Vaticano, Bild Zeitung: “Bertone sotto inchiesta. Dirottati 15 milioni a Bernabei”

 

L’ex Segretario di Stato della Santa Sede – già nella bufera per la vicenda del super attico da 600 metri quadri appena ristrutturato – avrebbe fatto pressioni sullo Ior per garantire un finanziamento alla società televisiva Lux Vide fondata dall’amico Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai. Il porporato ha smentito dicendo che la convenzione è stata discussa e approvata dalla commissione cardinalizia di vigilanza

Vaticano, Bild Zeitung: “Bertone sotto inchiesta. Dirottati 15 milioni a Bernabei”

Il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato della Santa Sede durante il papato di Benedetto XVI, sarebbe sotto indagine da parte dell’Autorità di informazione finanziaria del Vaticano per malversazione. A scriverlo è il quotidiano tedesco Bild Zeitung. Il porporato avrebbe fatto pressioni sullo Ior per garantire un finanziamento da 15 milioni di euro a Lux Vide, società televisiva fondata dal suo amico Ettore Bernabei, 93enne storico direttore generale della Rai. Questo nonostante l’istituto bancario fosse contrario. Rene Brülhart, l’esperto svizzero alla guida dell’Autorità che il 19 maggio ha presentato il suo secondo rapporto ufficiale, non ha però confermato né smentito al giornale l’esistenza del dossier su Bertone. Che, interpellato dall’Adnkronos, ha smentito l’accusa: “La convenzione dello Ior con la società Lux Vide è stata discussa e approvata dalla commissione cardinalizia di vigilanza e dal consiglio di sovrintendenza nella riunione del 4 dicembre 2013, come dimostra il verbale relativo”. Il caso, secondo la Bild, riguarderebbe un’obbligazione convertibile. Nel dicembre 2012 le azioni in cui l’obbligazione è stata convertita, praticamente senza valore, sono state trasferite dalla banca vaticana ad una fondazione, con una perdita stimata in 15 milioni di euro. Bertone è già nella bufera per il caso del super attico da 600 metri quadri con mega terrazzo di 100 metri appena ristrutturato e adiacente la Domus Santa Marta, il convento nel quale risiede – in un bilocale di circa 70 metri quadri – Papa Francesco. Vicenda che avrebbe suscitato l’”ira” del pontefice, a cui però l’ex arcivescovo di Genova ha risposto pubblicamente con quello che è stato interpretato come un attacco.

Lo scorso 13 dicembre Bergoglio ha ricevuto in udienza privata proprio Bernabei, classe 1921, membro soprannumerario dell’Opus Dei. L’ex dg Rai (al vertice dal 1960 al 1974) ha fondato Lux Vide nel 1992 e ne è tuttora presidente onorario, mentre alla presidenza operativa c’è la figlia Matilde e sulla poltrona di amministratore delegato siede il figlio Luca. La società è specializzata nella produzione di fiction per un pubblico famigliare. Tra il 1994 e il 2002 ha prodotto per Rai Uno e venduto in 140 Paesi – anche grazie alla collaborazione del produttore tunisino Tarak Ben Ammar, socio di Silvio Berlusconi – 21 prime serate tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Poi sono arrivati “Papa Giovanni”, “Madre Teresa”, “Padre Pio”, “Don Bosco”, “Chiara e Francesco” e un telefilm dedicato a San Filippo Neri, interpretato da Gigi Proietti. Nel 2005 è stata la volta di “Giovanni Paolo II”. Per quanto riguarda le serie, il prodotto di punta è “Don Matteo”, arrivato alla nona stagione.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/20/vaticano-bild-zeitung-bertone-sotto-inchiesta-dirottati-15-milioni-a-bernabei/992291/

 

 

PRETI PEDOFILI, IL VIDEO CHOC CHE IMBARAZZA BERGOGLIO

Vaticano. Clamorosa protesta contro l’immobilismo vaticano nei confronti dei prelati italiani. 17 vittime di preti pedofili italiani consegnano al papa i filmati degli abusi sollecitandolo a denunciare tutto alla magistratura

 

Papa Francesco alla via Crucis di venerdì scorso a Roma

 

 

Un video di 8 minuti per chie­dere giu­sti­zia. Lo hanno inviato ieri a papa Fran­ce­sco 17 donne e uomini che hanno subito abusi e vio­lenze da parte di preti e reli­giosi. L’iniziativa è stata pro­mossa dalla rete L’Abuso, l’associazione che da anni aggrega e difende le vit­time dei preti pedo­fili in Ita­lia.
«Vogliamo solo giu­sti­zia», «chie­diamo che Ber­go­glio ci dia delle rispo­ste e fac­cia giu­sti­zia», ripe­tono nei loro bre­vis­simi video mes­saggi le 17 vittime.

C’è Giada Vitale, 18 anni, abu­sata da un prete da quando aveva 13 anni fino ai 16, che chiede a papa Fran­ce­sco per­ché non ha rispo­sto alla sua let­tera che gli ha con­se­gnato per­so­nal­mente. Erik Zat­toni, 32enne, nato da un abuso subito dalla madre da don Pie­tro Tosi, come rico­no­sciuto dal test del dna, che domanda come mai quel prete – ora morto – non sia nem­meno stato dimesso dallo stato cle­ri­cale. E poi ci sono otto ex ospiti dell’Istituto per sor­do­muti «Pro­volo» di Verona che, insieme ad altre decine di ragazze e ragazzi accolti al «Pro­volo», hanno subito abusi e vio­lenze da parte di 26 preti e fra­telli laici fra gli anni ’50 gli anni ‘80, come sta­bi­lito anche da una com­mis­sione di inchie­sta voluta nel 2009 dal Vati­cano e pre­sie­duta da Mario San­nite, ex pre­si­dente del tri­bu­nale di Verona. «Ini­zial­mente la Curia dichiarò che non avrebbe dato impor­tanza alla pre­scri­zione, ma poi, forse visti anche i risul­tati dell’inchiesta, ritrattò», rileva la rete L’Abuso. Di quei 26 preti e reli­giosi, 12 sono dece­duti. I restanti 14 sono impu­niti, molti – pre­scritti – sono ancora preti e vivono tut­tora al Pro­volo, altri invece sono stati tra­sfe­riti nella suc­cur­sale argen­tina dell’istituto, con sede a La Plata.

