Torture di Stato: gennaio 1982, sevizie ai brigatisti

26 gennaio 1982 – Verona

torture di lenardo

La “squadra speciale” UCIGOS diretta da Umberto Improta e Gaspare De Francisci (e composta da Salvatore Genova, Oscar Fioriolli e Luciano Di Gregorio) fa irruzione nella casa della militante di sinistra Elisabetta Arcangeli, il cui nome era stato fatto da Paolo Galati fermato e portato in Questura in quanto fratello di Michele Galati in carcere con la accusa di avere partecipato al sequestro Taliercio, e che l’aveva indicata come compagna di quel Nazareno Mantovani arrestato il 23 gennaio e “inutilmente” sottoposto a tortura dalla squadretta del Dottor De Tormentis alias Nicola Ciocia.

In casa della Arcangeli i militari trovano l’attuale compagno, Ruggero Volinia che viene brutalmente torturato per due giorni insieme alla compagna, finchè la notte del 27 crolla e ammette di fare parte delle BR con il nome di Federico e di avere guidato il furgone che il 17 dicembre 1981 aveva trasportato il sequestrato Dozier a Padova e conduce la squadra dei NOCS alla base di Via Pindemonte dove al mattino del 28 verrà liberato il generale americano. (ricostruzione tratta da “Colpo al cuore” di Nicola Rao ed. Sperling&Kupfer).

I militanti che hanno dichiarato all’epoca di essere stati torturati al momento dell’arresto dalle forze dell’ordine sono Alberto Buonoconto, Enrico Triaca, Luciano Farina, Nazareno Mantovani, Francesco Giordano, Maurizio Iannelli, Michele Galati, Elisabetta Arcangeli, Ruggero Volinia, Fernando Cesaroni, Gianfranco Fornoni, Armando Lanza, Ennio Di Rocco, Stefano Petrella, Anna Maria Sudati, Cesare Di Lenardo, Emanuela Frascella, Antonio Savasta, Emilia Libera, Giovanni Ciucci, Alberta Biliato, Roberto Vezzà, Paola Maturi, Giovanni Di Biase, Annarita Marino, Lino Vai, Sandro Padula, Giustino Cortiana, Daniele Pifano, Arrigo Cavallina, Luciano Nieri, Giorgio Benfenati, Aldo Gnommi, Federico Ceccantini, Adriano Roccazzella, Sisinnio Bitti, Umberto Lucarelli, Roberto Villa, Gioacchino Vitrani, Annamaria e Michele Fatone.

Il 16 ottobre 2013 la Corte di Appello di Perugia, accogliendo la richiesta di revisione della condanna per calunnia di Triaca, ha stabilito che in occasione del suo arresto a Roma del 1978 lo stesso fu sottoposto a reiterata tortura con il metodo del water-boarding dalla squadretta di Nicola Ciocia che in seguito, dimessosi dalla Polizia, farà fino al 2013 l’apprezzato  avvocato a Napoli.

Alle ripetute interpellanze dei radicali, ed in particolare dell’On. Sciascia, all’epoca il Ministro Rognoni aveva risposto “sdegnato” che “lo Stato usava solo metodi democratici” e che il solo metterlo in dubbio significava “fiancheggiare il terrorismo”. Per questi fatti nessun poliziotto è mai stato condannato, la denuncia di Alberto Buonoconto (in seguito morto suicida) fu archiviata dall’allora PM Lucio Di Pietro che in seguito si renderà protagonista del caso Tortora, quella di Di Lenardo vide la immunità a Salvatore Genova divenuto onorevole grazie al PSDI (della “fermezza” ai tempi di Moro) e la prescrizione degli altri, Cesare Di Lenardo si trova tuttora in carcere dal 1982 senza mai avere usufruito di un giorno di permesso. Oscar Fioriolli, che ebbe a torturare anche nelle parti intime Elisabetta Arcangeli per diretta testimonianza del presente Genova, verrà nominato dal Questore Manganelli direttore della nuova scuola di addestramento della polizia in risposta alle mattenze di Genova Diaz e Bolzaneto.

