Vicenza, militari Usa e italiani: una convivenza difficile

In terra berica, tra i militari e le loro famiglie, vivono 10 mila americani. Per loro la legge italiana troppo spesso non vale. Ma dopo l’ennesimo caso di stupro qualcosa sta cambiando.

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La legge è uguale per tutti? A Vicenza mica tanto.
Infatti ci è voluto l’intervento del ministro della Giustizia Andrea Orlando per ribadirlo.
Per chiedere che i due militari americani di stanza nella caserma Ederle e Del Din, di cui uno, Gray Gerelle Lamarcus, recidivo, siano processati per violenza sessuale ai danni di una prostituta romena al sesto mese di gravidanza secondo i dettami della giustizia italiana.
Il fatto risale alla notte tra il 14 e il 15 luglio: dopo una trattiva finita male i due secondo l’accusa hanno abusato per tre ore della donna lasciandola  nuda in un campo a all’alba. Per Gerelle Lamarcus Gray questo sarà il suo secondo processo nel nostro Paese. Infatti è anche accusato di aver stuprato una minorenne vicentina lo scorso novembre, caso per cui il giudice ha già disposto il rinvio a giudizio e il 7 ottobre dovrà presentarsi davanti al giudice Dario Morsiani.
USA AL DI SOPRA DELLA LEGGE. Una vera rivoluzione per una città abituata a convivere con la legge militare statunitense, con quei soldati americani che quando succede qualsiasi cosa, da un banale incidente fino a una rissa con risvolti penali, dalla legge italiana non vengono sfiorati, perché soggetti solo alle norme americane.
Come spiega Niccolò Dalla Lucilla, coordinatore provinciale di Sel, a Lettera43.it, «questo avviene nella stragrande maggioranza dei casi, nove volte su 10. Stavolta i riflettori si sono accesi, ma ubriacature moleste quando i soldati tornano dalle missioni, vandalismi, violenze e risse succedono di continuo, e può intervenire solo la polizia militare».
Anche una semplice constatazione amichevole, in caso di lievi incidenti automobilistici, a Vicenza non si può fare se sono coinvolti militari americani.
PER I MARINES NIENTE CONSTATAZIONI AMICHEVOLI. A spiegarlo è Mario Basso, uno degli animatori del presidio permanente No Dal Molin – movimento che ha lottato contro la costruzione della nuova Caserma Ederle (inaugurata un anno fa) e del quale ora è rimasto, su decisione dell’amministrazione comunale, un orto urbano dove si coltivano ortaggi.
«Per un banale tamponamento», interviene Basso – arrivano carabinieri e polizia militare. Il problema è che la loro assicurazione non ha uffici qui e quindi le pratiche vengono istruite in luoghi inaccessibili ai vicentini. In più, in base ad accordi risalenti agli Anni 50 e poi al 1994, a pagare gli indennizzi almeno nell’immediato è il ministero dell’Economia».
Statistiche alla mano non si possono accusare gli statunitensi di fare più incidenti degli italiani, ma la diversità di procedure irrita più di qualche cittadino.
Mario Basso di esperienza in questi anni ne ha maturata, assieme ai No Dal Molin. Il Movimento è nato nel 2006 contro l’ampliamento della base americana in città. Vicenza ospita la 173° Brigata Aviotrasportata, prima divisa tra Vicenza Aviano e la Germania. L’idea fu quella di riunirla, così il governo Berlusconi prima e Prodi poi dissero sì all’ampliamento, alla trasformazione dell’aeroporto Dal Molin nella base Dal Din. Contro l’ampliamento organizzarono fiaccolate, cortei, un presidio permanente e una consultazione popolare di protesta contro il Consiglio di Stato che aveva bocciato un vero referendum consultivo. Andarono a votare 25 mila persone e il 95% disse no alla nuova base. Che però alla fine si fece.

La reazione della città: le associazioni contro la violenza si aggregano

Vicenza: il vicepresidente Usa, Dick Cheney in visita alla caserma Ederle.

(© GettyImages) Vicenza: il vicepresidente Usa, Dick Cheney in visita alla caserma Ederle.

