Confermato 41bis a Provenzano anche se in fin di vita “il regime duro tutela la sua salute”

Bernardo Provenzano arrestoIl boss di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, resta al 41 bis. Lo dice la Corte di Cassazione spiegando il motivo per cui lo scorso 9 giugno ha bocciato il ricorso del boss. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, puntualizzando che le condizioni di salute del detenuto sono “gravi” ma se Provenzano lasciasse il ricovero in regime di carcere duro, all’Ospedale San Paolo di Milano in camera di sicurezza, per andare in un reparto ospedaliero comune, sarebbe a “rischio sopravvivenza”, per le cure meno dedicate.

Le patologie di cui soffre Provenzano sono “plurime e gravi di tipo invalidante”, evidenziano i giudici della suprema corte in riferimento al grave decadimento cognitivo, ai problemi dei movimenti involontari, all’ipertensione arteriosa, a una infezione cronica del fegato, oltre alle conseguenze degli interventi subiti per lo svuotamento di un ematoma da trauma cranico, per l’asportazione della tiroide e per il tumore alla prostata.

La Cassazione ha confermato il 41 bis nella sentenza 38813, che è stata depositata oggi. Ma secondo la Cassazione Provenzano “risponde alle terapie”. Il regime duro, tradendo la sua originaria finalità, sarebbe diventato, a quanto pare, una modalità necessaria alla vita dell’uomo che per decenni è stato in cima alla lista dei ricercati e che ora è solo un essere inerte e incosciente.

Provenzano e lo Stato che non c’è. Lettera di Rosalba Di Gregorio, Avvocato del boss mafioso in fin di vita

Caro direttore, ieri la Cassazione, dando ragione al Tribunale di Sorveglianza di Milano e respingendo il mio ricorso, ha deciso che Bernardo Provenzano, ridotto praticamente a un “vegetale”, dovrà rimanere rinchiuso in regime di 41bis. Come suo avvocato avevo chiesto non la sospensione della pena, ma la detenzione nello stesso ospedale San Paolo di Milano dove è detenuto (essendo Provenzano intrasportabile) così da togliere il vetro e permettere ai familiari di salutarlo prima che muoia.

Il Tribunale di Sorveglianza, avallato ora dalla Cassazione, ha invece ritenuto, spiegando di avere a cuore la sua salute, che al 41bis Provenzano è meglio curato. Lo trovo aberrante. La verità è che spostarlo in lunga degenza, come da me chiesto, avrebbe significato toglierlo dal 41bis, eventualità invisa al ministro della Giustizia, che nei mesi scorsi ha rinnovato il carcere duro a un detenuto che è ormai un cadavere, incapace di intendere e di volere e con il figlio a fargli da amministratore di sostegno. Si teme davvero che un “vegetale” possa ancora mandare messaggi all’esterno e dirigere Cosa Nostra? Non è questo lo Stato forte che vogliamo.

Avv. Rosalba Di Gregorio

Il Tempo, 25 settembre 2015

 

Citato in https://emilioquintieri.wordpress.com/2015/09/25/confermato-41bis-a-provenzano-anche-se-in-fin-di-vita-il-regime-duro-tutela-la-sua-salute/

21 anni dalla strage di via dei Georgofili. Fu solo Cosa Nostra?

 

 

bOMBA VIA DEI GEORGOFILI-G.C.- Era l’1.04 di notte, quando, in via dei Georgofili, presso l’Accademia omonima, si scatenò l’inferno.

 

Un fiorino bianco era parcheggiato sotto la Torre de’ Pulci, a Firenze: sembrava una vettura innocua, ma era caricata da ben 250 chili di tritolo che, quando esplosero, sventrarono la sede dell’Accademia e strapparono la vita a cinque persone: la trentaseienne Angela Fiume, suo marito Fabrizio Nencioni, 38 anni, le loro figlie, Nadia, di 8 anni e mezzo, e Caterina di appena 50 giorni, e lo studente ventiduenne di architettura Dario Capolicchio,

 

A riempire quella vettura di tritolo era stata Cosa Nostra. Erano gli anni dello stragismo: dopo aver colpito uomini simbolo della lotta alla mafia, le cosche avevano intenzione di andare a colpire il patrimonio storico e artistico dell’Italia. Colpire un popolo nella sua identità nazionale e culturale, tentando, in tal modo, di destabilizzarlo e, contemporaneamente, farlo cedere alle richieste presentate. Si voleva, di fatto, velocizzare quella trattativa con lo Stato di cui parla anche la “Primula Nera” Paolo Bellini.