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/26-gennaio-1982-verona/

Violenze Usa: le torture della Cia e un militare stupratore

La CIA non ti spia: ti tortura

E’ ora dispo­ni­bile al pub­blico un esau­stivo rap­porto, risul­tato di cin­que anni di inda­gine del Senato USA, sugli inter­ro­ga­tori segreti della CIA di “sospetti ter­ro­ri­sti”: esso fa un qua­dro deso­lante di un pro­gramma lan­ciato all’indomani degli attac­chi dell’11 Set­tem­bre 2001, descri­vendo i livelli di bru­ta­lità, diso­ne­stà e vio­lenza — del tutto arbi­trari — della CIA nel tor­tu­rare i prigionieri.

Waterbording (foto da E-mensile)
Water­bor­ding (foto da E-mensile)


La rela­zione della com­mis­sione intel­li­gence del Senato USA è dispo­ni­bile qui:

http:// ​www​.washing​ton​post​.com/​w​p​-​s​r​v​/​s​p​e​c​i​a​l​/​n​a​t​i​o​n​a ​l​/​c​i​a​-​i​n​t​e​r​r​o​g​a​t​i​o​n​-​r​e​p​o​r​t​/​d​o​c​u​m​e​nt/

Essa sostan­zia le accuse di cru­deltà ad un pro­gramma della CIA le cui tat­ti­che gravi sono state abbon­dan­te­mente docu­men­tate, rive­lando ad esem­pio i det­ta­gli della tec­nica del water­boar­ding (quasi-annegamento) cui ven­gono sot­to­po­sti i dete­nuti, i metodi di “rec­tal rehy­dra­tion” (intro­du­zione anale di acqua) e altre pro­ce­dure dolo­rose di tor­tura che non sono mai state appro­vate ufficialmente.

Un film-denuncia di Amne­sty Inter­na­tio­nal che espo­neva gli stessi fatti era d’altronde già dispo­ni­bile dal 2008: ma senza con­se­guenze pra­ti­che. Mi pare che il Senato USA caschi infatti un poco dalle nuvole: già nel 2008 George W. Bush aveva ammesso di essere a cono­scenza dell’utilizzo di que­ste pra­ti­che. «Lo abbiamo fatto per pro­teg­gere il popolo ame­ri­cano» ha spie­gato l’allora pre­si­dente Usa. Secondo Bush, lui stesso, il vice-presidente Dick Che­ney, l’allora con­si­gliere per la Sicu­rezza Nazio­nale Con­do­leeza Rice, l’ex segre­ta­rio di Stato Colin Powell, l’ex mini­stro della Difesa Donald Rum­sfeld ne erano ben a cono­scenza. Con­do­leeza Rice auto­rizzò la CIA a farlo, supe­rando la blanda oppo­si­zione del solo Colin Powell. 

Adesso, il Rap­porto del Senato USA docu­menta le tor­ture, ma insi­ste sul con­cetto che “Il Governo USA è stato ingan­nato dalla CIA”. Una buona manovra.

Infatti, il docu­mento di 528 pagine, cata­loga decine di casi in cui i fun­zio­nari della CIA avreb­bero ingan­nato i loro supe­riori alla Casa Bianca, i mem­bri del Con­gresso e tal­volta anche i loro col­le­ghi su come il pro­gramma di inter­ro­ga­tori è stato ese­guito. In un caso, una nota interna della CIA tra­smette istru­zioni della Casa Bianca di man­te­nere il segreto sul pro­gramma all’allora Segre­ta­rio di Stato Colin Powell, per la pre­oc­cu­pa­zione che avrebbe potuto “inquie­tarlo”, se fosse stato infor­mato su ciò che stava real­mente succedendo.

Una sin­tesi declas­si­fi­cata del lavoro della com­mis­sione rivela per la prima volta un elenco com­pleto di tutti i 119 pri­gio­nieri dete­nuti in custo­dia della CIA e indica che almeno 26 sono stati trat­te­nuti a causa di errori d’identità o di cat­tive infor­ma­zioni. Il docu­mento è la sin­tesi pub­blica da un più lungo stu­dio, ancora segreto, che supera le 6.000 pagine.

Il Dipar­ti­mento di Stato, nel frat­tempo, temendo l’indignazione mon­diale, ha fatto rive­dere le misure di sicu­rezza in amba­sciate e posta­zioni mili­tari Usa nel mondo.

