Intervista all’ideatrice della community @iamnakedontheinternet

Madia+Claudia

 (Madia e Claudia Ska ritratte da @Miss-Sorry, ideatrice del progetto https://iamnakedontheinternet.com, per gentile concessione dell’autrice)

Com’è nata l’idea di creare una community artistica e non basata sull’esposizione di corpi sul web?

Dalla mia necessità di fotografa di trovare un luogo dove poter raccontare, tramite immagini ma non solo, le storie di chi abitualmente frequentava il mio studio; persone che spesso venivano considerate “too much” dalla società o giudicate per le loro scelte.

Date spazio anche a chi, per vari motivi, vorrebbe mettersi a nud* solo in senso figurato?

Assolutamente sì, esiste per questo una sezione “Talk” che accoglie scritti, interviste e testimonianze e una sezione Video per chi non vuole mettersi a nudo ma desidera comunque “metterci la faccia”.

In che senso il vostro progetto può definirsi inclusivo?

Nel senso che chiunque è benvenuto, senza distinzioni di genere, particolarità fisiche o età anagrafica.

Quali altre arti, oltre alla fotografia, sono contemplate nel vostro progetto? 

La fotografia per ora è il motore cardine del progetto dato che io sono una fotografa. Ma mi auguro che possa ampliarsi con l’adesione di altri artisti/narratori ad altri mezzi espressivi, se il messaggio arriva ogni mezzo è valido.

Dato che internet è il vostro campo d’azione, come vi ponete in termini di contrasto e sicurezza verso fenomeni come il body-shaminglo slut-shaming, i dickpic e il cosiddetto revenge porn?

 
Credo che l’informazione, l’educazione e lo sviluppo di una maggiore empatia verso l’altro siano armi fondamentali per contrastare questi fenomeni.
In questi due anni di iamnkd siamo state spesso ponte tra la vittima, che trovava in noi una voce amica, e l’avvocato (collaboriamo con due studi legali che operano ove possibile pro bono). Senza arrivare a casi di questa gravità abbiamo visto con gioia quanto anche solo una conversazione tramite DM possa essere fondamentale per aprire una finestra di dialogo positiva sul corpo e sull’importanza di difenderci e dire no.

 
Riguardo al rischio di censura da parte delle piattaforme di social network, quali accortezze adoperate?

 
Purtroppo se si desidera diffondere il proprio messaggio attraverso una piattaforma pubblica con enormi interessi economici e precise regole è necessario adeguarsi alle stesse, seppure spesso incomprensibili e aberranti.
Sui social pubblichiamo solo ritratti o banner che portano ad una riflessione mentre su Twitter ci sentiamo più libere di postare dei nudi, ma sempre con un occhio di riguardo.
Mi auguro che con il nostro nuovo sito internet che debutterà i primi mesi dell’anno sia possibile offrire una valida alternativa priva di censura.

 
Come sostenete il vostro progetto?

 
Iamnkd è un progetto interamente autoprodotto che mira a vivere e a rinnovarsi tramite la sottoscrizione di un abbonamento.
(Abbonatevi!)

 
C’è qualcosa che vorreste aggiungere al termine di quest’intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

 
Sì certamente, conoscere l’altro è un meraviglioso modo per conoscere se stessi per cui prima di giudicare apritevi a chi avete davanti.

Body positive e grassofobia: ne parlo con Carmen di @iononmemevergogno

foto1 (1)Nella foto l’intervistata, Carmen Mastrangelo

Io: Ciao, Carmen. Grazie per aver accettato quest’intervista.

1. Com’è nata l’idea della pagina Instagram @iononmenevergogno?

E’ nata in maniera graduale. Io non me ne vergogno era l’hashtag della mia campagna social nata nel 2016 che aveva l’obiettivo di aiutare chi faceva fatica a mostrarsi in foto a figura intera perché si vergognava del proprio corpo. Poi ho scelto di utilizzarlo per trasformare il mio profilo in una community body positive inclusiva con uno sguardo alle esperienze personali.

