COMUNICATO STAMPA DEI NO MUOS: NON CI LASCEREMO INTIMIDIRE DAL DIVIETO DI MANIFESTARE

28/02/2014

 

Le autorità politiche italiane, la mafia, la Us Navy e le lobby affaristiche dell’apparato politico-militare-finanziario internazionale hanno appena terminato la costruzione del MUOS a Niscemi, ma ai più si vuole nascondere una tale vergogna: si vieta, così, ai manifestanti e all’universo mondo di raggiungere l’unico pianoro da cui le parabole sono visibili. Uno scempio da tenere nascosto? 

 

Comunicato stampa

 

Da diverse settimane il movimento NO MUOS ha annunciato una importante manifestazione per l’1 marzo a Niscemi, per ribadire come la conclusione del montaggio delle parabole del MUOS non abbia fatto indietreggiare la lotta contro la militarizzazione del territorio, contro le guerre, a salvaguardia della salute, dell’ambente e della pace.

La nostra richiesta di poter attraversare in corteo la Sughereta di Niscemi da contrada Pisciotto fino al cancello n. 4 della base NRTF della Marina militare degli Stati Uniti, il più vicino alla sede del MUOS è stata rigettata dalla Questura usando strumentalmente un parere contrario dell’Azienda Forestale che ha addotto motivazioni pretestuose concernenti rischi per l’incolumità delle persone e per l’ambiente della Sughereta.

Non ci pare siano state frapposte difficoltà di questo tipo né di altro, da parte della Forestale, alla Marina degli Stati Uniti quando ha stuprato un’area di circa 1.500.000 metri quadrati di Sughereta per costruire la base di comunicazioni NRTF, dentro la quale, sempre senza frapporre alcun divieto, la Forestale ha permesso la costruzione del MUOS.

Il Movimento NO MUOS legge in questo atteggiamento un chiaro atto intimidatorio con il quale l’Azienda Forestale e chi si nasconde dietro di essa cercano di vietare la manifestazione dell’1 marzo, che si è data come obiettivo il coinvolgimento di migliaia e migliaia di persone, le quali devono poter rendersi conto del processo avanzato di militarizzazione in atto e dello scempio fatto al bosco della Sughereta.

Una seconda richiesta di effettuare la manifestazione dal cancello n. 1 al cancello n. 4 ha ricevuto la prescrizione di arrestarsi alla fine del tratto di strada asfaltata, in contrada Polo, senza proseguire verso il cancello n. 4; un’autorizzazione a metà che — di fatto — mutila il corteo e cancella uno dei suoi principali obiettivi.

Il Movimento non si lascia impaurire; l’1 marzo migliaia di persone daranno vita a una grande manifestazione per affermare il diritto a  sfilare liberamente e a esprimere le proprie idee; il diritto a contestare le scelte dei governi di Washington, Roma e Palermo fatte sulla testa e sulla vita di milioni di siciliani; il diritto a rifiutare la militarizzazione del territorio, l’attentato alla salute degli esseri viventi, lo scempio ambientale, che si stanno consumando da tempo e che, con il M UOS in funzione, subiranno una micidiale accelerazione.

Fino a oggi gli attivisti NO MUOS non si sono lasciati sopraffare dalle più fantasiose azioni repressive resse in atto dalla Questura, e l’1 marzo saranno ancora una volta a Niscemi per ribadire che la resistenza contro il MUOS continua; per dimostrare come nuove forze si affiancano a quanti in questi anni hanno sostenuto questa dura battaglia, e che tutti sono convinti più che mai che il MUOS si potrà e si dovrà smantellare, assieme alle 46 antenne NRTF.

 

Fonte:

http://www.nomuos.info/non-ci-lasceremo-intimidire-dal-divieto-di-manifestare/

3 pensieri su “COMUNICATO STAMPA DEI NO MUOS: NON CI LASCEREMO INTIMIDIRE DAL DIVIETO DI MANIFESTARE

  1. Invio un ultimo contributo sulla situazione vicentina, tra basi statunitensi, nuove autostrade e rifiuti tossici. Grazie per l’ospitalità e buon lavoro.
    ciao
    GS

    A31: AUTOSTRADA, DISCARICA O INFRASTRUTTURA MILITARE?
    (di Gianni Sartori, 2012)

