Turchia: il governo ritira proposta di legge sul ‘matrimonio riparatore’ con minori

Fonte:

Almeno su questo, la società civile turca ha vinto. il governo di Ankara si è deciso a ritirare il controverso progetto di legge sul cosiddetto matrimonio riparatore.

Migliaia di persone sono scese in piazza in questi giorni per protestare contro quello che è stato definito lo stupro legalizzato .

Così il premier nazionalista islamico Binali Yıldırım ha preferito fare marcia indietro, dichiarando che il progetto verrà ritirato e ridiscusso.

Doppia violenza per la vittima

In pratica la proposta avrebbe consentito al violentatore di una minorenne di farla franca sposando la vittima, se avesse ottenuto il consenso della sua famiglia.

Usando un ossimoro, il testo della legge specificava di riferirsi a stupri ‘commessi senza l’uso di forza, violenza o inganno’ nel caso in cui la vittima avesse 16 anni o più.

 

Fonte:

http://it.euronews.com/2016/11/22/turchia-il-governo-ritirera-il-controverso-progetto-di-legge-sul-matrimonio-riparatore-con-minori-in-caso-di-abuso-sessuale

Turchia, primo sì alla depenalizzazione dell’abuso sulle bambine

Il partner dell’Unione europea. Passa per un voto in seduta notturna l’articolo della riforma penale voluta dall’Akp di Erdogan

Il primo passaggio della contestata riforma del codice penale turco che depenalizza lo stupro sulle minori di 16 anni se dopo c’è un matrimonio riparatore è stato di notte.

L’articolo 49 della nuova legge proposta dal partito Akp (in turco è la sigla di Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) del presidente Erdogan è passato per un voto al termine della seduta notturna tra giovedì e venerdì.

Il testo integrale della legge andrà in discussione martedì prossimo, 22 novembre.

Contraria l’opposizione: i socialdemocratici del Chp e i nazionalisti del Mhp ( i curdi dell’Hdp non vanno ai lavori d’aula per protesta contro l’arresto dei loro deputati).

L’articolo 49 prevede che l’abuso sessuale su minore, nel caso avvenga “senza forza o la minaccia” e venga poi “sanato” con un matrimonio precoce, non venga sanzionato da una sentenza di condanna. Già i casi di questo tipo in attesa di essere giudicati e commessi prima del 16 novembre godrebbero di una sospensione.

Attualmente il matrimonio al di sotto dell’età di 17 anni è vietato dalla legge turca e i procedimenti si aprono d’ufficio, anche senza denuncia della vittima o del suo tutore ma ad esempio dopo un referto di pronto soccorso, per i reati sessuali contro i minori di 15 anni. Il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag ha detto che “a causa” dell’attuale normativa che sanziona i matrimoni precoci al momento “sono circa 3 mila gli uomini detenuti negli istituti di pena”.

Durante il dibattimento parlamentare la vice presidente del partito socialdemocratico, Muğla Ömer Süha Aldan, ha fatto un esempio: “Se un 50enne o 60enne si unisce con una 11enne dopo averla violentata, e poi la sposa anche solo un anno più tardi, lei soffrirà le conseguenze di questo matrimonio per tutta la vita, vivrà come in una prigione”. Secondo Aldan la riforma voluta dal partito di governo non fa che “incoraggiare i matrimoni forzati e legalizzare gli stupratori”. E l’approvazione dell’articolo 49, a suo dire, “danneggia la reputazione del parlamento turco”.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/turchia-primo-si-alla-depenalizzazione-dellabuso-sulle-bambine/

Cantiamo della libertà delle donne, non della loro morte

Wed, 19/10/2016 – 17:11
di

Femminist* di Ri-Make

Eri stata avvertita ricordi quegli scleri / Io te lo avevo detto avevo dei problemi seri / E ora hai paura perché tutti quei brutti pensieri / Da qualche giorno hanno iniziato a diventare veri / E adesso guido verso casa tua che vivi a Monza / Pieno di cattive idee dettate da un sbronza / Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti / Non mi dire di calmarmi è tardi stronza / Fanculo il senso di colpa non ci saranno sbocchi / Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi / Io c’ho provato e tu mi hai detto no / E ora con quella tua testa ti ci strozzerò

Queste sono le parole con cui si conclude il brano Tre messaggi in segreteria di Emis Killa, presente all’interno dell’album che verrà presentato oggi, 19 ottobre, a San Babila, Milano.
Il rapper ha affermato di aver scritto questo brano con lo scopo di sollevare l’attenzione pubblica sul tema della violenza sulle donne. Tuttavia ci preoccupano le modalità con cui ha scelto di parlare di un argomento tanto delicato.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa e nell’ottanta per cento dei casi il colpevole del femminicidio è il suo partner. In Italia sono 6milioni e 788mila le donne che, nell’arco della loro vita, subiscono un abuso fisico e\o sessuale, il che significa una donna su tre. I dati Istat del 2015 non possono invece rilevare gli abusi non dichiarati, le violenze di genere non denunciate, e tutte quelle situazioni terrificanti che rimangono dietro la porta di casa. Non possono inoltre rivelare gli innumerevoli casi di donne maltrattate, abusate, violentate che faticano più d’altre a intraprendere un percorso di uscita dalla violenza.

