Carcere di Sollicciano: “Seguici, maleducato”, poi lo picchiano… ecco le prove

Rachid Assarag ha registrato tutto: “mi avete picchiato, non potete negarlo”. e gli agenti: “tanto comandiamo noi”. È stato portato in isolamento, picchiato e lasciato senza cure. È l’ennesima denuncia shock che noi de Il Garantista riportiamo dopo aver contattato la moglie del detenuto che avrebbe subito il pestaggio.

Ha avuto un contrasto con un agente penitenziario che lo avrebbe dovuto portare in infermeria. Mentre gli apriva il blindo gli avrebbe detto: “Andiamo maleducato”. Il detenuto ha chiesto il perché di quell’insulto e ottenendo per risposta che se non ci fossero state le telecamere, “gliele avrebbe date”.

Poi sarebbero arrivati altri agenti, lo avrebbero portato in isolamento e lì lo avrebbero percosso. Questo è ciò che il detenuto ha denunciato alla moglie durante il colloquio telefonico durato dieci minuti. Le ha anche detto che non riesce a vedere bene da un occhio e che non lo vogliono portare in ospedale. Questo episodio sarebbe accaduto prima di capodanno all’interno del carcere di Sollicciano.

Si tratta di Rachid Assarag, marito di Emanuela D’Arcangeli, che aveva registrato le voci di medici e agenti che avevano ammesso le violenze all’interno del carcere di Parma. Nella registrazione la guardia carceraria si lascia andare: “Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu”. Il medico del penitenziario è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero.

Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto le ha aggredite e l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusata i medici di omicidio e le guardie no. Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte. Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi”. Rachid – durante la registrazione che aveva fatto di nascosto – non si fa problemi a parlare delle violenze che avrebbe subito e spiega sempre al medico penitenziario: “Io ho subito, mi hai visto che io ho subito la violenza”.

E il dottore risponde: “Certo, ho visto… quello che voglio dire, è che lei deve imparare a… a… abituare… sì, perché non può cambiare lei, come non lo posso cambiare io!”. Ma Rachid non molla. Insiste. Vuole risposte per capire come muoversi, a chi far presente cosa non funziona. Il medico parla anche delle “protezioni” da parte della magistratura di cui godrebbero gli agenti. E cita il caso di Stefano Cucchi, il giovane arrestato per droga e morto in custodia cautelare una settimana dopo, vicenda finita con L’assoluzione al processo d’appello. “Ah, il magistrato è dalla parte di loro?”, chiede Assarag.

“Certo… in un caso di morte, in un caso di morte come quello di Cucchi, sono riusciti a salvare gli agenti e hanno inchiappettato i medici”. Grazie a queste registrazioni – in seguito rese pubbliche – è partita un’ispezione interna da parte dell’Amministrazione penitenziaria e un’inchiesta è stata aperta dalla Procura.

Per quiesto motivo Assarag è stato trasferito al carcere di Sollicciano. La moglie aveva inviato una lettera alla direttrice del carcere affinché gli garantisse protezione da eventuali ritorsioni. Emanuela D’Arcangeli tramite il suo blog “Carcere e Verità” sta intraprendendo una battaglia per combattere la situazione infernale del sistema penitenziario. Con una lettera pubblicata dal Garantista, aveva lanciato un invito a intraprendere una lotta che non tra detenuti e guardie “cattive”, ma un fronte comune composto da familiari di detenuti, operatori e le stesse guardie penitenziarie che credono nel loro lavoro.

In altre registrazioni, sempre messe a disposizione sul canale You Tube del blog “Carcere e Verità”, ci sono colloqui con altre guardie carcerarie che ammettono di essere supini a uno spirito corporativo: non testimonieranno mai contro i loro colleghi.