    Tempi duri per l’ambiente e il paesaggio tradizionale del Basso Vicentino, il territorio a sud di Vicenza, Colli Berici compresi. All’orizzonte si intravedono ulteriori devastanti escavazioni e cementificazioni.
    La A31 (Valdastico Sud), infilandosi tra le colline di Monticello, Albettone, Lovolo e Lovertino ha rappresentato il colpo di grazia.
    Le piccole alture costituiscono (o meglio, costituivano) il trait d’union naturalistico tra due aree geologicamente diverse, i vulcanici Euganei e i carsici Berici. L’ultima cattiva notizia riguarda i materiali utilizzati per il fondo autostradale. Già individuati nel tratto di Albettone, i rifiuti tossici (presumibilmente provenienti da fonderie) potrebbero essere stati utilizzati per buona parte della tratta di circa 50 chilometri che attraversa il Basso vicentino arrivando a Badia Polesine. Centinaia di tonnellate depositate nottetempo con il fondato sospetto di infiltrazioni mafiose.
    A scoprire l’ulteriore misfatto, un archeologo dilettante, Marco Nosarini che conserva pezzi di materiale raccolti lungo la “grande opera” in costruzione. Nella zona di Albettone finora aveva rinvenuto resti sia preistorici che romani. Ma di fronte alla “cosa nera” individuata nell’agosto 2010, ha capito immediatamente che si trattava d’altro. Allertati i carabinieri di Campiglia dei Berici, ha presentato il primo esposto. “Passato a Vicenza -racconta- l’esposto è rimasto in questura per undici mesi” forse perché il materiale raccolto non era stato analizzato. Nell’aprile 2011 un nuovo indizio. Il cane di un abitante del luogo beve l’acqua di un fossato vicino all’autostrada e nel giro di due giorni muore.
    L’ipotesi è che l’acqua penetrando nel materiale proveniente dalle fonderie produca un micidiale “percolato”. Si teme la presenza di nocivi minerali pesanti. Nosarini ricorda che all’epoca del suo primo esposto “probabilmente il tratto utilizzato era di un chilometro o due” mentre ora potrebbero essere già una trentina. “Da 120mila a 300mila metri cubi” ipotizza. E senza calcolare le decine di raccordi stradali. Intanto l’inchiesta passava alla procura di Brescia (v. quella già in corso sulla Brescia-Milano, v. la ditta Locatelli) e poi, d’ufficio, all’Antimafia di Venezia (DIA). Va sottolineato che “se fosse stata un’inchiesta normale, sarebbe stata trasferita a Vicenza”.
    Al momento si starebbe ancora indagando. Ovviamente sono indagini lunghe (con carotaggi e analisi fatti, probabilmente, dagli stessi esperti della Brescia-Milano) e gli interessi in gioco sono molto alti, dell’ordine di miliardi di euro, ma ormai l’impressione è che si voglia mettere la popolazione di fronte al fatto compiuto.
    Per Maria Chiara Rodighiero, esponente di Medicina Democratica e dell’AIEA (Associazione italiana esposti amianto) “ la cosa è grave” anche se probabilmente gli eventuali effetti si potranno vedere solo tra qualche anno, dato che i minerali pesanti hanno la tendenza ad accumularsi nell’organismo. In teoria i materiali provenienti dalle fonderie dovrebbero venir resi inerti prima di essere utilizzati. Dopo una temporanea sospensione, i lavori per la prosecuzione dell’A31 sembrano già riavviati. Qualcuno si è anche mobilitato. Il 17 marzo 2012 Rifondazione Comunista(dopo alcune interrogazioni in Consiglio regionale) ha organizzato nel vicentino una manifestazione regionale contro la Pedemontana, la A31 e i previsti impianti della Despar. Invece la amministrazioni comunali dei paesi interessati sembrano defilarsi. Eppure, sia nel caso della A31 che in quello della Pedemontana, appare evidente come il Veneto sia sempre più esposto ai rischi di infiltrazioni di ogni genere. Sia di sostanze tossiche che di tipo mafioso, soprattutto in tempo di crisi.
    Chi voleva il “progresso” è accontentato. Colgo l’occasione per rendere omaggio al militante Arnaldo Cestaro che da anni sta portando avanti una dura (e talvolta solitaria) battaglia contro la A31 denunciando lo stupro paesaggistico e ambientale. Un degno erede, moralmente parlando, del compianto Antonio Verlato, esponente di Italia Nostra che alla difesa di questo territorio dedicò l’intera vita.
    Oltre all’autostrada, preoccupano gli effetti collaterali: nuove zone industriali, caselli, svincoli, cavalcavia, raccordi stradali, le “voci” (regolarmente smentite, ma ricorrenti) di un futuro “villaggio americano”, la prospettiva di circa 200 campi, 600mila metri quadri, divorati dal progetto Despar ai Casoni di Ponte di Lumignano (tra Longare e Montegaldella) e un “parco industriale” di un milione di metri quadrati, aumentabile fino a due milioni, dalle parti di Badia Polesine (provincia di Rovigo, verso l’Adige).
    E poi la ciliegina avvelenata dell’annunciato poligono di tiro ad Albettone (presumibilmente a uso anche militare). A chi contesta, l’accusa di “talebani ambientalisti”. Oppure, più benevolmente, di “romanticismo bucolico”.
    In base al piano territoriale regionale, un’area di due chilometri di raggio attorno ai caselli verrebbe considerata “zona speciale” e quindi cementificabile senza possibilità di opporsi da parte di comuni, cittadini e comitati. Forse bisognava pensarci prima. Un convegno di tre giorni contro la nuova autostrada, organizzato da alcuni ambientalisti (oltre all’ottimo Arnaldo Cestaro, Francois Bruzzo e Margherita Verlato, sorella di Antonio) a Cà Brusà nel 2006, vide una significativa partecipazione di comitati provenienti da ogni parte della penisola (No Tav, No Mose, No Ponte di Messina) accogliendo anche i primi vagiti del No Dal Molin, ma venne quasi ignorato dalle popolazioni locali. Per non parlare delle amministrazioni, entusiasticamente a favore della devastante “grande opera”.
    Finora la cosa sembra passare inosservata, ma va segnalato che visto dall’alto il tracciato definitivo dell’autostrada (dal progetto originario ha subito varie modifiche) suggerisce un possibile utilizzo militare. La nuova base statunitense al Dal Molin (talvolta denominata “Ederle 2”) sarà ottimamente servita dalla Valdastico Nord, così come la vecchia “Ederle 1” si trova in prossimità del casello di Vicenza est. Restava defilata soltanto la base sotterranea di Longare “Pluto”, in passato deposito nucleare (solo “in passato”? E’ una coincidenza che in zona i casi di leucemia siano superiori alla media?). Ma ora, con il nuovo tratto, è previsto un comodo casello.
    Ben servito dall’A31 (con relativo casello) anche il futuro poligono di tiro ad Albettone. Senza dimenticare che non lontano da dove l’autostrada finisce, esiste una base militare semi-abbandonata. Niente di strano se a qualcuno venisse in mente di ripristinarla. A questo punto anche l’ipotesi di un “villaggio americano” a Nanto, già ventilata e sbrigativamente definita “fantasiosa”, diventa plausibile dato che sorgerebbe in “posizione strategica”. Gli abitanti del ridente paesello erano stati premurosamente tenuti all’oscuro, ma qualche incontro tra amministrazione locale e militari statunitensi sembra proprio esserci stato.
    C’è qualcosa di sconcertante nel modo in cui questa popolazione sta svendendo la propria Terra. Eppure siamo tra il territorio de “La Boje” e quello della Brigata partigiana Silva, nella stessa provincia che ha dato i natali a Luigi Meneghello (“I Piccoli Maestri”), a Rigoni Stern, ai fratelli Ismene e Ferruccio Manea (il mitico comandante Tar). Senza dimenticare Antonio Giuriolo e Dino Carta…
    Accusata di far la “Cassandra”, l’ambientalista vicentina Elena Barbieri aveva paragonato l’A31 al Cavallo di Troia “un regalo astuto e malefico, creato apposta per distruggere definitivamente quel territorio”. I sindaci dell’Area Berica avevano “promesso ai loro cittadini mirabilie e l’inizio di un glorioso avvenire di prosperità, ma mentre parlavano di modernizzazione nel rispetto della sicurezza del paesaggio, nei loro occhi si intravedeva il luccichio delle colate di cemento. Un cavallo di Troia donato dagli astuti politici, imprenditori e palazzinari agli abitanti del luogo. Un cavallo dentro cui si nascondevano agricoltura disastrata, impermeabilizzazione del suolo (un incentivo a future alluvioni), scomparsa del piccolo commercio, colate di cemento per la grande distribuzione (v. Despar), devastazione del paesaggio tradizionale e del contesto delle ville venete, svilimento ulteriore della biodiversità”.
    A futura memoria.
    Gianni Sartori (2012)