2. La body positive e la fat acceptance sono sinonimi o la prima riguarda anche le persone magre o normopeso?

Diciamo che spesso vengono confuse. La body positivity credendo nella validità dei corpi include inevitabilmente la fat acceptance, ovvero accettare la validità dei corpi grassi abolendo lo stigma sociale che da anni li opprime. Ad oggi, in Italia, questo concetto non è ancora ben chiaro. Non si può parlare di Body Positive e farsi i ganzi sui social facendo emergere ancora concetti grasso-fobici e senza parlare o avere come obiettivo almeno, l’accettazione delle persone grasse.

3. Che cos’è la grassofobia o fat shaming?

La grassofobia è un insieme di micro-aggressioni, di atteggiamenti e pensieri volti a denigrare, stigmatizzare, prendere in giro e stereotipare le persone grasse. Il fat shaming è il termine con cui viene definita la concretizzazione dei concetti sopra riportati, in azione offensive e a volte anche violente.

4. Uno dei pregiudizi più diffusi nei confronti delle persone grasse è che siano quelle che mangiano di più. E’ davvero sempre così?

Assolutamente no! Si può avere un peso differente da ciò che il BMI decide che sia corretto per noi, per svariati motivi non per forza legati al mangiare di più o alla sedentarietà, come tanti vogliono credere pur di stigmatizzare chi è grasso. Esistono questi casi ma non è mai solo un problema di piacere nel mangiare o pigrizia, ci sono fattori ambientali, economici, psicologici, sociali ecc. Inoltre questo tema si può totalmente slegare dalla questione cibo quando parliamo di problemi ormonali ad esempio. Detto questo chi sceglie la propria condizione perché preferisce non privarsi di nulla non vale comunque meno di chi fa delle rinunce o delle diete nonostante sia grasso. Dovremmo semplicemente smettere di parlare delle scelte di vita altrui in ogni campo.

 
5. Quando un’altra persona ti dice che faresti meglio a stare a dieta è sempre grassofobia o, in alcuni casi, potrebbe essere un consiglio lecito?

Bisogna vedere quanto sia necessario dare un consiglio del genere e quanto la persona grassa in questione ha piacere nel riceverlo. Solitamente è sempre un’azione grassofobica. Ti dico di metterti a dieta perché penso che da magra saresti più bella e anche quando ci infiliamo la salute di mezzo non è quasi mai questo il vero sentimento che spinge a dare il consiglio. Anche perché se ti consiglio di perdere peso proponendoti la dieta del sedano, o di spaccarti in palestra e mettere le catene al frigorifero, non ti sto facendo del bene, probabilmente ti sto introducendo ad un disturbo alimentare e nemmeno lo sai.

6. Cosa pensi dell’idea che l’essere grassi sia associato automaticamente dai più all’essere brutti?

E’ una convinzione che l’industria della bellezza e la cultura della dieta ci hanno indotto da tempo. Anzi forse la bruttezza legata al grasso ha origini ancora più antiche ma su questo dovrei farci una ricerca. Di sicuro la rappresentazione che dal secondo dopoguerra abbiamo delle persone grasse è sempre legata a qualcuno di strano, pigro, mangione, puzzolente e automaticamente brutto. Oggi a quanto pare i contorni di questi stereotipi si stanno sfumando anche grazie al movimento body positive che stacca e lo ripeto, stacca il concetto di bellezza dai corpi. Un corpo valido non deve essere necessariamente bello, dove per bello si intende accettabile ai più. Anche perché la bellezza da sempre è soggettiva altrimenti avremmo un mondo di splendidi cigni e anatroccoli in via di estinzione.

7. Si può affermare che la fat acceptance rientra nella sex positivity? Un corpo grasso potrebbe essere considerato non solo bello ma anche sexy e avere diritto, quindi, a mostrarsi come tale?