Dalle gare tra auto alle risse fuori dai night club: sono tanti gli episodi che coinvolgono gli americani della base, ma numeri precisi su questi fatti al momento non ce ne sono.
Il quadro descritto da Basso è di una presenza ingombrante, nei numeri – oltre 10 mila americani su 130 mila vicentini – e nella sostanza perché manca l’integrazione.
I militari di stanza in città erano 2.800 nel 2008, ora sono 5 mila, divisi nelle due caserme Camp Ederle e Del Din. La Ederle ospita i miltari attivi nel continente africano: è la United States Army Africa. La Del Din è la casa della 173° Brigata Aviotrasportata. Questi soldati negli ultimi anni sono stati impegnati nelle zone più calde del continente, dall’Afghanistan all’Iraq.
I graduati con le famiglie si sono raccolti nelle 1.250 abitazioni del Villaggio della Pace, e i figli frequentano scuole americane.
DOVIGO: «IL COMUNE È TROPPO DEBOLE». A Vicenza Valentina Dovigo è consigliera di opposizione tra le file di Sel, ed è attiva sul tema della presenza dei militari.
«Il problema è tenere sotto controllo la situazione», spiega, la giustizia deve essere uguale per tutti, in questo modo si ridà dignità ai cittadini».
Secondo Dovigo tra i problemi c’è la debolezza dell’Amministrazione comunale nei confronti degli americani: «Per esempio riteniamo che la rete di scolo del Bacchiglione sia stata danneggiata dalla costruzione della base, quando piove la zona circostante si allaga. Il problema è che ci vorrebbe un’azione congiunta Comune, Regione e ministero della Difesa, perché il Comune da solo non ce la può fare».
Con l’ultimo episodio di cronaca, però, la consigliera sottolinea come si sia risvegliato un movimento di opinione in città.
Donne vicentine di diverse realtà associative stanno unendo le forze: sono Femminile Plurale, We want Sex, le Donne in rete per la pace, e le Donne No Dal Molin.
L’invito a firma di Antonella Cunico di Femminile Plurale di aprire un dibattito con la base è rimbalzato sulle pagine dei giornali locali.
Nella lettera Cunico parla di risse ed episodi di violenza commessi dai militari al ritorno dalle zone di guerra. «Le condizioni traumatiche a cui sono esposti non può essere una giustificazione né un’attenuante dei loro comportamenti», ha scritto, «semmai fa riflettere sui rischi ai quali vengono esposte le persone con cui convivono».
VIOLENZA SULLE DONNE ANCHE INTERNA AL CORPO. No alla cultura dell’impunità, dice Femminile Plurale, interroghiamoci sull’efficacia del gruppo Sharp (Sexual harassment/assault response & prevention) attivato nella base vicentina e soprattutto «apriamo un confronto con amministrazione comunale, Comando dell’Us Army Africa/Setaf su un tema che riguarda noi e loro».
Le associazioni si stanno muovendo per raccogliere dati sugli episodi di violenza. «Il nostro appello è provare a parlarci nel rispetto delle reciproche posizioni, perché quello della violenza sulle donne è un problema che loro hanno all’interno del corpo», ammette Cunico.
E racconta la sua esperienza da docente delle scuole superiori, anche se precisa che in nessun modo quello che ha visto può servire per fare una statistica generale.
«Ho avuto una dozzina di alunni figli di matrimoni tra vicentine e militari della base e devo dire che sono finiti tutti male», svela l’attivista. «I mariti prima o poi tornavano negli Stati Uniti, ma molte  mogli rimanevano. Tornati dalla guerra diventavano violenti con la famiglia e le donne sceglievano la separazione. Come docente non ho mai avuto un padre americano a colloquio con me. Il caso peggiore che ho visto è stata un’alunna che grazie a Facebook ha scoperto che suo padre, sparito da tempo, si era risposato negli Stati Uniti. E lei è ovviamente andata in crisi».

Prostituzione e night club: in città sono fuori controllo

Una prostituta per strada.

Una prostituta per strada.

Tra gli effetti della massiccia presenza di militari c’è il proliferare di night club e prostitute.
Basso testimonia che «oltre una decina di locali sono stati aperti a Vicenza e altrettanti ce ne sono nei Comuni limitrofi. La stessa Prefettura ha detto che sono numeri anomali».
Sulla provincia di Vicenza la onlus Mimosa, che aiuta le prostitute di strada e lotta contro sfruttamento e la tratta di esseri umani, ha contato 304 lucciole lo scorso anno (Vicenza ha 872 mila abitanti), contro le 204 di Treviso (che ha 888 mila abitanti) e le 280 di Padova (935 mila abitanti).
VICENZA CAPITALE DELLE LUCCIONE IN VENETO. La presidente della onlus e della cooperativa sociale Equality Barbara Maculan ammette che «quelli di Vicenza sono numeri alti, e c’è un alto turn over tra le ragazze. È una città di ‘primo arrivo’, ma qui restano poco perché gli sfruttatori vogliono evitare che noi o le forze dell’ordine le agganciamo».
Mimosa è attiva con un’operazione di sensibilizzazione nei confronti dei clienti. «Per noi sono un’antenna d’allarme, seppur grezza. Poi però cerchiamo anche di agire scoraggiando la domanda di sesso a pagamento», afferma la presidente.
L’associazione ha avviato una serie di progetti nelle scuole superiori del Veneto, e dallo scorso dicembre ha preso contatti anche con i comandi militari di Camp Ederle per avviare un progetto comune. L’obiettivo è di far diminuire la domanda di sesso a pagamento e di sensibilizzare il cliente nella lotta contro lo sfruttamento.
«Ho trovato estrema disponibilità nei vertici della base, dice Maculan, «sono consapevoli del problema della prostituzione e sono interessati al progetto».
BASE EDERLE: «SIAMO APERTI AL DIALOGO». L’Ufficio Community Relations di Camp Ederle ha espresso massima volontà al dialogo con il mondo dell’associazionismo e si è detto pronto a valutare qualsiasi richiesta di progetto comune.
«Quello della violenza sulle donne è un tema importante», spiegano i militari americani, «all’interno della base esiste un’intensa campagna contro la violenza. Del resto il presidente Obama ha sempre ribadito la tolleranza zero nei confronti della violenza domestica».
Lo scorso anno l’Associazione 11 settembre ha organizzato l’incontro Rosa Shocking sul tema, anche se la partecipazione da parte statunitense ha incontrato lo scoglio linguistico in quanto l’incontro è stato tenuto in italiano.
L’Ufficio Community Relations ricorda che sono attivi diversi progetti, per esempio gli scambi con le scuole vicentine: sono state un centinaio le domande presentate lo scorso anno.
Tra gli incontri andati a buon fine ci sono stati quello di un istituto tecnico per geometri che ha visitato la base interessata alla certificazione Leed di edificio ecosostenibile conquistata da Camp Ederle.
O ancora un tecnico interessato alla cucina e alla mensa della base.
Piccoli passi verso, si spera, una integrazione che pare però ancora molto lontana.