    PS Come avrete notato questo articolo risaliva all’inizio del 2012. All’epoca non venne preso in considerazione da alcune testate cui era stato proposto (tra gli altri, Il Fatto quotidiano e La Voce dei Berici, giornale diocesano del vicentino) forse perché l’ipotesi di un “corridoio industriale-militare” risultava inquietante o destabilizzante.
    Come è noto, a conclusione dell’inchiesta (luglio 2013) sono stati emessi una trentina di avvisi di garanzia (un “atto dovuto”, si precisava, quasi a volersi scusare). Tra gli incriminati il leghista Attilio Schneck, presidente dell’A4 Holding che controlla la concessionaria Brescia-Padova e commissario straordinario della Provincia di Vicenza. Risulta inoltre nell’elenco il vicentino Antonio Beltrame (Afv Acciaierie Beltrame)
    Peccato che questo sia avvenuto dopo che il casello di Longare era ormai aperto e funzionante da qualche mese e quello di Albettone da una quindicina di giorni. Tempismo perfetto o soltanto coincidenza sincronica? A voler pensare male, sembrerebbe proprio che si sia voluto mettere l’opinione pubblica di fronte al “fatto compiuto”. Se era concepibile una bonifica finché i detriti tossici erano ricoperti soltanto dal terreno, ora che il tratto incriminato è asfaltato, operativo e funzionante tutto risulterà molto più difficile.
    Altra “chicca”. Il sindaco del territorio in cui si trova uno dei tratti maggiormente sospetti, quello di Albettone, avrebbe (il condizionale è d’obbligo) riconosciuto di essere stato a conoscenza dell’utilizzo di materiale proveniente dalle fonderie, ma anche di aver avuto assicurazioni che questo era stato reso inerte (cosa alquanto improbabile viste le dimensioni dei reperti raccolti dal benemerito Marco Nosarini). Altra coincidenza, il primo cittadino sarebbe alle dipendenza di una nota fonderia vicentina. Ma gli amministratori non dovrebbero vigilare anche sulla salute dei loro concittadini?
    Si parva licet, girando per i campi mi è capitato di raccogliere le lamentale (tardive) di alcuni contadini le cui proprietà sono state tagliate in due dall’autostrada. Qualcuno si stupiva del fatto che ultimamente venissero eseguiti frequenti controlli (un evento inedito in precedenza) ai pozzi artesiani della zona, anche prima dell’apertura al traffico automobilistico dei tratti autostradali in zona. Di sicuro non cercavano solo tracce di idrocarburi nelle falde acquifere…
    G.S. (agosto 2013)

  2. un pro-memoria…

    Oltre 900 BASI AMERICANE nel mondo
    (Gianni Sartori)

    Ancora nel 2002 Zoltan Grossman (membro del Gruppo di informazione dell’Asia del Sud-Ovest) aveva analizzato la relazione tra “guerre umanitarie” americane e l’installazione di nuove basi in aree strategiche. All’epoca, in soli dieci anni, gli Usa avevano già collezionato un gran numero di interventi: Iraq, Somalia, Yugoslavia, Afghanistan…per citare soltanto i maggiori. L’elenco si allungherebbe se venissero conteggiate azioni come quella nelle Filippine meridionali, a Mindanao, contro il gruppo islamico Abu Suyyaf.
    Ufficialmente queste spedizioni dovevano servire a rovesciare dittature, impedire pulizie etniche o fermare il terrorismo islamico. Ma, secondo Grossman, gli Stati Uniti stavano soprattutto “affrontando il loro declino economico nei confronti dell’Europa e dell’economia asiatico.orientale ( “blocco dell’euro e blocco dello yen”).
    Tali interventi andrebbero interpretati “soprattutto come una reazione alla nuova realtà geopolitica”.
    “A partire dal 1990 –sottolinea l’autore- sulla scia di ogni intervento su larga scala, è rimasta una sfilata di basi militari in regioni nelle quali gli Usa non avevano mai avuto un appiglio”. I militari statunitensi si sarebbero “inseriti in queste zone consolidandovi l’influenza Usa, proiettando il dominio in regioni strategiche per contrastare futuri concorrenti economici, per creare un cuneo, un “blocco del dollaro”. Mentre gli interventi militari erano ancora in via di progettazione “i pianificatori si concentravano sulla costruzione di nuove installazioni militari o nell’assicurarsi il diritto di utilizzare come basi quelle già esistenti sul territorio”. A guerre concluse le truppe non si sono ritirate, dando origine a rancori nei loro confronti da parte delle popolazioni locali.
    Quindi se è vero che “le nuove basi militari sono state costruite per appoggiare gli interventi” è altrettanto realistico pensare che “gli interventi hanno offerto l’occasione per ottenere tali basi”.
    In questo modo gli Usa hanno acquisito un “solido aggancio nella terra centrale fra l’Europa a ovest, la Russia a nord e la Cina a est”, dalla Bosnia al Pakistan.
    Attualmente gli Usa importano dal Golfo poco più del 5% del loro petrolio; il resto va principalmente in Europa e Giappone.
    Sarebbe evidente che lo scopo principale era garantirsi “il controllo da parte di società americane delle forniture di petrolio, sia per l’Europa che per l’Asia Orientale” come aveva denunciato anche il presidente francese Chirac.
    La guerra del Golfo del 1991 ha lasciato basi di grandi dimensioni in Arabia Saudita e nel Kuwait, oltre al diritto di mantenere basi in altri stati: Bahrain, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti.
    Senza dimenticare quelle già esistenti in Turchia.
    DALLA SOMALIA AI BALCANI
    Anche l’intervento del 1992-93 in Somalia aveva probabilmente il medesimo scopo. Ma in Somalia gli Usa, già alleati del dittatore Siad Barre, commisero l’errore di schierarsi con alcuni signori della guerra contro il potente Aidid, perdendo in un solo combattimento una ventina di soldati. Dopo il loro ritiro hanno acquisito una base nel porto di Aden, dall’altra parte del Mar Rosso, nello Yemen.
    Qui nel 2000 hanno subito un pesante attacco da parte di Al Qaeda.
    Gli interventi nei Balcani (Bosnia 1995 e Kosovo 1999) permisero agli Usa di insediare altre basi in Albania, Bosnia, Macedonia, Ungheria, oltre all’enorme complesso di Camp Bondsteel nel Kosovo.
    L’intervento in Afghanistan si spiega con la “posizione storicamente strategica di questo paese che cavalca l’Asia meridionale, l’Asia centrale e il Medio Oriente”. Inoltre l’Afghanista si trova sul percorso proposto per l’oleodotto dell’UNOCAL, tra i campi petroliferi del Caspio e l’Oceano indiano.
    Ancora prima dell’11 settembre, gli Usa stavano già inviando truppe nell’ex repubblica sovietica dell’Uzbekistan. La guerra ha poi reso possibile la costruzione e il diritto di utilizzo di basi in Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan e Tajikistan. La perenne instabilità fornisce agli Stati Uniti la giustificazione per una permanente presenza militare nella regione, arrivando a ipotizzare l’uso del dollaro come nuova moneta afgana.
    Prossimi obiettivi potrebbero essere, oltre all’Iran, lo Yemen e la Somalia per la posizione strategica dei loro porti.
    Anche le “esercitazioni congiunte” di militari statunitensi e truppe filippine contro il gruppo Abu Sayyaf (ma probabilmente anche contro la guerriglia della minoranza Moro) avevano lo scopo di ristabilire il diritto a utilizzare le basi, dopo che il Senato filippino aveva negato il mantenimento della base aerea Clark e della base navale di Subic, come richiesto dai gruppi nazionalisti.
    Nuove basi nelle Filippine garantirebbero agli Usa il controllo in Asia orientale e probabilmente non susciterebbero troppe critiche da parte di Pechino (come invece è accaduto per il Kyrgyzstan).
    Tra le future aree del mondo che potrebbero diventare oggetto di interventi americani c’è anche l’America Latina, in particolare la Colombia (con il pretesto della guerriglia delle Farc) e il Venezuela.