«La nostra vuole essere una denun­cia pacata ma netta, per­ché nes­suno di noi ha rice­vuto rispo­ste. Sem­bra che papa Fran­ce­sco stia facendo molto per le vit­time della pedo­fi­lia, ma dal nostro punto di vista non è cam­biato nulla», spiega Fran­ce­sco Zanardi, por­ta­voce della rete L’Abuso. La denun­cia alle auto­rità civili e alla magi­stra­tura resta, per Zanardi, l’unico stru­mento vera­mente effi­cace di giu­sti­zia e di risar­ci­mento per le vit­time. Ed è un passo che le auto­rità reli­giose non inten­dono fare. «L’istituzione eccle­sia­stica nel migliore dei casi avvia un pro­cesso cano­nico nei con­fronti del prete pedo­filo – aggiunge – e la pena più severa è la dimis­sione dalla stato cle­ri­cale. In que­sto modo, secondo noi, la Chiesa risolve il «suo» pro­blema, per­ché allon­tana da sé chi ha sba­gliato. Ma se non c’è l’intervento della magi­stra­tura, non si può dire che giu­sti­zia sia stata fatta. Per­lo­meno dal punto di vista delle vit­time. E a que­sto pro­po­sito, il fatto che le Linee guida anti­pe­do­fi­lia della Cei, rese note poche set­ti­mane fa, non pre­ve­dano per i vescovi un obbligo strin­gente di denun­cia alla magi­stra­tura ma solo un gene­rico «dovere morale di con­tri­buire al bene comune» ci sem­bra un fatto gravissimo».

La Con­gre­ga­zione per la dot­trina della fede – ha comu­ni­cato qual­che giorno fa mon­si­gnor Sil­vano Tomasi al Comi­tato Onu sulla Con­ven­zione con­tro la tor­tura – fra il 2004 e il 2013 ha rite­nuto atten­di­bili 3.420 casi di abuso su minori com­messi tra gli anni ’50 e gli anni ’80. I preti dimessi dallo stato cle­ri­cale sono 848, men­tre 2.572 sono stati puniti dalla Santa Sede con «altre misure cano­ni­che e disci­pli­nari». «Ma que­sti numeri non val­gono per l’Italia, dove le vit­time non hanno rice­vuto nes­sun soste­gno», dice Zanardi, che annun­cia: «Nelle pros­sime set­ti­mane pre­sen­te­remo un dos­sier all’Onu con i casi di 150 preti ita­liani con­dan­nati in via defi­ni­tiva per abuso e vio­lenze ses­suali su minori. Ma se con­si­de­riamo anche i pre­scritti e quelli in attesa di giu­di­zio il numero aumenta notevolmente».

Fonte:

http://ilmanifesto.it/preti-pedofili-il-video-choc-che-imbarazza-bergoglio/

 

Qui il video:

Il ‘ricercato’ Mugabe in Vaticano tra i grandi del mondo

domenica 27 aprile 2014

 

 

 

(AGI) – CdV, 27 apr. – E’ presente anche Robert Mugabe, il presidente dello Zimbabwe, alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, in Vaticano, tra le decine di capi di Stato e di governo che partecipano alla cerimonia.
  Sul presidente dello Zimbabwe, accusato di violazioni dei diritti umani e irregolarita’ elettorali, pesa il divieto di ingresso nel territorio dell’Unione Europea, ma il presidente e’ stato piu’ di una volta, anche di recente, nello Stato del Vaticano, grazie ai Patti Lateranensi, che obbligano lo Stato Italiano a consentire il passaggio per chi si rechi nella Santa Sede. Mugabe e’ arrivato a Roma sabato mattina, all’aeroporto di Fiumicino, ed e’ stato l’unico presidente che ha parcheggiato l’aereo nella zona di carico dello scalo, lontano dai fotografi e dalla struttura principale del terminal. Cattolico, ormai novantenne, Mugabe, che e’ il piu’ longevo capo di Stato del continente africano (e’ al potere da piu’ di trent’anni) partecipo’ anche alla cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, nel 2011.

 

Fonte:

http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/2014/04/il-ricercato-mugabe-in-vaticano-tra-i.html

Uganda, il vescovo Charles Wamika invoca la “pulizia” dai gay con il sangue

“Consegnate i vostri figli gay alle autorità e il vostro gesto sarà ricompensato in Paradiso“. Così un vescovo ugandese, Charles Wamika, si è rivolto ai fedeli del suo paese, ringraziandoli per l’aiuto che daranno nella liberazione della terra dai gay. L’appello, lanciato in occasione della Pasqua, si è spinto ben oltre. Facendo riferimento alla storia della chiesa cattolica, infatti, il vescovo ha ricordato che spesso è stata usata la forza ed è stato versato sangue pur di “ripulire la terra”.Wamika non ha fatto riferimento a fatti specifici, ma l’elenco delle brutalità di cui le gerarchie ecclesiastiche si sono rese complici e autrici nel corso dei secoli è lungo, dalle crociate ai roghi dell’Inquisizione, solo per citare i più famosi. Non si placa, dunque, in Uganda la caccia ai gay iniziata già da tempo (come non ricordare il tragico omicidio dell’attivista David Kato Kisule) e continuata con la legittimazione delle autorità civili grazie all’approvazione della legge che prevede l’ergastolo per le persone lgbt ugandesi. Di fronte all’evidente legittimazione della violenza contro persone ree solo di non essere eterosessuali, la chiesa di Roma questa volta ha taciuto, come anche quando si diffuse la notizia degli esorcismi pronti a liberare le persone dalla propria omosessualità.
Il Vaticano è intervenuto sulla vicenda ugandese solo una volta, all’inizio dello scorso mese, quando il Presidente del Consiglio Vaticano per la Giustizia e la Pace, il cardinale Peter Turkson aveva sostenuto che i gay “non sono criminali da perseguire” e che la comunità internazionale avrebbe dovuto fare pressioni sul governo locale. A intervenire sulle posizioni estreme della chiesa ugandese, però, Roma non ci pensa nemmeno.