Sabato, 30 Agosto 2014 © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

Fonte:

http://www.lettera43.it/cronaca/vicenza-militari-usa-e-italiani-una-convivenza-difficile_43675138033.htm

Un pensiero su “Vicenza, militari Usa e italiani: una convivenza difficile

  1. Per Donatella
    Invio questo contributo (anche se la stesura risale al 2012, ritengo sia ancora attuale) e qualche precisazione sull’articolo. In base ai miei calcoli gli statunitensi (finiamola di chiamarli “americani”) sono almeno il doppio di quanto indicato nell’articolo. E finiamola anche di auspicare “l’integrazione” con le truppe di occupazione. Quanto al ruolo di alcuni esponenti vicentini di una soidisant “sinistra” che hanno fatto del collaborazionismo (soprattutto in ambito ambientale, do you remember “Le Piramidi”?) un metodo…lasciamoli perdere (che è meglio).
    ciao e buon lavoro
    GS

    IL POSTO DI PLUTO? ALL’INFERNO, OVVIAMENTE
    (Gianni Sartori – direttore responsabile del giornale del presidio No-DalMolin, 2012)
    Nella mitologia greca “Pluto” è il dio della ricchezza. Nella versione di Aristofane, un dio che la distribuisce a caso provocando soprattutto danni. Ottimo per indicare un avamposto militare al servizio della “fase suprema del capitalismo”. Ma essendo la base di Longare in gran parte sotterranea, è probabile che il nome corrisponda al nominativo latino di “Pluto -Plutonis”, Plutone (in greco “il ricco”) il dio degli Inferi. Era anche marito di Persefone, figlia di Demetra, madre -secondo altre fonti sorella- del sopracitato “Pluto”. In ogni caso la terminologia adottata evoca cose torbide, incestuose, oscure e malvagie.

    UNO SPETTRO RADIOATTIVO SI AGGIRA SUI COLLI BERICI…
    La base “Pluto” di Longare, in gran parte sotterranea, sottrae alla cittadinanza un’area di oltre 20mila metri quadri sul versante est dei Colli Berici. Non è noto, invece, a quanto corrisponda l’estensione sotterranea. Fino al 1992 rappresentava la più importante sede statunitense di armi nucleari in Italia. A distanza di anni gli effetti perversi continuano a farsi sentire. Sia a nord (zona di Bugano) che a sud (Costozza) la percentuale di leucemie, in particolare tra i giovanissimi, è al di sopra della media. Un caso? Ma evidentemente non bastava. Ora si appresta a diventare un “Centro di addestramento unificato” di rilevanza internazionale. Circondata da un muro in cemento armato alto sei metri (invece delle reti con tripli reticolati attualmente presenti), con una nuova struttura di circa 5mila metri quadrati che verrà realizzata all’interno e comprendente aule e celle operative per “studio-tattiche” in supporto alla Difesa nazionale americana. Oltre ad un parcheggio per veicoli tattici di 1600 metri q. e ad altri interventi devastanti per l’ambiente come il disboscamento della vegetazione per far spazio alle esercitazioni (si presume anche dei blindati). In pratica, un campo di battaglia e un immenso poligono di tiro da realizzare entro il 2013. Un centro di avanguardia per “addestramenti mirati, pianificazioni delle missioni all’estero” e per simulare ambienti virtuali così da mantenere un “alto livello di prontezza operativa”. A Longare la fase suprema del capitalismo dispiega tutta la sua geometrica potenza!
    Spese previste, 26,2 milioni di dollari (21 milioni di euro). Specchietto per le allodole (o meglio. per gli allocchi), i “criteri di eco-sostenibilità”. I soliti pannelli solari diventati ormai l’ipocrita foglia di fico dell’immondezzaio tecno-militare. Se Hitler avesse vinto, probabilmente anche i forni crematori dei campi di sterminio utilizzerebbero il fotovoltaico.
    Appare evidente che la devastante opera è una diretta conseguenza (“un completamento” suggeriva un noto collaborazionista) della realizzazione della nuova base Dal Molin e della creazione del comando Africom a Vicenza. Una metastasi senza fine favorita dalla realizzazione della A31 (autostrada Valdastico), la “tangenziale perfetta” per il sistema della basi statunitensi nel vicentino (Dal Molin, Ederle, Fontega, Pluto…oltre a depositi, impianti radar e “villaggi americani” vari come a Casale).
    Indicativo dello stato di sudditanza (al limite del collaborazionismo) in cui versa questa provincia “patrimonio dell’Unesco”, il fatto che le amministrazioni locali si siano svegliate soltanto “il giorno dopo”, apprendendo dai giornali quanto deciso e stabilito dalle truppe di occupazione.
    Ma non tutti si adeguano passivamente. Il 2 settembre 2012 la “Brigata Silva” (la formazione partigiana partigiano dei Colli Berici, quella in cui si era integrato mio padre Leone Sartori, detto “Marcello”) è ridiscesa dai monti, stavolta armata di pentole e casseruole. E anche di qualche cesoia.
    Mentre centinaia di manifestanti esprimevano il loro legittimo dissenso davanti ai cancelli del sito e chiedevano la “sdemanializzazione dell’area” (come era stato promesso qualche anno fa, prima della realizzazione della A31), altri raggiungevano attraverso i boschi la recinzione tagliandola in alcuni punti e lanciando fuochi d’artificio.
    Tra gli slogan maggiormente scanditi “Non siamo una colonia Usa” e “Siete circondati, ve ne dovete andare “. Ma anche la classica invettiva veneta “’mericani fora dae bae”. Altre iniziative si sono poi svolte in novembre e dicembre 2012.

    QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA
    Quanto sta accadendo sopra e sotto Longare mi riguarda direttamente. Ho trascorso l’infanzia nel paesello di fronte alla base “Pluto”, San Piero Intrigogna, appena al di là del Bacchiglione. In prossimità delle Boche del Tesena, dove il Tesina confluisce nel Bacchiglione. E il fiume Tesina non è altro che la prosecuzione dell’Astico. Alla fine il cerchio si chiude. L’Astico nasce in Trentino, di fronte a Lavarone e alla cimbra Luserna, transita per Casotto (dove vive la più consistente comunità di Sartori della provincia e da dove sembra provenissero i miei avi) e Scalzeri da cui si inerpica verso Luserna un sentiero già percorso dai partigiani della Brigata Ismene. Le sue acque spumeggianti lambiscono poi San Pietro Valdastico, Pedescala (tristemente noto per l’eccidio nazi-fascista, la maggior parte delle vittime vecchi e bambini), Barcarola e Arsiero. Scorre sotto al salto dei Granatieri (quello del Monte Cengio che Fogazzaro contemplava da Velo d’Astico) e supera Cogollo del Cengio. Proprio su questo tratto si sta per svolgere la seconda puntata del dramma “Autostrada A31, No grazie!”. Non si sono ancora spente le polemiche in merito alle ville palladiane sfiorate dall’invadente infrastruttura e per le tonnellate di rifiuti tossici riversati lungo il percorso del tratto a sud (oltre alla conferma che la contestata tratta Vicenza-Rovigo va assumendo tutte le caratteristiche di un “corridoio militare-industriale”) che già un nuovo contenzioso si va aprendo a nord.
    Dopo la conferenza stampa del 17 luglio 2012 a Trento, il sindaco di Valdastico (VI), Alberto Toldo, aveva accusato il collega di Besenello (TN) di “speculare sui morti”.
    Ma Cristian Comperini, primo cittadino del comune della Val Lagarina dove dovrebbe sbucare la galleria autostradale, aveva ricordato le tragedie del Vajont, di Stava e della Valtellina a ragion veduta, in base alle conclusioni del prof. Dario Zampieri, docente del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, relative all’analisi sulla Frana Marogna.
    Per il sindaco Comperini nella progettazione della Valdastico si sarebbe “completamente dimenticato l’indicazione dell’IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi Italiani, consultabile tramite il portale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA) sulla gravità del pericolo di una frana del volume di circa 20 milioni di metri cubi gravitante sulla località Casotto nel comune di Pedemonte (VI), dove il progetto vorrebbe collocare il viadotto Molino, lo svincolo Valle dell’Astico, un centro di manutenzione, l’area di servizio Lavarone e un centro di ristorazione”. E quindi con “un rischio molto elevato di perdita di vite umane e danni agli edifici e alle infrastrutture”.
    Nonostante l’evento principale risalga ad alcuni secoli fa, per il professor Zampieri la Marogna “è da considerarsi una frana attiva”. Una recente verifica sul terreno ha confermato che sopra la Gioia, la nicchia della frana, esiste “una massa di dolomia sospesa con giacitura a franapoggio ed inclinazione tra 20° e 30°, avente un volume di oltre 20 milioni di metri cubi”. Alla base della parete sono presenti “venute d’acqua lungo il piano di scivolamento” e la vegetazione arborea appare “danneggiata e ricoperta da una fascia di detrito a grossi blocchi che dimostra una continua attività di crolli di roccia”.
    L’analisi ravvicinata mostra inoltre “evidenti fasci di fratture beanti parallele e sub ortogonali alla parete, che isolano volumi di migliaia/decine di migliaia di metri cubi in precario equilibrio, sospesi ad una altezza di 450 m al di sopra del fondovalle e raccordati con questo tramite un piano inclinato di 30°-35°”. L’area proposta per la realizzazione dello svincolo e annessi servizi sarebbe la “meno idonea di tutta la valle dell’Astico essendo ubicata al piede di una frana attiva”. Più inquietanti delle parole, le immagini realizzate dallo stesso Zampieri e allegate al documento. Evidenti placche chiare dovute a distacchi di qualche anno fa, blocchi fuoriusciti dalla parete per scivolamento, fratture aperte, giganteschi pilasti di roccia e lame di roccia di alcune centinaia di metri cubi in precario equilibrio.
    Curiosamente, il PAI (Progetto di Piano Stralcio per l’assetto idrogeologico) del bacino del fiume Brenta-Bacchiglione, il PTCP (Piano Territoriale di coordinamento Provinciale) e il PATI (Piano di Assetto del Territorio Intercomunale) non riportano la frana della Marogna, presente invece nel catalogo IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia). Si tratta della “più grande frana della valle dell’Astico con una superficie di deposito di oltre 93mila metri quadrati di area, documentata nel sito della Regione veneto, Cartografia Geologica, Progetti CARG alla scala 1:10.000”.