L’argomento va toccato, va analizzato. In Italia – come ovunque – è necessario parlare di violenza sulle donne proprio per trovare meccanismi in grado di smontarla, di decostruirla e proprio per trovare strumenti con cui educare alla sua prevenzione. Quello che assolutamente non va, nel testo di Emis Killa, non è tanto la volontà di parlare di un argomento così rilevante, ma senz’altro il modo in cui il cantante ha scelto di farlo.

Perché parlarne in prima persona e soprattutto assumendo il punto di vista del femminicida?
Perché non ribaltare la narrazione suggerendo alle ascoltatrici e alle fan che dalla violenza si può uscire?

Immaginate per un attimo lo sgomento che si sarebbe generato se Emis Killa avesse invece voluto parlare non di violenza sulle donne ma di pedofilia: ve la immaginate una canzone in cui parla in prima persona del desiderio di abusare di un\una bambino/a? E vi immaginate invece se avesse scelto di parlare in prima persona della volontà di massacrare di botte un/una migrante? Vi immaginate se avesse voluto problematizzare col suo testo l’olocausto descrivendo in prima persona il desiderio di un nazista di uccidere un/una ebreo/a? Potremmo andare avanti all’infinito. Avremmo trovato accettabile una canzone così?

Quello che colpisce in questa storia non è soltanto il testo, grave e inquietante, ma anche il numero di tutte e tutti quelle/i che che sostengono che cantare di violenza sulle donne – in questi termini – sia accettabile mentre parlare di abusi su bambini/e non lo sia.

Interroghiamoci sui motivi che ci spingono a sottovalutare un brano che parla di femminicidio, a giustificarne uno che parla di violenza di genere e di stalking sostenendo che si tratti “solo di una canzone”. Domandiamoci come mai invece vengano aperte giuste polemiche nel momento in cui il soggetto oppresso, violentato, ucciso è un altro.
Quanto è inquietante inoltre immaginare il prossimo concerto di Emis Killa con migliaia di persone che all’unisono intonano la frase “preferisco saperti morta che con un altro”?

A noi fa venire i brividi, perché sappiamo che la violenza di genere è una questione seria, che ci tocca tutte da vicino, a cui tutte passiamo accanto almeno una volta nella vita – una, se siamo fortunate.
A noi fa venire i brividi perché sappiamo che non tutti/e hanno purtroppo gli strumenti per scindere una “semplice” canzone da un aperto suggerimento. Perché sappiamo che la violenza sulle donne è una questione di vita o di morte.

Oggi Emis Killa presenta il suo nuovo album e questa canzone.
Oggi in Argentina le donne di tutto un paese si sono fermate, scioperano dal lavoro o dallo studio e scendono per le strade al grido #NiUnaMenos perché scosse dall’ennesimo caso di femminicidio e di stupro, questa volta subito della quindicenne Luisa Perez.
Oggi a Milano contestiamo un testo che reputiamo violento.

Perché siamo stufe di essere le vittime, perché rivogliamo indietro la nostra indipendenza e le nostre vite, perché è di questa rabbia, di questa ribellione, di questa libertà che vogliamo cantare tutte assieme, e farci sentire sin dall’altra parte dell’oceano.

Il 26 novembre, a Roma, parteciperemo al corteo nazionale contro la violenza di genere: non accetteremo che la violenza sessista e machista porti via un’altra di noi e il nostro canto, non a caso, in quell’occasione sarà #NonUnaDiMeno.

Fermiamo la violenza sulle donne e chi la istiga.

 

 

Fonte:

http://www.communianet.org/gender/cantiamo-della-libert%C3%A0-delle-donne-non-della-loro-morte

Argentina, le donne scioperano contro la violenza di genere. #NiUnaMenos.

Dal blog di Bob Fabiani:

Oct 19

 

Una cinquantina di organizzazione che lottano contro la discriminazione e la violenza di genere hanno invitato le donne argentine a vestirsi di nero e ad abbandonare il loro posto di lavoro per un’ora (è accaduto tra le 13 e le 14 di oggi, 19 ottobre) in quello che è stato ribattezzato il #MiercolesNegro (mercoledì nero). 

La protesta è nata in seguito alla morte di Lucia Perez, sedicenne violentata e uccisa a Mar del Plata, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 2016. 

