Due riflessioni sul disastro in Calabria

LOCRIDE. E alla fine fu l’Apocalisse

  • ionicaionica
  • di ANTONIO CALABRÒ -La costa Jonica, quella così amata. Schiantata e ribaltata. I binari divelti e piegati come stagno. Le punte rivolte verso l’alto come a supplicare il cielo. La Strada, quella stramaledetta 106, troncata da fiumi di fango. Case e casolari inclinati paurosamente, lo Jonio furibondo che schianta muri e livella rocce secolari. La pioggia che infuria e il fulmine minaccia, il tuono continuo e il cielo che precipita.Precipita addosso alla Calabria, come a suggellare un decadenza storica e perpetua. La vendetta degli elementi, che non distingue colpevoli e innocenti. Franano pezzi d’Aspromonte, le Fiumare mostrano il loro lato assassino, lo Jonio bonario diventa letale.

    Una devastazione da uragano. Inutile adesso interrogarsi e chiedersi il perché. Sono tanti, i perché. Sono troppi. Molteplici le cause. Interminabili i colpevoli. Adesso è tempo di agire. Rattoppare e rammendare, per riprendere il corso della vita civile. I danni sono così estesi da non poterli quantificare.

    La costa Jonica era funzionale alla ferrovia. E viceversa. Le tanto vituperate arterie che risalgono la Calabria, quella ferrata e quella d’asfalto, erano l’ossatura, per quanto fragile, di tutto il processo storico ed economico della Locride. Una larga fetta di cittadinanza calabrese si appoggiava ad esse e costruiva futuro proprio in virtù della loro esistenza. Tutto travolto, con la furia di un Dio arrabbiato.

    Le polemiche rinviamole a dopo. Non sprechiamo tempo, non facciamo chiacchiere. Non prestiamo il fianco a chi già cavalca la tigre delle accuse verso i presunti colpevoli. Smettiamola prima di cominciare. Il lato oscuro del caos vigente si rivela anche da noi. Temporali tropicali e coste dissestate. Abusivismi dissennati e totale abbandono. Egoismo letale e incuria. Profitti immediati e nessun riguardo per la terra. La Calabria come ovunque. L’Età del Caos che si fa strada nelle nostre certezze. Paghiamo il fio della follia degli ultimi decenni. In barba alla Terra, al Mare e al Cielo.

    C’è solo una verità: le cause sono tante. Ma la principale risiede nel nostro cuore arido di consumatori post-ideologici. Nella pazzia fulminante di questo secolo nuovo, che conduce a questo ed a altri disastri. Se non si cambia rotta, il precipizio della catastrofe si avvicinerà sempre più velocemente.

    La Terra si ribella, si vendica e dimostra i nostri limiti di animaletti senza ragione, ottenebrati dal possesso e dalla disarmonia. Non ci sono Stati o Sovranità che possano rimediare alle ferite inferte alla Grande Madre Gea. Non ci sono rimedi se non quelli dell’armonia col mondo e del freno alla rincorsa di una ricchezza immaginaria. Ciò che è accaduto in Calabria è la sintesi di un processo storico. Che si esprime con più violenza proprio nelle zone più povere e disagiate. I numeri delle grandi indagini sociali non sono casuali. La povertà significa difese immunitarie del territorio molto basse. C’era bisogno della catastrofe per comprenderlo.

    Ma il Caos prosegue la sua rincorsa. Questa è solo una prova. La grande crisi dell’umanità è in corso. Con la nostra risata da folli, attendiamo la fine discutendo di boiate sublimi. Il Regno di Napoli e la Cementificazione. La farfalla di Bradbury continua a sbattere le ali mentre noi incuranti continuiamo a litigare, a cercare colpevoli e colpe, senza pensare, pazzi, che tutto nel mondo sta cambiando in fretta e che, senza consapevolezza di ciò, quello che è accaduto eccezionalmente adesso si ripeterà banalmente e con sempre maggior frequenza tra qualche tempo.

    È stata la prova tecnica dell’Armageddon, la dimostrazione che l’essere umano ha tutte le risorse in regola per riuscire da solo, senza cause esterne, ad estinguersi.

    Adesso rimbocchiamoci le maniche, e allarghiamo il pensiero. Ogni crisi può diventare opportunità, se affrontata con coscienza e buon senso. Le polemiche e le accuse lasciamole ai soliti pazzi. Pensiamo alla Calabria, ed al bene di tutti, che non è barattabile neanche con tutto l’oro del mondo.

 

 

Fonte:

http://www.zoomsud.it/index.php/cronaca/85557-locride-e-alla-fine-fu-l-apocalisse.html

 

Ma se la Calabria frana non è colpa degli altri

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di CONSUELO NAVA –

Le strade come torrenti di Bovalino, Ardore, Siderno, della Tonnara di Palmi e poi la Statale 106, il crollo dei piloni a Caulonia, dei binari antichi a Ferruzzano, dell’impalcato stradale a Brancaleone e le vie marine appena terminate da rifare ed i torrenti che si rigonfiano, le città che si allagano, i dirupi che sputano massi, la gente che deve evacquare”. Insomma La Calabria tra Reggio e Catanzaro si risveglia in uno scenario apocalittico, ma anche di corsi e ricorsi storici e civili.

Non è una coincidenza che in tutte queste aree si sono perse campagne e promontori e loro manutenzioni e si sono guadagnati abusi di edilizia privata ovunque, trasformazioni incontrollate con infrastrutture sovradimensionate, coperture di fiumi e canali e sottosuoli inquinati e pieni di porcherie.