    CONTRO LE BASI
    Nel gennaio del 2004 a Munbai si era costituita una Rete internazionale contro la presenza militare Usa, da Portorico all’Iraq, passando per Camp Darby e Aviano.
    L’ecologista Marinella Correggia ricordava che “ questa Rete è nata per contrastare un’egemonia militare che continua a crescere come un cancro nel globo, pericolosa per l’incolumità del pianeta e dei suoi abitanti”.
    E talvolta la resistenza è possibile. A Vieques, isola di Portorico, nel 2003 (dopo 63 anni di esperimenti militari) gli abitanti sono riusciti ad allontanare l’US Navy. Naturalmente i terreni rimangono contaminati (uranio, agente orange…) e richiedono una radicale bonifica.
    In Brasile era stato il primo governo Lula a non rinnovare la concessione della base di Alcantara, praticamente regalata agli Usa dal governo Cardoso nel 2000.
    Lottano invece ormai da più di trenta anni circa 2000 chagossiani che vorrebbero ritornare nella loro isola, Diego Garcia nell’arcipelago Chago (stato delle Mauritius), da cui vennero scacciati con minacce e intimidazioni. L’isola è ora deturpata dalle caserme, gli alberi sono stati tagliati, il mare è inquinato…e da qui sono partiti i B52 per bombardare Afghanistan e Iraq. Nel 2000 una corte inglese aveva riconosciuto il loro diritto al ritorno, ma in un processo successivo la sentenza è stata annullata. In Corea le proteste per i numerosi delitti commessi dai militari statunitensi hanno costretto il governo a inserire un memorandum sulla protezione ambientale nel Sofa (Status of overseas forces agreement), Anche negli Usa la mobilitazione popolare ha portato alla chiusura di alcune basi nella baia di San Francisco.
    Risale invece a qualche anno fa la lotta delle donne pacifiste inglesi contro la base di Greenham, accusata di aver fatto nascere una estesa “economia della prostituzione”.
    Sul legame tra presenza militare americana e sviluppo della prostituzione, soprattutto in Asia, Richard Poulin aveva pubblicato “Prostituzione/globalizzazione incarnata” (ed. Jaca Book). Tutto avrebbe avuto inizio con le guerre di Corea e del Vietnam, quando il governo americano negoziò la realizzazione di veri e propri “campi del sesso” per le truppe sia in Corea che in Thailandia. In questo paese il numero delle prostitute passò rapidamente da 20.000 a 400.000. In seguito, a guerre finite, il governo tailandese ricevette almeno due milioni di dollari di finanziamento dalla Chase Manhattan Bank per organizzare il turismo sessuale per reduci e militari. Attualmente in Thailandia ci sarebbero due milioni di prostitute, il 33% minorenni.
    In base ai dati che ci hanno fornito Gerry Condon ed Helen Jaccard, esponenti di Veterans for Peace e di Bradley Mannig Support Network, attualmente le basi statunitensi nel mondo sarebbero oltre 900. In quanto indigeno nativo devo poi amaramente constatare che almeno tre di queste deturpano il paesaggio vicentino: Ederle, Pluto e l’ultima arrivata, il Dal Molin (per non parlare di depositi come alla Fontega o di villaggi americani e altre amenità). Almeno con la Crimea stavolta gli è andata male.
    Gianni Sartori

  3. Analogamente alla lotta NO TAV e NO MUOS, esiste anche, nel profondo nord-est. una lotta No DalMolin, No Pluto, No A31 etc.
    ciao GS

    IL POSTO DI PLUTO? ALL’INFERNO, OVVIAMENTE
    (Gianni Sartori – direttore responsabile del giornale del presidio No-DalMolin finché è stato pubblicato, 2012)
    Nella mitologia greca “Pluto” è il dio della ricchezza. Nella versione di Aristofane, un dio che la distribuisce a caso provocando soprattutto danni. Ottimo per indicare un avamposto militare al servizio della “fase suprema del capitalismo”. Ma essendo la base di Longare in gran parte sotterranea, è probabile che il nome corrisponda al nominativo latino di “Pluto -Plutonis”, Plutone (in greco “il ricco”) il dio degli Inferi. Era anche marito di Persefone, figlia di Demetra, madre -secondo altre fonti sorella- del sopracitato “Pluto”. In ogni caso la terminologia adottata evoca cose torbide, incestuose, oscure e malvagie.