Nel pomeriggio di oggi, 19 ottobre è prevista anche un’imponente manifestazione di piazza a Buenos Aires. 
(Fonte.:lanacion;bbc)
Bob Fabiani
Link
-www.lanacion.com.ar/paro-de-mujeres-y-reclamo-en-el-obelisco;
-www.bbc.com/news/world-latin-america/argentine-women-to-strike-after-fatal-rape-of-teenager

Fonte:
http://bobfabiani.blogspot.it/2016/10/argentina-le-donne-scioperano-contro-la.html

Donna uccisa a Ravenna, uxoricida partecipò a serata antiviolenza

E’ in stato fermo a Firenze per omicidio e occultamento cadavere

Matteo Cagnoni, il dermatologo arrestato a Firenze per l’omicidio della moglie Giulia Ballestri a Ravenna, nel 2013 collaborò a una serata organizzata da Linea Rosa, associazione che tutela le donne vittime di violenza. La conferenza si tenne al teatro Rasi di Ravenna, come ricorda – intervistata dal Resto del Carlino – la presidente di Linea Rosa Alessandra Bagnara: “Fu lui a contattarci perché, disse, avrebbe voluto organizzare un evento che potesse aiutare Linea Rosa. E infatti il ricavato della serata fu devoluto all’associazione. Ci furono diversi incontri preparatori, e la moglie veniva sempre insieme a lui. Ci aiutò parecchio”. Cagnoni, noto anche per varie apparizioni tv, è accusato di aver ucciso la moglie a colpi di bastone in una villa disabitata. I due si stavano separando. Dopo il delitto l’uomo è fuggito con i figli a Firenze, sua città di origine. E’ stato bloccato a casa dei genitori ed è in stato di fermo per omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere.

Uccisa con cranio fracassato a Ravenna, fermato marito – Colpita a bastonate, trascinata giù per le scale, finita nello scantinato da un omicida che ha infierito sul suo capo. E’ morta così Giulia Ballestri, ravennate di 40 anni compiuti sabato scorso, trovata morta a Ravenna dopo che i familiari, che non avevano sue notizie da un paio di giorni, hanno dato l’allarme. Un omicidio realizzato con “violenze quasi inaudite”, per dirla con le parole del procuratore capo della città romagnola, Alessandro Mancini. Per il delitto è stato fermato il marito: Matteo Cagnoni, 51 anni, noto dermatologo di una famiglia abbiente e conosciuta anche a Firenze, di cui è originario. I due si stavano separando, lei voleva il divorzio. L’uomo è stato fermato proprio nel capoluogo toscano con l’accusa di omicidio aggravato della moglie, ma anche di occultamento di cadavere, per via della posizione nella quale è stato trovato il corpo.

La notte scorsa la polizia si è presentata infatti nella villa dei genitori di Cagnoni, in via Bolognese, per una perquisizione alla ricerca di elementi utili alle indagini. Ma vedendo i poliziotti il 51enne è scappato, lungo l’argine del torrente Mugnone. Era anche riuscito a far perdere le proprie tracce, ma qualche ora dopo è tornato a casa dei genitori, credendo che non ci fossero più agenti, e lì è stato bloccato. Ha detto di essersi impaurito alla vista della polizia, senza fare alcun riferimento alla moglie. Gli investigatori invece non escludono che stesse cercando di fuggire all’estero coi figli, che aveva portato con sé a Firenze: in una giacca aveva una somma importante in contanti, e i passaporti, il suo e quelli dei figli, tutti bambini tra i 6 e gli 11 anni. Il corpo della moglie è stato trovato nello scantinato di una villa di famiglia in via Padre Genocchi, a Ravenna. A denunciare la scomparsa di Giulia era stato il fratello, insospettitosi dopo avere trovato l’auto di lei in via Giordano Bruno davanti a casa con le portiere aperte. La polizia ha così setacciato tutte le dimore di famiglia arrivando anche a quella dove c’era il cadavere della 40enne. La villa – disabitata in questo periodo – era chiusa a chiave con allarme inserito, e ad avere le chiavi erano solo Giulia e il marito. Nella casa la polizia scientifica ha repertato numerose tracce di sangue, le più copiose nello scantinato dove c’era il cadavere.

L’arma del delitto, un bastone di legno, è già stato recuperato dagli inquirenti e anch’esso presenta molte tracce ematiche. La vittima addosso aveva solo un reggiseno. Sulla base degli elementi accertati gli inquirenti hanno ipotizzato che la donna possa essere stata colpita al piano superiore, trascinata giù per le scale battendo la testa sui gradini e poi sia stata finita nello scantinato. L’omicida ha infierito con violenza, con più colpi in testa. Non è ancora chiaro quando sia successo, ma da quello che ha stabilito il medico legale la morte risale a circa 72 ore prime del ritrovamento del corpo. L’ultimo contatto della donna con la famiglia risale a giovedì sera, quando aveva inviato un messaggio al fratello. Chi indaga su questo ennesimo femminicidio valuta che la causa scatenante della violenza dell’uomo sia stata il fatto che i due coniugi, sebbene ancora convivessero, si stavano effettivamente separando: Giulia era intenzionata ad arrivare fino al divorzio. Dilemmi che forse saranno chiariti nell’interrogatorio di convalida del fermo nei prossimi giorni. Sgomento e dolore sono stati espressi dal sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, secondo cui episodi come quello odierno devono spingere a proseguire con maggiore impegno nella lotta alla violenza di genere.