Ma siccome dei dati ci innamoriamo per poi scrivere i titoli di coda, credo sia più opportuno passare alla vecchia “educazione ambientale”. Quella che ci ricorda che se per due giorni ininterrottamente cade 750 mm di pioggia sulle Serre e 600 mm in Aspromonte, non si tratta di vero e proprio cataclisma ma di un evento straordinario (?) che se trova territori sicuri, permeabili, boschi e campagne che bevono, fiumi e mari da riempire, al posto di città e strade, la gente non è costretta a perdere case, territorio, strade, coste etc. Peraltro i campi rimasti non si allagano e i raccolti non si perdono. Le città non diventano vasche e le loro reti non vanno in tilt.

Le città della Calabria sono “invecchiate male”, non hanno subito gli effetti della modernizzazione così come tutte le città del sud e non hanno reso funzionali e dimensionate le loro reti e servizi. Un sottosuolo invecchiato che riceve il cablaggio per le reti virtuali, ma non per quelle igieniche sull’utenza contemporanea. Insomma si sa, in questi anni le aree urbanizzate a corto di risorse, hanno lasciato le manutenzione e sono andate a caccia di cose da fare sul suolo. Di quelle che si vedono. I centri storici piene di porfidi e pietre e le periferie, antichi giardini di corona urbana, piene di casermoni e residenze, stradoni senza servizi. Le aree interne, paesi perlopiù spopolati, non si mantengono più da soli e mantenerli costa, in termini di pensiero ed economie reali. Le fiumare ed i boschi partono da lì e andrebbero curati come un tempo, ma con le tecnologie di oggi. Eppure in un territorio insediato tra mare e valle, sarebbero la migliore area di compensazione per il clima, la pioggia, la qualità dell’aria, la produzione agricola, insomma dispensatori di qualità della vita.

La popolazione calabrese ed i suoi abitanti che aspirano a vivere da “ proprietari urbanizzati”, nel frattempo hanno costruito ovunque, occupato campi privati e terreni comuni, chiesto strade e svincoli anche per riconnettersi a casa propria, fatto giardini privati di case proprie in aree di esondazione ed in terreni in frana. No, il privato non ha dato il buon esempio, che nel frattempo nemmeno veniva dato dal pubblico. Abbiamo scuole, ospedali, università, enti costruiti ugualmente su terreni in dissesto, a 8 mt da grandi assi viari e ferrovie, abbiamo spostato aste fluviali come se fossero matite e l’acqua ha continuato a scorrere sotto e sopra etc etc. Un territorio, che come gran parte del paese, è condonato per le sue insistenti esigenze di presunzione di abitare e stare “ovunque”. A volte la necessità, a volte dove costa meno perché è di tutti.

La natura registra, il clima cambia, il dissesto idrogeologico è un effetto di una causa non ereditata dalla natura, ma dagli uomini che fanno come gli pare. No non è resiliente la nostra Calabria, perché sono i Calabresi a non modificarsi.

In queste ore ci si chiede come sempre “come fare”, insieme alla caccia alle responsabilità politiche (di altri), si chiedono interventi straordinari per un’emergenza perenne, ci si indigna se i media, tv, giornali non danno spazio con titoloni, ciò assicurerebbe attenzione da parte dei governi nazionali e magari pronti interventi e più risorse. La storia di sempre senza memoria. Occorrerebbe comprendere cosa è accaduto ogni volta, dopo.

La Calabria, quella che con i suoi abitanti vive per il 70% nei centri così urbanizzati e nei litorali tra coste e statali, non si ripensa, cerca sempre “soccorso” e si indigna se viene trattata da “dimenticata”, tranne poi da agire come una che si dimentica di se stessa e della sicurezza della propria gente, del suo futuro.

La Calabria dei governanti poi, quella che ha influenze nazionali e quella che sistema le cose sui suoli dei propri comuni, non riesce mai ad esercitare un pensiero “lungo”. Nello stato di emergenza perenne l’interventismo è più comunicativo del fare quotidiano. I cittadini plaudono e/o postano invettive. Il suolo cede comunque.

Insieme dovrebbero chiedere che ogni volta che si fa un “masterplan” per il Sud le opere strategiche arrivino dopo la salvaguardia del territorio, unica ed urgente opera strategica. Il torrente Budello che costeggia l’area urbana di Gioia Tauro e che si “ferma” prima del Porto è da anni che dirupa, imbarca schifezze e rende il comune insicuro. E in questo millennio i porti senza città non hanno motivo di esistere. Ieri anche il Budello ha imbarcato acqua e sputato cose, anche verso il Porto. Come spesso accade.

I sindaci dovrebbero tornare ad inaugurare reti di servizi pubblici, acque, fogne e depuratori, prima di piazze, centri servizi ed assicurarsi che le scuole stiano dove devono stare. Nelle aree interne occorrerebbe tornare a risiederci ed a lavorare per assicurare l’urbanesimo di tutti.

Ma oggi, mi si dirà, è ancora il tempo degli interventi straordinari, del dopo tragedia, del cataclisma…occorre pensare alla gente. Quanto alla pietas umana, anche quella (perchè ognuno ha la propria) non dovrebbe fare la gara, né speculare sui dissesti e le emergenze.

E’ tornato il sole, occorre cambiare davvero.

 

 

Fonte:

http://www.zoomsud.it/index.php/cronaca/85556-ma-se-la-calabria-frana-non-e-colpa-degli-altri.html