Il difficile dibattito in Italia per un linguaggio inclusivo

di Alessandra Vescio

Il 25 luglio scorso, il giornalista Mattia Feltri ha dedicato la sua rubrica “Buongiorno” sul quotidiano La Stampa al tema dell’asterisco e dello schwa [ndr, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale], soluzioni di cui da anni si discute negli studi di genere e in linguistica nell’ottica di creare un linguaggio inclusivo. Sarcasticamente intitolato “Allarmi siam fascistə”, nel suo pezzo Feltri ha schernito le proposte, considerandole di difficile applicazione, uso e pronuncia, e ha attribuito la soluzione dello schwa a “un’accademica della Crusca” che ne avrebbe – a suo dire – parlato su Facebook.

Pochi giorni dopo, il Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini ha inviato una lettera di risposta al direttore de La Stampa Massimo Giannini per fare alcune precisazioni: “La notizia che un’accademica della Crusca si sarebbe pronunciata a favore dell’utilizzo dello schwa e dell’asterisco […] è falsa in tutti i sensi”, non solo perché “la persona con cui Mattia Feltri polemizzava non è affatto accademica della Crusca” e non lo è “da parecchio tempo”, ma anche perché “nessun accademico […] ha sostenuto quelle tesi”, anzi in più occasioni l’istituzione ha manifestato la stessa linea espressa da Feltri. Concludendo con “Ci riserviamo di difendere comunque nelle sedi opportune il buon nome dell’Accademia”, il presidente Marazzini ha dunque criticato l’operato del giornalista in particolar modo per aver associato l’istituzione a una (ex) collaboratrice e alle sue tesi, ma ha anche fatto emergere una certa affinità con Feltri e non soltanto per le posizioni sulle questioni linguistiche. Com’è stato infatti fatto notare dalla scrittrice Carolina Capria e dalla giornalista e autrice Loredana Lipperini, né il Presidente dell’Accademia della Crusca né Mattia Feltri hanno fatto il nome della donna di cui stavano parlando, mostrando così non solo la volontà di dissociarsi da lei e dai temi di cui si occupa, ma anche di svilirne il lavoro e la dignità personale e professionale. Una posizione che l’Accademia ha ribadito anche in un post successivo, pubblicato il 3 agosto, in cui il Presidente Marazzini ha parlato di “disinvolta leggerezza” con cui La Stampa ha attribuito la qualifica di accademica a “persona che non aveva nessun diritto a tale titolo”.

Chi è del settore o conosce l’ambiente, ha capito presto che Marazzini e Feltri stavano parlando di Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e docente universitaria, che – come ha tenuto a precisare nuovamente l’Accademia in un post con scopo di chiarimento – ha interrotto la collaborazione con l’istituzione nel 2019. Gheno, autrice di numerosi saggi di linguistica e comunicazione tra cui “Potere alle parole” e “Femminili singolari”, da tempo studia alcuni fenomeni linguistici molto dibattuti come il superamento del binarismo di genere e del maschile sovraesteso nella lingua italiana.

Il maschile sovraesteso

L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso, detto anche generalizzato: basta che un solo uomo sia presente in un gruppo numeroso, infatti, per declinare il plurale al maschile.

L’Enciclopedia Treccani, in un approfondimento sul rapporto tra genere e lingua, spiega i modi diversi con cui il maschile sovraesteso si applica nella lingua italiana: con il ricorso a termini maschili che indicano gruppi composti da uomini e donne (“i politici italiani”, per indicare donne e uomini in politica); con quella che viene definita “servitù grammaticale”, ovvero l’accordo al maschile in presenza di parole maschili e femminili (“bambini e bambine erano tutti stretti ai loro genitori”) o tramite l’utilizzo di espressioni fisse al maschile che possono però anche riferirsi alle donne (“i diritti dell’uomo”, per indicare “i diritti umani”). “Ancora più particolare”, prosegue Treccani, “è l’uso di termini, professionali e no, al maschile, quando il referente, noto e specifico, è donna”.