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Manifestazione nazionale per la liberazione di Nekane Txapartegi

Giovedì 08 Settembre 2016 16:37

nekane

Sabato 24 SETTEMBRE a BERNA si terrà una grande manifestazione nazionale per la liberazione di Nekane Txapartegi, giornalista basca e militante della sinistra indipendentista, la quale è stata arrestata dalle autorità svizzere e incarcerata a Zurigo l’8 aprile 2016, a seguito di una domanda di estradizione depositata dallo Stato spagnolo.

Nel 1999, Nekane è stata arrestata e incarcerata una prima volta dalla Guardia Civil, corpo paramilitare della polizia spagnola, incaricato delle “operazioni antiterroriste”. Durante i primi giorni di detenzione, lei e un altro prigioniero sono state rinchiusi in isolamento (incomunicacion), pratica nella quale le detenute e i detenuti accusati di “terrorismo” scompaiono in un buco nero per giorni, senza poter aver contatti con l’esterno, neppure un avvocato, subendo un utilizzo quasi sistematico della tortura durante gli interrogatori. In quell’occasione Nekane è stata violentemente torturata dai militari spagnoli è ha subito uno stupro da parte dei suoi torturatori. Ciò che ha dovuto patire in carcere è stato denunciato poche settimane più tardi.
Dopo una rapida archiviazione della denuncia da parte delle autorità spagnole, gli avvocati di Nekane sono riusciti a fare riaprire la procedura qualche anno più tardi, prima che il caso fosse definitivamente insabbiato. Nonostante numerosi certificati medici che dimostrano che Nekane sia uscita dall’incomunicacion con numerosi ematomi su tutto il corpo e nonostante testimonianze di compagni di cella indicando che una volta giunta in carcere Nekane fosse in stato di shock e non riusciva né a camminare, né a muovere le mani, i magistrati spagnoli hanno rifiutato di identificare i suoi aguzzini. Solo uno di loro è stato finalmente sentito, per video conferenza e in forma anonima, senza però rispondere alle domande della difesa. Così come in decine di altri casi, che hanno portato alla condanna della Spagna da parte di organi internazionali, la denuncia è stata archiviata dalle autorità spagnole e i torturatori di Nekane sono rimasti impuniti.

Dopo nove mesi di detenzione preventiva, Nekane è stata rilasciata su cauzione e nel 2007 è fuggita dallo Stato spagnolo per evitare una nuova incarcerazione basata unicamente sulle testimonianze ottenuta sotto tortura. Infatti, durante il maxiprocesso contro numerose organizzazioni della sinistra indipendentista basca, denominato “Sumario 18/98”, è stata condannata a una pena di sei anni e nove mesi con l’accusa di appartenenza in prima istanza, e di collaborazione in appello, con un’ ”organizzazione terrorista” (ETA). Nel corso di questo processo Nekane ha nuovamente denunciato quanto ha dovuto subire in carcere nel 1999 (video) e, come massima ignominia, ha dovuto pure confrontarsi con uno dei suoi torturatori, intervenuto in tribunale in qualità di “esperto”. Le colpe principali che le sono state imputate sono quelle di aver partecipato a una riunione con degli attivisti indipendentisti baschi a Parigi e di aver consegnato due passaporti a dei membri di ETA.

Il Collettivo Scintilla organizzerà un trasporto collettivo dal Ticino per essere presenti in massa a questa manifestazione.
Chi volesse partecipare può scrivere un messaggio privato a questa pagina oppure a [email protected]Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

EVENTO FB: https://www.facebook.com/events/1845934795625795/

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/17565-manifestazione-nazionale-per-la-liberazione-di-nekane-txapartegi

Melito (RC) 13 anni, stuprata dal branco. La Collettiva AutonoMia scende in piazza: “Il silenzio è complicità. Troviamo soluzioni comuni”

Ecco che la storia si ripete, cambia la vittima, il luogo e gli auguzzini ma le componenti sono uguali: stupro, possesso, ndrangheta, dominio e soprattutto omertà. La stessa storia di Anna Maria Scarfò. La violenza maschile sulle donne nella nostra Calabria, continua ad essere alimentata dalla cultura patriarcale e dalla mentalità ‘ndranghetista con la complicità delle coscienze sopite, per paura o per indifferenza, da cui trae linfa vitale per imporsi, crescere e proliferare, nel silenzio e nell’immobilità della politica e delle istituzioni locali e nazionali.
Un territorio, che troppo spesso si gira dall’altra parte, sente ma diventa sordo, vede ma all’occorrenza diventa cieco.
Basta – urlano dalla Collettiva AutonoMia – Noi non siamo state e non saremo in silenzio: la nostra lotta continua.
Scendiamo in piazza tutte e tutti, confrontiamoci, troviamo soluzioni comuni. Lunedì 5 settembre, ore 18:00 a Piazza Italia (Reggio Calabria).