 

Egli aveva conosciuto in carcere il boss Antonino Gioè e, forse indirettamente, gli aveva suggerito la strategia stragista. Neofascista, assassino, ladro di tesori d’arte e più che probabilmente collegato ai Servizi Segreti, secondo le testimonianze fu colui che spinse Cosa Nostra a concentrarsi sui monumenti nazionali.Perchè “se tu a Pisa vai a togliere la torre, è finita Pisa”.

 

La mafia accettò il consiglio. E decise di andare a ferire anche Firenze, con l’intenzione di far saltare in aria gli Uffizi.

 

Non tutto seguì i piani: in quell’occasione, Cosa Nostra non aveva intenzione di mietere vittime, ma vi furono. Ugualmente, i celebri musei non vennero distrutti in quanto l’autobomba venne posteggiata in un luogo sbagliato. Secondo alcuni pentiti fu perché, semplicemente, i mafiosi non conoscevano sufficientemente bene la geografia della capitale del Rinascimento; secondo altri, nel luogo pianificato vi erano telecamere di sorveglianza che avrebbero ostacolato l’attentato.

 

Un attentato di cui ancora non si ha soluzione. Nel 2000 furono condannati come mandanti i boss Riina, Graviano, Bagarella e Provenzano, ma vi è comunque l’ombra dei mandanti occulti, di quei personaggi non appartenenti alla mafia che avrebbero richiesto e ottenuto la strage. Perché, come ebbe a dire il collaboratore Salvatore Cancemi, Che c’erano. Perchè, come ebbe a dire il pentito Salvatore Cancemi, “Cosa Nostra non ha la mente fina di mettere un’autobomba come quella di Firenze”. Nel 2012, il pentito Gaspare Monticciolo fece alcuni nomi: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, per esempio, ma le indagini in merito furono ben presto archiviate.

 

E vi è ancora un altro collaboratore che, nelle proprie testimonianze ha ricordato spesso la strage di via dei Georgofili. Si tratta di Gaspare Spatuzza, i cui ricordi si sono rivelati essenziali per ricostruire quanto accadde prima di quella tragica notte. Come tutto fosse pianificato da tempo, con il boss Graviano che si era munito di depliant turistici per individuare con esattezza quali monumenti far saltare in aria.

 

Le cose non andarono secondo i piani, e nella notte tra il 26 e il 27 maggio, cinque innocenti persero la vita. Per Cosa Nostra fu un errore trascurabile, un’insignificanza. Per la società civile, che ancor’oggi lotta per ottenere la verità sui responsabili, una tragedia che spinge, ogni giorno, alla sete di giustizia.

 

 

Fonte:

http://www.articolotre.com/2014/05/21-anni-dalla-strage-di-via-dei-georgofili-fu-solo-cosa-nostra/

Attilio Manca: se questo è un suicidio

Dal profilo Facebook di Angela Manca

“… il 12 Giugno 2014 , dopo 10 lunghi anni e 4 mesi di attesa ,finalmente inizia un processo a Viterbo. Certo è per cessione di droga da parte di terzi ,ma intanto è un INIZIO !!!!!!

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manca-famiglia-bigPubblicate le foto-choc del cadavere del giovane urologo