Io sono una di quelle che vuole parlare anche in termini di sex positivity delle persone grasse. C’è chi prova attrazione per loro e non per forza deve essere additato come pervertito o feederist (coloro che provano eccitazione nel veder mangiare le donne grasse). Le persone grasse hanno diritto a tutto come le altre sulla carta. Quello che però cambia è la considerazione che la maggior parte delle persone ha di loro a livello sociale. La cosa che mi incuriosisce è capire perché nel privato si provano pulsioni sessuali per le persone grasse ma poi si fa difficoltà nel dichiararlo in pubblico. Anche questa è grassofobia e alimenta lo stigma, limitando chi è grasso a dichiarare di avere una libertà sessuale come tutti. Dall’altra parte col fenomeno del curvy si è arrivati ad un livello estremo di sessualizzazione del corpo femminile, parlando di donne morbide come vere donne, della carne più apprezzata a letto ecc.
Questo è un modo sessista di vedere la funzione del corpo femminile, considerandolo unico oggetto di piacere per gli uomini quando sappiamo tutti che 1. ad oggi parlare di etero-normatività è riduttivo e 2. Un corpo femminile non è solo uno sforna bambini. Tra l’altro non amo chi espone la propria approvazione verso i corpi grassi comparandoli con quelli magri sulla base delle prestazioni sessuali.

8. Alcuni giustificano le critiche severe alle persone grasse facendo riferimento alla salute e al rischio di incentivare abitudini scorrette. Cosa rispondi in questi casi?

Le critiche severe non servono a niente, sono puro esercizio di potere sui corpi non conformi e che vogliamo portare alla nostra normalità perché ci si inceppa il cervello quando affrontiamo la diversità. Non è mai una vera attenzione alla salute altrimenti staremmo a commentare ogni abitudine sbagliata che la gente adotta. Le critiche verso le persone grasse sono sistemiche e dirò una cosa forte, sono incentivate anche dalle istituzioni. Volete dare una mano a chi è grasso? Cercate di conoscere quali sono i loro problemi se li hanno, di capire le loro istanze e di non intaccare la loro salute mentale con le vostre rotture di scatole perenni.

9. Cosa ne pensi degli eufemismi che si usano talvolta al posto dell’aggettivo grasso? Hanno a che fare col rispetto verso le persone grasse o sono piuttosto una velata forma di grassofobia?

Se ti riferisci a termini come curvy, morbida, burrosa, curvosa ecc. io non li preferisco e ho scelto già da tempo di usare grasso come unico termine che racchiuda ogni fat shape. Però questa è una scelta personale, non voglio assolutamente giudicare nessuno anche perché far pace con certi termini non è facile ed è un percorso lungo. E’ inevitabile però che se questo discorso lo estendiamo alle istituzioni (famiglia, media, scuola ecc.) e se questi ancora non normalizzano la parola grasso spogliandola dalla sua connotazione negativa, sarà difficile accettarla con facilità.

10. Le modelle curvy sono un passo avanti verso la body positive, sono solo una strategia di marketing delle case di moda, o entrambe le cose?

Su questa domanda potremmo starci per ore e per evitare di scriverti un papiro ti dirò ciò che penso a bruciapelo. Il 90% delle volte in Italia è marketing. Questo si vede già dal fatto che la moda non è inclusiva almeno nei confronti delle persone grasse, poiché le taglie delle grandi maison che hanno abbracciato la body positivity non vanno oltre la 54.

 
11. Cosa possiamo fare per contrastare il fenomeno del fat shaming ?

Non trattare le persone grasse con paternalismo, come se non avessero capito niente della vita e soprattutto cercare di normalizzare i corpi grassi rappresentandoli sempre di più e dandogli sempre di più spazio e voce. L’ educazione alla diversità è fondamentale cercando di non incappare in quelle argomentazioni ipocrite come: siamo tutti uguali, siamo tutti belli.

12. C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

No! Solo grazie per l’opportunità e scusa per essermi dilungata in alcune domande.

Io: Grazie per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

Intervista a Ella Bottom Rouge, performer di burlesque lesbica

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Shooting metro Pasteur e Parco Nord 1-6-20

Nelle foto Ella Bottom Rouge

 

Ciao, Ella. Sono Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato di fare quest’intervista.

1)    Tu sei una performer di burlesque. Cosa spinge una donna verso questa forma d’arte?

Dalla curiosità a dire il vero, molto semplice! Avevo visto degli spettacoli e mi avevano fatto dire: “cos’è sta figata, voglio farla subito!!” Così cercai un corso e cominciai dalla base come tutti. Molte allieve arrivano anche per una voglia di cambiamento, dopo un figlio, dopo una rottura, qualcuna in estrema rivolta, dopo il cancro. E ovviamente c’è chi arriva per riscoprire quel sapore retrò della seduzione e degli abiti d’altri tempi.