Dei nomina agentis (o nomi professionali) al femminile si discute in Italia da molto tempo: ne hanno parlato ad esempio Alma Sabatini, nel suo saggio “Il sessismo nella lingua italiana” nel 1987, e Cecilia Robustelli, nelle “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”, sottolineando la validità linguistica e l’importanza politica di declinare al femminile le professioni svolte da una donna. In uno dei suoi ultimi lavori, anche Vera Gheno ha mostrato come da un punto di vista linguistico l’italiano ammetta e preveda la formazione dei femminili. Le forzature e le stonature che alcune persone dichiarano di percepire quando si declinano certi termini al femminile, perciò, non possono essere ricondotte a motivazioni grammaticali e morfologiche quanto a una questione di abitudine o a un fatto socio-culturale, per cui il ricorso al femminile – stereotipicamente considerato come più debole rispetto al maschile – porta a immaginare uno svilimento della carica o del ruolo professionale.

Se la lingua evolve, però, è perché la società in cui viviamo sta cambiando: fino a non molto tempo fa, infatti, la presenza delle donne era limitata in alcuni settori e posizioni lavorative, per cui la necessità di declinare i nomi delle professioni in maniera corretta non era così ampiamente diffusa. Oggi che invece ci sono molte più avvocate, ministre, sindache, assessore, chiamarle con il loro nome diventa un’affermazione di esistenza, oltre che un’operazione linguisticamente esatta.

Come fa notare poi Gheno nel suo lungo e articolato post di risposta al “Buongiorno” di Feltri, il maschile sovraesteso viene spesso confuso con il genere neutro, che però in italiano non esiste: la nostra lingua infatti, come si è detto, comprende solo due generi, il maschile e il femminile, motivo per cui si parla anche di binarismo linguistico.

Il binarismo di genere e il rapporto con la lingua

Il binarismo di genere è un concetto che deriva dai gender studies e riconosce l’esistenza di due sole categorie, uomo e donna, a cui sono associati ruoli e caratteri specifici: all’uomo corrisponde tutto ciò che nell’immaginario comune è considerato maschile, alla donna tutto ciò che è definito come stereotipicamente femminile.

Il binarismo di genere non ammette, dunque, l’esistenza di identità di genere altre rispetto a quelle di uomo e donna, rinnega la distinzione tra sesso e genere e si basa su preconcetti che ci portano a definire per esempio la forza e l’autorevolezza come tratti tipicamente maschili e la sensibilità e la predisposizione alla cura come caratteristiche femminili. Il sesso e il genere invece sono ormai anche a livello istituzionale concepiti come entità separate: il sesso è l’insieme di caratteristiche fisiche, biologiche e anatomiche che caratterizzano un individuo mentre il genere è un costrutto sociale, che cambia nel tempo e nello spazio, e riguarda i comportamenti che la società attribuisce a un determinato sesso (ovvero il ruolo di genere), ma anche la percezione che ciascuno ha di sé (l’identità di genere). Il superamento del binarismo implica la concezione del genere non più come una classificazione fatta da due soli elementi, bensì come uno spettro di più possibilità. Coloro che non si identificano nelle categorie uomo-donna, ad esempio, possono riconoscersi come persone non binarie. Anche le persone transgender, ovvero coloro che hanno un’identità di genere diversa rispetto al sesso assegnato alla nascita, possono non rivedersi nel binarismo; e lo stesso vale per le persone intersex, ovvero chi nasce con caratteristiche cromosomiche, anatomiche e/o ormonali che non possono essere definite rigidamente come maschili o femminili.

Negli studi di genere e in certi ambiti della linguistica, ci si sta dunque interrogando su come costruire un linguaggio inclusivo che tenga conto di tutte le soggettività.

Le proposte per un linguaggio inclusivo

Nel saggio “Femminili singolari”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice effequ, l’autrice Vera Gheno propone – a suo stesso dire, in modo scherzoso – l’introduzione dello schwa, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale. Per fare un esempio, nella frase “Buonasera a tutti” rivolta a un gruppo misto di persone, si potrebbe sostituire il maschile sovraesteso espresso dalla desinenza “-i” con lo schwa e dire dunque “Buonasera a tuttə”. La pronuncia corrisponde a un suono vocalico neutro, indistinto, già presente in molti dialetti del centro e sud Italia.