    In compenso l’area intorno alla frana viene segnalata come P4, ossia “rischio geologico massimo”. Strano che al momento della progettazione dell’autostrada non se ne sia tenuto conto. Pare proprio che il Vajont non abbia insegnato nulla.
    Ma le contestazioni alla prosecuzione della Valdastico Nord da Piovene Rocchette (VI) a Trento non si limitano all’area di Casotto.
    In un volantino del Comitato NO Valdastico Nord si elencano alcune conseguenze nefaste.
    1)Passa accanto alla chiesetta di S.Agata (anteriore al 1000 dC) rovinando definitivamente il contesto ambientale;
    2)invade tutta la campagna accanto alla chiesetta di S.Giorgio di Velo d’Astico (con affreschi longobardi e rinascimentali);
    3)divora 307 campi vicentini solo nel primo tratto (tra Piovene Rocchette e Velo d’Astico), campi definitivamente sottratti alle attività agricole; *
    4)impatta con una fabbrica che occupa più di 100 operai;
    5)va ad occupare più di ¼ della superficie libera di Pedemonte (il 28% della superficie di fondovalle);
    6)A Valdastico attraversa il torrente Astico nel punto più largo e più vicino a 4 nuclei urbani (Pedescala, Forni, Settecà, Forme Cerati);
    7)piloni in cemento armato, ruote di camion e barriere anti rumore saranno il nuovo paesaggio vallivo, con buona pace delle speranze di valorizzazione turistica;
    8)va ad intercettare numerose sorgenti lungo i tratti in galleria;
    9)passa sotto al lago di Lavarone (dove trascorse periodi di riposo Freud nda) con il rischio di intercettare vene d’acqua collegate con il lago;
    10)è in aperto contrasto con il Piano Territoriale Regionale che intende limitare il consumo di suolo agricolo (in una provincia ormai completamente ricoperta da zone industriali, centri commerciali, basi militari etc. nda)…
    E la lista potrebbe continuare. Si sono espressi negativamente anche i comuni trentini di Folgaria e di Luserna, il paese natale di Elvio Facchinelli che qui ha voluto essere sepolto dopo aver donato alla biblioteca comunale tutti i suoi libri. Rinomata tra gli studiosi per aver saputo conservare la lingua e la cultura dei Cimbri, Luserna rischierebbe di venir asfissiata dai gas di scarico provenienti dall’autostrada posta nella valle sottostante. In realtà, sostiene il Comitato NO Valdastico Nord chi vuole la Valdastico Nord è soltanto “la società autostradale Brescia-Padova che, con l’approvazione del progetto, intende farsi rinnovare la concessione autostradale del tratto più redditizio (Bs-Pd) ad un prezzo più basso”.
    Significativa l’opposizione espressa dalle sezioni della COLDIRETTI di Velo d’Astico, Cogollo del Cengio e Alto Astico. Nel loro comunicato scrivono che “dopo i campi di sterminio la civiltà dell’industria ha determinato lo sterminio dei campi agricoli”. E non sembri solo un gioco di parole. I contadini della Val d’Astico sanno di cosa parlano. La Valle ha ben conosciuto sia gli eccidi nazisti (come a Pedescala) che le deportazioni nei campi di sterminio. Non per niente Cogollo del Cengio è gemellato con Mauthausen.
    Non sarebbe male che ora l’intera val d’Astico si gemellasse con la Val di Susa (e magari i No-Dal Molin con il presidio contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes a Nantes).
    Proseguendo nel suo corso, con un’improvvisa deviazione, relativamente recente stando ai tempi geologici, l’Astico si infila poi si infila tra l’Altopiano di Asiago e le colline Bregonze, in quella zona del vicentino dove ebbe inizio e si manifestò in maniera talvolta drammatica la “breve estate dell’Autonomia” negli anni settanta. Sfiora o attraversa Caltrano, Chiuppano e Calvene per poi riprendere la corsa verso sud. Tocca Breganze, Sandrigo, Lupia e Lupiola. Nei pressi di Lupia riceve dalla sinistra orografica le acque di un piccolo corso d’acqua che nasce poco prima da una risorgiva, il Tesina appunto. Cambia quindi nome, ma il percorso e la direzione rimangono quelli dell’Astico la cui natura torrentizia lo rende potente in periodo di disgelo. Per chi cammina sull’argine della destra orografica non è facile individuare quale sia il punto del cambio anagrafico. Da segnalare la presenza, almeno fino agli anni cinquanta, di qualche esemplare di lontra nella striscia di terra all’epoca ricoperta da folta vegetazione. La zona venne devastata per iniziativa istituzionale una ventina di anni fa. Alberi tagliati, anse raddrizzate, rive cementificate. Trasformando, come scrissi allora in un articolo “il limpido corso d’acqua in un canale di scolo”. Più recentemente (un autentico teatro dell’assurdo), per usufruire di finanziamenti europei, è stato realizzato un progetto di ri-naturalizzazione dell’area. Un po’ come fare affari ricostruendo dopo aver scatenato una guerra. Ovviamente un palliativo, un pro-forma visto che il danno ormai era stato fatto.