2)    Il burlesque è un’arte che risale al periodo vittoriano ed è andata via via modernizzandosi. Secondo te, è questa fusione tra vintage e modernità ad attrarre in queste performance?

Assolutamente. Si è attratti dai costumi, dall’estetica, dalle musiche e anche dalla riscoperta del potere seduttivo che ognuno ha. Uomini e donne.

3)    In un burlesque show prevale la sensualità, l’ironia o c’è un giusto mix fra queste componenti?

Mix è la parola vincente! Non dimentichiamoci che è uno spettacolo, deve intrattenere e avere il giusto ritmo per farlo. Se facessi la gattona per 5 minuti di fila la gente si annoierebbe. E sotto un altro punto di vista è questo che rende importante il messaggio del burlesque: sorridere e portare il pubblico a sorridere con noi dei nostri difetti, rotolini e smagliature è una forza.

4)    Da chi è composto solitamente il pubblico di un burlesque show?

Variegatissimo! Ma la parte femminile è sempre la percentuale più alta.

5)    In quali locali ti esibisci di solito?

 Precovid la vita era più facile e gli spettacoli tanti, ahimè. A Milano è rimasto il mio amato WET The Show, format nato ormai quattro anni fa sul legame dell’arte erotica e la cucina afrodisiaca. Si tiene tutti mesi a Lo Stacco, un ristorante con un palco veramente pazzesco, le prossime date sono il 25 settembre e il 9 ottobre, con un ospite veramente speciale. 

6)    Quale idea del femminile traspare da questi spettacoli?

 Sicuramente una persona forte, che sa quello che vuole e che non ha paura a prenderselo. Posso citare una delle mie grandi icone e artista preferita, Dirty Martini; “il burlesque è prendere uno spazio e farlo proprio.”

7)    Tu sei anche un’attivista per i diritti lgbtq+ lesbica. Nei tuoi spettacoli traspare il tuo impegno sociale?

Azz, attivista non lo so! Certamente ho le idee chiare su tante cose, e non sono una che sta zitta, ecco. Da adolescente mi sono interessata ai movimenti dei centri sociali e subito dopo Genova ho fatto un pezzo di rivoluzione anche io. Leggo, mi informo, cerco di incorporare la cronaca anche quando faccio il presentatore. Credo davvero che l’arte dell’intrattenimento sia un veicolo reale di informazione e denuncia, in un certo senso. È quello che faccio insieme a DRAMA, il Queer Cabaret che tra una risata e un lipsync parla di sessualità, pressione sociale, body positivity, body shaming e molto altro. 

8)    Che rapporto c’è in Italia, in generale, tra il mondo lgbtq+ e l’arte del burlesque?

Negli ultimi anni stiamo facendo dei passi in avanti! Quando nel 2018 il Pride mi ha commissionato uno spettacolo è sembrato un miracolo che 15 artisti da tutta Italia, più un headliner internazionale avessero “infettato” con boa e bumbs&grinds tutta Milano! Purtroppo è ancora un mondo eteroformato, dove la seduzione è a senso unico, femmina verso maschio, ma ci sono delle isole felici, e abbiamo bisogno del supporto degli Ally. Le scuole fanno tanto, con i corsi genderfree, idem i colleghi boylesquer. Ci vorrebbero più coming out, anche. Ma questa è un’altra storia.

9)    C’è qualcosa che vuoi aggiungere e/o un messaggio che vuoi lanciare al termine di questa intervista?

 

Siate onesti, siate voi stessi, e fate burlesque!

 

Ella Bottom Rouge
The Mediterranean Wave of Burlesque
 

 

Ti ringrazio per la disponibilità e il tempo che mi hai dedicato.

 

Donatella Quattrone

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Yulia Tsvetkova, l’artista e attivista russa che rischia 6 anni di galera per i suoi disegni della vagina. La mobilitazione per fermare il processo

10 Luglio 2020

Yulia Tsvetkova è un’artista e un’attivista russa impegnata nella difesa dei diritti delle donne e Lgbt. Il suo lavoro ha provocato cambiamenti positivi nelle discussioni sulla body positivity (il movimento che vuole trasmettere un messaggio ottimista nei confronti del proprio corpo) e sugli stereotipi di genere. Eppure questo successo l’ha resa un bersaglio.