    UNO SPETTRO RADIOATTIVO SI AGGIRA SUI COLLI BERICI…
    La base “Pluto” di Longare, in gran parte sotterranea, sottrae alla cittadinanza un’area di oltre 20mila metri quadri sul versante est dei Colli Berici. Non è noto, invece, a quanto corrisponda l’estensione sotterranea. Fino al 1992 rappresentava la più importante sede statunitense di armi nucleari in Italia. A distanza di anni gli effetti perversi continuano a farsi sentire. Sia a nord (zona di Bugano) che a sud (Costozza) la percentuale di leucemie, in particolare tra i giovanissimi, è al di sopra della media. Un caso? Ma evidentemente non bastava. Ora si appresta a diventare un “Centro di addestramento unificato” di rilevanza internazionale. Circondata da un muro in cemento armato alto sei metri (invece delle reti con tripli reticolati attualmente presenti), con una nuova struttura di circa 5mila metri quadrati che verrà realizzata all’interno e comprendente aule e celle operative per “studio-tattiche” in supporto alla Difesa nazionale americana. Oltre ad un parcheggio per veicoli tattici di 1600 metri q. e ad altri interventi devastanti per l’ambiente come il disboscamento della vegetazione per far spazio alle esercitazioni (si presume anche dei blindati). In pratica, un campo di battaglia e un immenso poligono di tiro da realizzare entro il 2013. Un centro di avanguardia per “addestramenti mirati, pianificazioni delle missioni all’estero” e per simulare ambienti virtuali così da mantenere un “alto livello di prontezza operativa”. A Longare la fase suprema del capitalismo dispiega tutta la sua geometrica potenza!
    Spese previste, 26,2 milioni di dollari (21 milioni di euro). Specchietto per le allodole (o meglio. per gli allocchi), i “criteri di eco-sostenibilità”. I soliti pannelli solari diventati ormai l’ipocrita foglia di fico dell’immondezzaio tecno-militare. Se Hitler avesse vinto, probabilmente anche i forni crematori dei campi di sterminio utilizzerebbero il fotovoltaico.
    Appare evidente che la devastante opera è una diretta conseguenza (“un completamento” suggeriva un noto collaborazionista) della realizzazione della nuova base Dal Molin e della creazione del comando Africom a Vicenza. Una metastasi senza fine favorita dalla realizzazione della A31 (autostrada Valdastico), la “tangenziale perfetta” per il sistema della basi statunitensi nel vicentino (Dal Molin, Ederle, Fontega, Pluto…oltre a depositi, impianti radar e “villaggi americani” vari come a Casale).
    Indicativo dello stato di sudditanza (al limite del collaborazionismo) in cui versa questa provincia “patrimonio dell’Unesco”, il fatto che le amministrazioni locali si siano svegliate soltanto “il giorno dopo”, apprendendo dai giornali quanto deciso e stabilito dalle truppe di occupazione.
    Ma non tutti si adeguano passivamente. Il 2 settembre 2012 la “Brigata Silva” (la formazione partigiana partigiano dei Colli Berici, quella in cui si era integrato mio padre Leone Sartori, detto “Marcello”) è ridiscesa dai monti, stavolta armata di pentole e casseruole. E anche di qualche cesoia.
    Mentre centinaia di manifestanti esprimevano il loro legittimo dissenso davanti ai cancelli del sito e chiedevano la “sdemanializzazione dell’area” (come era stato promesso qualche anno fa, prima della realizzazione della A31), altri raggiungevano attraverso i boschi la recinzione tagliandola in alcuni punti e lanciando fuochi d’artificio.
    Tra gli slogan maggiormente scanditi “Non siamo una colonia Usa” e “Siete circondati, ve ne dovete andare “. Ma anche la classica invettiva veneta “’mericani fora dae bae”. Altre iniziative si sono poi svolte in novembre e dicembre 2012.

    QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA
    Quanto sta accadendo sopra e sotto Longare mi riguarda direttamente. Ho trascorso l’infanzia nel paesello di fronte alla base “Pluto”, San Piero Intrigogna, appena al di là del Bacchiglione. In prossimità delle Boche del Tesena, dove il Tesina confluisce nel Bacchiglione. E il fiume Tesina non è altro che la prosecuzione dell’Astico. Alla fine il cerchio si chiude. L’Astico nasce in Trentino, di fronte a Lavarone e alla cimbra Luserna, transita per Casotto (dove vive la più consistente comunità di Sartori della provincia e da dove sembra provenissero i miei avi) e Scalzeri da cui si inerpica verso Luserna un sentiero già percorso dai partigiani della Brigata Ismene. Le sue acque spumeggianti lambiscono poi San Pietro Valdastico, Pedescala (tristemente noto per l’eccidio nazi-fascista, la maggior parte delle vittime vecchi e bambini), Barcarola e Arsiero. Scorre sotto al salto dei Granatieri (quello del Monte Cengio che Fogazzaro contemplava da Velo d’Astico) e supera Cogollo del Cengio. Proprio su questo tratto si sta per svolgere la seconda puntata del dramma “Autostrada A31, No grazie!”. Non si sono ancora spente le polemiche in merito alle ville palladiane sfiorate dall’invadente infrastruttura e per le tonnellate di rifiuti tossici riversati lungo il percorso del tratto a sud (oltre alla conferma che la contestata tratta Vicenza-Rovigo va assumendo tutte le caratteristiche di un “corridoio militare-industriale”) che già un nuovo contenzioso si va aprendo a nord.
    Dopo la conferenza stampa del 17 luglio 2012 a Trento, il sindaco di Valdastico (VI), Alberto Toldo, aveva accusato il collega di Besenello (TN) di “speculare sui morti”.
    Ma Cristian Comperini, primo cittadino del comune della Val Lagarina dove dovrebbe sbucare la galleria autostradale, aveva ricordato le tragedie del Vajont, di Stava e della Valtellina a ragion veduta, in base alle conclusioni del prof. Dario Zampieri, docente del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, relative all’analisi sulla Frana Marogna.
    Per il sindaco Comperini nella progettazione della Valdastico si sarebbe “completamente dimenticato l’indicazione dell’IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi Italiani, consultabile tramite il portale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA) sulla gravità del pericolo di una frana del volume di circa 20 milioni di metri cubi gravitante sulla località Casotto nel comune di Pedemonte (VI), dove il progetto vorrebbe collocare il viadotto Molino, lo svincolo Valle dell’Astico, un centro di manutenzione, l’area di servizio Lavarone e un centro di ristorazione”. E quindi con “un rischio molto elevato di perdita di vite umane e danni agli edifici e alle infrastrutture”.
    Nonostante l’evento principale risalga ad alcuni secoli fa, per il professor Zampieri la Marogna “è da considerarsi una frana attiva”. Una recente verifica sul terreno ha confermato che sopra la Gioia, la nicchia della frana, esiste “una massa di dolomia sospesa con giacitura a franapoggio ed inclinazione tra 20° e 30°, avente un volume di oltre 20 milioni di metri cubi”. Alla base della parete sono presenti “venute d’acqua lungo il piano di scivolamento” e la vegetazione arborea appare “danneggiata e ricoperta da una fascia di detrito a grossi blocchi che dimostra una continua attività di crolli di roccia”.
    L’analisi ravvicinata mostra inoltre “evidenti fasci di fratture beanti parallele e sub ortogonali alla parete, che isolano volumi di migliaia/decine di migliaia di metri cubi in precario equilibrio, sospesi ad una altezza di 450 m al di sopra del fondovalle e raccordati con questo tramite un piano inclinato di 30°-35°”. L’area proposta per la realizzazione dello svincolo e annessi servizi sarebbe la “meno idonea di tutta la valle dell’Astico essendo ubicata al piede di una frana attiva”. Più inquietanti delle parole, le immagini realizzate dallo stesso Zampieri e allegate al documento. Evidenti placche chiare dovute a distacchi di qualche anno fa, blocchi fuoriusciti dalla parete per scivolamento, fratture aperte, giganteschi pilasti di roccia e lame di roccia di alcune centinaia di metri cubi in precario equilibrio.
    Curiosamente, il PAI (Progetto di Piano Stralcio per l’assetto idrogeologico) del bacino del fiume Brenta-Bacchiglione, il PTCP (Piano Territoriale di coordinamento Provinciale) e il PATI (Piano di Assetto del Territorio Intercomunale) non riportano la frana della Marogna, presente invece nel catalogo IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia). Si tratta della “più grande frana della valle dell’Astico con una superficie di deposito di oltre 93mila metri quadrati di area, documentata nel sito della Regione veneto, Cartografia Geologica, Progetti CARG alla scala 1:10.000”.
    In compenso l’area intorno alla frana viene segnalata come P4, ossia “rischio geologico massimo”. Strano che al momento della progettazione dell’autostrada non se ne sia tenuto conto. Pare proprio che il Vajont non abbia insegnato nulla.
    Ma le contestazioni alla prosecuzione della Valdastico Nord da Piovene Rocchette (VI) a Trento non si limitano all’area di Casotto.
    In un volantino del Comitato NO Valdastico Nord si elencano alcune conseguenze nefaste.
    1)Passa accanto alla chiesetta di S.Agata (anteriore al 1000 dC) rovinando definitivamente il contesto ambientale;
    2)invade tutta la campagna accanto alla chiesetta di S.Giorgio di Velo d’Astico (con affreschi longobardi e rinascimentali);
    3)divora 307 campi vicentini solo nel primo tratto (tra Piovene Rocchette e Velo d’Astico), campi definitivamente sottratti alle attività agricole; *
    4)impatta con una fabbrica che occupa più di 100 operai;
    5)va ad occupare più di ¼ della superficie libera di Pedemonte (il 28% della superficie di fondovalle);
    6)A Valdastico attraversa il torrente Astico nel punto più largo e più vicino a 4 nuclei urbani (Pedescala, Forni, Settecà, Forme Cerati);
    7)piloni in cemento armato, ruote di camion e barriere anti rumore saranno il nuovo paesaggio vallivo, con buona pace delle speranze di valorizzazione turistica;
    8)va ad intercettare numerose sorgenti lungo i tratti in galleria;
    9)passa sotto al lago di Lavarone (dove trascorse periodi di riposo Freud nda) con il rischio di intercettare vene d’acqua collegate con il lago;
    10)è in aperto contrasto con il Piano Territoriale Regionale che intende limitare il consumo di suolo agricolo (in una provincia ormai completamente ricoperta da zone industriali, centri commerciali, basi militari etc. nda)…
    E la lista potrebbe continuare. Si sono espressi negativamente anche i comuni trentini di Folgaria e di Luserna, il paese natale di Elvio Facchinelli che qui ha voluto essere sepolto dopo aver donato alla biblioteca comunale tutti i suoi libri. Rinomata tra gli studiosi per aver saputo conservare la lingua e la cultura dei Cimbri, Luserna rischierebbe di venir asfissiata dai gas di scarico provenienti dall’autostrada posta nella valle sottostante. In realtà, sostiene il Comitato NO Valdastico Nord chi vuole la Valdastico Nord è soltanto “la società autostradale Brescia-Padova che, con l’approvazione del progetto, intende farsi rinnovare la concessione autostradale del tratto più redditizio (Bs-Pd) ad un prezzo più basso”.
    Significativa l’opposizione espressa dalle sezioni della COLDIRETTI di Velo d’Astico, Cogollo del Cengio e Alto Astico. Nel loro comunicato scrivono che “dopo i campi di sterminio la civiltà dell’industria ha determinato lo sterminio dei campi agricoli”. E non sembri solo un gioco di parole. I contadini della Val d’Astico sanno di cosa parlano. La Valle ha ben conosciuto sia gli eccidi nazisti (come a Pedescala) che le deportazioni nei campi di sterminio. Non per niente Cogollo del Cengio è gemellato con Mauthausen.
    Non sarebbe male che ora l’intera val d’Astico si gemellasse con la Val di Susa (e magari i No-Dal Molin con il presidio contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes a Nantes).