In par­ti­co­lare, par­lando ad esem­pio per quanto riguarda la Marina Mili­tare USA in Ita­lia, nella basi di Augu­sta e Sigo­nella:
– I mari­nai USA non devono indos­sare l’uniforme fuori dalle Basi
e, incre­di­bile

– Si scon­si­gliano i turisti-militari ame­ri­cani a visi­tare aree turi­sti­che della Sici­lia, inclusi i par­chi natu­rali (per esem­pio, le sughe­rete? aggiunta del sot­to­scritto) e le zone molto popolate.

La misura di quasi-consegna-in-caserma potrà forse appa­rire esa­ge­rata. Pra­ti­ca­mente par­lando, però, met­ten­doci nei panni delle donne a Vicenza, forse può essere un bene.

http:// ​www​.fan​page​.it/​v​i​c​e​n​z​a​-​s​o​l​d​a​t​o​-​u​s​a​-​a​i​-​d​o​m​ i​c​i​l​i​a​r​i​-​p​e​r​-​s​t​u​p​r​o​-​e​v​a​d​e​-​e​-​t​e​n​t​a​-​d​i​ -​v​i​o​l​e​n​t​a​r​e​-​d​u​e​-​d​o​n​ne/

 

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/storia/la-cia-non-ti-spia-ti-tortura/

 

 

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Sul soldato Usa stupratore prendo anche questo articolo con altri dettagli tratto dal blog di Valentina Perniciaro:

Il soldato americano accusato di due stupri, tenta il 3° evadendo dalla caserma di Vicenza

9 dicembre 2014
Stiamo parlando, semplicemente, di uno stupratore seriale.
Uno che ha stuprato una minorenne lo scorso anno e che pochi mesi dopo ha stuprato una donna incinta di sei mesi che dopo lo stupro è stata anche pestata e che ha dato al mondo un bambino con gravi problemi neurologici, che ancora non è provato siano dovuti alla violenza subita ma…

Questo stupratore però, non è un semplice stupratore:
è un soldato americano assegnato alla base militare presente a Vicenza, contro il cui allargamento si è mobilitata l’Italia intera.
Immaginate fosse stato un migrante proveniente da qualunque altro paese, immaginate in quanti secondi l’avrebbero buttato in una cella, con prime pagine allarmate e xenofobe: in questo caso nessuna mobilitazione, nessun Salvini, nessuna caccia allo stupratore straniero, anzi.

Il fanciullo, che in dodici mesi ha collezionato due stupri e un violento pestaggio, è ai domiciliari all’interno della caserma Del Din (ex Dal Molin), domiciliari dai quali a quanto pare si scappa con molta facilità.
E’ di tre notti fa la sua fuga (ed è difficile immaginare che sia stata la prima, sinceramente): un po’ di cuscini dentro la brandina a simulare un corpo addormentato, una corda calata da una finestra e la via della libertà,
che per questa merda umana significa solo: STUPRARE.
E così ci ha riprovato, avvicinando una donna (anch’essa visibilmente incinta) in modo aggressivo chiedendo una prestazione sessuale e una volta vistosi rifiutare ha pensato bene di attraversare la strada, aggredire una seconda donna e poi colpirla al volto con un pugno: il tutto è stato filmato dalle telecamere di sorveglianza e una pattuglia della polizia è arrivata subito.
Davanti si è trovata Jerelle Lamarcus Gray, militare statunitense, ben noto alle forze dell’ordine vicentine: un ragazzo di 22 anni, uno stupratore seriale impunito che ancora non sa se avrà un processo qui in Italia, dove ha ripetutamente stuprato e pestato, o negli Stati Uniti, così come la maggiorparte dei soldati americani colpevoli di reati comuni in paesi terzi.

Lo stupro è un’arma di guerra, da sempre usata dai portatori di anfibi e fucili:
lo stupro fa parte della cultura militare, dell’occupazione dei territori, della dominazione.
Lo stupro di un soldato è manifesto di una cultura da distruggere “col ferro e col fuoco”:

Gettiamo a mare le basi americane!
Ogni stupro è un atto di guerra contro ognuna di noi, e prima o poi lo pagherete caro

