SIRIA: SULLA CROCE, L’UMANITA’ INTERA

Dal blog di Asmae Dachan

1399182009-ipad-267-0Uomini crocefissi, bendati, esposti allo sguardo disattento dell’umanità intera. La terribile immagine che li ritrae fa presto il giro del mondo, corredata di didascalia: cristiani crocefissi in Siria. Il 2 maggio arrivano le parole del Papa: “Ho pianto quando ho visto le immagini di cristiani crocefissi in un certo paese non cristiano”. I media dormienti sul dramma siriano, sulle oltre 150 mila vittime, i 9 milioni di sfollati interni, i 3 milioni di profughi, i bombardamenti quotidiani, d’improvviso si svegliano e tutti parlano di Siria, per gridare alla persecuzione dei cristiani, alcuni tornando persino a tessere le lodi di bashar al assad quale tutore delle minoranze contro la minaccia del terrorismo fondamentalista. Media iraniani, anch’essi ferrei sostenitori di assad, dicono invece che le persone crocefisse siano sciiti, gridando a loro volta alla persecuzione, omettendo di dire che da tre anni le milizie hezbollah, così come quelle di al qaeda, si sono infiltrate in Siria per combattere una loro guerra parallela, ai danni dell’inerme popolazione civile.

Le persone su quelle croci sono state vittime di un’atrocità ignobile, da condannare. Ma su quelle croci, dopo essere stati uccisi, non c’erano dei cristiani, bensì dei musulmani sunniti. Lo hanno affermato fonti locali, smentendo sul web quanto circolava ormai in modo inarrestabile sul circuito mediatico internazionale, che evidentemente non si è preoccupato di fare la dovuta verifica delle fonti, ma ha preferito alimentare la paura della deriva settaria, con l’inevitabile aggravarsi della disaffezione dell’opinione pubblica sul dramma siriano. Tramite contatti locali, avviando le dovute verifiche, io stessa ho avuto la conferma che non si trattava di cristiani – anche se la cosa non è di certo meno grave – e il 4 maggio ho twittato: “#Siria: uomini uccisi e crocefissi in piazza dai terroristi dell’isis. I media parlano di cristiani, ma sono giovani musulmani della resistenza”.

Nello stesso giorno il collega @Fouad Roueiha scriveva sulla sua pagina Facebook Houna Souria: “Ho realizzato un’intervista con uno degli animatori della campagna “الرقة تذبح بصمت Raqqa is Being Slaughtered Silently” (Raqqa viene sgozzata nel silenzio). Eccovene un breve riassunto.
Le esecuzioni risalgono a tre giorni fa, dodici in tutto di cui sette solo nella città di Raqqa, le altre nei dintorni e tutte per mano di ISIL. Tra i 7 di Raqqa, 5 erano minorenni e dopo la fucilazione (cui hanno assistito anche i famigliari, inermi) i cadaveri sono stati restituiti, il più giovane aveva 12 anni.  I due crocefissi erano adulti, si trattava di due combattenti dell’esercito libero arrestati tempo addietro, i loro corpi sono stati esposti in piazza per tre giorni, appesi a quelle croci.L’accusa per tutti era quello di aver tentato di piazzare ordigni in città (accusa destituita di ogni fondamento, i 5 minori erano civili e gli altri due erano prigionieri), e si trattava di mussulmani sunniti, per quel che conta(…)”.

Una puntuale e precisa ricostruzione dei fatti è arrivata l’8 maggio sul sito SiriaLibano di Lorenzo Trombetta, che tra l’altro riporta le parole di un sacerdote intervistato dall’Agenzia Fides “Tali notizie servono a diffondere terrore, soprattutto hanno l’obiettivo di innescare una guerra settaria”. http://www.sirialibano.com/short-news/quando-morire-i-cristiani.html

