA caschi infatti un poco dalle nuvole: già nel 2008 George W. Bush aveva ammesso di essere a cono­scenza dell’utilizzo di que­ste pra­ti­che. «Lo abbiamo fatto per pro­teg­gere il popolo ame­ri­cano» ha spie­gato l’allora pre­si­dente Usa. Secondo Bush, lui stesso, il vice-presidente Dick Che­ney, l’allora con­si­gliere per la Sicu­rezza Nazio­nale Con­do­leeza Rice, l’ex segre­ta­rio di Stato Colin Powell, l’ex mini­stro della Difesa Donald Rum­sfeld ne erano ben a cono­scenza. Con­do­leeza Rice auto­rizzò la CIA a farlo, supe­rando la blanda oppo­si­zione del solo Colin Powell. 

Adesso, il Rap­porto del Senato USA docu­menta le tor­ture, ma insi­ste sul con­cetto che “Il Governo USA è stato ingan­nato dalla CIA”. Una buona manovra.

Infatti, il docu­mento di 528 pagine, cata­loga decine di casi in cui i fun­zio­nari della CIA avreb­bero ingan­nato i loro supe­riori alla Casa Bianca, i mem­bri del Con­gresso e tal­volta anche i loro col­le­ghi su come il pro­gramma di inter­ro­ga­tori è stato ese­guito. In un caso, una nota interna della CIA tra­smette istru­zioni della Casa Bianca di man­te­nere il segreto sul pro­gramma all’allora Segre­ta­rio di Stato Colin Powell, per la pre­oc­cu­pa­zione che avrebbe potuto “inquie­tarlo”, se fosse stato infor­mato su ciò che stava real­mente succedendo.

Una sin­tesi declas­si­fi­cata del lavoro della com­mis­sione rivela per la prima volta un elenco com­pleto di tutti i 119 pri­gio­nieri dete­nuti in custo­dia della CIA e indica che almeno 26 sono stati trat­te­nuti a causa di errori d’identità o di cat­tive infor­ma­zioni. Il docu­mento è la sin­tesi pub­blica da un più lungo stu­dio, ancora segreto, che supera le 6.000 pagine.

Il Dipar­ti­mento di Stato, nel frat­tempo, temendo l’indignazione mon­diale, ha fatto rive­dere le misure di sicu­rezza in amba­sciate e posta­zioni mili­tari Usa nel mondo.

In par­ti­co­lare, par­lando ad esem­pio per quanto riguarda la Marina Mili­tare USA in Ita­lia, nella basi di Augu­sta e Sigo­nella:
– I mari­nai USA non devono indos­sare l’uniforme fuori dalle Basi
e, incre­di­bile

– Si scon­si­gliano i turisti-militari ame­ri­cani a visi­tare aree turi­sti­che della Sici­lia, inclusi i par­chi natu­rali (per esem­pio, le sughe­rete? aggiunta del sot­to­scritto) e le zone molto popolate.

La misura di quasi-consegna-in-caserma potrà forse appa­rire esa­ge­rata. Pra­ti­ca­mente par­lando, però, met­ten­doci nei panni delle donne a Vicenza, forse può essere un bene.

http:// ​www​.fan​page​.it/​v​i​c​e​n​z​a​-​s​o​l​d​a​t​o​-​u​s​a​-​a​i​-​d​o​m​ i​c​i​l​i​a​r​i​-​p​e​r​-​s​t​u​p​r​o​-​e​v​a​d​e​-​e​-​t​e​n​t​a​-​d​i​ -​v​i​o​l​e​n​t​a​r​e​-​d​u​e​-​d​o​n​ne/

 

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/storia/la-cia-non-ti-spia-ti-tortura/

 

 

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Sul soldato Usa stupratore prendo anche questo articolo con altri dettagli tratto dal blog di Valentina Perniciaro:

Il soldato americano accusato di due stupri, tenta il 3° evadendo dalla caserma di Vicenza

9 dicembre 2014
Stiamo parlando, semplicemente, di uno stupratore seriale.
Uno che ha stuprato una minorenne lo scorso anno e che pochi mesi dopo ha stuprato una donna incinta di sei mesi che dopo lo stupro è stata anche pestata e che ha dato al mondo un bambino con gravi problemi neurologici, che ancora non è provato siano dovuti alla violenza subita ma…

Questo stupratore però, non è un semplice stupratore:
è un soldato americano assegnato alla base militare presente a Vicenza, contro il cui allargamento si è mobilitata l’Italia intera.
Immaginate fosse stato un migrante proveniente da qualunque altro paese, immaginate in quanti secondi l’avrebbero buttato in una cella, con prime pagine allarmate e xenofobe: in questo caso nessuna mobilitazione, nessun Salvini, nessuna caccia allo stupratore straniero, anzi.

Il fanciullo, che in dodici mesi ha collezionato due stupri e un violento pestaggio, è ai domiciliari all’interno della caserma Del Din (ex Dal Molin), domiciliari dai quali a quanto pare si scappa con molta facilità.
E’ di tre notti fa la sua fuga (ed è difficile immaginare che sia stata la prima, sinceramente): un po’ di cuscini dentro la brandina a simulare un corpo addormentato, una corda calata da una finestra e la via della libertà,
che per questa merda umana significa solo: STUPRARE.
E così ci ha riprovato, avvicinando una donna (anch’essa visibilmente incinta) in modo aggressivo chiedendo una prestazione sessuale e una volta vistosi rifiutare ha pensato bene di attraversare la strada, aggredire una seconda donna e poi colpirla al volto con un pugno: il tutto è stato filmato dalle telecamere di sorveglianza e una pattuglia della polizia è arrivata subito.
Davanti si è trovata Jerelle Lamarcus Gray, militare statunitense, ben noto alle forze dell’ordine vicentine: un ragazzo di 22 anni, uno stupratore seriale impunito che ancora non sa se avrà un processo qui in Italia, dove ha ripetutamente stuprato e pestato, o negli Stati Uniti, così come la maggiorparte dei soldati americani colpevoli di reati comuni in paesi terzi.

Lo stupro è un’arma di guerra, da sempre usata dai portatori di anfibi e fucili:
lo stupro fa parte della cultura militare, dell’occupazione dei territori, della dominazione.
Lo stupro di un soldato è manifesto di una cultura da distruggere “col ferro e col fuoco”:

Gettiamo a mare le basi americane!
Ogni stupro è un atto di guerra contro ognuna di noi, e prima o poi lo pagherete caro