Il prof. De Tormentis e la pratica della tortura in Italia

Diritto penale contLa rivista Diritto penale contemporaneo dedica un’articolo di commento alla sentenza della corte d’appello di Perugia che il 15 ottobre scorso ha riconosciuto, durante il giudizio di revisione della condanna per calunnia inflitta a Enrico Triaca per aver denunciato le torture subite dopo l’arresto nel maggio 1978, l’esistenza sul finire degli anni 70 e i primissimi anni 80 di un apparato statale della tortura messo in piedi per combattere le formazioni politiche rivoluzionarie che praticavano la lotta armata.
«Più che alla ricerca di verità giudiziarie – si spiega nel testo – questa sentenza deve piuttosto condurre ad essere meno perentori nel sostenere la tesi, così diffusa nel dibattito pubblico e storiografico, secondo cui il nostro ordinamento, a differenza di altri, ha sconfitto il terrorismo con le armi della democrazia e del diritto, senza rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali degli imputati e dei detenuti. In larga misura ciò è vero, ma è anche vero – e questa sentenza ce lo ricorda quasi brutalmente – che anche nel nostro Paese si è fatto non sporadicamente ricorso a strumenti indegni di un sistema democratico: è bene ricordarlo, per evitare giudizi troppo facilmente compiaciuti su un periodo così drammatico della nostra storia recente, e sentenze come quella di Perugia ci aiutano a non perdere la memoria».

Ipse dixit

Sandro Pertini, presidente della Repubblica ex partigiano (ma proprio ex) non eravamo il Cile di Pinochet:
«In Italia abbiamo sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi»

Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, al Clarin, giornale argentino:
«
L’Italia è un Paese democratico che poteva permettersi il lusso di perdere Moro non di introdurre la tortura»

Domenico Sica, magistrato pm, in una intervista apparsa su Repubblica del 15 marzo 1982:
«Le denunce contro le violenze subite dagli arrestati fanno parte di una campagna orchestrata dai terroristi per denigrare le forze dell’ordine dopo i recenti clamorosi successi ottenuti»

Armando Spataro, magistrato pm, su Paese sera del 19 marzo 1982 in polemica con il capitano di Ps Ambrosini e l’appuntato Trifirò che avevano denunciato le torture praticate nella caserma di Padova:
«Un conto è la concitazione di un arresto, un conto è la tortura. In una operazione di polizia non si possono usare metodi da salotto. La tortura invece è un’altra»

Giancarlo Caselli e Armando Spataro, magistrati e pm, nel libro degli anni di piombo, Rizzoli 2010:
«Nel pieno rispetto delle regole, i magistrati italiani fronteggiarono la criminalità terroristica, ricercando elevata specializzazione professionale e ideando il lavoro di gruppo tra gli uffici (il coordinamento dei 36) […] La polizia doveva, anche allora, mettere a disposizione della magistratura gli arrestati nella flagranza del reato o i fermati entro 48 ore e non poteva interrogarli a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti….»

 