A prendere spunto da questa riflessione è stata proprio la casa editrice effequ in un’altra delle sue pubblicazioni. In “Il contrario della solitudine”, scritto dall’autrice brasiliana Marcia Tiburi e tradotto da Eloisa Del Giudice, effequ ha infatti introdotto lo schwa in riferimento a una moltitudine mista. Nel testo originale Tiburi ha adottato una delle soluzioni più utilizzate dai movimenti femministi e dalla comunità LGBTQIA+ di lingua spagnola, ovvero sostituire la desinenza maschile “-o” e quella femminile “-a” con una neutra “-e”, scrivendo per esempio “todes” al posto di “todos”. Per mantenere la neutralità del linguaggio e rispettare la scelta politica dell’autrice, effequ ha perciò deciso di tradurre “todes” con “tuttə”.

Per quanto al momento lo schwa appaia come la soluzione più praticabile poiché si tratta di un fonema neutro, già esistente e applicabile, presenta anch’esso dei limiti. Come spiega infatti proprio Gheno in un articolo uscito su La Falla, magazine del Cassero LGBT Center di Bologna, lo schwa “non compare al momento sulle tastiere di cellulari o computer”, ma solo nella sezione dei simboli e caratteri speciali dei programmi di scrittura: conseguenza di ciò è che scrivere un testo con lo schwa può risultare piuttosto macchinoso. Inoltre, essendo un suono presente solo in alcuni dialetti dell’Italia meridionale, può risultare difficile da comprendere e pronunciare per coloro che non conoscono e non parlano quei dialetti. Per provare a far fronte a queste difficoltà, è nata “Italiano inclusivo”, una piattaforma che ha lo scopo di promuovere l’introduzione dello schwa e superare il binarismo linguistico. “Italiano inclusivo” infatti offre diversi strumenti utili per conoscere, scrivere e pronunciare il fonema.

Nel frattempo, molte altre sono le proposte di cui si discute nell’ambito degli studi di genere, come l’asterisco o la vocale “-u” (che però in alcuni dialetti italiani indica il maschile). In una nota introduttiva al suo saggio “Post porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali” (Eris Edizioni), ad esempio, l’autrice Valentine Wolf chiarisce che, “in un’ottica di inclusività”, nel testo si è preferito non ricorrere al maschile generalizzato ma utilizzare l’asterisco e la desinenza “-u”. Proprio pochi giorni prima dell’uscita del “Buongiorno” di Feltri in cui si è parlato dello schwa, anche la condivisione di questa nota sui social ha generato una serie di reazioni polemiche e sprezzanti.

Il linguaggio inclusivo negli altri paesi

Mentre l’Accademia della Crusca ha manifestato ritrosia nei confronti della presa in considerazione di soluzioni inclusive, in molti altri paesi il tema dell’inclusività e il rispetto delle soggettività sono centrali anche da un punto di vista linguistico. Nel 2019 il celebre vocabolario statunitense Merriam-Webster ha scelto il pronome “They” come parola dell’anno. Nella lingua inglese infatti si sta sempre più diffondendo l’uso di “they” e “them” come pronomi singolari, per riferirsi alle persone non binarie e che dunque non si riconoscono nei pronomi “he/him” (lui), “she/her” (lei).

In Svezia, invece, nel 2015 l’Accademia che ogni dieci anni aggiorna il dizionario ufficiale della lingua, ha introdotto il pronome neutro “hen”, da utilizzare in relazione a persone che non si identificano nel pronome maschile (“han”) o femminile (“hon”) o laddove non si voglia fare riferimento al genere di qualcuno. Per quanto riguarda la Germania, dove il dibattito è da tempo molto acceso, il ministero della Giustizia ha di recente invitato gli uffici pubblici a utilizzare un linguaggio neutro nelle comunicazioni ufficiali. E ancora, nello spagnolo, oltre alla già citata desinenza “-e”, si sta diffondendo l’uso del simbolo “-@” e della lettera “-x” per sostituire il maschile generalizzato.    

Una nuova esigenza sociale

Ogni scelta linguistica è una scelta politica”, ha scritto la giornalista Jennifer Guerra nel suo saggio femminista “Il corpo elettrico” (edizioni Tlon). In una vera e propria “Nota alla traduzione”, infatti, l’autrice parla della necessità di un continuo confronto che durante la stesura del libro, proprio come fa di solito chi traduce un testo, ha dovuto mettere in atto con il linguaggio e con le parole, affinché la complessità potesse essere raccontata al meglio.

Di complessità ha parlato anche la stessa Vera Gheno nel suo intervento a “Prendiamola con filosofia”, evento organizzato dall’Associazione Tlon il 23 luglio scorso. “Saper vivere la complessità del presente”, infatti, è una delle competenze che la linguista definisce essenziali per essere pienamente cittadini, da aggiungere a “saper leggere, scrivere e far di conto”, menzionate da Don Milani. Saper vivere la complessità del presente vuol dire, secondo la studiosa, anche riconoscere il cambiamento e provare curiosità nei suoi confronti, anziché rifiutarlo a priori. Proprio le discussioni attorno allo schwa, continua Gheno, testimoniano che qualcosa attorno a noi si sta muovendo: “C’è una nuova esigenza sociale alla quale la lingua sta cercando di stare dietro”, ha detto la studiosa, e ha aggiunto che se una lingua viva continua a creare parole nuove è perché “la realtà continua a cambiare”.

Immagine in anteprima via breezy.hr

 

Fonte:

https://www.valigiablu.it/linguaggio-inclusivo-dibattito/

 

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ASPETTANDO IL REGGIO CALABRIA PRIDE 2019

In attesa del Reggio Calabria Pride 2019 (https://www.facebook.com/events/364214037845974/), organizzato da Arcigay I Due Mari Reggio Calabria e Agedo Reggio Calabria (Associazione genitori di persone lgbt), potete trovare eventi, patrocini e informazioni sulla pagina Facebook ufficiale https://www.facebook.com/reggiocalabriapride/

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Riporto qui il manifesto politico del Reggio Calabria Pride presentato in conferenza stampa lo scorso 18 maggio. #WAITINGFORPRIDE 🏳️‍🌈 #27luglio

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Fonte:

https://www.facebook.com/pg/reggiocalabriapride/photos/?tab=album&album_id=1735655643236014&__xts__%5B0%5D=68.ARBmYwMWUsMSpVrQlJOiJsqyffnVmRqtTioKbtkkqIWrN-9IrpfVnbLx17jaHENyIF_KJjh7UW0tzriecHQZB035uQQBmrrANF5o7dCe7EhOWrb_nzXN5JMEaDGCt-gTQBztBZpC7dMguq81TVi4ZsIFA_hf_uz4DIXkaIzYRiybkdj4zLhiz2CKe7bjiUW3s2TQmAEqGMbpao89RgM_kv5k4lW5ZjHq9TARnpZDauVp8IK8pkSrAVC0Atb6UEs_nWjhBMoPW3Mk4TZTwG8UED79A5eqFZkumrFA9aCP4mkqZVWSW1wJtPlWgyyxwu12CuvlQQ1hV9KR9LG91N-PZhKWosVb&__tn__=-UC-R

Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Lo denuncia il rapporto “Primo, non ferire” che ha raccolto testimonianze di 16 persone intersessuali in Germania e Danimarca. Diritti umani e salute a rischio

Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Il rapporto “Primo, non ferire rilasciato qualche giorno fa da Amnesty International si basa su uno studio della realtà medica di Germania e Danimarca e sulle testimonianze di 16 persone intersessuali e 8 genitori di persone intersessuali raccolte nei due Paesi.

