Morì come Soldi per un Tso nel Torinese: ora il tribunale vuole archiviare il caso

Storie che si somigliano, dettagli che ritornano, assonanze tra una drammatica e molto nota vicenda, quella di Andrea Soldi, il giovane morto l’estate scorsa durante un Tso, e una invece quasi dimenticata, che nei prossimi giorni però sarà in aula in Tribunale per una scelta decisiva del giudice. E soltanto adesso i familiari cercano un po’ di visibilità, per sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica affinché si affrontino le problematiche delle famiglie con malati psichiatrici, e perché nessuno debba mai più morire durante un trattamento sanitario obbligatorio.

È successo anche a Bruno Combetto un anno fa esatto, il 24 settembre 2014. Lui aveva 64 anni, soffriva di schizofrenia, e quella mattina uscendo dal bar di Sant’Ambrogio dove trascorreva molto tempo delle sue giornate, in mezzo alla gente, ha avuto uno scatto d’ira e ha tagliato le gomme di un’auto parcheggiata lì davanti. Poi è tornato a casa. In poche ore l’intervento, prima dei carabinieri, poi anche dei medici dell’Asl che lo avevano in cura, hanno trasformato, secondo i familiari, quello che doveva essere un normale momento di assistenza in un brutale arresto. Tanto che, ammanettato e sdraiato a terra in posizione prona, sedato con un elevato dosaggio di farmaci, l’uomo è andato in arresto cardiaco e dopo poco è morto. Le assonanze con il caso più recente di Soldi sono moltissime. Entrambi erano persone pacifiche a detta di tutti. Entrambi sono stati ammanettati in quella posizione e, poco dopo, sono andati in arresto cardiaco. Solo che nel caso di Combetto, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, che ufficialmente non ha mai avuto indagati e che si è conclusa con la relazione di un consulente di parte, senza che nessuno, neppure i familiari venissero sentiti.

Dalla consulenza il pubblico ministero Laura Longo ha concluso che non c’è nesso tra l’intervento delle forze dell’ordine e la morte dell’uomo. La sorella Wanda, che è medico, e la figlia Sara hanno depositato, attraverso l’avvocato Luca Cassiani, una opposizione all’archiviazione e il 24 settembre ci sarà l’udienza decisiva davanti al giudice Potito Giorgio. Nel frattempo la sorella ha scritto a molti rappresentanti istituzionali, tra cui il senatore Luigi Manconi come presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. “Vorrei sottoporre alla sua attenzione – scrive la donna – alcuni elementi critici che sicuramente potrebbero essere di spunto affinché casi di decesso dovuti a Tso e a uso costrittivo delle manette dietro la schiena e in posizione prona del soggetto, non debbano più riempire le pagine dei giornali”. Wanda Combetto spiega come le procedure italiane siano in evidente contrasto con le direttive di altri Paesi dove , per esempio, è vietata la costrizione fisica, tanto più l’ammanettamento dietro la schiena. “Le scrivo per far emergere la gravità di questi comportamenti – è nella lettera – che invece di tutelare la persona disagiata in troppi casi rivelano letali: non è forse giunto il momento di approvare delle leggi che impediscano abusi e l’uso sproporzionato della forza”.