www.penalecontemporaneo.it 4 Aprile 2014
Corte d’appello di Perugia, 15 ottobre 2013, Pres. Est. Ricciarelli [Luca Masera]1.In un recente articolo di Andrea Pugiotto dedicato al tema della mancanza nel nostro ordinamento del reato di tortura (Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in questa Rivista, 27 febbraio 2014), l’autore prende in esame gli argomenti utilizzati più di frequente da chi intenda negare rilevanza al problema, e nel paragrafo dedicato all’argomento per cui la questione “non ci riguarda”, elenca una serie di casi di tortura accertati in sede giudiziaria. La sentenza della Corte d’appello di Perugia qui disponibile in allegato aggiunge a questo terribile elenco un nuovo episodio, riconducibile peraltro al medesimo pubblico ufficiale già autore di un fatto di tortura citato nel lavoro di Pugiotto.2. In sintesi la vicenda oggetto della decisione.Nel maggio 1978 Enrico Triaca viene arrestato nell’ambito delle indagini per il sequestro e l’uccisione dell’on Moro, in quanto sospettato di essere un fiancheggiatore delle Brigate Rosse. Nel corso di un interrogatorio di polizia svoltosi il 17 maggio, il Triaca riferisce di aver aiutato un membro dell’organizzazione a trovare la sede per una tipografia clandestina, e di avere ricevuto dalla medesima persona la pistola, che era stata rinvenuta in sede di perquisizione; il giorno successivo, sempre interrogato dalla polizia, indica altresì il nominativo di alcuni appartenenti all’organizzazione. Le dichiarazioni rese all’autorità di polizia vengono poi confermate al Giudice istruttore durante un interrogatorio svoltosi alla presenza del difensore. Il 19 giugno, nel corso di un nuovo interrogatorio, il Triaca ritratta quanto affermato in precedenza, affermando “di essere stato torturato e precisando che verso le 23.30 del 17 maggio era stato fatto salire su un furgone in cui si trovavano due uomini con casco e giubbotto, era stato bendato e fatto scendere dopo avere percorso sul furgone un certo tratto, infine era stato denudato e legato su un tavolo: a questo punto mentre qualcuno gli tappava il naso qualcun altro gli aveva versato in bocca acqua in cui era stata gettata una polverina dal sapore indecifrabile; contestualmente era stato incitato a parlare”. In seguito a queste dichiarazioni, il Triaca viene rinviato a giudizio per il delitto di calunnia presso il Tribunale di Roma, che perviene alla condanna senza dare seguito ad alcuno degli approfondimenti istruttori indicati dalla difesa; la sentenza viene poi confermata in sede di appello e di legittimità.La Corte d’appello di Perugia viene investita della vicenda in seguito all’istanza di revisione depositata dal Triaca nel dicembre 2012. La Corte afferma in primo luogo che “il giudizio di colpevolezza si fondò su argomenti logici, in assenza di qualsivoglia preciso elemento probatorio tale da far apparire impossibile che l’episodio si fosse realmente verificato. Tale premessa è necessaria per comprendere il significato del presente giudizio di revisione, volto ad introdurre per contro testimonianze, aventi la funzione di accreditare specificamente l’episodio della sottoposizione del Triaca allo speciale trattamento denominato waterboarding”. Nel giudizio di revisione vengono dunque assunte le testimonianze di un ex Commissario di Polizia (Salvatore Genova) e di due giornalisti (Matteo Indice e Nicola Rao) che avevano svolto inchieste su alcuni episodi di violenze su detenuti avvenute dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Ottanta (la vicenda più nota è quella relativa alle violenze commesse nell’ambito dell’indagine sul sequestro del generale Dozier nel gennaio 1982: è l’episodio cui viene fatto cenno nel lavoro del prof. Pugiotto, citato sopra) ad opera di un gruppo di poliziotti noto tra le forze dell’ordine come “i cinque dell’Ave Maria”, agli ordini del dirigente dell’Ucigos Nicola Ciocia, soprannominato “prof. De Tormentis”. Il Genova (che aveva personalmente assistito agli episodi relativi al caso Dozier) aveva organizzato, in due distinte occasioni, un incontro tra i suddetti giornalisti ed il Ciocia, il quale ad entrambi aveva riferito delle violenze commesse dal gruppo da lui diretto sul Triaca, che era stato il primo indagato per reati di terrorismo ad essere sottoposto alla pratica del waterboarding, in precedenza “sperimentata” su criminali comuni. Sulla base di queste convergenti testimonianze, e ritenendo che “la mancata escussione della fonte diretta non comporta inutilizzabilità di quella indiretta, peraltro costituente fonte diretta del fatto di per sé rilevante della personale rilevazione da parte del Ciocia”, la Corte conclude che “la pluralità delle fonti consente di ritenere provato che un soggetto, rispondente al nome di Nicola Ciocia, confermò di avere, quale funzionario dell’Ucigos al tempo del terrorismo, utilizzato più volte la pratica del waterboarding (…) la stessa pluralità delle fonti, sia pur – sotto tale profilo – indirette, consente inoltre di ritenere suffragato l’assunto fondamentale che a tale pratica fu sottoposto anche Enrico Triaca”. La sentenza di condanna per calunnia a carico del Triaca viene quindi revocata, e viene disposta