Quello che avviene in carcere resta chiuso tra quattro mura; una sola parola vige tra gli operatori penitenziari: omertà. L’invito di Emanuela è quello di combatterla. Ma a quanta pare non è bastato, e Rachid sarebbe stato picchiato, ancora. Ha deciso, quindi, di inviare una lettera – che noi pubblichiamo integralmente – alla dottoressa Maria Grazia Giampiccolo affinché si accerti della violenza che ha subito per prendere immediatamente provvedimenti.

 

Lettera della moglie di Rachid al direttore del carcere di Sollicciano

 

Cortese dottoressa Maria Grazia Giampiccolo, il mio nome è Emanuela D’Arcangeli e sono io moglie di Rachid Assarag, detenuto presso il carcere di Firenze Sollicciano, dal maggio di quest’anno. Le scrivo affinché lei porti la mia riconoscenza agli agenti che lunedì 29 dicembre non hanno accompagnato Rachid al pronto soccorso, dopo avergli procurato un ginocchio dolorante e un occhio pesto, da cui non riesce più a vedere.

Lasciandolo poi in isolamento, dove non ha potuto parlare con le volontarie. C’è un gioco che si fa, quando si avvicina il Capodanno: ci si interroga su come sia andato un anno e su cosa ci si aspetta dall’altro, È un gioco infantile a cui mi ero prestata proprio dieci minuti prima di ricevere quella telefonata, in cui Rachid mi raccontava la sua mattinata di lunedì. Questo è stato un anno ricco di avvenimenti, alcuni gioiosi e altri spiacevoli, ma nel complesso mi era sembrato un “anno di semina”.

E per il 2015 ipotizzavo che quei semi gettati, potessero trasformarsi nel “raccolto” tanto atteso, se il tempo ci avesse dimostrato di aver seminato bene, Quella telefonata è arrivata a due giorni dalla fine dell’anno, giusto in tempo per essere l’ultimo seme del 2014, piantato nello stesso terreno degli altri. Aprile 2014: la faccia coperta di sangue di Rachid e le versioni discordanti fornite dal carcere di Prato, per trovare una spiegazione qualunque, che sollevasse il carcere stesso, da eventuali responsabilità.

Giugno 2014: il suicidio di un ragazzo marocchino, proprio nel carcere di Sollicciano, Una morte che si sarebbe potuta evitare, se alle regole e alle rigide procedure, si fosse anteposta l’umanità. Settembre 2014: l’articolo su l’Espresso, con la notizia delle registrazioni audio raccolte da Rachid nel carcere di Parma. Violenza, omelia e abuso di psicofarmaci. Un inferno dove Rachid ha trascorso un anno e dove altre persone ancora patiscono lo stesso trattamento.

Ottobre 2014: udienza del processo di Parma. I documenti audio vengono assunti come prova a favore di Rachid, accusato di resistenza a pubblico ufficiale, dallo stesso “gruppetto” di guardie, protagonista delle registrazioni. Dicembre 2014: l’ultimo seme. Quello piantato dagli agenti di Sollicciano, lunedì 29.

Prima che lo dica chiunque altro, lo dico io: Rachid è ribelle, polemico e arrogante. “Non sei l’avvocato di nessuno!” Quindi se vedi un “male”, taci. Questa era la lezione che aveva il dovere di imparare. Ma di fronte al “male”, lui non solo ha parlato, ma ha agito. Questo ha fatto di lui un ribelle. Giorni trascorsi in ozio; assistenza medica minima; assistenza psicologica quasi inesistente; anticostituzionalità complessiva del sistema carcere. Parlare sempre di queste cose, ha fatto di lui una persona polemica.

Pretendere rispetto dalle guardie, lo stesso che le guardie pretendono dai detenuti, ha permesso agli altri, di farlo apparire arrogante, se non violento.

Tutto questo può scusare la violenza e le lesioni che ha subito? Sì. Se il carcere dovesse formare ubbidienti soldati, fedeli e sottomessi alla gerarchia militare. O se fosse solo un contenitore dove costringere le persone cattive, a passare inutilmente una parte più o meno sostanziosa della loro vita, aggiungendo alla pena, altre pene accessorie non previste dalla legge.