 

Fonte:

http://ildispaccio.it/reggio-calabria/119929-melito-rc-13-anni-stuprata-dal-branco-la-collettiva-autonomia-scende-in-piazza-il-silenzio-e-complicita-troviamo-soluzioni-comuni

Violenza sessuale di gruppo, otto arresti a Reggio

L’incubo durava da anni. Fra gli arrestati anche un minore e il figlio di un boss. Il branco minacciava la vittima di divulgare le sue immagini intime. La spedizione punitiva contro il fidanzato della giovane sottoposta agli abusi

Venerdì, 02 Settembre 2016 08:12

REGGIO CALABRIA Violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori, lesioni personali aggravate e di favoreggiamento personale: sono questi i reati contestati a un vero e proprio branco di dieci persone, tutte arrestate questa mattina dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Fra loro, c’è anche un minorenne, il cui arresto è stato disposto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria presso il Tribunale dei Minorenni. Stando alle prime indiscrezioni, i dieci aguzzini avrebbero sottoposto per anni ad abusi e angherie una ragazzina di Melito Porto Salvo, appena tredicenne quando è finita nel mirino del branco. La vittima, la cui vita è stata caratterizzata da un perdurante e grave stato d’ansia che l’ha costretta anche a mutare le proprie abitudini, nel periodo degli abusi era completamente soggiogata al “branco”. I ragazzi, infatti, l’avrebbero minacciata di divulgare alcune sue foto intime e di rivelare le sue “nefandezze” ai genitori.

branco
(Benedetto, Iamonte, Nucera, Principato, Schimizzi, Tripodi e Verduci)

I NOMI DEGLI ARRESTATI Tra gli arrestati c’è Giovanni Iamonte, di 30 anni, figlio di Remingo, attualmente detenuto, ritenuto il capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta operante a Melito. Il gruppo si è anche reso protagonista di una spedizione punitiva nei confronti di un giovane con il quale la ragazza sottoposta alle violenze aveva allacciato una normale relazione sentimentale allo scopo di allontanarlo e “riappropriarsi” della ragazza. Al termine delle indagini, i carabinieri hanno arrestato e portato in carcere, oltre a Iamonte, Daniele Benedetto (21), già noto (come Iamonte) alle forze dell’ordine; Pasquale Principato (22), Michele Nucera (22), Davide Schimizzi (22), Lorenzo Tripodi (21) Antonio Verduci (22). Un diciottenne che all’epoca dei fatti era minorenne, G.G., è stato portato in una comunità. Domenico Mario Pitasi, infine, è stato raggiunto dalla misura dell’obbligo di presentazione quotidiano alla Pg essendo accusato solo di favoreggiamento personale.

a. c.

 

Fonte:

http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/49338-violenza-sessuale,-dieci-in-manette-a-reggio

Il calvario sessuale delle siriane in Libano

 La tragica condizione delle donne siriane rifugiate in Libano, vittime di abusi e violenze (domestiche e non)

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di Yeghia Tashjian – Nasawiya*

L’International Rescue Committee ha identificato tre sfide principali che le donne siriane rifugiate stanno affrontando in Libano: molestie e sfruttamento sessuale, l’aumento della violenza domestica (dando la sgradevole sensazione di non essere sicure a casa propria) e matrimoni forzati e precoci.

Le organizzazioni internazionali e locali stanno facendo del loro meglio per superare queste situazioni, ma c’è ancora molto da fare. Le siriane in Libano rischiano di essere molestate ogni giorno, quando vanno a comprare il pane, quando passeggiano per strada, quando vanno a scuola e persino quando vanno nei bagni dei campi profughi. Sembrerebbe che il sovraffollamento dei campi e la mancanza di privacy per le donne (che non hanno accesso a bagni e docce separati) siano alcune delle ragioni di questa situazione.

Molestie e sfruttamento sessuale

Secondo Hiba Habbani, project coordinator della Ong per i diritti delle donne Kafa, molte rifugiate siriane subiscono molestie anche quando tentano di accedere a servizi sociali. Ad esempio le donne che vengono percepite come di bell’aspetto ricevono trattamenti privilegiati nella fila per gli aiuti umanitari, a condizione di prestare determinati favori a chi di dovere.