    Proseguendo nel suo corso, con un’improvvisa deviazione, relativamente recente stando ai tempi geologici, l’Astico si infila poi si infila tra l’Altopiano di Asiago e le colline Bregonze, in quella zona del vicentino dove ebbe inizio e si manifestò in maniera talvolta drammatica la “breve estate dell’Autonomia” negli anni settanta. Sfiora o attraversa Caltrano, Chiuppano e Calvene per poi riprendere la corsa verso sud. Tocca Breganze, Sandrigo, Lupia e Lupiola. Nei pressi di Lupia riceve dalla sinistra orografica le acque di un piccolo corso d’acqua che nasce poco prima da una risorgiva, il Tesina appunto. Cambia quindi nome, ma il percorso e la direzione rimangono quelli dell’Astico la cui natura torrentizia lo rende potente in periodo di disgelo. Per chi cammina sull’argine della destra orografica non è facile individuare quale sia il punto del cambio anagrafico. Da segnalare la presenza, almeno fino agli anni cinquanta, di qualche esemplare di lontra nella striscia di terra all’epoca ricoperta da folta vegetazione. La zona venne devastata per iniziativa istituzionale una ventina di anni fa. Alberi tagliati, anse raddrizzate, rive cementificate. Trasformando, come scrissi allora in un articolo “il limpido corso d’acqua in un canale di scolo”. Più recentemente (un autentico teatro dell’assurdo), per usufruire di finanziamenti europei, è stato realizzato un progetto di ri-naturalizzazione dell’area. Un po’ come fare affari ricostruendo dopo aver scatenato una guerra. Ovviamente un palliativo, un pro-forma visto che il danno ormai era stato fatto.
    Il cammino del fiume prosegue verso Bolzano vicentino, Quinto, Marola e Torri di Quartesolo, sfiorando la militarizzata periferia est di Vicenza (San Pio X, Bertesinella…) e confluendo nel Bacchiglione a un centinaio di metri dal campanile di San Piero Intrigogna, in origine una curtis benedettina. Poco prima della confluenza (denominata Le Boche del Tesena) riceve da destra la roggia Caveggiara; altra nostra battaglia persa quando cercammo, invano, di evitare il taglio della prosperosa vegetazione per allargare l’alveo del corso d’acqua. Bastava avessero chiesto, per esempio, a mia madre Rosa Sgarabotto che ricordava benissimo come negli anni trenta il fondo della Caveggiara fosse stato rivestito di lastre di pietra. Al momento di scavare, dopo aver diligentemente abbattuto ogni olmo, ontano, pioppo, salice e moraro (gelso) presente lungo le rive, si accorsero che l’operazione non era fattibile e lasciarono tutto com’era (tranne ovviamente per gli alberi irreparabilmente estirpati).
    In un certo senso il sistema Astico-Tesina costituisce la spina dorsale, liquida, delle campagne vicentine, dalle Prealpi alla pianura vera e propria. Ora questo percorso naturale, i cui argini vengono ancora ancora utilizzati nelle transumanze verso i pascoli montani (da qualche pastore di Lumignano) si va trasformando in un nastro di cemento e asfalto, circondato da caselli, aree industriali, basi militari e altre schifezze.
    Stando ai racconti di mia nonna Pina (da bambina lavorò come mondina, sia a Grumolo che a Mossano), la lontra agli inizi del secolo scorso frequentava anche la zona delle Boche del Tesena. Lei la chiamava sgora, essere misterioso che trascinava in fondo al fiume i bambini discoli; forse una variante, più che della relativamente mite anguana, dell’aganis friulana. Fino ad un paio di decenni or sono, mi capitava di incontrare qualche anziano che si ricordava di mio nonno Augusto (un obligato, contadino povero senza terra). Proprio in questo spicchio di terra retaggio delle bonifiche del 1300, aiutato da mio padre ancora bambino, el nono Gusto venne incaricato dal proprietario dell’abbattimento di alcuni morari e albare rimasti in parte ricoperti dal terrapieno del nuovo argine. Tutto “a man col pico, la baila e la cariola” racconta mio padre. In cambio del duro lavoro, ai miei familiari sarebbero toccate le rame alte e le soche estratte dal terreno. Il legname più pregiato, sia per lavori che per riscaldamento, quello del tronco e dei rami più grossi, ovviamente andava ai paroni. Per saperne di più sul “piccolo mondo antico” di San Piero, Deba e Casaleto suggerisco la lettura di “Mio padre partigiano” (un articolo pubblicato nel 2003) dove ho raccontato di un tentativo fascista di far ingurgitare a mio nonno l’olio di ricino (previa manganellatura di rito). La bieca operazione venne stroncata da mia nonna a colpi di forcone. Non fu invece altrettanto fortunato mio zio Attilio Fasolato (detto Tilio, come l’albero), operaio e sindacalista allo stabilimento Rossi di Debba. Solo recentemente ho saputo che la stessa sorte era toccata anche ad un vicino dei miei, el scarparo Farinello, anche lui socialista.
    Costui trovò però il modo di vendicarsi. Fingendo di accettare umilmente la predica e le raccomandazioni per “comportarsi bene in futuro”, dopo il pestaggio acconsentì a offrir da bere alla squadraccia. Portò in tavola del cordiale a cui aveva aggiunto parecchie gocce di un forte lassativo. Ritornate a casa, le camicie nere dovettero immediatamente correre al cesso. All’intraprendente antifascista (in seguito ospite delle patrie galere) arrivò una lettera minacciosa che lo preavvertiva di una ulteriore visita non propriamente di cortesia. Ma i socialisti del luogo si organizzarono. Quando il camion della spedizione punitiva transitò per la Riviera Berica, i compagni vennero allertati, come era stato convenuto, dal suono delle campane di San Piero Intrigogna. Prontamente radunatisi, bloccarono la squadraccia all’altezza della Pontara tra Debba e San Piero e l’olio di ricino venne forzatamente ingerito dai componenti della squadraccia. Un piccolo gesto di resistenza di cui si era persa la memoria e che riscatta la popolazione locale, talvolta troppo umile e sottomessa al potere.
    E dopo quelli dei fascisti, sulla strada che da san Piero porta a Vicenza passando per Casale (all’epoca ancora strada bianca) passarono i camion statunitensi. Il mio primo incontro risale agli anni cinquanta. Abitavo a Casaletto, una contrada la cui parte più consistente era costituita dall’abitazione e dalle stalle dei Dalmaso, gli affittuari. In prossimità di una piccolo rilievo, el monteseo, recentemente devastato da alcune costruzioni e da un centro di addestramento per cani. I camion passavano sollevando la polvere e un nugolo di bambini correva loro incontro gridando “ciunga” (termine dialettale per indicare la gomma da masticare) mentre i soldati lanciavano sbrancà di chewing gum e qualche caramella. I ragazzini si accapigliavano rotolandosi per terra per strapparsi il misero bottino. Ricordo che me ne stavo appoggiato al portone e non partecipavo. Forse per timidezza, forse per dignità.
    In ogni caso provando vergogna per lo spettacolo “coloniale”.
    A non più di 2-3cento metri dalla citata Pontara, troviamo gli storici ponti di Debba, sovrastati dalle case operaie e dallo stabilimento Rossi. Oltre a mia madre, vi lavorarono come operai quattro o cinque tra zii e zie. La sorella maggiore di mia madre, Marcella moglie di Tilio, vi entrò ragazzina, quando la fabbrica era ancora un canapificio. All’epoca si lavorava immersi nell’acqua fredda corrente, con conseguenze ben immaginabili (gravi forme di reumatismi). Uno dei ponti scavalca il Bacchiglione, l’altro la mitica Rosta. Poco lontano, una decina di metri, il 4 novembre 1987 morì annegato (o meglio, fatto annegare) un ragazzino sinto inseguito dalla polizia, Paolo Floriani.
    La corsa di Paolo e Davide attraverso i campi, prima in moto (una storia alla “Chicco e Spillo”, ma senza lieto fine) e poi a piedi, finì con un tentativo di attraversare a nuoto il fiume. Già in salvo sull’altra sponda (quella dello stabilimento), Paolo tornò ad immergersi nelle fredde acque per salvare l’amico che stava annegando. Ormai circondato dai poliziotti (per niente impietositi dalla generosità mostrata dal ragazzo) Paolo tentò un’estrema fuga, ma venne inghiottito dal fiume (v. l’articolo “Nomadi e scomodi” su “A, rivista anarchica” del dicembre 1991).
