VADEMECUM PER SOPRAVVIVERE ALLE PRIGIONI SIRIANE

Da:

http://frontierenews.it/2016/09/vademecum-sopravvivere-prigioni-siriane/

 

 

Dal 2011, anno in cui sono iniziate le sollevazioni popolari che hanno portato all’attuale rivoluzione siriana,  sono morte oltre 17mila persone nelle prigioni governative, molte delle quali dopo aver subito torture di ogni tipo (dalle scariche elettriche agli stupri). Un documento di Amnesty International ha raccolto le testimonianze di 65 sopravvissuti, in cui vengono raccontate le agghiaccianti e inumane condizioni in cui vivono i detenuti nelle strutture detentive dei servizi di sicurezza siriani e nella prigione militare di Saydnaya, nei sobborghi di Damasco.


La tortura a Saydnaya pare far parte di un tentativo sistematico di degradare, punire e umiliare i prigionieri. Secondo i sopravvissuti, a Saydnaya picchiare a morte i detenuti è la norma.

Inizialmente, i prigionieri di Saydnaya vengono tenuti per alcune settimane in celle sotterranee, dove d’inverno si gela, senza nulla per coprirsi. In seguito vengono portati nelle sezioni ai livelli superiori.

Per non morire di fame, si nutrono con bucce d’arancia e noccioli di olive. Non possono parlare né rivolgere lo sguardo alle guardie, che regolarmente li scherniscono e li umiliano solo per il gusto di farlo.

Molti detenuti hanno sviluppato gravi problemi di salute mentale a causa del sovraffollamento e della mancanza di luce solare.

‘It breaks the human’: Torture, disease and death in Syria’s prisons – Amnesty International, agosto 2016


Le testimonianze raccolte, oltre a mostrare il sadismo istituzionalizzato che prende di mira chiunque sfidi l’autorità costituita in Siria (oppositori, attivisti per i diritti umani, giornalisti, etc.), hanno tracciato un percorso mentale comune a cui i detenuti sopravvissuti sono dovuti ricorrere per superare l’orrore delle torture e della prigionia.

8 modi per sopravvivere ai lager siriani

1. Non rivelare le proprie condizioni mediche

“Nella ‘festa di benvenuto’, venne chiesto a ognuno di noi se fossimo in qualche modo malati o meno. Pensavo che avrei dovuto dire loro della mia insufficienza renale, così mi avrebbero trattato bene. Chiesero prima al mio amico, che rispose: ‘Sì, ho problemi respiratori. Ho l’asma’. La guardia disse ‘Va bene, il tuo è un caso particolare’. Iniziarono a picchiarlo, fino a lasciarlo senza vita, lì, di fronte a me. Quando arrivò il mio turno dissi che ero in perfetta salute, che stavo bene”.

La "festa di benvenuto". © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
La “festa di benvenuto”. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
2. Rimanere neutrali

“Le guardie mi costrinsero a guardare i loro colleghi picchiare i detenuti, per un ora. Usarono diversi oggetti, tubi, pali, persino una sbarra in ferro con dei chiodi all’estremità. Le prime tre volte piansi, ma quando lo feci le guardie iniziarono a picchiare anche me. Per il resto dell’ora dovetti rimanere completamente neutrale. Ripetevo a me stesso che non era reale, che era solo un film dell’orrore e che dopo quindici minuti sarebbe tutto finito”.

Il "tappeto volante". © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
“Bisat al-Rish”, il “tappeto volante”. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun

LA TRAGEDIA SIRIANA IN NUMERI

Oltre 17mila                        65mila                        Oltre 11 milioni

detenuti morti                                detenuti scomparsi                               sfollati e profughi

3. Stare al caldo

“D’inverno faceva molto freddo. Per non disperdere il calore dovemmo unire le lenzuola e avvolgerci in una sorta di bozzolo. Avevamo a nostra disposizione soltanto i vestiti che indossavamo durante l’arresto. Chi veniva arrestato d’estate soffriva tantissimo durante l’inverno”.