Fonte:

Sulla canonizzazione di Giovanni Paolo II

Fra qualche giorno ci sarà la canonizzazione dei pontefici Roncalli e Wojtyla. Spesso noi cattolici ci facciamo condizionare dalle figure dei rappresentanti della Chiesa, soprattutto quando si tratta di pontefici, vediamo solo ciò che essa vuole mostrarci rifuggendo critiche e accuse come anticlericali e infondate. Ma si può anche scegliere di non lasciarsi condizionare e di andare oltre.
C’è uno scatto molto noto che in alcuni ambienti ha suscitato parecchio scalpore. Si tratta della famosa fotografia che ritrae  papa Giovanni Paolo II nell’atto di affacciarsi al balcone del palazzo presidenziale cileno per benedire la folla, con a fianco il dittatore Pinochet.

Dell’episodio ha parlato in un intervista, apparsa sull’ “Osservatore Romano” del 23 dicembre 2009, il cardinale Roberto Tucci: <<Come dimenticare il volto di Wojtyla quando si accorse del tiro che gli giocò Pinochet durante il viaggio in Cile nel 1987? Lo fece affacciare con lui al balcone del palazzo presidenziale, contro la sua volontà. Ci prese tutti in giro. Noi del seguito fummo fatti accomodare in un salottino in attesa del colloquio privato. Secondo i patti – che avevo concordato su precisa disposizione del Papa – Giovanni Paolo II e il presidente non si sarebbero affacciati per salutare la folla. Wojtyla era molto critico nei confronti del dittatore cileno e non voleva apparire accanto a lui. Io tenevo sempre d’occhio l’unica porta che collegava il salottino, dove eravamo noi del seguito, alla stanza nella quale erano il Papa e Pinochet. Ma con una mossa studiata li fecero uscire da un’altra porta. Passarono davanti a una grande tenda nera chiusa – ci raccontò poi il Papa furioso – e Pinochet fece fermare lì Giovanni Paolo II, come se dovesse mostrargli qualcosa. La tenda fu aperta di colpo e il Pontefice si ritrovò davanti il balcone aperto sulla piazza gremita di gente. Non poté ritrarsi, ma ricordo che quando si congedò da Pinochet lo gelò con lo sguardo. Alfonsín, in Argentina, fu più rispettoso, e non pretese assolutamente di comparire al suo fianco. In Africa invece re, dittatori e governanti corrotti lo tiravano da tutte le parti per sfruttarne l’immagine. Lui lo sapeva, ma era uno scotto da pagare per incontrare la gente. Ne era addolorato, ma sopportava. Con noi poi si sfogava. E quando parlava non risparmiava le denunce.>> (Fonte: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/interviste/2009/296q07a1.html)


Secondo il cardinale Tucci, quindi, durante la visita in Cile, Wojtyla sarebbe stato vittima di una trovata astuta di Pinochet. Tuttavia, se guardiamo un paio di filmati girati durante la visita del pontefice, possiamo vedere che il presidente incontrò il papa proprio affianco del balcone che dava sul cortile della Moneda, la tenda nera di cui si parla era già aperta e faceva intravedere la folla, e, al termine delle presentazioni dei prelati che accompagnavano Wojtyla, Giovanni Paolo e Pinochet si diressero insieme e senza esitazioni verso il balcone. Le immagini di questi momenti sono visibili nell’ultima parte di questo video

e nella prima parte di quest’altro:

Per quanto riguarda poi il riferimento all’Argentina e a Alfonsìn, nel settimo capitolo del libricino Storia delle Madres de Plaza de Majo, Edizione Buendia, a cura dell’associazione Kabawil, è citato un viaggio di Giovanni Paolo II in Argentina, nel marzo 1987, durante il governo Alfonsìn. Durante questo governo, fintamente democratico, iniziò un processo farsa nei confronti dei militari coinvolti nella sparizione dei desaparecidos, che, con le cosiddette leggi di Punto Finale e di Obbedienza Dovuta, puntava alla quasi totale impunità degli assassini. Sul viaggio del papa si legge: <<Nel marzo di quell’anno, per finire di modellare uno scenario di riconciliazione e punto finale, venne in visita ufficiale nel paese il Papa, Giovanni Paolo II. Il pontefice rimase in Argentina solo sei giorni, quanto bastava per avvalorare ancora di più i militari che cercavano il perdono. Nelle varie tappe del suo itinerario – Bahia Blanca, Viedman, Mendoza, Rosario, Cordoba, Tucuman, Salta, Corrientes, Parana e Buenos Aires – il capo supremo della chiesa aiutò a creare il clima propizio per una scalata golpista di nuovo tipo>>. Nella settimana santa del 1987, infatti ci fu la sommossa dei Carapintadas che portò alla legge di Obbedienza Dovuta, la quale riconosceva diversi gradi nella repressione genocida. Se in questo caso fu favorevole ai repressori, una precedente visita di Wojtyla nel 1982 durante il governo Galtieri, rallentò anche se di poco la caduta del regime. Nel quarto capitolo di questo libricino si legge: <<Per alleviare il sicuro effetto che la sconfitta andava a provocare nella popolazione, il Papa Giovanni Paolo II visitò per un’ora il paese. Sebbene la versione ufficiale del motivo del viaggio fosse sigillare un accordo di pace, il pontefice venne ad adempiere un altro compito: contenere l’ira popolare e ridare ossigeno alla possibilità di governare del regime, la cui sorte finale era ormai scritta. La dittatura sapeva che doveva abbandonare il potere, ma voleva farlo nel modo più ordinato possibile. A tre giorni della visita del Papa, il “governatore” Menendez firmò la resa agli inglesi, e neanche le preghiere papali poterono impedire una mobilitazione spontanea in opposizione alla dittatura, che un’altra volta gli assassini repressero selvaggiamente>>.

