“Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi”. Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

A pochi giorni dal processo di appello per il caso Cucchi, a Parma un detenuto registra di nascosto le guardie che parlano di pestaggi in cella. Con minacce e intimidazioni, come si evince dalle registrazioni ottenute dall’Espresso

di Giovanni Tizian

Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi 
Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

«Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu». Sono le parole di una guardia carceraria, registrata di nascosto da un detenuto: un documento sulla violenza nei penitenziari rivelato ne “l’Espresso” in edicola domani, a pochi giorni dall’apertura del processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi. Nei nastri il personale il medico dell’istituto di Parma è ancora più esplicito: «Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte».

I nastri verranno depositati dall’avvocato Fabio Anselmo, lo stesso che assiste la famiglia Cucchi. A registrarli è stato Rachid Assarag, un detenuto marocchino condannato per violenza sessuale: un reato molto grave, che avrebbe spinto gli agenti a infliggergli un supplemento di punizione con pestaggi durati un anno tra il 2010 e il 2011. L’apparecchio audio gli è stato fatto arrivare dalla moglie italiana.

Uno stralcio delle registrazione audio del detenuto nel carcere di Parma mentre parla con la guardia del pestaggio subito in cella. Tutti gli audio sono stati inviati in Procura dall’avvocato della vittima LEGGI Botte in cella tra l’omertà. Di Giovanni Tizian

Per cercare di documentare le violenze, il recluso ha spinto gli agenti a parlare: «Sì, sì, va bene: tu sei entrato dopo. Ma io sento la tua mano sulla mia faccia e il tuo piede sulla mia schiena… Perché tutta questa violenza?!». Il funzionario replica laconico: «Perché ti devi comportare bene». Nei nastri si sente il recluso che descrive la chiazza di sangue sul muro della cella: «Va bene assistente, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi? ». «Sì, ho visto», conferma la guardia.

Denunciare però è inutile: «Comandiamo noi. Come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, né avvocati, né giudici», dichiara un agente: «Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…».

“L’Espresso” ha contattato il direttore dell’epoca, che ha preferito non rilasciare dichiarazioni. I sindacati anche negli scorsi mesi hanno difeso la corretta gestione dell’istituto. Il rappresentante del Sappe Errico Maiorisi ha forti perplessità sul metodo utilizzato dal detenuto nel ricercare le prove: «Mi sembra strano che possa aver registrato. La denuncia la può fare comunque, si vedrà chi ha ragione e chi ha torto».

La magistratura non si è ancora pronunciata: l’esposto di Assarag giace da molti mesi sulla scrivania dei pm di Parma. Invece la querela presentata contro di lui da alcune guardie per violenza e oltraggio si è rapidamente trasformata in processo. Ed è proprio questo giudizio che l’avvocato vuole sfruttare per ribaltare la situazione grazie alle registrazioni.

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