Fino 5 interventi non urgenti, invasivi e traumatici nel primo anno di vita

Secondo quanto documentato e denunciato dal rapporto, i bambini nati con caratteristiche sessuali che non corrispondono alle norme o alle aspettative maschili e femminili rischiano di essere sottoposti a una serie di procedure mediche e chirurgiche non necessarie, invasive e traumatiche – fino a cinque nel corso solo del primo anno di vita – in violazione dei loro diritti umani. Si tratta di interventi assolutamente non urgenti e spesso irreversibili con conseguenze a lungo termine sulla salute psicofisica e sul benessere delle persone che vi sono sottoposte, senza poter esprimere alcun parere o consenso, per la sola ragione di non corrispondere agli obsoleti stereotipi di genere.

Procedure di ‘normalizzazione’ solo per via degli stereotipi

«Queste cosiddette procedure di ‘normalizzazione’ vengono condotte senza la completa conoscenza degli effetti potenzialmente dannosi a lungo termine che producono sui bambini», ha dichiarato Laura Carter, ricercatrice di Amnesty International sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

«Stiamo parlando di incisioni che vengono fatte su tessuti sensibili, con conseguenze per tutta la vita, tutto a causa degli stereotipi su ciò a cui un ragazzo o una ragazza dovrebbe assomigliare. La domanda è a chi giova, perché la nostra ricerca mostra che si tratta di esperienze incredibilmente tristi».

Un rischio che cade su una percentuale di popolazione stimata a livello globale intorno all1’7%. Come quella delle persone coi capelli rossi.

Interventi chirurgici con danni permanenti e irreversibili

Sulla base delle interviste alle persone intersessuali, alle loro famiglie e ai medici professionisti in Danimarca e Germania, Amnesty ha raccolto le prove che bambini nati con variazioni delle caratteristiche sessuali sono sottoposti, spesso nei primissimi anni di vita, a procedure quali la riduzione della “clitoride allargata, con danni sensoriali, cicatrici e dolori, la vaginoplatica o chirurgia vaginale, per creare o ampliare un’apertura vaginale, la gonadectomia, con la rimozione delle gonadi, inclusi tessuti ovarici e testicolari che comporta la necessità di trattamenti ormonali a vita e l’impossibilità di concepire figli, e ad operazioni di riparazione di ipospadia per riposizionare l’uretra all’apice del pene e creare un pene funzionale considerato esteticamente normale, al prezzo di complicazioni permanenti.

La testimonianza, medici incapaci di pensare fuori dallo schema binario ‘maschio’ – ‘femmina’

Sandrao, persona intersessuale che vive in Germania, racconta di come solo due anni fa, a oltre trent’anni, abbia scoperto di aver subito l’asportazione dei testicoli a 5 anni e di aver rimosso completamente i suoi primi 11 anni di vita. «Ho avuto altre operazioni, chirurgia genitale. Non so se avevo una vagina alla nascita o è stata ricostruita. La mia uretra è in una posizione diversa, Ho visto un ginecologo nel 2014 e ha trovato un sacco di cicatrici» – Racconta – «Sapevo di essere differente, pensavo di essere una sorta di mostro, ero incapace di sviluppare un’identità di genere. Ero spinto verso il ruolo femminile, dovevo indossare camicette, avevo capelli lunghi. Era doloroso avere rapporti sessuali con gli uomini e pensavo che fosse normale».

Una condizione che nessuno gli aveva spiegato finché non decide di approfondirla: «Ho preso parte a uno studio e hanno trovato un “disordine genetico”. Ma non mi piace questa parola. Io ho una variazione». Una cosa però appare certa: «I medici non danno abbastanza informazioni ai genitori. Penso che la professione medica pensa solo al sistema binario di genere. Anziché dire che “tuo figlio è normale, e crescerà in salute”, loro dicono che c’è “qualcosa di sbagliato che può essere corretto con la chirurgia”».

Impressione confermata, a Sandrao, anche dai primi colloqui avuti con i sanitari: «Ho visto un endocrinologo. Quando l’ho incontrato la prima volta mi ha detto che dovevo decidere se essere maschio o femmina. Erano incapaci di pensare fuori dallo schema. Ma ora ha cambiato opinione. Questo è quel che mi dà il potere e la forza di combattere».