Sovraffollamento. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
Sovraffollamento. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
4. Diventare una famiglia

“Gli altri prigionieri diventano molto più che fratelli. Si ottiene una vicinanza che nella vita normale non si può mai raggiungere. Persone con cui si era in contrasto, persone prima che si odiavano, in carcere diventano la propria famiglia. Atei e sunniti devoti diventano migliori amici. Abbiamo condiviso ogni cosa, anche i vestiti, e ci siamo sostenuti a vicenda quando uno piangeva o l’altro usciva fuori di testa”.

La "ruota". © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
La “ruota”. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
5. Dimenticare

“L’unico modo per fermare il tempo in prigione è pensare alla propria famiglia e ai propri amici. Ma poi si impara a lasciar perdere anche loro. Ho iniziato a dimenticare. Ho perso ogni memoria dei volti dei miei amici dell’università. Poi ho dimenticato ogni volto incontrato negli ultimi anni. Sono andato a ritroso, fino a quando riuscii a ricordare soltanto il viso di mia madre, quando ero piccolo”.

6. Mangiare qualsiasi cosa

“All’inizio ci diedero una scatola di arance e una di cetrioli. Iniziammo a mangiare le arance, gettando a terra le bucce, e gli altri prigionieri corsero ad addentarle. Per loro le bucce d’arancia erano così gustose. Una sorta di premio! Anche noi saremmo diventati come loro, fu uno shock tremendo. Iniziammo a mangiare persino i gusci d’uovo, per assumere il calcio. Mettevamo insieme riso, zuppo, bucce d’arancia e gusci d’uovo, il tutto avvolto in un pezzo di pane. In quel modo avevamo l’impressione di consumare un pasto vero. Era disgustoso mettere insieme tutte quelle cose, ma in qualche modo fu d’aiuto”.


Il governo italiano deve usare la propria influenza per assicurare che osservatori indipendenti siano autorizzati ad avviare indagini sulle condizioni di detenzione in Siria.

FIRMA L’APPELLO DI AMNESTY


7. Farsi torturare a turno

“La guardia ci chiedeva continuamente di mandare cinque persone da torturare. Ci organizzammo in modo da risparmiare i più giovani e i più anziani. Facemmo un gruppo di circa 20 persone, tra le più forti. Tre di noi andavano quasi sempre. Io andavo, perché avevo bisogno di urlare. Ero terrorizzato, perché ero diventato insensibili e non provavo più dolore, non avevo più alcuna emozione. Può sembrare strano, ma mi facevo avanti per essere picchiato in modo da poter sentire nuovamente qualcosa”.

Pestaggi. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
Pestaggi. © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
8. Barattare il cibo

“Iniziò tutto con un tizio che se ne stava seduto, in cella, e non faceva che piangere di continuo. Mi disse che aveva person ogni speranza di lasciare quel posto. ‘Non sono arrabbiato, sto solo morendo di fame. Penso soltanto al cibo’. Provai a pensare a come aiutarlo, ma eravamo in una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Se gli avessi dato il mio cibo, sarei potuto morire; se lui ne avesse dato a me, sarebbe potuto morire lui.

Alla fine gli diedi il mio pezzo di pane e metà della mia porzione di riso. È lì che iniziò l’idea del baratto. Gli dissi che il prezzo per la mia mezza pagnotta era una pagnotta intera, ma che mi avrebbe potuto pagare un po’ alla volta, nell’arco di quattro giorni. Eravamo tutti senza cibo, nella miseria più totale, ma questo stratagemma ci aiutò a sopravvivere. Potemmo infatti condividere il cibo con chi soffriva di più e mantenere attiva la nostra mente. Stavamo sempre a pianificare qualcosa, a reagire, a restare umani. Prima i nostri cervelli poterono soltanto pensare ad una cosa: mangiare, mangiare, mangiare, mangiare. Ma nel tempo riuscimmo a unire le nostre menti per cooperare, per agire insieme”.

Gli stupri, un'arma quotidiana per annullare l'identità dei detenuti siriani © Amnesty International / Mohamad Hamdoun
Gli stupri, un’arma quotidiana per annullare l’identità dei detenuti siriani © Amnesty International / Mohamad Hamdoun