Commissione d’inchiesta sulla Laguna mangiasoldi

Da il manifesto

Grandi opere. Serve chiarezza sui fondi pubblici gestiti per la Laguna dall’84 in poi. E va abolita la «legge Obiettivo», all’origine della corruzione

Vi è un rischio, attua­lis­simo, che accom­pa­gna le inchie­ste della magi­stra­tura vene­ziana sul «sistema MoSE»: che riti­ra­tasi la marea degli arre­sti, quelli già ese­guiti e quelli che ver­ranno, e abbas­sa­tasi l’onda dell’indignazione, tutto torni come prima. Ci stanno pro­vando gli attuali ver­tici del Con­sor­zio Vene­zia Nuova (CVN), augu­ran­dosi che siano «distinte dall’opera even­tuali respon­sa­bi­lità per­so­nali» e affer­mando come vada «respinto qual­siasi ten­ta­tivo di fer­mare il MoSE».

Come osser­vava l’altro ieri Eddy Sal­zano sul mani­fe­sto, que­sta vicenda è para­dig­ma­tica per ciò che acca­duto intorno alle «grandi opere» infra­strut­tu­rali. La norma isti­tu­tiva della «con­ces­sione unica dello Stato», votata dal Par­la­mento nel 1984, è stata non a caso il modello su cui si è suc­ces­si­va­mente costruita la figura del «gene­ral con­trac­tor», pro­ta­go­ni­sta ad esem­pio nei can­tieri dell’Alta Velo­cità fer­ro­via­ria. Con quel voto veniva infatti con­se­gnato ad un pool di imprese pri­vate, oggi gui­date dalla Man­to­vani SpA insieme ai colossi nazio­nali del cemento, il mono­po­lio di studi e rice rche, pro­get­ta­zione e rea­liz­za­zione, gestione di tutte le opere per la sal­va­guar­dia fisica di Vene­zia e della sua Laguna. In tal modo, l’atto di nascita del CVN sot­traeva a qual­siasi tra­spa­rente pro­ce­dura a evi­denza pub­blica e a qual­siasi suc­ces­siva veri­fica e con­trollo un enorme ammon­tare di risorse pub­bli­che, desti­nate a Vene­zia dalla legi­sla­zione speciale.

È stato valu­tato come, in un tren­ten­nio, siano stati circa 9 milioni di euro (di cui quasi 6 per il solo pro­getto delle dighe mobili alle boc­che di porto) i fondi gestiti dal Con­sor­zio. E, ben prima che ci arri­vasse la magi­stra­tura, abbiamo pro­vato a cal­co­lare quanto di que­sto sia effet­ti­va­mente stato speso per i can­tieri delle opere, dal momento che al Con­sor­zio è tut­tora rico­no­sciuto dallo Stato un 12 per cento di «spese gene­rali di gestione» e che i lavori svolti sono pagati sulla base di uno spe­ciale tabel­la­rio, media­mente più one­roso del 35 per cento rispetto ai prezzi di mer­cato del set­tore, sta­bi­lito dal magi­strato alle Acque di Venezia.

Que­sta isti­tu­zione — i cui due ultimi pre­si­denti Piva e Cuc­cio­letta risul­te­reb­bero «a libro paga» del CVN — meri­te­rebbe un capi­tolo a parte: par­liamo del brac­cio ope­ra­tivo in Laguna del mini­stero per le Infra­strut­ture, che avrebbe dovuto diri­gere e con­trol­lare il Con­sor­zio, ma ne risulta invece total­mente asser­vito. Secondo i nostri cal­coli, dun­que, circa la metà delle risorse desti­nate alla sal­va­guar­dia di Vene­zia sono state in realtà a dispo­si­zione del «sistema», fina­liz­zate con mezzi leciti e ille­citi alla costru­zione del con­senso e alla velo­ciz­za­zione delle pro­ce­dure, per un’opera mai sot­to­po­sta a una seria valu­ta­zione ambien­tale e a un’effettiva com­pa­ra­zione con le alternative.

Se oggi non si mette mano alle norme che hanno non solo con­sen­tito ma diret­ta­mente gene­rato un sistema cri­mi­nale, potreb­bero dav­vero aver ragione i signori che imma­gi­nano un busi­ness as usual. Non serve l’ululato giu­sti­zia­li­sta e manet­taro. E non basta — per i pochi che pos­sono per­met­ter­selo — ripe­tere «noi l’avevamo detto», se non si arti­co­lano imme­dia­ta­mente pro­po­ste con­crete per smon­tare que­sto sistema. A Vene­zia e in Veneto, e ovun­que si ripro­duca. A par­tire dall’abrogazione di quella Legge Obiet­tivo che con­sente di «sem­pli­fi­care» (cioè di ren­dere irri­le­vanti) le pro­ce­dure di Valu­ta­zione d’impatto ambien­tale e di sca­val­care (cioè di cal­pe­stare) i pareri delle comu­nità locali inve­stite dalle grandi opere.

E, nel nostro para­dig­ma­tico spe­ci­fico, pre­ten­dere la costi­tu­zione di una Com­mis­sione par­la­men­tare d’inchiesta che rico­strui­sca come il CVN e le imprese a esso col­le­gate hanno speso i soldi pub­blici dal 1984 a oggi, facendo luce così su quelle com­pli­cità oggi coperte dalla pre­scri­zione giu­di­zia­ria. Chie­dere che si discu­tano subito in par­la­mento le pro­po­ste già pre­sen­tate, come quella del sena­tore Cas­son, di radi­cale riforma della Legge spe­ciale per Venezia.

In que­sto qua­dro, supe­rare per sem­pre il regime della «con­ces­sione unica» e insieme scio­gliere il Con­sor­zio Vene­zia Nuova, affi­dando a un’Authority indi­pen­dente il con­trollo sui can­tieri attual­mente aperti, supe­rando l’attuale strut­tura del magi­strato e resti­tuendo alla città sovra­nità piena sulle sue acque. Attuare così una veri­fica, altret­tanto libera e auto­re­vole sul pro­getto MoSE in corso di rea­liz­za­zione, per com­pren­dere come si possa cor­reg­gere e ricon­ver­tire un’opera inu­tile e deva­stante, sospinta — come oggi risulta evi­dente — solo dalla cor­ru­zione. Riu­scire infine a recu­pe­rare quelle risorse sot­tratte alla col­let­ti­vità, che potreb­bero essere invece inve­stite nella rivi­ta­liz­za­zione eco­no­mica e sociale di Vene­zia e del suo unico ecosistema.

Se non si sra­dica l’albero, la reto­rica delle «mele marce» coprirà la con­ti­nuità di sistema. Impe­dirlo è com­pito dei movi­menti che si bat­tono con­tro le grandi opere e per i beni comuni, e di chi, nelle isti­tu­zioni, voglia pro­varci sul serio.
* con­si­gliere comu­nale di Venezia