Anche l’accesso ai servizi medico-sanitari è utilizzato come mezzo di sfruttamento. Secondo Lama Naja, Emergency Response Program Manager nella Ong Abaad, le molestie sessuali vengono compiute da parenti, da altri residenti nel campo e da persone esterne (sia libanesi che siriane). Il Libano ha, fino a un certo punto, leggi abbastanza moderne in materia di violenza domestica (soprattutto se paragonato ad altri paesi dell’Area), ma continua a trattare questi uomini e queste donne in modo ingiusto; ben pochi rifugiati siriani e siro-palestinesi sono in grado di accedere al sistema giudiziario per far valere i propri diritti quando vengono maltrattati.

Violenze domestiche

La ragione principale della violenza domestica non è la rabbia, ma una profonda struttura di potere che favorisce la mascolinità. Molti rifugiati siriani provengono da zone rurali dove la società è tendenzialmente patriarcale. È importante sottolineare che più volte le ragazze hanno dichiarato di aver subito violenza dal padre o dai fratelli maggiori. Questo le spinge a scappare dai campi profughi, esponendosi a rischi addirittura peggiori.

Matrimoni forzati

Nell’area i matrimoni precoci sono una tradizione consolidata, ma diverse associazioni hanno dichiarato di aver registrato un significativo aumento di questa pratica all’interno dei campi profughi siriani in Libano. Maria Semaan, program coordinator del Child Protection Program della Ong Kafa, ha identificato in alcune tradizioni religiose e culturali. “I matrimoni precoci hanno a che fare con la cultura”, ha detto Semaan. “Tutte le religioni qui presenti sembrano permetterli, il che ha reso la pratica perlomeno culturalmente accettata. Ed è, allo stesso tempo, considerata un modo per impedire rapporti sessuali prematrimoniali”.

Ma in questo caso specifico, sostiene Semaan, è il fattore economico a giocare un ruolo molto importante. Le famiglie giustificano le loro azioni dicendo di dover organizzare questi matrimoni per proteggere le loro figlie o per alleggerire le proprie difficoltà economiche; ma in realtà, invece di proteggere le ragazze, le conducono dritte verso l’inferno della violenza domestica. Secondo alcune Ong, molte famiglie siriane stanno usando le proprie figlie come merce di scambio per avere cibo, case in affitto, favori e beni di altro tipo.

L’instabilità economica rende le donne anche vulnerabili allo sfruttamento sessuale e all’abuso degli operatori umanitari, alla prostituzione forzata e alla tratta di esseri umani. “Le famiglie sono disperate e finiscono con l’essere disposte a fare tutto ciò che è necessario per sopravvivere”, ha dichiarato un operatore in un campo libanese che ha chiesto di rimanere anonimo. “Donne e ragazze accettano di sostenere un matrimonio temporaneo in cambio di soldi o di aiuti per ottenere visti e permessi vari”.

Secondo uno studio condotto dalla S. Joseph University, il 24 percento delle ragazze siriane rifugiate in Libano si sposano prima di raggiungere i 18 anni di età. I genitori, ridotti alla fame, non vedono alternative se non quella di trovare dei mariti per le loro figlie. Ma prendere delle scelte del genere sottopone le ragazze a seri pericoli per la salute, oltre al fatto che in questo modo non possono avere alcuna istruzione né opportunità professionale.

Hurriyah, una 12enne di Idlib fuggita 3 anni fa insieme alla famiglia, frequentava la scuola. In Libano un ragazzo di 17 ha iniziato a seguirla e a molestarla. Preoccupato dai conseguenti pettegolezzi sulla figlia, il padre ha deciso di organizzare per lei un matrimonio con uomo adulto per “proteggerla”. Un altro caso di matrimonio forzato è quello di Nour, una ragazza siriana di 13 anni costretta a sposare un uomo di 27 anni. I suoi genitori hanno detto all’Unicef che i due non si erano mai incontrati prima del matrimonio e che sono stati costretti a organizzare la cosa per motivi puramente economici, dato che il padre non era più in grado di prendersi cura di lei.

La Reuters ha mostrato che ci sono circa 500mila bambini siriani in Libano. Di questi soltanto un quinto è iscritto a scuola. Nonostante il ministro dell’Istruzione libanese abbia annunciato una campagna di scolarizzazione che avrebbe fornito educazione gratuita per circa 200mila bambini siriani, molti di loro sono ancora sparsi nella Capitale e preferiscono elemosinare per strada e aiutare le proprie famiglie piuttosto che andare a scuola.