di Lorenzo Baldo – 6 febbraio 2014

Un pugno nello stomaco. Eccole le prime immagini del cadavere di Attilio Manca pubblicate sul sito della trasmissione “Chi l’ha visto?”. La domanda è immediata: e questo sarebbe un suicidio?
Le fotografie restituiscono una prospettiva totalmente diversa. Che per altro era saltata subito agli occhi dei familiari e dello stesso avvocato Fabio Repici, recentemente affiancato da Antonio Ingroia. Così come è riportato nel sito dedicato al giovane urologo barcellonese Attilio Manca veniva ritrovato cadavere verso le ore 11 del 12 febbraio 2004. Il suo corpo si trovava riverso trasversalmente sul piumone del letto (che era intatto ed in ordine, come se non fosse andato a dormire), seminudo. Come si vede dalla prima immagine dal naso e dalla bocca era fuoriuscita un’ingente quantità di sangue (che aveva finito per provocare una pozzanghera sul pavimento). Si può notare altresì che il volto di Attilio presentava una vistosa deviazione del setto nasale, mentre sui suoi arti erano visibili macchie ematiche.
L’appartamento era in perfetto ordine, nella stanza da letto si trovava ripiegato su una sedia il suo pantalone, mentre incomprensibilmente non furono rinvenuti i boxer né la camicia; altrettanto inspiegabilmente sullo scrittoio erano poggiati suoi attrezzi chirurgici (ago con filo inserito; pinze, forbici), che egli mai aveva tenuto a casa; sul pavimento, all’ingresso del bagno, si trovava una siringa da insulina, evidentemente usata, cui era stato riposizionato il tappo salva-ago. Dalle prime indagini era risultato che in cucina non v’era traccia di cibo, consumato o residuato; sempre in cucina, nella pattumiera si trovavano, tra l’altro, un’altra siringa da insulina, indubbiamente usata, cui erano stati riapposti il tappo salva-ago ed anche quello proteggi-stantuffo, e due flaconi del sedativo “Tranquirit”, uno dei quali era completamente vuoto mentre l’altro solo a metà. Il medico del 118, alle ore 11,45 del 12 febbraio (dopo aver effettuato l’accertamento del decesso), attestava che Attilio Manca era morto circa dodici ore prima, quindi a cavallo della mezzanotte fra l’11 ed il 12 febbraio. Dalle prime ricostruzioni veniva accertato che, a partire dalle ore 20 circa del 10 febbraio, Attilio non aveva più avuto contatti, telefonici o di presenza, con amici e colleghi. Inspiegabilmente la sera del 10 febbraio aveva infatti deciso di non partecipare, contrariamente al solito, ad una cena fra colleghi. Nei giorni precedenti aveva chiesto e ottenuto un appuntamento per la sera dell’11 febbraio a Roma con il prof. Ronzoni, primario di urologia al policlinico Gemelli, reparto nel quale Attilio si era specializzato e aveva lavorato per anni. Stranamente – e senza alcuna comunicazione preventiva – il giovane urologo non si era però presentato a quell’appuntamento. Un vicino di casa, sentito lo stesso 12 febbraio, aveva dichiarato agli investigatori che la sera prima, verso le 22,15, aveva sentito il rumore della porta di casa di Attilio che veniva chiusa. Un dato preciso che attestava che in quel momento il dott. Manca tornava a casa o, viceversa, che qualcuno, a tutt’oggi non individuato, usciva da casa sua, in un’ora molto vicina alla morte di Attilio. Tutte queste “anomalie” avrebbero dovuto portare immediatamente ad indagini approfondite. Che invece non sono state fatte. Ecco allora che a distanza di 10 anni si riparte da zero. Chi è stato l’ultimo a incontrare il giovane urologo nel suo appartamento? Il setto nasale deviato è evidentemente frutto di una colluttazione, ad opera di chi? E inoltre: chi avrebbe avuto interesse a mettere a tacere per sempre Attilio Manca e per quali ragioni? Una mera questione di droga? O un “favore” richiesto da Cosa Nostra? Queste ed altre ancora sono le domande che pretendono risposte esaustive e soprattutto definitive. Il processo che inizierà il prossimo 12 giugno segna la prima tappa di un viaggio tortuoso. Che in molti hanno cercato di impedire. Ma la verità, prima o poi, è destinata ad emergere in superficie. Anche per Attilio Manca. Nel frattempo resta il dolore di due anziani genitori e di un fratello che, dopo aver visto per la prima volta queste foto terribili del proprio congiunto, chiedono espressamente che siano proprio queste stesse immagini a riaccendere l’attenzione su quello che non è – e non sarà mai – un suicidio.

FOTOGALLERY (visione sconsigliata ad un pubblico sensibile)

Fonte: