SIRIA, TORTURE QUOTIDIANE

agosto 4, 2014

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di Elena Calogiuri

Lo scorso 31 luglio un disertore dell’esercito regolare siriano detto “Caesar” si è presentato dinanzi alla Commissione degli Affari esteri a Capitol Hill, Washinghton, con lo scopo di denunciare i crimini compiuti dal governo siriano. L’ex soldato, che negli ultimi due anni ha lavorato in un ospedale militare, ha raccolto in questo periodo 55,000 foto dei civili, in vita e non, metodicamente torturati nelle carceri siriane. Tra questi ci sono bambini, donne, anziani e suoi stessi conoscenti e amici. “Sono stati lasciati morire di fame, sembravano scheletri” ha detto Caesar attraverso l’interprete Mouaz Mustafa del Syrian American Task Force, “In tutta la mia vita non ho mai visto corpi soggetti a simili atrocità eccetto quando vidi le foto delle vittime dell’Olocausto compiuto dai Nazisti.

Il disertore ha affermato che sino ad ora sono morti 11,000 civili a seguito di torture disumane e di privazioni di cibo e di acqua e che attualmente sono ancora 150,000 i civili rinchiusi nelle carceri del regime siriano. Appellandosi al Congresso e all’amministrazione di Obama ha chiesto loro di fare tutto il necessario per fermare questi crimini. A supportare Ceaser il più democratico della Commissione, il Rep. Eliot Engel che ha dichiarato, senza mezzi termini: “Questo sta avvenendo ora in Siria, mentre parliamo, e noi possiamo fare molto di più per fermarlo”.

Intanto, la Russia e la Cina, le maggiori potenze extra-mediorientali che sostengono il regime siriano, hanno ribadito il veto già espresso nel mese di maggio per impedire l’accusa del governo siriano alla Corte internazionale dei crimini contro l’umanità. Gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno così preso altre vie focalizzandosi sui Paesi che hanno la giurisdizione; ognuno di questi dovrebbe raccogliere le testimonianze di propri cittadini che potrebbero essere stati vittime o carnefici in Siria. Tra i 150,000 detenuti nelle carceri siriane ci sono anche importanti attivisti per i diritti umani, come la veterana Samira al Khalil impegnata a denunciare i soprusi del regime siriano da quando al potere c’era il padre dell’attuale dittatore: Hafez al Assad.

Di Samira, così come di Razan Zaitouneh, rapita il 10 dicembre 2013 con il marito e due suoi colleghi, Nazem Hammadi e Wael Hammadi, non si sa più nulla. Tenendo conto che gli attivisti siriani pubblicano assiduamente le morti dei detenuti nelle carceri del regime e che nulla è stato mai menzionato circa il decesso degli attivisti, rimane viva la speranza che questi possano presto godere della libertà, valore per cui stanno dando la vita. Fonti: The Wall Street Journal, Foreign Policy, The Washington Post

 

 

Tratto da:

http://caratteriliberi.eu/2014/08/04/mondo/siria-torture-quotidiane/

L’ ISIS, uno Stato senza Stato legittimato da Assad

giugno 30, 2014

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di Elena Calogiuri – inviata in Siria

Lunedì 16 giugno il regime siriano ha dato all’ISIS dodici ore di tempo per evacuare la città di Raqqa prima di iniziare a colpirla con raid aerei. Magnanimi, dato che per gli attacchi con barili esplosivi sulle zone libere del FSA non ha mai dato preannunci. Così martedì mattina ha lanciato quattro missili provocando la distruzione di varie zone ma nessun morto; sette i civili feriti, sempre loro a rimetterci, mentre l’ISIS aveva evacuato la zona già nella notte. I primi tentativi, volti a colpire la sede centrale, falliscono.

Poi un altro raid, questa è la volta buona che a venir distrutto è il quartier generale. Martedì 24 dei droni colpiscono l’ISIS alla frontiera siriana-iraqena; gira voce che siano americani o siriani. Kerry smentisce; ad aver colpito l’ISIS, una seconda volta, è il regime siriano. Mercoledì 25 giugno l’Esercito siriano colpisce ancora Raqqa, mirando però ai luoghi pubblici e non ai tribunali, né alle sedi amministrative degli estremisti. L’ambigua Syrian Observatory for Human Rights riporta 19 morti e molti feriti.

Apparentemente, per chi legge la notizia ora e per chi, da soli pochi giorni sa cosa significa la sigla ISIS perché, all’irrefrenabile corsa degli estremisti in Iraq è seguito il terrore degli occidentali sfogato sui media nazionali, non vi sarebbe nulla per cui scomporsi. Per chi, invece, segue la guerra siriana da tempo, sa che il governo siriano considera gli adepti dell’organizzazione criminale-terroristica quali mercenari da pagare per “liberare” la Siria dal FSA. Peccato che ai 5,500 stranieri occidentali e agli altri 5000 adepti dell’ISIS non importi nulla del motivo per cui lotta l’Esercito siriano regolare e che, la loro guerra, è spinta da ideali e obiettivi completamente differenti.

C’è quindi da sorprendersi se Assad, che sino a poche settimane fa si muoveva a braccetto con ISIS nella regione orientale di Deir ez Ezor (il regime a sud, gli estremisti a nord) ora decida di bombardare, simbolicamente, la roccaforte dell’ISIS. Che Assad se ne sia finalmente accorto del grave errore che ha commesso immettendo l’ISIS in Siria?

Il dittatore siriano, infatti, dal momento in cui ha permesso l’immissione dei jihadisti dell’ISIS nel Paese, ha automaticamente legittimato la loro organizzazione che, prima ancora di essere terroristica, è criminale, dando loro modo di acquisire potere (sociale, economico, territoriale) e di mirare ad aspettative solite di un’istituzione governativa. Prima fra tutte la costituzione di uno stato territoriale che, ufficialmente, non possiedono. L’ISIS è l’abbreviazione di Stato islamico dell’Iraq e del Levante (o dell’Iraq e della Siria) ma, nei fatti, non è ancora uno stato e il nome stesso con cui si definisce fa comprendere la sua prima, pericolosa ambizione.

L’ISIS è uno stato senza stato, un’organizzazione criminale che non ha riconoscenza governativa, ha un popolo, pericoloso e violento, che ha bisogno di un territorio, territorio che riguarda appunto la Siria, l’Iraq e, a giudicare da ciò che pubblicano e dagli eventi degli ultimi tempi, l’intero territorio medio orientale, per certo l’Iran. L’acume di Assad non è arrivato a comprendere che, permettendo a costoro di penetrare in Siria si sarebbe torto con le sue stesse mani, giocandosi il suo potere ma, sopratutto, il presente e il futuro della Siria. Assad ha legittimato l’esistenza dell’ISIS, innalzandola al livello di un’organizzazione governativa e dando loro una terra futura, uno Stato territoriale che non possiedono o, almeno, non possedevano.

In linea con questa ipotesi Assad, presa coscienza dell’errore che ha commesso, ora avrebbe deciso, di punto in bianco, di devastare, oltre che i civili e i soldati dell’Esercito siriano libero, anche i suoi (ex) dipendenti, ormai divenuti una minaccia. Dipendenti, tra l’altro, che non hanno mai riconosciuto l’autorità del capo.
Un’altra teoria, coerentemente con le sceneggiate assadiane che hanno raggiunto il culmine con la farsa delle elezioni nei primi di giugno, seguirebbe questo ragionamento: dal momento che l’ISIS, satollo abbastanza di armi e di adepti accalappiati con l’azione in Siria dove ha deposto fieramente le sue bandiere nere dalla scritta bianca “Dio è unico, non c’è Dio all’infuori di me” ha deciso di tornare nella casa iraqena per concentrarsi tutto ad Oriente, annunciando nei social network che finito con l’Iraq volgeranno all’Iran, e dal momento in cui quest’azione ha suscitato la preoccupazione di tutto il mondo occidentale, Assad ha deciso bene di sceneggiare un’altra farsa.

All’inarrestabile traversata dell’ISIS che, in pochissimi giorni, li ha visti conquistare il border siriano-iraqeno, la città di Mosul (banca con 450 milioni di dollari compresa), raffinerie petrolifere (tra cui la più importante del Paese, Bajii) è seguita (e segue) l’attenzione mediatica che il premuroso Assad tiene a manipolare. Troppi occhi che guardano, troppe domande: da dove viene l’ISIS, dov’è attualmente l’ISIS? Chi combatte contro e con l’ISIS? In tre anni di guerra siriana, e in due (di silenzio occidentale) in cui l’ISIS è in Siria, il regime non ha mai osato attaccare o osteggiare l’organizzazione terroristica, permettendo che si impossessasse di un quarto e più del territorio siriano, permettendo che eseguisse condanne, fucilazioni, decapitazioni, che esercitasse prematuramente la sha’ria, che costruisse i suoi centri di potere e i suoi tribunali dalle strutture rettangolari e dai muri neri. Permettendo che, il “virus Daesh” lievitasse ben bene.

Quando poi è divenuto talmente grande da non starci più in Siria, tornando quindi in Iraq, e l’Occidente, allora, America per prima, ha iniziato a preoccuparsi per le ricchezze del Paese fiutando nell’aria una guerra già combattuta dieci anni fa, Assad si è sentito osservato da troppi occhi. Allora ha deciso di far credere al mondo di combattere l’ISIS, di eseguire raid aerei sul centro di potere degli estremisti e sul confine con l’Iraq.

Insomma, tre raid che sono stati preannunciati da 12 ore di preavviso e che hanno ucciso solo civili per far credere che anche lui, come l’Occidente, come l’ESL, come gli amici sciiti combatte contro l’ISIS. I pro Assad scriveranno sul web, sui commenti ai post dei media e anche sui giornali che questa è un’evidente prova di come il regime lotti, sin dal 2011, contro gli estremisti, ma chi ha acume rivoluzionario noterà che questa è solo una delle tante mosse di Assad di far credere al mondo di lottare sin dall’inizio una guerra contro l’estremismo religioso e di avere tutto il diritto di continuare imperterrito il suo democratico, stoico (alle nefandezze della guerra sicuro!) mandato.

 

 
Fonte:
http://caratteriliberi.eu/2014/06/30/mondo/l-isis-legittimato-assad/