Il governo libanese, con la cooperazione di Ong locali ed internazionali, può certamente adottare delle misure per superare queste crisi. Innanzitutto dovrebbe aumentare il numero di spazi sicuri per donne e ragazze all’interno dei campi. Le Ong dovrebbero poi fornire dei corsi, rivolti a uomini e donne, in cui vengono annunciati i diritti garantiti dalla legge (anche nei villaggi lungo il confine, dove sono concentrati molti rifugiati). Sarebbe necessario inoltre costruire centri clinici e sportelli per chi ha subito molestie sessuali, in modo da monitorare l’incidenza della violenza sessuale nei campi. È infine fondamentale che ci sia cooperazione tra il Ministero dell’Interno e quello degli Affari Sociali, in modo che entrambi possano adottare meccanismi legali per proteggere le donne che subiscono attacchi fisici o violenze dai propri famigliari.


Yeghia Tashjian è laureato in Scienze Politiche presso l’Università Haigazian di Beirut, in Libano. È un attivista politico, ricercatore e blogger armeno-libanese nonché fondatore del blog “New Eastern Politics”. È portavoce regionale del think tank Women in war e ricercatore dell’Armenian Diaspora Research Center dell’Università Haigazian. Potete seguirlo su Twitter: @yeghig

 

 

 

Fonte:

http://frontierenews.it/2016/07/calvario-sessuale-rifugiate-donne-siriane-libano/

LA CULTURA DELLO STUPRO CONDANNA ALLA PAURA LE DONNE IN BRASILE

Aggiornamenti:

Da

ULTIM’ORA.
Pochi minuti fa a San Paolo: polizia militare reprime manifestazione contro il golpe indetta da MTST (Movimento Lavoratori Senza Tetto) e Povo Sem Medo, che hanno pacificamente occupato l’ufficio della presidenza della Repubblica, e si appresta ad affrontare anche la concomitante manifestazione delle donne contro la violenza e la cultura dello stupro. Nelle immagini, una giovane manifestante, rea di aver chiesto informazioni sul fermo di alcuni manifestanti è stata brutalmente aggredita dai poliziotti…
fonti video: https://www.facebook.com/midiaNINJA / https://www.facebook.com/BuzzFeedBrasil/

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
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Fonte:

https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/?fref=ts

Da

Pochi giorni dopo il caso di stupro collettivo di una minorenne di Rio che ha suscitato indignazione e polemiche in tutto il paese e portato in piazza decine di migliaia di donne è stata presentata ieri, 31 maggio, la nuova Segretaria per le politiche femminili del governo Temer. Si tratta di Fátima Pelaes (PMDB-AP), sociologa, evangelica, deputata federale del PMDB-AP per 20 anni, dal 1991 al 2011 e fermamente contraria alla depenalizzazione dell’aborto, anche in seguito a un caso di stupro, che, nella vigente legislazione datata 1984, costituisce invece l’unica eccezione per la pratica abortiva legale. La neo-segretaria ha affermato che non “innalza mai bandiere contrarie ai valori biblici” come, appunto, l’aborto o la costituzione di famiglie omosessuali. Sulla questione della liberalizzazione dell’aborto la Pelaes ha avuto, in realtà, opinioni differenti fino al 2002, quando ha “conosciuto Gesù” ed è passata a dire che “il diritto di vivere deve essere riconosciuto a tutti”. Nel 2010, in un suo intervento alla Camera, la Pelaes raccontò che lei stessa era stata generata a partire da un “abuso” che sua madre aveva subito mentre si trovava detenuta per un “crimine passionale”.
“Per questo oggi sono qui a dirvi che la vita comincia nel momento del concepimento”, affermò, riferendosi al fatto che se sua madre avesse abortito non si sarebbe trovata lì in quel momento. Riguardo all’aver mutato di opinione nel merito, ha affermato di essere stata “curata”.
fonte: http://brasil.estadao.com.br/…/geral,nova-secretaria-de-mul…

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26.05.16

La cultura dello stupro che condanna alla paura le donne in Brasile

 

Secondo una ricerca dell’istituto di statstica Datafolha, il 90% delle Brasiliane dicono di temere di essere violentate. Sui social network, le reazioni al caso dell’adolescente carioca ripropongono meccanismi di colpevolizzazione della la vittima

di Camila Moraes, pubblicato su El Pais il 26.05.16

Disegno di Ribs

La ragazza carioca le cui immagini di violenza sessuale sono state condivise su Internet ha ricevuto solidarietà sui social network, ma non solo. Molti suoi falsi profili sono stati creati, con post che risaltavano il suo presunto “cattivo comportamento”, circostanze e attenuanti che avrebbero reso quasi inevitabile il tragico esito. Mentre ancora sono in corso le indagini sull’accaduto, gli esperti avvertono che la pratica non è isolata. Fa parte della cultura dello stupro che fa si che le donne aggredite si sentano colpevoli e non rinuncino a denunciare i crimini, contribuendo così all’impunità dei responsabili delle violenze.