Tornando ai rapporti di Wojtyla con Pinochet, in un articolo del “New York Times”, si racconta che, sempre durante la sua visita, il papa pregò con il generale Pinochet e sua moglie in una cappella nel palazzo dove il presidente democraticamente eletto del Cile, Salvador Allende, morì nel colpo di stato che portò al potere il generale Pinochet. Il pontefice ha anche benedetto la casa. (Fonte: http://www.nytimes.com/1987/04/03/world/john-paul-calls-for-chileans-to-move-toward-democracy.html)

Nel 1993 il cardinale Angelo Sodano e papa Wojtyla inviarono al generale Pinochet due messaggi di auguri per il cinquantesimo anniversario del suo matrimonio. <<Il cardinale Sodano (nunzio apostolico in Cile negli anni della dittatura di Pinochet) nella sua lettera scrive, tra l’altro, di aver ricevuto dal pontefice “il compito di far pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l’ autografo pontificio qui accluso come espressione di particolare benevolenza”. Il cardinale fa anche riferimento al viaggio cileno fatto da Giovanni Paolo II. “Sua Santità – ricorda infatti Sodano – conserva il commosso ricordo del suo incontro con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria visita pastorale in Cile”. E conclude il messaggio a Pinochet, riaffermando “signor Generale, l’espressione della mia più alta e distinta considerazione”. Altrettanto “partecipata” la lettera augurale di Wojtyla. “Al Generale Augusto Pinochet Ugarte, alla sua distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d’oro matrimoniali e – scrive il pontefice – come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale. Giovanni Paolo II”>>. (Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/06/29/pinochet-auguri-dal-papa.html)

Pinochet fu arrestato a Londra nel 1998 dopo che la Spagna ne aveva chiesto l’estradizione perchè fosse processato per presunti crimini contro i diritti umani. Il 19 febbraio 1999 Wojtyla intervenne nella controversia sull’estradizione dell’ex dittatore cileno lanciando un appello di clemenza per motivi umanitari e nell’interesse della riconciliazione nazionale in Cile. (Fonte: http://news.bbc.co.uk/2/hi/282225.stm) Pochi giorni dopo quest’appello , le Madri di Plaza de Mayo scrissero una dura lettera a papa Wojtyla. Qui il testo in italiano:

Buenos Aires 23 febbraio 1999

Sig Giovanni Paolo II

Ci è costato diversi giorni assimilare la richiesta di perdono che Lei, Sig. Giovanni Paolo II, ha inoltrato in favore del responsabile di genocidio Pinochet.

Ci rivolgiamo a Lei come cittadino comune, perchè ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa in Vaticano, senza conoscere, senza avere sofferto sulla sua pelle la tortura con scariche elettriche, le mutilazioni e le violenze sessuali, abbia il coraggio di chiedere, in nome di Gesù Cristo, clemenza per l’assassino Pinochet.

Gesù è stato crocifisso e la sua carne è stata lacerata dai Giuda come Lei che oggi difende gli assassini.

Sig. Giovanni Paolo II, nessuna madre del Terzo Mondo che ha dato alla luce, allattato e curato con amore un figlio che è stato mutilato dalle dittature di Pinochet, Videla, Banzer, Stroessner, accetterà con rassegnazione la sua richiesta di clemenza.

Noi Madri ci siamo incontrate con Lei in tre occasioni, ma Lei non ha impedito i massacri, non ha alzato la voce in difesa delle nostre migliaia di figli durante quegli anni di terrore.

Adesso non abbiamo più dubbi su da quale parte sta Lei, ma sappia che malgrado il suo potere immenso, non potrà arrivare nè a Dio nè a Gesù.

Molti dei nostri figli si sono ispirati a Gesù nel loro impegno per il popolo.

Noi Membri dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, attraverso una preghiera immensa che arrivera’ al mondo, chiediamo a Dio che non perdoni Lei, Sig. Giovanni Paolo II, perchè Lei denigra la Chiesa del popolo che soffre. Lo facciamo in nome dei milioni di esseri umani che morirono e continuano a morire ad opera degli assassini che Lei difende e sostiene.

DICIAMO: SIGNORE NON PERDONARE GIOVANNI PAOLO II

Associazione Madri di Plaza de Mayo
Hebe Bonafini
presidentessa
(seguono firme)”

(Fonte: http://www.censurati.it/2001/02/03/accuse-al-papa-le-madri-di-plaza-de-mayo/)

Il perdono è un principio cristiano. Ma considerati i rapporti che Wojtyla ha intrattenuto con il dittatore Pinochet e i suoi silenzi nei confronti delle vicende dei desaparecidos argentini, ho seri dubbi sul fatto che il perdono che Giovanni Paolo II voleva per il generale sanguinario fosse ispirato da motivazioni evangeliche. Credo piuttosto che il gesto del pontefice sia stato la prosecuzione dei buoni rapporti con Pinochet e che dimostri come questo papa, nonostante abbia compiuto numerosi viaggi, visitato molti popoli, attratto tanti giovani e sia molto amato, sia stato un uomo più vicino agli oppressori che agli oppressi.
Non possiamo impedire alla Chiesa Cattolica di scegliersi i suoi santi ma di fronte alla canonizzazione di Giovanni Paolo II, che avverrà il prossimo 27 aprile, (tre giorni prima del 37° anniversario della prima riunione delle Madri di Plaza de Mayo), per mano di Papa Francesco, l’argentino Jorge Bergoglio, pontefice che secondo molti starebbe cambiando la Chiesa, ritengo giusto non tacere sulle contraddizioni di Wojtyla.

