Lo strano “suicidio” di Dragutinovski

dragutinovski

 

Lei si chiama Francesca, ha 32 anni ed è Rom. Vive a Colleferro, un paesino vicino Roma, in una roulotte insieme a sette fratelli. Dalla tenera età di 13 anni, a causa della morte della madre, è costretta a lavorare duramente per mantenere tutta la famiglia. Suo fratello Giuliano, di 24 anni, è morto nel carcere di Velletri il 7 marzo del 2009. Ufficialmente suicidato con un laccio di scarpe. Un suicidio strano perché il corpo presentava ecchimosi da tutte le parti, come se fosse stato torturato. Per questo motivo, dopo due anni dalla denuncia, la procura di Velletri ha richiesto il rinvio a giudizio nei confronti dell’ex direttore del carcere e del medico legale che ha eseguito l’autopsia.

Francesca, come è iniziata questa tragica storia?
Mio fratello si chiamava Giuliano Dragutinovski, nel 2009 venne prelevato dagli arresti domiciliari per essere portato nel carcere di Velletri. Da subito mostrò uno strano malessere nel carcere, ma non mi diceva niente per non farmi preoccupare. Andavo a trovarlo quando potevo e ci scambiavamo le lettere. Ai colloqui mio fratello sembrava turbato, ma non mi dava mai spiegazioni finché un giorno mi mandò una lettera con scritto che nel carcere di Velletri era successo un casino e che molto probabilmente dovevano trasferirlo. Inoltre, aggiunse che non dovevo andare lì e che mi avrebbe avvertito lui quando lo avrebbero trasferito.

È riuscita ad avere spiegazioni?
Era il 17 febbraio quando spedì la lettera, chiesi spiegazioni ma non me ne diede. Mi scrisse che me ne avrebbe parlato a voce. Così rispettai la sua volontà e non andai più a trovarlo. Il 5 marzo mi chiamò una volontaria dal carcere dicendomi che Giuliano chiedeva se potevo mandargli dei soldi e dei francobolli. Mandai l’altro mio fratello alla posta per inviargli quello che aveva chiesto pensando che il martedì sarei andata da lui. Questo accadeva di giovedì, ma all’una e mezza di notte tra il sabato e la domenica, ovvero tra il 7 e l’8 marzo, ricevo una telefonata dal carcere di Velletri: era il comandante Quattrocchi che mi chiese se ero Francesca o Gabriella (l’altra mia sorella), risposi che ero Francesca. Usò queste precise parole “Qui è casa circondariale di Velletri, condoglianze! Suo fratello è morto, si è suicidato impiccandosi con un laccio di scarpa”. Il mondo mi crollò addosso, il fratello che avevo cresciuto da sola dalla morte di nostra madre era morto. Aveva 24 anni.

È andata a riconoscere il corpo di suo fratello?
Come dicevo, il mio Giuliano era morto nella notte tra sabato e domenica. Me lo fecero vedere addirittura il mercoledì senza aver fatto nemmeno il riconoscimento e solo dopo l’autopsia.

Ha subito creduto al suicidio?
Fino a quel momento ci avevo creduto. Ma quando il mercoledì lo vidi era irriconoscibile: pieno di tagli, graffi, e aveva le dita rotte in più punti. Inoltre aveva la parte destra della faccia ricoperta di lividi, compreso l’orecchio nel quale si trovava anche dell’intonaco. A quel punto realizzai cosa fosse successo: lo avevano ucciso. Gli feci delle foto e notai immediatamente un particolare: barba e capelli gli erano cresciuti, ma le unghie erano tagliate alla perfezione. E limate accuratamente fino alla pelle: ma mio fratello le unghie se le mangiava. Promisi che avrebbe avuto giustizia, per piangerlo avrei avuto tutta la vita a disposizione.

Ha notato altre anomalie che mettono in discussione la verità ufficiale?
Nel riprendere i vestiti di mio fratello, il medico mi disse “Sono i vestiti di tuo fratello, guarda ci sono le scarpe con entrambi i lacci ”. Ufficialmente si sarebbe ucciso con un laccio di scarpe.

Cosa è accaduto dopo?
Il giorno stesso chiamai il suo avvocato di allora e lei mi chiese come stesse Giuliano e se fosse uscito. Rimasi interdetta. Non sapeva nulla della morte di mio fratello. Quando la informai, rispose che nessuno dal carcere l’aveva avvertita. A quel punto contattai due avvocati iscritti al foro di Velletri: uno mi disse di cercare un avvocato non iscritto e l’altro non prese la briga nemmeno di aprire il fascicolo.

Come ha interpretato tutto ciò?
Indifferenza e ambiguità. E non è stato l’unico episodio. Ad esempio il pm Dedola, colui che fece la prima archiviazione, convocò me e la mia famiglia. Ma stranamente quel giorno non era in tribunale e non si fece più sentire.

C’è dell’altro?
Sì. Andai in carcere a cercare il direttore per delle spiegazioni ma non ebbi mai l’onore di parlare con lui. Ma in compenso c’era il comandante delle guardie carcerarie il quale mi disse che era colpa mia se mio fratello era morto! Insieme a lui c’era il parroco del carcere che lo riprese con questa frase: “I colpevoli ci sono ma non è lei, non è stata lei!” A quel punto gli chiesi se sapesse qualcosa, mi rispose: “Chi ha fatto questo male se non sarà punito in terra lo farà in cielo”. Poi smise di guardarmi ed ebbi l’impressione che non voleva o poteva parlare.

La stampa ha dato notizia della morte di suo fratello?
Sì, ma solo dopo diciassette giorni e davano la notizia così: “Giuliano era molto malato e depresso e il suo posto non era il carcere ma un’altra struttura”. Chiamai i giornali chiedendo spiegazioni, mi dissero che era stato il direttore del carcere di Velletri a rilasciare quelle dichiarazioni. Dopo qualche giorno il direttore decise di andare in pensione anticipata.

Suo fratello era davvero malato e depresso?
Conosco mio fratello, l’ho cresciuto io. Non era pazzo, né tantomeno malato! Forse era un po’ depresso per il carcere, ma credo che ogni carcerato lo sia.

Avete fatto opposizione alla prima archiviazione come suicidio?
Sì, io e il mio avvocato Federici. Non si trovavano i fascicoli e per un pelo non venivano messi al macero: erano stati trasferiti a Milano. Sono trascorsi due anni e finalmente ci è arrivata la notifica della richiesta di rinvio a giudizio.

 

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/07/04/lo-strano-suicidio-di-dragutinovski/