Violati diritti umani dei bambini

Un’esperienza questa che riassume il percorso di molte persone intersessuali, medicalizzate sulla semplice base di stereotipi e pregiudizi sin dai primi mesi di vita, poco o male informate da medici e familiari, costrette a subire per tutta la vita le conseguenze di scelte consumatesi sulla loro testa.

«Quando penso a quello che è accaduto, sono sconvolto, perché non si trattava di qualcosa che spettava ad altri decidere – si sarebbe potuto aspettare», ha detto H. dalla Danimarca.

Amnesty International ritiene che l’attuale approccio al trattamento dei bambini intersessuali in Danimarca e Germania non protegge i loro diritti umani, compresi quelli alla riservatezza e al più alto livello di salute raggiungibile.

Anche gli esperti delle Nazioni Unite hanno esplicitamente condannato tali pratiche, classificando interventi chirurgici inutili in bambini intersessuati come pratiche nocive e in violazione dei diritti del bambino.

Fonte:

http://www.prideonline.it/2017/05/15/amnesty-international-bambini-intersessuali-sottoposti-interventi-non-necessari/

 

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Disabili, Onu all’Italia: “Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali”

Disabili, Onu all’Italia: “Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali”

 

Il rapporto delle Nazioni Unite sottolinea che il minore con disabilità ha diritto di scegliere la propria identità di genere. Per questo il Comitato ha manifestato la propria preoccupazione per i piccoli che subiscono questi trattamenti senza il proprio consenso libero e informato. Vengono anche segnalati vuoti normativi e punti da migliorare che vanno dalla salute all’educazione, dall’accessibilità all’inserimento lavorativo
Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali che rischiano di compromettere la loro autodeterminazione e integrità fisica. Il monito arriva all’Italia dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che ha il compito di monitorare l’applicazione della Convenzione Onu sui diritti dei disabili a sette anni e mezzo dalla ratifica italiana del trattato. Il rapporto conclusivo pubblicato a inizio settembre e redatto dopo un confronto con il governo, restituisce il ritratto di un Paese che deve fare ancora molti passi in avanti per garantire diritti e integrazione alle persone diversamente abili. Il Comitato segnala mancanze e lacune, vuoti normativi e punti da migliorare che vanno dalla salute all’educazione e all’accessibilità, e tra questi una delle preoccupazioni è rivolta proprio ai bambini intersex, che non sono definibili esclusivamente come maschio o femmina.

Solitamente il problema è risolto con cure ormonali o interventi chirurgici irreversibili, che così però privano il bambino del diritto di scegliere la propria identità sessuale. Per questo il Comitato ha manifestato la propria preoccupazione per i minorenni che subiscono questi trattamenti senza il proprio consenso libero e informato, raccomandando l’Italia di vietare che i bambini vengano sottoposti “a trattamenti medici o chirurgici se questi non sono basati su documentazione scientifica”, garantendo invece la loro integrità fisica, l’autonomia e l’autodeterminazione, e fornendo un’adeguata consulenza e supporto alle famiglie con figli intersex. Ma la questione è solo una delle tante sottolineate nel rapporto, che menziona anche in positivo la collaborazione e il dialogo aperto con l’Italia, ricordando le misure adottate contro la violenza sulle donne e quella domestica.

Mancanza di organi consultivi  Molte di più però sono i “punti di demerito” e tra questi c’è la definizione stessa di disabile adottata in Italia, che varia da settore a settore, da regione a regione, “portando a disparità nell’accesso dei diritti”. Il Comitato esprime preoccupazione anche perché le persone disabili non vengono consultate su temi che le coinvolgono, e per il fatto che “l’Osservatorio nazionale sulle persone con disabilità non è un corpo consultivo permanente”. Perciò invita l’Italia a costituirne uno formato da rappresentanti diversamente abili che possano dare il proprio contributo allo sviluppo di leggi, programmi e politiche per l’integrazione.