Il 9 giugno scorso Tsvetkova è stata accusata di “produzione e diffusione di materiale pornografico” per aver pubblicato, nel 2018, sul social network russo VKontakte alcuni disegni stilizzati di vagine per promuovere una campagna sulla body positivity nella pagina del suo gruppo “Monologhi della vagina”, che prende il nome dal titolo dell’opera teatrale di Eve Ensler e che si pone come obiettivo celebrare il corpo femminile e protestare contro i tabù che lo circondano.

Se condannata, la donna rischia sei anni di carcere.

Residente a Komsomolsk-on-Amur, una cittadina della Russa orientale, in un’area della Siberia che ospitava i gulag, il 22 novembre 2019 Tsvetkova è stata messa agli arresti domiciliari revocati quattro mesi dopo, il 16 marzo 2020, ed è tuttora sottoposta a severe restrizioni di viaggio.

Da quando le autorità l’hanno pesa di mira la 27enne non può più esercitare le sue attività.

A marzo dello scorso anno è stata infatti costretta a cancellare il Festival delle arti della gioventù da lei curato perché la polizia lo ha ritenuto un gay pride camuffato.

In Russia la “propaganda omosessuale” viene punita in base a una legge controversa entrata in vigore nel 2013 e condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2017 perché omofoba.

In un’intervista telefonica rilasciata alla CNN, Tsvetkova ha raccontato che i problemi con la polizia sono cominciati all’inizio del 2019, quando ha portato in scena, con la compagnia teatrale Merak da lei diretta, due spettacoli che affrontavano temi particolarmente scottanti per le autorità: gli stereotipi di genere e il militarismo.

«Non so quale sia stato lo spettacolo peggiore per loro, se quello sul genere, che non capiscono e di cui hanno paura, o l’altro, che era piuttosto politico, molto acuto. Immagino sia stata la combinazione di entrambi», ha detto.

Da quel momento la donna è stata convocata alla stazione di polizia periodicamente. All’inizio ogni settimana, poi ogni due settimane, per essere interrogata sui suoi disegni, una serie di vignette sulle donne accompagnate da didascalie come “Le donne vere hanno i peli sui propri corpi ed è normale” o “Le donne vere hanno i muscoli ed è normale”.

A novembre dello scorso anno la polizia ha perquisito la sua abitazione, sequestrando materiale informatico e documenti.

«Mi hanno fatto molte domande e poi hanno trovato il mio lavoro su Internet e hanno capito in che modo poter costruire il caso», ha dichiarato. «È uno schema abbastanza comune: la polizia va alla ricerca di un reato che può trovare nel lavoro dell’attivista e poi apre il caso».

A causa di un disegno raffigurante due famiglie dello stesso sesso con bambini, accompagnato dalla didascalia “La famiglia è dove c’è amore. Sostieni le famiglie Lgbt!”, a gennaio 2020 Tsvetkova è stata inoltre accusata di “propaganda omosessuale”.

Tsvetkova – che organizza conferenze per la comunità Lgbt e che tiene lezioni sull’educazione sessuale vietata nelle scuole russe – ha dichiarato di non essersi stupita per l’accusa di propaganda sessuale e per aver ricevuto una sanzione (50.000 rubli russi che corrispondono a circa 620 euro), ma di essere rimasta molto sorpresa per l’incriminazione del reato di pornografia. «So che cos’è la pornografia e non è quella», ha detto riferendosi ai suoi disegni.

L’attivista, che nel frattempo ha ricevuto e continua a ricevere minacce, non è molto ottimista sul processo: «Sto cercando di non perdere la speranza, ma in Russia solo l’1% dei casi è assolto. Questo significa che ho solo l’1% [di possibilità] di essere prosciolta».

Insignita lo scorso 17 aprile del premio Freedom of Expression 2020 nella categoria “arte” conferitole da Index on Censorship (un’organizzazione per la difesa della libertà di espressione con sede a Londra), la donna ritiene di essere stata accusata dalle autorità di diffondere materiale pornografico perché si tratta di un reato “infamante”, che può ridurre al minimo il sostegno in suo favore dell’opinione pubblica, e pensa che la “vaghezza” della legge sulla pornografia sia un buon pretesto per reprimere il suo attivismo.