    Il cammino del fiume prosegue verso Bolzano vicentino, Quinto, Marola e Torri di Quartesolo, sfiorando la militarizzata periferia est di Vicenza (San Pio X, Bertesinella…) e confluendo nel Bacchiglione a un centinaio di metri dal campanile di San Piero Intrigogna, in origine una curtis benedettina. Poco prima della confluenza (denominata Le Boche del Tesena) riceve da destra la roggia Caveggiara; altra nostra battaglia persa quando cercammo, invano, di evitare il taglio della prosperosa vegetazione per allargare l’alveo del corso d’acqua. Bastava avessero chiesto, per esempio, a mia madre Rosa Sgarabotto che ricordava benissimo come negli anni trenta il fondo della Caveggiara fosse stato rivestito di lastre di pietra. Al momento di scavare, dopo aver diligentemente abbattuto ogni olmo, ontano, pioppo, salice e moraro (gelso) presente lungo le rive, si accorsero che l’operazione non era fattibile e lasciarono tutto com’era (tranne ovviamente per gli alberi irreparabilmente estirpati).
    In un certo senso il sistema Astico-Tesina costituisce la spina dorsale, liquida, delle campagne vicentine, dalle Prealpi alla pianura vera e propria. Ora questo percorso naturale, i cui argini vengono ancora ancora utilizzati nelle transumanze verso i pascoli montani (da qualche pastore di Lumignano) si va trasformando in un nastro di cemento e asfalto, circondato da caselli, aree industriali, basi militari e altre schifezze.
    Stando ai racconti di mia nonna Pina (da bambina lavorò come mondina, sia a Grumolo che a Mossano), la lontra agli inizi del secolo scorso frequentava anche la zona delle Boche del Tesena. Lei la chiamava sgora, essere misterioso che trascinava in fondo al fiume i bambini discoli; forse una variante, più che della relativamente mite anguana, dell’aganis friulana. Fino ad un paio di decenni or sono, mi capitava di incontrare qualche anziano che si ricordava di mio nonno Augusto (un obligato, contadino povero senza terra). Proprio in questo spicchio di terra retaggio delle bonifiche del 1300, aiutato da mio padre ancora bambino, el nono Gusto venne incaricato dal proprietario dell’abbattimento di alcuni morari e albare rimasti in parte ricoperti dal terrapieno del nuovo argine. Tutto “a man col pico, la baila e la cariola” racconta mio padre. In cambio del duro lavoro, ai miei familiari sarebbero toccate le rame alte e le soche estratte dal terreno. Il legname più pregiato, sia per lavori che per riscaldamento, quello del tronco e dei rami più grossi, ovviamente andava ai paroni. Per saperne di più sul “piccolo mondo antico” di San Piero, Deba e Casaleto suggerisco la lettura di “Mio padre partigiano” (un articolo pubblicato nel 2003) dove ho raccontato di un tentativo fascista di far ingurgitare a mio nonno l’olio di ricino (previa manganellatura di rito). La bieca operazione venne stroncata da mia nonna a colpi di forcone. Non fu invece altrettanto fortunato mio zio Attilio Fasolato (detto Tilio, come l’albero), operaio e sindacalista allo stabilimento Rossi di Debba. Solo recentemente ho saputo che la stessa sorte era toccata anche ad un vicino dei miei, el scarparo Farinello, anche lui socialista.
    Costui trovò però il modo di vendicarsi. Fingendo di accettare umilmente la predica e le raccomandazioni per “comportarsi bene in futuro”, dopo il pestaggio acconsentì a offrir da bere alla squadraccia. Portò in tavola del cordiale a cui aveva aggiunto parecchie gocce di un forte lassativo. Ritornate a casa, le camicie nere dovettero immediatamente correre al cesso. All’intraprendente antifascista (in seguito ospite delle patrie galere) arrivò una lettera minacciosa che lo preavvertiva di una ulteriore visita non propriamente di cortesia. Ma i socialisti del luogo si organizzarono. Quando il camion della spedizione punitiva transitò per la Riviera Berica, i compagni vennero allertati, come era stato convenuto, dal suono delle campane di San Piero Intrigogna. Prontamente radunatisi, bloccarono la squadraccia all’altezza della Pontara tra Debba e San Piero e l’olio di ricino venne forzatamente ingerito dai componenti della squadraccia. Un piccolo gesto di resistenza di cui si era persa la memoria e che riscatta la popolazione locale, talvolta troppo umile e sottomessa al potere.
    E dopo quelli dei fascisti, sulla strada che da san Piero porta a Vicenza passando per Casale (all’epoca ancora strada bianca) passarono i camion statunitensi. Il mio primo incontro risale agli anni cinquanta. Abitavo a Casaletto, una contrada la cui parte più consistente era costituita dall’abitazione e dalle stalle dei Dalmaso, gli affittuari. In prossimità di una piccolo rilievo, el monteseo, recentemente devastato da alcune costruzioni e da un centro di addestramento per cani. I camion passavano sollevando la polvere e un nugolo di bambini correva loro incontro gridando “ciunga” (termine dialettale per indicare la gomma da masticare) mentre i soldati lanciavano sbrancà di chewing gum e qualche caramella. I ragazzini si accapigliavano rotolandosi per terra per strapparsi il misero bottino. Ricordo che me ne stavo appoggiato al portone e non partecipavo. Forse per timidezza, forse per dignità.