Donne, bambini, migranti e detenuti con disabilità – All’Italia manca anche l’adozione di un’adeguata normativa, con tanto di sanzioni e provvedimenti, contro le discriminazioni di ogni genere. Per quanto riguarda le donne e i bambini con disabilità, sono richieste più attenzione e la consultazione dei rispettivi organi rappresentativi, oltre che una normativa contro la violenza fuori e all’interno delle mura domestiche. Per i minorenni in particolare, il Comitato sottolinea poi come in Italia il sistema di monitoraggio per la fascia di età dagli 0 ai 5 anni sia insufficiente ad analizzare il problema e si chiede inoltre, in generale, di realizzare campagne per la promozione delle capacità delle persone disabili e divulgare il loro esempio positivo contro gli stereotipi. L’Onu invita anche lo stato a dare un supporto alle famiglie che devono occuparsi a tempo pieno dei propri figli o famigliari disabili. Attenzione anche ai detenuti con disabilità, per i quali si chiedono alloggi adeguati e pari accesso ai servizi dei normodotati. Si invita inoltre l’Italia ad applicare le regole di un giusto processo anche alle persone con disabilità intellettive o psicosociali, e si chiede un report sulla situazione delle strutture psichiatriche o residenze per persone disabili. Anche per i migranti e i rifugiati con disabilità sono richieste misure adeguate affinché riescano ad accedere ai servizi al pari delle altre, e perché sia dato loro un supporto.

Accessibilità – Altra questione affrontata nel rapporto è quella dell’accessibilità, per cui si chiede di rafforzare il monitoraggio e gli interventi per rendere accessibili servizi d’emergenza, edifici e trasporti pubblici, ma anche parchi e aree verdi. In particolare poi, nel settore pubblico, compreso quello educativo, si suggerisce un piano di intervento che preveda guide, lettori e interpreti del linguaggio dei segni per rendere più accessibile la comunicazione negli enti statali. Le criticità sull’accessibilità però riguardano anche il settore giustizia, per cui il Comitato chiede al governo italiano, oltre a uno sforzo sulla comunicazione, la formazione di personale esperto sul diritto di tutte le persone disabili alla famiglia e al matrimonio, affinché possano avere gli stessi diritti senza discriminazioni. L’accessibilità infine riguarda anche il sistema di comunicazione e apprendimento, per cui è richiesto un maggiore sforzo per l’insegnamento del linguaggio Braille a tutte le persone non vedenti e la diffusione più capillare del linguaggio dei segni.

Indipendenza abitativa e integrazione nella comunità – Altre raccomandazioni riguardano l’indipendenza abitativa e l’integrazione nella società delle persone disabili. Secondo il Comitato l’Italia fa ancora troppo poco per promuovere l’indipendenza abitativa e spesso i fondi destinati alle istituzioni per la riabilitazione non vengono distribuiti ai servizi che potrebbero invece favorire l’emancipazione.

Educazione – Un capitolo a parte è rappresentato dall’educazione: secondo l’Onu in Italia non si fa abbastanza per monitorare e garantire la qualità dell’insegnamento e l’inclusione degli studenti disabili nelle scuole. Per questo al governo si raccomanda un piano con sufficienti risorse e una tabella di lavoro con degli obiettivi precisi per l’accompagnamento e il supporto degli alunni con disabilità, che preveda personale qualificato nel linguaggio dei segni dove richiesto e materiale di studio adeguato a garantire il loro apprendimento.

Lavoro e partecipazione alla vita pubblica – Grande preoccupazione è stata espressa dal Comitato Onu per “gli alti livelli di disoccupazione” dei disabili e le mancate iniziative per l’inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne con disabilità. Anche in questo caso, il governo è stato invitato ad assicurare loro un lavoro con adeguato stipendio e a rimuovere gli ostacoli al raggiungimento dell’occupazione. Inoltre secondo il rapporto l’Italia non offrirebbe adeguati strumenti alle persone con disabilità mentale per esercitare il proprio diritto di voto, e proprio per questo chiede al governo di adottare misure che permettano di esercitare il diritto di voto anche a loro.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/11/disabili-onu-allitalia-stop-alle-mutilazioni-genitali-e-ai-trattamenti-medici-sui-bambini-intersessuali/3023340/

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#IoDecido di chiedervi: da che parte state? occupato Ordine dei medici a Roma

March 4th, 2014

4 marzo: occupata la sede dell’Ordine dei medici dalla rete cittadina #iodecido, contro l’obiezione di coscienza, per la libertà di scelta di tutte e tutti,  per l’autodeterminazione dei corpi.