Ma la verità è che la violenza è illegale e come tale, va denunciata, Sono riconoscente a quegli agenti, come può esserlo una completa idiota, perché hanno fatto quello che ci aspettavamo, ancora una volta. Ma a che prezzo Rachid pagherà il suo stare dalla parte della ragione, non lo so, perché non è stato nemmeno portato in ospedale! Dico queste cose a lei, come responsabile dell’istituto in cui si è consumata questa ennesima violenza, fiduciosa che vorrà saperne di più. Le porgo i miei più cordiali saluti, ringraziandola fin da ora per il suo interessamento.

Damiano Aliprandi da il Garantista

 

 

Citato in http://www.osservatoriorepressione.info/parma-seguici-maleducato-poi-lo-picchiano-ecco-le-prove/

 

“Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi”. Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

A pochi giorni dal processo di appello per il caso Cucchi, a Parma un detenuto registra di nascosto le guardie che parlano di pestaggi in cella. Con minacce e intimidazioni, come si evince dalle registrazioni ottenute dall’Espresso

di Giovanni Tizian

Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi 
Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

«Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu». Sono le parole di una guardia carceraria, registrata di nascosto da un detenuto: un documento sulla violenza nei penitenziari rivelato ne “l’Espresso” in edicola domani, a pochi giorni dall’apertura del processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi. Nei nastri il personale il medico dell’istituto di Parma è ancora più esplicito: «Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte».

I nastri verranno depositati dall’avvocato Fabio Anselmo, lo stesso che assiste la famiglia Cucchi. A registrarli è stato Rachid Assarag, un detenuto marocchino condannato per violenza sessuale: un reato molto grave, che avrebbe spinto gli agenti a infliggergli un supplemento di punizione con pestaggi durati un anno tra il 2010 e il 2011. L’apparecchio audio gli è stato fatto arrivare dalla moglie italiana.

Uno stralcio delle registrazione audio del detenuto nel carcere di Parma mentre parla con la guardia del pestaggio subito in cella. Tutti gli audio sono stati inviati in Procura dall’avvocato della vittima LEGGI Botte in cella tra l’omertà. Di Giovanni Tizian

Per cercare di documentare le violenze, il recluso ha spinto gli agenti a parlare: «Sì, sì, va bene: tu sei entrato dopo. Ma io sento la tua mano sulla mia faccia e il tuo piede sulla mia schiena… Perché tutta questa violenza?!». Il funzionario replica laconico: «Perché ti devi comportare bene». Nei nastri si sente il recluso che descrive la chiazza di sangue sul muro della cella: «Va bene assistente, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi? ». «Sì, ho visto», conferma la guardia.

Denunciare però è inutile: «Comandiamo noi. Come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, né avvocati, né giudici», dichiara un agente: «Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…».

“L’Espresso” ha contattato il direttore dell’epoca, che ha preferito non rilasciare dichiarazioni. I sindacati anche negli scorsi mesi hanno difeso la corretta gestione dell’istituto. Il rappresentante del Sappe Errico Maiorisi ha forti perplessità sul metodo utilizzato dal detenuto nel ricercare le prove: «Mi sembra strano che possa aver registrato. La denuncia la può fare comunque, si vedrà chi ha ragione e chi ha torto».

La magistratura non si è ancora pronunciata: l’esposto di Assarag giace da molti mesi sulla scrivania dei pm di Parma. Invece la querela presentata contro di lui da alcune guardie per violenza e oltraggio si è rapidamente trasformata in processo. Ed è proprio questo giudizio che l’avvocato vuole sfruttare per ribaltare la situazione grazie alle registrazioni.

L’articolo integrale sull’Espresso in edicola venerdì e da oggi online su E+

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