 

Donatella Quattrone

 

I VOLI DELLA MORTE

I voli della morte (spagnolo: vuelos de la muerte) furono un atroce distintivo della Guerra sporca Argentina, durante il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale (1976-1983). Mediante i vuelos de la muerte migliaia di dissidenti politici, o ritenuti tali, furono gettati in mare vivi e sotto l’effetto di droghe da appositi aerei militari.
I fattiI Un Fokker F28 dell’Aviación Naval dell’Armada de la República Argentina, la Marina militare argentina, nell’Aeroporto Militare Jorge Newbury.Short SC.7 Skyvan della prefettura, usato per i voli della morte. L’aereo è ora di proprietà dell’Helsinki University of Technology, Laboratory of Space Technology, e si trova all’Oulu Airport (EFOU).Le prove riguardanti l’assassinio di oppositori mediante il lancio da aerei sono incontestabili e non vi sono controversie al riguardo. Già nel 1977, durante il regime militare, erano apparsi vari corpi nelle insenature atlantiche di Santa Teresita e Mar del Tuyú, circa 200km al sud della Città di Buenos Aires. I medici forensi che esaminarono i corpi dichiararono che la causa del decesso era riconducibile a una collisione con oggetti da una grande altezza. I cadaveri furono comunque seppelliti frettolosamente come N.N. nel cimitero di General Lavalle (Buenos Aires).
Nel 1995, l’ex repressore dell’ESMA Adolfo Scilingo ha raccontato in modo particolareggiato al giornalista Horacio Verbitsky la metodologia di sterminio alla quale gli stessi carnefici si riferivano con il termine vuelos (voli). La testimonianza fu in seguito pubblicata in un libro, con il titolo “El Vuelo” (Il volo). Scilingo, nella sua testimonianza, racconta della procedura, dell’autorizzazione della Chiesa Cattolica, dell’utilizzo di iniezioni anestetiche, del tipo di aerei utilizzati (Lockheed L-188 Electra [1], Short SC.7 Skyvan 3M-400[2]), l’ampia partecipazione degli ufficiali, l’utilizzazione dell’aeroporto militare Jorge Newbury (Città di Buenos Aires). In un’intervista [3] di Martín Castellano a Adolfo Scilingo (4 ottobre 1997), quest’ultimo afferma:
« I voli furono comunicati ufficialmente da Mendía (viceammiraglio della Armada, la marina militare) pochi giorni dopo il golpe militare del marzo 1976. Ci è stato spiegato che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nell’ Armada si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. Ci ha spiegato che nell’ Armada i sovversivi non sarebbero stati fucilati, giacché non si volevano avere gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e Pinochet in Cile. E neanche bisognava “andare contro al Papa”, ma è stata consultata la gerarchia ecclesiastica ed è stato adottato un metodo che la Chiesa considerava cristiano, ossia gente che si alza in volo e non arriva a destinazione. Davanti ai dubbi di alcuni marinai, si è chiarito che “i sovversivi sarebbero stati buttati nel bel mezzo del volo”. Di ritorno dai voli, i cappellani cercavano di consolarci ricordando un precetto biblico che parla di “separare l’erba cattiva dal grano”. »Sebbene vi siano pochi dati in proposito, la sparizione dei cadaveri dei desaparecidos tramite il lancio da aerei sembra essere stato un metodo molto diffuso, in aggiunta a quello delle tombe clandestine. I Centri Clandestini di Detenzione (CCD) collegati a questa pratica erano soprattutto la ESMA, l’Olimpo, la Perla, il Campito. In particolare, quest’ultimo centro clandestino fu allestito in prossimità dell’aerodromo appunto per facilitare il trasporto dei detenuti agli aerei. L’Aeronautica uruguaiana ha ammesso nel 2005 di aver effettuato voli della morte in collaborazione con le Forze Armate argentine (Operazione Condor)[4]. Scilingo ha anche dichiarato al cospetto del giudice spagnolo Baltasar Garzón che si sono anche raccolti prigionieri dalla base della marina militare a Punta Indio (Provincia di Buenos Aires). Il CCD conosciuto come Quinta de Funes a Rosario si trovava a 400m dall’aeroporto e vi sono testimonianze che alcuni di quei detenuti sono stati gettati in mare nella zona della Bahía de Samborombón (Provincia di Buenos Aires)[5] [6].
Procedura
L’aeroporto militare Jorge Newbury, usato per i voli della morte.I detenuti che venivano trasladados (“trasferiti”, termine usato dagli aguzzini per indicarne l’eliminazione definitiva), di norma erano raggruppati nel sottosuolo di un Centro di Detenzione Clandestino. Qui gli ufficiali comunicavano loro che sarebbero stati trasferiti ad un centro di detenzione situato nel Sud del paese, e che quindi sarebbero stati sottoposti ad una vaccinazione. In realtà, quest’ultima consisteva in un’iniezione di pentothal, che aveva lo scopo di addormentare le vittime (ma non di ucciderle). A questo punto i detenuti, vivi ma incoscienti, venivano spogliati, caricati su camion, trasportati al più vicino aeroporto militare e imbarcati sugli aerei. La maggior parte dei detenuti veniva lanciata ancora in stato di incoscienza, ma vi sono alcuni casi in cui qualche vittima si sia risvegliata e sia stata buttata a mare in stato cosciente. Come venne testimoniato da Scilingo nella citata intervista [7], tutti gli ufficiali, a turno, prendevano parte all’operazione, che durava all’incirca un’ora e mezza.
Recenti identificazioni
Nel novembre del 2004, il Gruppo Argentino di Antropologia Forense (Equipo Argentino de Antropología Forense, EAAF) ha scoperto che i resti di una persona seppellita come N.N. nel cimitero di General Lavalle (Provincia di Buenos Aires) corrispondeva a un desaparecido. Si è quindi passato all’esame dei registri del cimitero scoprendo che quella persona e altre cinque erano state trovate sulle spiagge tra il 20 e il 29 dicembre 1977, e si cominciò a sospettare che si trattasse di vittime dello stesso vuelo de la muerte. Pochi giorni dopo i corpi furono esumati e nel lasso di qualche mese si stabilì che si trattava dei resti delle madri di Plaza de Mayo Esther Ballestrino, María Eugenia Ponce, Azucena Villaflor[8], della suora francese Léonie Duquet [9] e della militante Angela Auad[10]. Ana María Careaga, figlia di una delle vittime, dichiara:
« È la prima volta che si recuperano corpi dal mare, li si identifica e li si vincola chiaramente all’arresto, successiva sparizione e reclusione in un centro clandestino di detenzione, in questo caso la Escuela Mecánica de la Armada (ESMA). »
Il Gruppo Argentino di Antropologia Forense ha anche osservato[11] che i corpi presentavano:
« […] fratture multiple a livello di membra superiori, inferiori, e del cranio, compatibili con la caduta da una grande altezza con una superficie dura che potrebbe essere il mare. »