COMUNICATO:

Dopo aver manifestato il primo febbraio a fianco delle donne spagnole contro l’attacco alla legge sull’aborto del ministro Gallardon, abbiamo deciso di ripartire ancora dall’Italia e da noi.  Nel Bel Paese la situazione è altrettanto drammatica: il diritto alla salute e la libertà di scelta sono ogni giorno messi in discussione dentro gli ospedali pubblici e i consultori. Questo avviene a causa dei tagli sempre più indiscriminati alla sanità e per lo svuotamento della legge194, esautorata di ogni valore per l’altissimo numero di medici obiettori (nel Lazio sono circa il 90%). Non è un mistero che l’obiezione di coscienza sia il passepartout verso lo scatto di carriera e quei pochi medici che,invece, praticano ancora l’aborto rimangono spesso isolati dalle stesse istituzioni mediche. Nelle sale parto le donne sono sottoposte ad abusi e violenze ostetriche, fisiche e psicologiche, ad interventi medici non necessari e non acconsentiti, spesso in contrasto con le evidenze scientifiche e quindi dannosi per la loro salute. Altrettanto tragica è la situazione quando si decide di intraprendere un percorso di transizione, che diventa un calvario fatto di ostacoli e umiliazioni. altra violenza agita sui bambini intersex a cui viene brutalmente assegnato un sesso con il ricorso ad operazioni chirurgiche irreversibili: si tratta dell’ennesimo attacco all’autodeterminazione.

Siamo perfettamente consapevoli della cultura cattolica che sostiene tutte queste pratiche e della tendenza al controllo dei corpi delle politiche europee e nazionali. 

Oggi siamo qui per denunciare tutto questo, ma siamo qui anche per chiedere a voi medici, operanti nel servizio pubblico, di prendere una posizione chiara in merito a questi punti:

accesso libero e gratuito all’aborto. per ogni donna, anche senza permesso di soggiorno in qualsiasi struttura sanitaria pubblica e in qualsiasi momento. Il medico che obbietta si rifiuta di erogare una prestazione sanitaria e quindi di compiere il suo dovere.

possibilita di scelta effettiva fra aborto chirurgico farmacologico (pillola ru486), in regime di day hospital 

* reperibilità h 24 in ogni territori del Levonorgestrel

* prescrizione in pronto soccorso del Levonorgestrel senza ticket e senza l’autorizzazione dei genitori per la dimissione delle minorenni

autonomia decisionale e partecipazione attiva di ogni donna a tutto il percorso nascita (gravidanza, parto, puerperio);

*rispetto delle evidenze scientifiche sul parto con riduzione degli interventi medici ai soli casi di effettiva urgenza e necessità e comunque previo consenso libero e informato della donna ( taglio cesareo, episiotomia, manovra di kristeller, induzione farmacologica, rottura artificiale delle membrane, etc..)

nessun* bambino deve subire interventi medico farmacologici non necessari o trattamenti chirurgici cosmetici su genitali sani solo perché “atipici”;

* depatologizzazione della condizione trans

riduzione delle liste di attesa e dei costi della perizia dei diversi servizi per la re-attribuzione chirurgica del sesso.

Dalla parte dei diritti o dei profitti?

rete cittadina #iodecido verso l’#8marzo

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Fonte:

http://cagnesciolte.noblogs.org/post/2014/03/04/iodecido-di-chiedervi-da-che-parte-state-occupato-ordine-dei-medici-a-roma/

Qui l’ultimo aggiornamento:

http://cagnesciolte.noblogs.org/post/2014/03/04/iodecido-comunicato-sullazione-di-oggi-allordine-dei-medici/