Il problema non è di poco conto, perché, secondo il Forum Brasiliano di Sicurezza pubblica è uno dei fattori dell’elevato tasso di sottostima dei casi di stupro. L’organizzazione stima che solo il 30% – 35% dei casi siano registrati. Contando solo gli episodi denunciati, in Brasile un caso di stupro avviene ogni 11 minuti. Secondo i risultati di una ricerca che il Forum ha realizzato lo scorso anno, in collaborazione con l’Istituto di Statistica Datafolha, il 90% delle donne e il 42% degli uomini hanno detto di temere una violenza sessuale. A Rio de Janeiro – dove ora si sta indagando sul caso della ragazza di 16 anni grazie al fatto che è stato condiviso sui social network – circa 4.000 casi si sono verificati lo scorso anno, e quasi la metà di essi hanno coinvolto ragazze minori di 13 anni, secondo un studio della Segreteria di Sicurezza dello Stato, il “Dossier Donna”.

Il termine cultura dello stupro” deriva da “rap culture” ed è stato coniato dalle femministe degli Stati Uniti negli anni ’70.  In essa è inclusa la colpevolizzazione delle vittime da parte della società – donne che “se la sono andata a cercare”, indossando abiti corti e scollati, frequentando cattive compagnie e consumando bevande alcoliche in feste alle quali non avrebbero dovuto partecipare se fossero “brave ragazze di famiglia”.

È presente nelle leggi, nel linguaggio, in immagini commerciali ed in una serie di fenomeni. Ha scritto, per esempio, il cantante Lobão (ndt. noto per le sue posizioni reazionarie) sul proprio profilo di Twitter: “Non c’è da sorprendersi con questi sfortunati casi di stupro. In un paese che fabbrica “miniputas” (mini-puttane), con una ricca sessualizzazione precoce e con una grave infantilizzazione della popolazione, riducendo le responsabilità”.

Al quotidiano Globo, la difensore pubblico Arlanza Rebello ha osservato, citando Jair Bolsonaro, che persino i politici brasiliani riproducono il discorso secondo cui molte donne hanno chiesto di essere violentate:  “È un contesto molto grave di conservatorismo e banalizzazione”.

Il presidente dell’Associazione brasiliana di Neurologia e Psichiatria Infantile a Rio de Janeiro, ha detto al giornale che “i ragazzi finiscono per commettere il reato sapendo che gli altri lo hanno praticato impunemente, per una questione di autoaffermazione.”

E la sociologa Andréia Soares Pinto, coordinatrice del Dossier Donne, ha fatto appello alla società durante l’intervista rilasciata al canale GloboNews: “Abbiamo bisogno di incoraggiare le donne a ridurre la sottostima dei casi di stupro. Questi numeri ci aiutano a fare pressione e ci permettono di far avanzare politiche pubbliche per combattere il problema.”

Almeno altri due casi di stupri di gruppo hanno avuto luogo nella stessa settimana – con ripercussione sulla stampa – in altri luoghi del paese.

A Bom Jesus, un piccolo paese nell’interno dello stato del Piauí, una giovane di 17 anni è stata violentata il 20 maggio da cinque individui (solo uno dei quali maggiorenne) che, secondo le indagini, lei conosceva. Come nel caso della ragazza di Rio, la polizia ritiene che sia stata drogata con una sostanza immessa nella sua bevanda alcolica prima di subire la violenza da parte di persone a lei vicine. Lo stesso giorno, in una scuola statale a sud di San Paolo, una ragazza di 12 anni è stata violentata da tre adolescenti, studenti dello stesso istituto, che l’hanno chiusa in bagno e quindi violentata. Secondo la madre, la ragazza sarebbe stata sottoposta ad una profilassi anti-AIDS ed è ancora traumatizzata.

Lo stupro nella legislazione brasiliana

Nel 2009, la legge 12.015 del codice penale brasiliano è stata modificata ed è passata a considerare, oltre al rapporto sessuale, gli atti di libidine come reato di stupro. Circoscrivere un reato di  stupro è un processo spesso umiliante per le donne. Nel 2015, la Commissione di Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che rende molto più difficile l’accesso alle cure mediche per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013, prevede che, per essere assistite, le vittime di stupro dovranno passare prima da una stazione di polizia. Poi, dovrebbero sottoporsi ad un esame del corpo del delitto per poi, e solo allora, potersi recare in ospedale con i documenti necessari a comprovare che effettivamente sono state stuprate. Per essere ratificato, il progetto dovrà ancora essere votato dall’assemlea plenaria della Camera. Contro questa realtà, le donne brasiliane sono scese in piazza lo scorso anno, in numerosissime manifestazioni di protesta in tutto il paese, momenti di lotta che sono diventati noti come la Primavera Femminista.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!la-cultura-dello-stupro-che-condanna-all/c1a0w