Dunque ad essere crocifissi in Siria sono stati siriani sunniti. Qualcuno si sente forse meglio? Non so chi piangerà per loro, se mai arriverà una rettifica, una dichiarazione che dica che la loro è comunque una morte ingiusta, atroce, che fa piangere, anche se non fanno parte di una minoranza. In mezzo a tanto clamore e tanta confusione mediatica, in mezzo a tanta strumentalizzazione, c’è una sola certezza: la popolazione siriana, in tutte le sue componenti etniche e religiose, continua ad essere massacrata nel silenzio e nell’indifferenza nel mondo. Si parla di Siria solo con riferimento alle armi chimiche e alla deriva settaria, trascurando gli allarmi che riguardano la situazione dei civili, in particolare dei bambini. Intanto, assad il prossimo 3 giugno, dopo le ennesime elezioni farsa, si autoproclamerà presidente della Siria, continuerà ad occupare la sua poltrona mentre i civili muoiono, fuggono, soffrono per le privazioni. Il regime usa la fame come arma e ogni giorno sgancia sui centri abitati decine di barili esplosivi, mentre le bande di terroristi armati proseguono impunite a sterminare la popolazione e la resistenza armata è sempre più fragile, ma tutto ciò non fa rumore.

E allora dico: su quella croce, in Siria, è finita l’umanità intera. Ci sono finiti in primis i siriani in Siria, quelli che nel 2011 hanno dato vita alle manifestazioni pacifiche per chiedere la fine del regime e che hanno subito per questo una sanguinaria repressione; ci sono finiti anche quelli che, vittime della loro paura, sono rimasti succubi del potere centrale: gli uni, come gli altri, hanno pagato con il sangue e oggi non hanno più una patria. Ci sono finiti i siriani della diaspora, che dopo mezzo secolo di regime e oltre tre anni di genocidio ancora non sanno dialogare serenamente, né costruire un’opposizione forte, pluralista, unita. Ci sono finite le persone che hanno rinunciato ad indignarsi, a provare a cercare una verità che andasse oltre le ideologie, guardando al dramma siriano dal punto di vista dei civili inermi, assistendo, invece, immobili al loro genocidio. Ci è finita la verità, che come in ogni guerra è la prima vittima ad essere sacrificata. Su quella croce, che al di là dello specifico significato religioso, indegnamente strumentalizzato e offeso dalle azioni dei terroristi, è diventata per molti il simbolo del sacrificio e della passione, sono finiti il sogno di libertà del popolo siriano e con esso il sogno di una lotta pacifica e disarmata per rovesciare un tiranno.

Cosa fare, allora, per capire cosa accade in contesti così complessi? Bisogna partire dal ripudio di tutti gli integralismi, gli estremismi, i fanatismi, di qualunque tendenza siano e ragionare come figli di una stessa umanità, con tutte le sue sfumature, per evitare che civili inermi vengano strumentalizzati e continuino a pagare per i giochi di potere. Voglio dire che la Siria è anche un paese cristiano, essendo stato la culla delle più antiche comunità cristiane del mondo, così come è un paese islamico, con l’80 per cento della popolazione di fede musulmana sunnita, ma soprattutto è un Paese maidani, termine che letteralmente significa civile, con cui i siriani indicano un modello di società pluralista, partecipata, ugualitaria e laica. Ho fatto mie, parafrasandole, le parole del caro Padre Paolo Dall’Oglio, perché sono “Innamorata di Gesù e credente nell’Islam”, pensando a lui e a tutti quelli che credono, amano, rispettano l’altro e vengono perseguitati, minacciati, uccisi da chi strumentalizza il nome di Dio. Per il bene di tutti, per rendere onore a chi è morto per la libertà, per rendere onore a chi è morto senza un nome, senza un perché, dobbiamo lavorare per un’unica finalità: il rispetto dei diritti umani, quale fondamento di ogni libertà e di ogni società civile.
Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/05/10/siria-sulla-croce-lumanita-intera/

SIRIA, STRAGE DI BAMBINI ALLA TENDOPOLI DI QAH. COLPITA UNA SCUOLA

 