Controversie
Durante un comizio tenuto nel febbraio 2009, il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi fece una battuta di spirito sui voli della morte. L’Argentina convocò l’ambasciatore italiano esprimendo «preoccupazione e disagio» per la leggerezza delle parole.[12][13] Per il governo italiano si è trattato di uno stravolgimento delle parole del Presidente del Consiglio.
Note1. ^ http://www.fuerzaaerea.mil.ar/conflicto/electra.htm
2. ^ http://www.fuerzaaerea.mil.ar/conflicto/skyvan.html
3. ^ http://www.laopinion-rafaela.com.ar/opinion/2005/01/27/c512777.htm
4. ^ http://www.clarin.com/diario/2005/08/10/um/m-1031040.htm
5. ^ http://www.lacapital.com.ar/2005/12/23/politica/noticia_257039.shtml
6. ^ http://www.telediariodigital.com.ar/leer.asp?idx=14365
7. ^ http://www.laopinion-rafaela.com.ar/opinion/2005/01/27/c512777.htm
8. ^ http://www.rionegro.com.ar/arch200507/09/n09a01.php
9. ^ http://www.terra.com.ar/canales/politica/121/121787.html
10. ^ http://www.pagina12.com.ar/diario/elpais/1-56595-2005-09-16.html
11. ^ http://www.clarin.com/diario/2005/08/30/elpais/p-00301.htm
12. ^ L’Argentina protesta per la battuta di Berlusconi sui Desaparecidos, La7
13. ^ Berlusconi scherza sui desaparecidos. L’Argentina convoca l’ambasciatore. la RepubblicaFonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Voli_della_morte
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La verità sui voli della mortedi Gigi Riva. Foto di Giancarlo Ceraudo 
Un lungo lavoro investigativo. A cui ha partecipato anche un fotografo italiano. Ecco come sono stati ritrovati gli aerei e i piani di volo usati dalla giunta militare argentina per eliminare gli oppositori
(04 marzo 2010)GUARDA IL REPORTAGEGli aerei della morte | Memoria, Verdad y Justicia | Archeologia del terrore | Reaparecidos Otto nomi di piloti che tornano, con cadenza regolare, sulla ‘planilla para historial de aeronave’, il brogliaccio dove viene riportata tutta l’attività di un velivolo. Solo che lo Skyvan PA-51 non è un aereo normale perché quando era di proprietà della Prefectura Naval Argentina tra il 1976 e il 1983 è stato utilizzato per i ‘vuelos de la muerte’ con cui almeno 5 mila oppositori della dittatura militare sono stati gettati, tramortiti ma vivi, nell’Oceano Atlantico. Tornata la democrazia nel paese sudamericano, gli alti ufficiali della ‘junta’ hanno sempre sostenuto che quelle carte erano state distrutte. Trent’anni di bugie per coprire le responsabilità, a diversi livelli, di uno dei crimini più odiosi della storia recente. Invece i documenti, preziosissimi, sono riapparsi, in seguito a un lungo lavoro investigativo, durato tre anni in vari continenti, condotto da un fotografo italiano, una ex desaparecida e un ricco signore col gusto della verità. Modello dell’aereo, numero di serie, giorno, itinerario, nome del comandante, durata della missione: tutto è stato registrato. E adesso è un formidabile atto d’accusa. I giuristi già le hanno definite “le carte più importanti sulla dittatura ritrovate negli ultimi dieci anni”. Un premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, e il ricco signore, Enrique Piñeyro, rampollo della famiglia Rocca, li hanno consegnati al giudice istruttore di Buenos Aires Sergio Torres, lo stesso che ha condotto le indagini che hanno portato al processo, in corso, sulla Scuola di Meccanica della Marina (Esma), luogo di tortura e detenzione dei ‘desaparecidos’ (un processo è in corso in Italia in contumacia). Torres ha già chiesto, per rogatoria, gli originali dei piani di volo che si trovano negli Stati Uniti (e vedremo come ci sono arrivati). ‘L’espresso’ ha avuto modo di visionarli e conosce i nomi degli otto piloti. Erano, all’epoca, giovani tra i 25 e i 35 anni, hanno poi lasciato la Marina e fatto carriera nelle compagnie civili. Alcuni sono andati in pensione, altri sono ancora in attività e due, dipendenti dell’Aerolineas Argentinas, sono comandanti su rotte intercontinentali. Toccherà alla magistratura stabilire chi di loro era davvero al posto di comando dei voli della morte. Per questo tacciamo i nomi. Il sospetto, comunque, è che tutti fossero coinvolti. Perché una delle prerogative del regime era la condivisione dei misfatti: in modo da essere uniti, in futuro, nel patto scellerato dell’omertà. I protagonisti dell’inchiesta sul filo della memoria hanno rintracciato cinque ‘aerei della morte’. Buonsenso, intuito, pazienza e molta passione gli ingredienti che hanno prodotto il risultato. La storia inizia tre anni fa quando il fotografo romano Giancarlo Ceraudo si stabilisce in Argentina e decide di iniziare un lavoro sulla dittatura. Trascorre mesi nei centri di detenzione illegale, Olimpo, Club Atletico, Esma, Virrey Ceballo, dove sono passati i trentamila desaparecidos, luoghi adesso gestiti da comitati e associazioni per i diritti umani. Ritrae i sopravvissuti, le stanze dove furono torturati. All’Olimpo, garage per la revisione delle automobili della polizia, in via Ramon Falcon, nella zona di Floresta, grazie alla sua curiosità vengono recuperati, in uno scaffale nascosto, dei fogli con le spiegazioni tecniche dei lavori sulle Ford Falcon, le famigerate auto usate dalle squadre della morte per i sequestri di persona. Un piccolo frammento del tempo che fu. Oltre che dai racconti, è influenzato dalla visione del film ‘Garage Olimpo’ di Marco Bechis, con quell’ultima scena in cui i carcerati vengono trascinati dentro un aereo che decolla. Un riferimento esplicito ai voli della morte. Di cui, quattro anni fa, si sapeva solo quanto riferito da quello che in Italia definiremmo un pentito,Adolfo Scilingo, trentenne capitano all’epoca dei fatti. Nel 1995 aveva raccontato al giornalista Horacio Verbitsky di aver partecipato a due voli della morte in cui furono ammazzati rispettivamente13 e 17 prigionieri. E aveva aggiunto: “La decisione dei voli fu comunicata ufficialmente dal viceammiraglio dell’Armada Mendìa pochi giorni dopo il golpe del 1976. Ci è stato spiegato che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nell’Armada si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. I sovversivi non sarebbero stati fucilati per non aver gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e Pinochet in Cile”. E circa il modo: “Erano incoscienti. Li spogliavamo e, quando il comandante del volo ci dava l’ordine, aprivamo le porte e li gettavamo, nudi, uno alla volta. Questa è la storia vera, nessuno può negarla”.