 

In Russia, le autorità promuovono fortemente i valori familiari tradizionali. Non è un caso che gli emendamenti costituzionali recentemente approvati con una consultazione referendaria abbiano incluso un articolo in cui si afferma che il matrimonio è esclusivamente quello celebrato tra un uomo e una donna, vietando di fatto i matrimoni omosessuali.

Come riportato da Deutsche Welle, un recente sondaggio condotto da Levada Center, il principale istituto indipendente che si occupa di rilevazioni in Russia, ha rivelato che il 50% delle persone intervistate pensa che gli omosessuali debbano essere “liquidati” o tenuti isolati dalla società. La percentuale scende al 27% se si tratta di femministe, poiché il concetto di “femminismo” è spesso visto come appartenente all’Occidente ed estraneo alla Russia. Eppure, in passato, il paese è stato a lungo all’avanguardia nell’uguaglianza di genere, garantendo nel 1917 pari diritti alle donne e diventando nel 1920 il primo paese a legalizzare l’aborto.

Nonostante si sia aperta una caccia alle streghe, è grande il sostegno mostrato nei confronti di Yulia Tsvetkova.

Associazioni che si occupano della difesa dei diritti umani come Amnesty International e la ONG russa Memorial l’hanno dichiarata prigioniera di coscienza e una petizione lanciata su change.org, in cui viene chiesto il ritiro delle accuse, ha raccolto quasi 240.000 firme.

Il 27 giugno, Giornata nazionale della gioventù in Russia, oltre cinquanta agenzie di stampa hanno organizzato lo “sciopero dei media per Yulia”, chiedendo che il procedimento giudiziario contro di lei venga fermato. Scrittori, giornalisti, attori, influencer e blogger hanno pubblicato post con l’hashtag #forYulia (#заЮлю) e #FreeJuliaTsvetkova (#СвободуЮлииЦветковой).

Durante l’ultimo fine settimana di giugno circa quaranta manifestanti sono stati arrestati a Mosca e a San Pietroburgo nel corso di una manifestazione pacifica a sostegno dell’attivista russa. A riferirlo OVD-info, un gruppo che fornisce assistenza legale alle vittime di arresti arbitrari. La maggior parte dei dimostranti sarebbe stata fermata per aver violato il regolamento sui raduni pubblici, incluso il divieto di organizzare eventi di massa introdotto nel paese a marzo scorso per bloccare la diffusione del COVID-19.

Sui social tantissime donne hanno mostrato il proprio sostegno all’attivista russa pubblicando foto in cui mostrano i propri corpi o immagini e disegni femministi o oggetti di uso quotidiano, come fiori o frutti, che sembrano vagine, accompagnate dallo slogan “il mio corpo non è pornografia”.

Di recente, l’Alto commissario dei diritti umani della Federazione Russa, Tatyana Moskalkova, ha annunciato che a seguito del grande “riscontro pubblico” sollevato dal caso intende seguirlo personalmente inviando un membro del suo staff a monitorare il processo.

Per Tsvetkova il supporto nazionale e internazionale è “incredibile” e rappresenta un’ancora di salvezza. «Mi aiuta a non sentirmi sola. L’anonimato è la cosa più spaventosa. Lo so perché ero sola all’inizio e questo significava che quando andavo alla stazione di polizia, sapevo che avrebbero potuto fare quello che volevano e nessuno lo avrebbe mai scoperto», ha detto.

L’attenzione suscitata nell’opinione pubblica ha dimostrato che l’attivismo della giovane donna russa ha colpito nel segno mostrando quanto il paese abbia bisogno di una discussione pubblica sull’uguaglianza di genere e la comunità Lgbt.

«Voglio continuare a lavorare come attivista. E il fatto di essere stata incriminata aumenta soltanto il mio desiderio di cambiare le cose e combattere le ingiustizie».

Immagine anteprima “Le donne non sono bambole”, 2018 – Yulia Tsvetkova/TAN via Ministry of Counterculture

Fonte:
https://www.valigiablu.it/yulia-tsvetkova-artista-russa-processo/
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