la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per quanto di eventuale competenza a carico del Ciocia (la Corte ovviamente è consapevole del lunghissimo tempo trascorso dei fatti, ma reputa che “la prescrizione va comunque dichiarata e ad essa il Ciocia potrebbe anche rinunciare”).3. La sentenza in allegato rappresenta solo l’ultima conferma di quanto la tortura sia stata una pratica tutt’altro che sconosciuta alle nostre forze di polizia durante il periodo del terrorismo. La squadra di agenti comandata dal Ciocia ed “esperta” in waterboarding non agiva nell’ombra o all’insaputa dei superiori: a quanto riferito dal Genova, della cui attendibilità la Corte non mostra di aver motivo di dubitare, i metodi dei “cinque dell’Ave Maria” erano ben noti a quanti, nelle forze dell’ordine, si occupavano di terrorismo, ed addirittura la sentenza riferisce come, in un’intervista rilasciata dallo stesso Ciocia, egli riferisca che l’epiteto di “prof. De Tormentis” gli fosse stato attribuito dal vice Questore dell’epoca, Umberto Improta. Quando poi una delle vittime, come il Triaca, trovava il coraggio per denunciare quanto subito, le conseguenze sono quelle riportate nella sentenza allegata: condanna per calunnia, senza che Il Tribunale svolga alcuna indagine per accertare la falsità di quanto riferito.Il quadro che emerge dalla sentenza è insomma a tinte assai fosche. Negli anni Settanta-Ottanta, operava in Italia un gruppo di funzionari di polizia dedito a pratiche di tortura; e l’esistenza di questo gruppo era ben nota e tollerata all’interno delle forze dell’ordine, anche ai livelli più alti. La magistratura in alcuni casi ha saputo reagire a queste intollerabili forme di illegalità (esemplare è il processo, anch’esso citato nel lavoro di Pugiotto, celebrato presso il Tribunale di Padova nel 1983 in relazione proprio ai fatti relativi al caso Dozier), in altre occasioni, come quella oggetto della sentenza qui in esame, ha preferito voltarsi dall’altra parte, colpevolizzando le vittime della violenza per il fatto di avere voluto chiedere giustizia .La sentenza non riferisce fatti nuovi: le fonti su cui si basa la decisione sono le testimonianze di due giornalisti, che avevano pubblicato in libri ed articoli le vicende e le confessioni poste a fondamento della revisione. Fa comunque impressione vedere scritto in un provvedimento giudiziario, e non in un reportage giornalistico, che nelle nostre Questure si praticava la tortura; e fa ancora più impressione se si pensa che la metodica utilizzata, il famigerato waterboarding, è la medesima che in anni più recenti è stata utilizzata dai servizi segreti americani per “interrogare” i sospetti terroristi di matrice islamista: passano gli anni, ma la tortura e le sue tecniche non passano di moda.Ormai sono trascorsi decenni dalle condotte del prof. De Tormentis e della sua squadra, ed al di là del dato formale – posto in luce dalla Corte perugina – che la prescrizione è rinunciabile, davvero non ci pare abbia molto senso immaginare la riapertura di inchieste penali volte a concludersi invariabilmente con una dichiarazione di estinzione del reato, per prescrizione o per morte del reo, considerato il lunghissimo tempo trascorso dai fatti. Più che alla ricerca di verità giudiziarie, la sentenza qui allegata deve piuttosto condurre ad essere meno perentori nel sostenere la tesi, così diffusa nel dibattito pubblico e storiografico, secondo cui il nostro ordinamento, a differenza di altri, ha sconfitto il terrorismo con le armi della democrazia e del diritto, senza rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali degli imputati e dei detenuti. In larga misura ciò è vero, ma è anche vero – e questa sentenza ce lo ricorda quasi brutalmente – che anche nel nostro Paese si è fatto non sporadicamente ricorso a strumenti indegni di un sistema democratico: è bene ricordarlo, per evitare giudizi troppo facilmente compiaciuti su un periodo così drammatico della nostra storia recente, e sentenze come quella di Perugia ci aiutano a non perdere la memoria.

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Le torture contro i militanti della lotta armata
Gli anni spezzati dalla tortura di Stato

 

 

 

 

Fonte:

http://insorgenze.wordpress.com/2014/04/09/il-prof-de-tormentis-e-la-pratica-del-waterboarding-in-italia/

 

LE TORTURE DEI MILITARI ITALIANI A NASSIRIYA

Feci e urine sui prigionieri, mutilazioni, elettricità ai genitali, waterboarding (simulazione di annegamento). Queste sarebbero le prassi che i nostri connazionali in divisa avrebbero portato avanti in Iraq (e non solo) durante le varie missioni di pace. Anzi, durante le “missioni di pace”. L’ultima puntata de Le Iene ha portato alla luce le testimonianze (una delle quali raccontata a viso scoperto) di un ex militare e di un “esecutore” – come vengono chiamati nell’ambiente i militari selezionati per interrogare i prigionieri sospettati di essere terroristi – i cui dettagli raccapriccianti squarciano il velo di omertà costruito sulla nostra presenza militare in ambiti internazionali.

QUI LE DUE TESTIMONIANZE VIDEO

 

Fonte:

http://frontierenews.it/2014/04/le-torture-dei-militari-italiani-a-nassiriya/