Dal blog di Asmae Dachan

IMG-20140429-WA001227 aprile 2014 – Qah

Di fronte al genocidio di un intero popolo è difficile stilare una classifica dei crimini peggiori. E’ difficile stabilire se sia peggio il bombardamento di un ospedale o di un quartiere residenziale: le vittime sono sempre e comunque le stesse, civili inermi colpiti in luoghi che dovrebbero essere inviolabili. Inviolabili dovrebbero essere anche i campi profughi e le tendopoli che accolgono sfollati interni, quelle persone cioè, che hanno perso tutto e che non hanno più un posto dove andare. Quelle interminabili distese di teloni di plastica che fungono da casa, ospedale, scuola e che, ormai da tre anni, sono diventate l’unico “rifugio” per milioni di persone vengono sistematicamente bombardati.

E’ successo anche domenica 27, un Mig ha bombardato i campi nella periferia di Idlib, tra cui il campo di Qah, provocando la morte di almeno 5 bambini. Una giovane di questa tendopoli, raggiunta telefonicamente, ha dichiarato:

“Era mattina, nella baracca che ospita la scuola c’erano decine di bambini. Io e le altre insegnanti stavamo facendo lezione, contente di aver finalmente ripreso possesso di quel luogo, che ci era stato affidato due anni fa ma che, a causa del continuo arrivo di famiglie sfollate, avevamo dovuto abbandonare per far spazio ai nuovi arrivati. Solo pochi giorni fa le famiglie a cui avevamo ceduto la scuola avevano trovato una nuova sistemazione e noi avevamo ripreso con le lezioni. A un certo punto abbiamo sentito un aereo, ma non abbiamo neppure avuto il tempo di reagire, che la bomba è esplosa proprio sulla nostra scuola. Ci è caduto addosso di tutto, c’era fumo ovunque. Sono morti sul colpo cinque bambini; i loro corpi a brandelli erano lì davanti ai loro compagni, davanti a tutti noi. Siamo rimasti tutti feriti, storditi, ma noi maestre abbiamo cercato di portare via i bambini che, guardando i loro amici, hanno avuto reazioni terribili. C’è chi è svenuto, c’è chi si è messo a piangere e urlare. Non so quanto sia durato tutto. So solo che i nostri piccoli scolari sono stati colpiti mentre cercavano di studiare; alcuni hanno perso la vita su quei banchi. Non posso descrivere la reazione dei genitori… La disperazione ha preso possesso di tutti gli abitanti della tendopoli: come si può accettare che degli angeli muoiano così? Come si può accettare che vengano bombardate delle tendopoli? Ora molti dicono che vogliono fuggire, andare ad Atma. Altri vogliono raggiungere la  Turchia. C’è chi vuole ritornare al villaggio, anche se sa che non c’è più nulla, ma tanto vale morire sulle macerie della propria casa che in una tenda. I bambini feriti sono traumatizzati e non c’è un ospedale dove portarli. Sono stati soccorsi in un ospedale da campo e riportati alle rispettive tende. Forse le ferite del cuore sono peggiori di quelle dei corpi. Una della bambine, che a scuola era la più brava, è in fin di vita. Il dolore è atroce… ma ci fa ancora più male quello che hanno detto i giornali del regime: “bombardata una base di Al-Nusra”. La nostra scuola in una baracca all’interno di una tendopoli spacciata per un covo di milizie armate. Le uniche armi dei nostri scolari sono la voglia di vivere e di imparare”.

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/04/29/siria-strage-di-bambini-alla-tendopoli-di-qah-colpita-una-scuola/

L’APPELLO DEI FAMILIARI DI PADRE PAOLO DALL’OGLIO, A NOVE MESI DAL SEQUESTRO

Dal blog di Asmae Dachan:

PAolo-dalloglio-rapito-5
“A nove mesi dal sequestro del gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, i familiari fanno un appello per la sua libertà: «Chiediamo a chi lo detiene di dare a Paolo la possibilità di tornare alla sua libertà e ai suoi cari e a tutte le istituzioni di continuare ad adoperarsi in tal senso».
Father Paolo’s family is calling for his release, 9 months after he was abducted in Raqqa, Syria.
نداء من عائلة الأب باولو من أجل إطلاق سراحه بعد مرور تسعة أشهر على اختطافه في مدينة الرقّة في سوريا
Neuf mois après l’enlèvement du jésuite italien le Père Paolo Dall’Oglio, enlevé en Syrie le 29 Juillet 2013, les membres de sa famille font un appel pour sa libération: «Nous demandons à ceux qui le détiennent de donner à Paolo la possibilité de reprendre sa liberté et de revenir à ses proches, et à toutes les institutions de continuer à travailler dans ce sens».*
*Dalla pagina Facebook di Ziad Majed
Libertà per Padre Paolo, libertà per tutte le persone sequestrate in Siria, libertà per tutti gli innocenti nelle carceri del regime siriano.
Il popolo siriano è uno, il popolo della rivolta contro il regime è un popolo di pace, rispetto e convivenza.
Padre Paolo è uno di noi, un italo-siriano, uomo di dialogo, di coraggio. Un uomo di pace.
Fonte:

AL GHOUTA, PERIFERIA MERIDIONALE DI DAMASCO: OLTRE LE ARMI CHIMICHE RESTA L’ASSEDIO

Dal blog di Asmae Dachan http://diariodisiria.wordpress.com/

Alghouta 23 marzo 201423 marzo 2014 – Al Ghouta, periferia meridionale di Damasco

“Perché mostriamo al mondo questa foto? Bambini in fila per un piatto di grano caldo? Perché siamo ad Al Ghouta, località Harasta, precisamente nella cucina da campo della zona assediata. Mostriamo questa foto per dire a chi (facendo il moralista e dimenticando che qui stiamo morendo tra le bombe e gli stenti) mugugna che non bisogna far vedere le foto della gente in coda per mangiare, per non ferire la loro dignità, che in realtà la dignità di questa gente è stata già atrocemente offesa. Offesa dalle violenze, offesa dall’assedio che li ha ridotti alla fame. Mostriamo questa foto perché qualcuno, rischiando la vita, è riuscito a far arrivare del grano nonostante i blocchi e i cecchini e per qualche giorno questi bambini, anziani, civili, mangeranno. Del semplice grano bollito. Non ci sono verdure, non c’è carne. Mostriamo questa foto perché ci sono cuori che non si sono addormentati e pensano alle persone in Siria, inviando loro aiuti economici e materiali. Non è una foto dolorosa e mortificante a lenire il nostro orgoglio, ma è l’indifferenza del mondo, degli arabi che pensano a costruire palazzi in oro, che continuano a vestirsi di un moralismo ipocrita, degli occidentali che pensano di detenere lo scettro dei diritti umani ma non si accorgono che in Siria sta morendo l’umanità. Sì, la Siria sta morendo. Al Ghouta è morta altre mille volte dopo l’attacco chimico. Vorremmo che la gente si indignasse – seriamente – per questo. Vorremmo non dover più aspettare che il cibo ci arrivi caricato su zaini portati per chilometri sottoterra da alcuni giovani. Vorremmo non vedere più i nostri figli piangere per la fame, desiderare come se fosse un sogno irrealizzabile, un biscotto o della cioccolata. Vorremmo non dover più fare foto per denunciare le atrocità che qui e ora si stanno consumando”.

E’ una testimonianza-sfogo drammatica quella che giunge da L. M. giovane attivista per i diritti umani di Al Ghouta, la città tristemente nota per l’attacco chimico del 23 agosto 2013. Perché in Siria accada questo: mentre sul piano militare si combatte e si registrano perdite, conquiste, con un alternarsi di scenari che ha come unica costante la morte, i civili assediati nelle diverse città stanno lentamente spirando per gli stenti. La gente lotta per la propria sopravvivenza: nonostante tutto è viva nello spirito,  pronta a iniziare una nuova pagina per tutti, ma l’esasperazione è ormai una minaccia reale.

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/03/24/al-ghouta-oltre-le-armi-chimiche-resta-lassedio/