La morte orribile di Khaled Asaad è un ennesimo, ottimo, risultato dello Stato Islamico che aumenta la sua fama, la sua presenza sui giornali, certo che queste sono il genere di morti che cerca il pubblico. Nello stesso tempo, all’aumentare della fama di questi fanatici, il dramma siriano continua a scomparire. E’ facilissimo, per il commentatore di questa parte del Mediterraneo, in Europa, parlare solo dell’Isis e cancellare il contesto, la Storia. Fatto ciò, si arriva immediatamente all’assunto: in Siria c’è l’Isis e Assad, tutto quello c’è in mezzo e che è stato è semplicemente cancellato.
Ciò deriva dalla sindrome dell’11 settembre, da questo incubo che si annida in ogni scelta di politica estera e che ha pervaso il senso comune popolare quando ci si approccia al Medioriente. La Storia del mondo arabo, gli eventi accaduti anche solo una settimana fa che possono spiegarci l’oggi, è scomparsa perché ci basta banalizzare ciò che resta della tanto, nostra, amata culla della civiltà. Due anni fa, alle prime ore del 21 agosto, venivano usate armi chimiche contro i civili di Ghouta, periferia di Damasco. Si contarono oltre 1000 morti che qualche giorno dopo vennero già dimenticati, come accadrà presto per Khaled Asaad. Il 21 agosto del 2013 la famosa linea rossa di Obama veniva superata. Sono passati due anni e nulla è cambiato: i siriani continuano a morire, altri attraversano il mare e altri ancora rimangono a casa loro.
Vorrei appellarmi a chiedere che tutti i morti siriani vengano considerati e celebrati ugualmente, altrimenti si smetta definitivamente di parlare della Siria. Lasciateci vivere nel nostro inferno.