    In ogni caso provando vergogna per lo spettacolo “coloniale”.
    A non più di 2-3cento metri dalla citata Pontara, troviamo gli storici ponti di Debba, sovrastati dalle case operaie e dallo stabilimento Rossi. Oltre a mia madre, vi lavorarono come operai quattro o cinque tra zii e zie. La sorella maggiore di mia madre, Marcella moglie di Tilio, vi entrò ragazzina, quando la fabbrica era ancora un canapificio. All’epoca si lavorava immersi nell’acqua fredda corrente, con conseguenze ben immaginabili (gravi forme di reumatismi). Uno dei ponti scavalca il Bacchiglione, l’altro la mitica Rosta. Poco lontano, una decina di metri, il 4 novembre 1987 morì annegato (o meglio, fatto annegare) un ragazzino sinto inseguito dalla polizia, Paolo Floriani.
    La corsa di Paolo e Davide attraverso i campi, prima in moto (una storia alla “Chicco e Spillo”, ma senza lieto fine) e poi a piedi, finì con un tentativo di attraversare a nuoto il fiume. Già in salvo sull’altra sponda (quella dello stabilimento), Paolo tornò ad immergersi nelle fredde acque per salvare l’amico che stava annegando. Ormai circondato dai poliziotti (per niente impietositi dalla generosità mostrata dal ragazzo) Paolo tentò un’estrema fuga, ma venne inghiottito dal fiume (v. l’articolo “Nomadi e scomodi” su “A, rivista anarchica” del dicembre 1991).
    Ma torniamo a Site Pluto. Per il giornalista Antonio Mazzeo “fino al 1992 ha rappresentato la punta avanzata della follia strategica USA e NATO che ritenevano possibile una guerra nucleare limitata”. Nelle immense cavità artificiali che devastano il sottosuolo da Col de Ruga a Costozza (analogamente alla spesso dimenticata base del Tormeno, la Fontega, deposito di esplosivi sotto Arcugnano) vennero stivate (scusate il gergo da ex facchino alla Domenichelli nda) testate nucleari di tipo W-79 (potenza tra i 5 e i 10 kiloton) e W-82 (“soltanto” 2 kiloton) per obici a corto raggio M-109 e M-110 e per missili Nike Hercules. Questi ultimi collocati poco lontano, a san Rocco, nella base dell’aeronautica italiana installata sulla sommità dei colli tra Costozza e Longare e probabilmente collegata a Pluto da percorsi sotterranei. Parentesi storico-ambientalista. Tra le due basi si snoda uno dei pochi sentieri lungo cui è ancora possibile ammirare in forma abbastanza rigogliosa la rarissima saxifraga berica. Forse perché Provincia, FC del Cai (vedi il taglio dei bagolari sulle pareti intorno alla Danieli) e Pro-Loco non sono ancora intervenuti con motosega e decespugliatore a disboscare per allargare il sentiero ombroso. Come è noto la saxifraga berica vive e prospera di luce indiretta e quindi solo in zone circondate da vegetazione (o anche negli antri dei covoli, meglio se protetti da cespugli). Basti pensare a quello che è avvenuto sotto le pareti di Lumignano invase dai FC che hanno disboscato alla grande. O peggio ancora, alla Fontana di Trene sopra Nanto dove i cespugli di saxifraga sono stati direttamente estirpati per “ripulire”. Un altro esempio. Poco lontano dell’entrata di Pluto fuoriesce il canale Bisatto, proveniente dalla zona del lago di Fimon e transitato per due gallerie e val Bugano. Qui, almeno fino ad un paio di anni fa, confluivano a fine inverno migliaia di rospi scesi dai boschi per riprodursi. Appare evidente che l’ampliamento della base potrebbe avere effetti devastanti su un ambiente naturale prezioso per la sua biodiversità. Sempre tra le due basi, troviamo la lapide per l’eremita padre Pagani forse cercava di espiare le colpe accumulate come inquisitore (avete notato che nella statua recentemente posta a Costozza il volto di Pagani ricorda quello di Eymerich, l’inquisitore catalano divenuto il protagonista dei romanzi di Valerio Vangelisti?). Per restare in tema di Inquisizione, ricordo che su un poggio tra Longare e Costozza sorge la “specola” da dove il buon Galileo (gran frequentatore delle fin troppo fresche grotte locali dove finì con l’ammalarsi piuttosto seriamente) compì i primi studi della volta celeste. Dalle sue osservazioni ricavò la pericolosa convinzione per cui sarebbe la Terra che ruota intorno al sole (e non viceversa) facendo incavolare i gelosi custodi dell’ideologia dominante dell’epoca. Segnalo l’opportunità di un’ulteriore rivoluzione copernicana, quella antispecista e biocentrica che detronizzi il “re del creato” e ponga un limite alla devastazione ambientale conseguenza dell’antropocentrismo. Un altro colle tra Costozza e Lumignano era stato frequentato dal poeta Petrarca che lo soprannominò “Parnaso”. Ma soprattutto, dal ’43 al ’45, tra le grotte, i massi e gli scaranti di questa zona impervia si era installato il comando della brigata partigiana Silva. I caduti per la Libertà della Silva sono ricordati da un caratteristico monumento ancora immerso nella vegetazione. Precisazione: non è mia intenzione scrivere una sommaria guida turistica, ma soltanto sottolineare che il luogo meriterebbe maggior rispetto.