    Ma torniamo a Site Pluto. Per il giornalista Antonio Mazzeo “fino al 1992 ha rappresentato la punta avanzata della follia strategica USA e NATO che ritenevano possibile una guerra nucleare limitata”. Nelle immense cavità artificiali che devastano il sottosuolo da Col de Ruga a Costozza (analogamente alla spesso dimenticata base del Tormeno, la Fontega, deposito di esplosivi sotto Arcugnano) vennero stivate (scusate il gergo da ex facchino alla Domenichelli nda) testate nucleari di tipo W-79 (potenza tra i 5 e i 10 kiloton) e W-82 (“soltanto” 2 kiloton) per obici a corto raggio M-109 e M-110 e per missili Nike Hercules. Questi ultimi collocati poco lontano, a san Rocco, nella base dell’aeronautica italiana installata sulla sommità dei colli tra Costozza e Longare e probabilmente collegata a Pluto da percorsi sotterranei. Parentesi storico-ambientalista. Tra le due basi si snoda uno dei pochi sentieri lungo cui è ancora possibile ammirare in forma abbastanza rigogliosa la rarissima saxifraga berica. Forse perché Provincia, FC del Cai (vedi il taglio dei bagolari sulle pareti intorno alla Danieli) e Pro-Loco non sono ancora intervenuti con motosega e decespugliatore a disboscare per allargare il sentiero ombroso. Come è noto la saxifraga berica vive e prospera di luce indiretta e quindi solo in zone circondate da vegetazione (o anche negli antri dei covoli, meglio se protetti da cespugli). Basti pensare a quello che è avvenuto sotto le pareti di Lumignano invase dai FC che hanno disboscato alla grande. O peggio ancora, alla Fontana di Trene sopra Nanto dove i cespugli di saxifraga sono stati direttamente estirpati per “ripulire”. Un altro esempio. Poco lontano dell’entrata di Pluto fuoriesce il canale Bisatto, proveniente dalla zona del lago di Fimon e transitato per due gallerie e val Bugano. Qui, almeno fino ad un paio di anni fa, confluivano a fine inverno migliaia di rospi scesi dai boschi per riprodursi. Appare evidente che l’ampliamento della base potrebbe avere effetti devastanti su un ambiente naturale prezioso per la sua biodiversità. Sempre tra le due basi, troviamo la lapide per l’eremita padre Pagani forse cercava di espiare le colpe accumulate come inquisitore (avete notato che nella statua recentemente posta a Costozza il volto di Pagani ricorda quello di Eymerich, l’inquisitore catalano divenuto il protagonista dei romanzi di Valerio Vangelisti?). Per restare in tema di Inquisizione, ricordo che su un poggio tra Longare e Costozza sorge la “specola” da dove il buon Galileo (gran frequentatore delle fin troppo fresche grotte locali dove finì con l’ammalarsi piuttosto seriamente) compì i primi studi della volta celeste. Dalle sue osservazioni ricavò la pericolosa convinzione per cui sarebbe la Terra che ruota intorno al sole (e non viceversa) facendo incavolare i gelosi custodi dell’ideologia dominante dell’epoca. Segnalo l’opportunità di un’ulteriore rivoluzione copernicana, quella antispecista e biocentrica che detronizzi il “re del creato” e ponga un limite alla devastazione ambientale conseguenza dell’antropocentrismo. Un altro colle tra Costozza e Lumignano era stato frequentato dal poeta Petrarca che lo soprannominò “Parnaso”. Ma soprattutto, dal ’43 al ’45, tra le grotte, i massi e gli scaranti di questa zona impervia si era installato il comando della brigata partigiana Silva. I caduti per la Libertà della Silva sono ricordati da un caratteristico monumento ancora immerso nella vegetazione. Precisazione: non è mia intenzione scrivere una sommaria guida turistica, ma soltanto sottolineare che il luogo meriterebbe maggior rispetto.
    Dopo essere già stata utilizzato durante le ultime “guerre balcaniche” e nei più recenti interventi in Africa, ormai conclusa la costruzione della nuova base per la 173° Brigata aviotrasportata nell’ex aeroporto Dal Molin e diventato pienamente operativo il comando di US Army Africa, Site Pluto non poteva mancare all’appello. Dal 2013 vi verrà insediato un Mission training complex, un centro di addestramento unificato dell’esercito statunitense con “aree funzionali per le operazioni tattiche e stanze per l’elaborazione di eventi addestrativi”. Il nuovo impianto sarà in grado di ospitare giornalmente centinaia di soldati, sia statunitensi che italiani (i reparti d’élite per le guerre africane) e anche gli ospiti del “centro di eccellenza” COESPU per le forze di polizia straniere della caserma “Chinotto”, a Vicenza. Antonio Mazzeo e Manlio Dinucci non escludono che Site Pluto possa “servire per esercitazioni di guerra nucleare” e come “deposito-centro di manutenzione di armi nucleari”. Soprattutto da quando gli F16 e i Tornado verranno sostituiti dai caccia F-35 di quinta generazione per i quali è stata progettata la nuova bomba nucleare B61-12 (al cui lancio si esercitano anche gli F-35 italiani).
    Forse allarmati dalla fuga di notizie, le autorità italiane sono intervenute per rassicurare l’opinione pubblica. Nel nuovo stabile “solo computer. La guerra sarà simulata”. Un immenso videogioco per “simulare azioni di guerra e di peacekeeping”?
    Dichiarazioni che comunque sconfessavano il precedente comunicato del comando Usa di Vicenza che escludeva di voler “ampliare la base di Longare o di aprire una nuova base a Tonezza del Cimone”. Interessante questa excusatio non petita per il riferimento a Tonezza. Sicuramente consentirebbe un facile accesso al previsto tratto Nord della A31, molto più comodamente che dalla base dismessa del monte Toraro (verso Folgaria, in prossimità di Malga Zonta dove vennere trucidati i partigiani della Garemi) ora trasformata in “Museo della Guerra Fredda”. Da notizie più recenti sembrerebbe che a Tonezza si voglia realizzare un centro di recupero per i soldati impazziti in zona di guerra. Ritorna comunque l’ipotesi che identifica nell’autostrada Valdastico A31 un “corridoio militare-industriale” attraverso l’intera provincia vicentina, una delle più militarizzate della penisola. Senza dimenticare che un corridoio ad uso militare esiste già nel Basso vicentino, più o meno sovrapposto alla Valdastico sud: quello aereo percorso quotidianamente da decine di rumorosi e inquinanti caccia.
    Nel 2009 a Site Pluto si svolse l’esercitazione Lion Focus, sotto la supervisione del Comando US Africom di Stoccarda e del Joint Warfighting Center di Norfolk (Virginia) per “preparare il quartier generale della Joint task force SETAF-US Army Africa nell’esecuzione del comando delle operazioni in Corno d’Africa in supporto delle missioni assegnata alla Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), la forza militare di più di 2000 uomini di stanza a Gibuti”. Nel maggio 2011, durante un’altra esercitazione a Longare, è stata attivata una specifica postazione di comando di “pronto intervento” (Early Entry Command Post – EECP) destinata a diventare la Forward Command Post (FCP), uno dei maggiori centri di comando per le operazioni di US Army Africa. Per Vicenza e dintorni, si profila un futuro di ulteriore militarizzazione del territorio. Ma intanto i cittadini di Longare e paesi limitrofi si preoccupano di sagre e altre amenità. Prima o poi anche gli zombies del Basso Vicentino dovranno scuotersi dal loro torpore. Ma forse sarà troppo tardi. O è già troppo tardi?
    Gianni Sartori

    *Stando alle ultime informazioni (dicembre 2013) questo tratto dell’autostrada interesserebbe la sinistra e non più la destra orografica della Val d’Astico tra Arsiero e Cogollo. Ma, come si dice in Veneto “el tacon xe peso del buso”: Si parla infatti di un’ulteriore galleria che dovrebbe passare sotto al Monte Cengio. Chi conosce la Val Cengiotta e la zona circostante può ben immaginare i futuri disastri idro-geologici. Particolarmente preoccupati e mobilitati gli abitanti di Cogollo e della frazione Casale…

I commenti sono chiusi.