ABUSI SESSUALI, STERILIZZAZIONI DI MASSA E DECINE DI MIGLIAIA DI BAMBINI MORTI NELLE SCUOLE CATTOLICHE RESIDENZIALI DEL CANADA DAL 1922 AL 1984 CON LA COMPLICITA’ DELLE ALTRE CHIESE

Dal blog di Daniele Barbieri:
6 aprile 2010 

 

Con l’autorizzazione dell’autore, pubblico questa inchiesta di Marco Cinque uscita sul quotidiano «il manifesto» del 4 aprile 2010.  

 

 
Sono ormai diversi anni che Kevin Annet denuncia gli abusi e le stragi dei nativi canadesi nelle cosiddette “scuole residenziali” cattoliche. Prima col libro The Canadian Holocaust, poi col film documentario Unrepentant, diretto da Louie Lawless, Annet sta cercando di scuotere l’opinione pubblica internazionale sulle sistematiche violenze fisiche, gli abusi sessuali, gli elettroshock, le sterilizzazioni di massa e gli omicidi perpetrati ai danni delle popolazioni native nella seconda metà del XX secolo. «È necessario che il mondo sappia quello che è successo», recitava una donna nativa in lacrime all’inizio di Unrepentant, ma bisogna vedere se il mondo a cui viene rivolto questo drammatico appello abbia davvero voglia di sapere.

 

 

Sia il governo canadese che il capo della Chiesa cattolica hanno ammesso i crimini commessi nelle scuole residenziali. Infatti, l’11 giugno 2008 il presidente del Consiglio dei ministri, Stephen Harper, ha chiesto ufficialmente scusa per il genocidio e per gli abusi inflitti agli aborigeni. Dal canto suo papa Ratzinger, durante un’udienza con  Phil  Fontaine, leader discusso e non riconosciuto dalle First Nation, ha espresso «il proprio dolore per l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa», che ha causato sofferenza «ad alcuni bimbi indigeni, nell’ambito del sistema scolastico residenziale canadese».  Queste scuse però, oltre a sminuire il senso delle proporzioni, somigliano a una sorta di confessione che in un sol colpo pretenderebbe di cancellare le responsabilità dei peccatori e di redimerne automaticamente  i peccati.  Se crimini sono stati commessi e ammessi, si presume che debbano esistere anche i criminali che li hanno compiuti e risulta strano che gli stessi non vengano né identificati né perseguiti a norma di legge.
Ammontano almeno a 50mila i bambini morti nelle scuole residenziali cattoliche, senza contare tutti coloro che resteranno segnati per sempre, fisicamente e psicologicamente, dalle torture e dalle violenze subite. Ma la situazione attuale nelle riserve indiane canadesi continua a essere tragica e i nativi  sono  ancora vittime di deprivazioni, violenze razziste, discriminazioni e misteriose sparizioni.  Negli ultimi 20 anni, circa 500 donne native americane sono svanite nel nulla in tutto il Canada.  Annet ha denunciato la scomparsa di molte ospiti aborigene del centro di Vancouver Eastside e il coinvolgimento di agenti della Royal Canadian Mounted Police (RCMP), della Chiesa e dello stesso governo. Tale coinvolgimento, supportato da prove documentali e da dichiarazioni di testimoni oculari, farebbe capo a una rete di pedofili e a un traffico di film porno e pedopornografia. Più volte Annet, attraverso il suo programma radiofonico Hidden from History, trasmesso dalla Vancouver Co-op Radio, ha rivelato l’esistenza di luoghi di sepoltura di massa per occultare i resti delle donne assassinate nell’area intorno a Vancouver.  Un esame necroscopico sui resti di ossa riesumate, rinvenute nella riserva degli Indiani Musqueam, vicino all’Università della British Columbia nel 2004, ha rivelato infatti che queste appartengono a giovani donne mischiate a ossa di maiale.L’11 ottobre 2009, Annet si è recato a Roma per consegnare le richieste dei parenti delle vittime native ai vertici vaticani. A tutt’oggi, nessuna risposta è arrivata dalla Santa Sede.  Annet ha ufficialmente richiesto che il 15 aprile venga celebrato come giorno della memoria per l’olocausto dei nativi in Canada. L’autore di Unrepentant sarà di nuovo a Roma per presentare il suo documentario presso la Camera dei deputati, martedì 7 aprile, alle ore 14,30. Lo accompagneranno anche due anziani che hanno frequentato le Boarding School, in rappresentanza delle vittime native.