    Dopo essere già stata utilizzato durante le ultime “guerre balcaniche” e nei più recenti interventi in Africa, ormai conclusa la costruzione della nuova base per la 173° Brigata aviotrasportata nell’ex aeroporto Dal Molin e diventato pienamente operativo il comando di US Army Africa, Site Pluto non poteva mancare all’appello. Dal 2013 vi verrà insediato un Mission training complex, un centro di addestramento unificato dell’esercito statunitense con “aree funzionali per le operazioni tattiche e stanze per l’elaborazione di eventi addestrativi”. Il nuovo impianto sarà in grado di ospitare giornalmente centinaia di soldati, sia statunitensi che italiani (i reparti d’élite per le guerre africane) e anche gli ospiti del “centro di eccellenza” COESPU per le forze di polizia straniere della caserma “Chinotto”, a Vicenza. Antonio Mazzeo e Manlio Dinucci non escludono che Site Pluto possa “servire per esercitazioni di guerra nucleare” e come “deposito-centro di manutenzione di armi nucleari”. Soprattutto da quando gli F16 e i Tornado verranno sostituiti dai caccia F-35 di quinta generazione per i quali è stata progettata la nuova bomba nucleare B61-12 (al cui lancio si esercitano anche gli F-35 italiani).
    Forse allarmati dalla fuga di notizie, le autorità italiane sono intervenute per rassicurare l’opinione pubblica. Nel nuovo stabile “solo computer. La guerra sarà simulata”. Un immenso videogioco per “simulare azioni di guerra e di peacekeeping”?
    Dichiarazioni che comunque sconfessavano il precedente comunicato del comando Usa di Vicenza che escludeva di voler “ampliare la base di Longare o di aprire una nuova base a Tonezza del Cimone”. Interessante questa excusatio non petita per il riferimento a Tonezza. Sicuramente consentirebbe un facile accesso al previsto tratto Nord della A31, molto più comodamente che dalla base dismessa del monte Toraro (verso Folgaria, in prossimità di Malga Zonta dove vennere trucidati i partigiani della Garemi) ora trasformata in “Museo della Guerra Fredda”. Da notizie più recenti sembrerebbe che a Tonezza si voglia realizzare un centro di recupero per i soldati impazziti in zona di guerra. Ritorna comunque l’ipotesi che identifica nell’autostrada Valdastico A31 un “corridoio militare-industriale” attraverso l’intera provincia vicentina, una delle più militarizzate della penisola. Senza dimenticare che un corridoio ad uso militare esiste già nel Basso vicentino, più o meno sovrapposto alla Valdastico sud: quello aereo percorso quotidianamente da decine di rumorosi e inquinanti caccia.
    Nel 2009 a Site Pluto si svolse l’esercitazione Lion Focus, sotto la supervisione del Comando US Africom di Stoccarda e del Joint Warfighting Center di Norfolk (Virginia) per “preparare il quartier generale della Joint task force SETAF-US Army Africa nell’esecuzione del comando delle operazioni in Corno d’Africa in supporto delle missioni assegnata alla Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), la forza militare di più di 2000 uomini di stanza a Gibuti”. Nel maggio 2011, durante un’altra esercitazione a Longare, è stata attivata una specifica postazione di comando di “pronto intervento” (Early Entry Command Post – EECP) destinata a diventare la Forward Command Post (FCP), uno dei maggiori centri di comando per le operazioni di US Army Africa. Per Vicenza e dintorni, si profila un futuro di ulteriore militarizzazione del territorio. Ma intanto i cittadini di Longare e paesi limitrofi si preoccupano di sagre e altre amenità. Prima o poi anche gli zombies del Basso Vicentino dovranno scuotersi dal loro torpore. Ma forse sarà troppo tardi. O è già troppo tardi?
    Gianni Sartori

    *Stando alle ultime informazioni (dicembre 2013) questo tratto dell’autostrada interesserebbe la sinistra e non più la destra orografica della Val d’Astico tra Arsiero e Cogollo. Ma, come si dice in Veneto “el tacon xe peso del buso”: Si parla infatti di un’ulteriore galleria che dovrebbe passare sotto al Monte Cengio. Chi conosce la Val Cengiotta e la zona circostante può ben immaginare i futuri disastri idro-geologici. Particolarmente preoccupati e mobilitati gli abitanti di Cogollo e della frazione Casale…

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