 

In attesa della sua visita gli abbiamo rivolto alcune domande:

 

Signor Annet, dall’inizio della sua denuncia pubblica, che sviluppi ci sono stati e quali le reazioni del governo canadese e del Vaticano?

 

La mia campagna è cominciata nel 1996, ma solo dal 2008 la Chiesa e il Governo canadese hanno cominciato a rispondere all’evidenza delle morti avvenute nelle scuole residenziali. I cattolici e le altre Chiese ancora si rifiutano di restituire i resti dei bambini che morirono sotto la loro responsabilità o di indicare i nomi dei responsabili. Le Chiese si nascondono dietro i loro avvocati e alle cosiddette “scuse” fatte dal Governo a nome di tutti. Nessuno è stato ancora processato o arrestato per quelle morti, anche se noi abbiamo dimostrato che più di 50.000 bambini indiani morirono lì.

 

Che risalto è stato dato a questa tragedia dai media canadesi, internazionali e anche italiani?

 

I media hanno generalmente ignorato questa storia, specialmente in Canada, dove questi crimini e le prove di questo genocidio sono deliberatamente censurati. In altri Paesi, i media ancora non si stanno occupando di questa storia, forse perchè il Canada dal punto di vista dei diritti umani ha la reputazione di Paese attento ed evoluto, cosa che non è. Ho inviato prove documentate e testimonianze dei crimini accaduti ai media per più di 10 anni, ma raramente le hanno pubblicate  e tantomeno trasmesse su radio o televisioni.

 

Ha mai ricevuto intimidazioni o minacce?

 

Ricevo regolarmente minacce di morte e di attentati. Ho perso il mio lavoro come pastore, la mia famiglia, il sostentamento. Sono stato aggredito fisicamente, picchiato, minacciato di azioni legali, sottoposto a campagne diffamatorie, censurato e molestato ad ogni livello.

 

In Europa e in Italia c’è una visione edulcorata, turistica e un po’ new-age dei nativi canadesi. Qual è la situazione reale nelle riserve e fra le comunità native?

 

Lavoro con diversi aborigeni a Vancouver e altre città canadesi, e nelle riserve indiane di tutto l’ovest canadese. La situazione è da terzo mondo: continue morti per malattia, malnutrizione, violenza, suicidi, e gli effetti delle scuole residenziali. C’è gente che muore e scompare tutti i mesi. È un piano per sterminare più indiani possibile e costringerli fuori dalle loro terre per arricchire le multinazionali.

 

In un documento, dodici anziani del Consiglio, in rappresentanza delle nazioni Cree, Haida, Metis, Squamish e Anishinabe hanno fatto una serie di richieste a papa Ratzinger e ai vertici vaticani, fra cui quella di presentarsi davanti al Tribunale internazionale sui crimini di guerra e sul genocidio in Canada. Che ne pensa?

 

Io sostengo le richieste di questi capi tribali al papa e credo che Joseph Ratzinger debba presentarsi davanti al Tribunale per i crimini di guerra per rispondere alle accuse di genocidio rivolte alla sua Chiesa. Il papa è direttamente implicato nella copertura dei crimini contro quei bambini, sin da quando scrisse la lettera al vescovo del Nordamerica ordinando di celare le aggressioni sessuali da parte di preti sui fedeli delle loro diocesi. Questo insabbiamento è lo stesso motivo per cui il mondo ancora conosce poco gli omicidi, le torture e le sterilizzazioni perpetrate per decenni nelle scuole residenziali indiane cattoliche in Canada.

 

IL CASO CANADESE

 

Dal Consiglio delle tribù sette domande al Vaticano

 

Le richieste rivolte a papa Ratzingher e ai vertici vaticani da dodici anziani del Consiglio che rappresentano le nazioni Cree, Squamish, Haida e Metis.

 

1. Identificare il posto dove sono sepolti i bambini morti in queste scuole cattoliche e ordinare che i loro resti vengano restituiti ai familiari per una degna sepoltura.

 

2. Identificare e consegnare le persone responsabili per queste morti.

 

3. Divulgare tutte le prove riguardanti questi decessi e i crimini commessi nelle scuole residenziali, consentendo il pubblico accesso agli archivi del Vaticano e altri registri delle altre Chiese coinvolte.

 

4. Revocare le bolle pontificie “Romanus Pontifex” (1455) e “Inter Catera” (1493), e tutte le altre leggi che sanzionarono la conquista e la distruzione dei popoli indigeni non-cristiani nel Nuovo Mondo.

 

5. Revocare la politica del Vaticano, in parte formulata dall’attuale papa, che richiede che vescovi e preti tengano segrete le prove degli abusi subiti da bambini indigeni nelle loro chiese invitando le vittime al silenzio.

 

6. Venire in Canada di persona per visitare i quartieri più poveri, dove abitano i sopravvissuti delle scuole residenziali e chiedere perdono a queste persone per il genocidio e per la politica messa in atto dalla sua Chiesa nei loro confronti, e giurare pubblicamente che tali azioni e politiche non si ripeteranno mai più.

 

7. Presentarsi davanti al Tribunale internazionale sui crimini di guerra e sul genocidio in Canada per rispondere alle accuse che lui e la sua Chiesa siano responsabili per la distruzione e la morte di milioni di Nativi Americani.

 

Il menù delle torture
Dai capelli strappati alle bastonate, dall’isolamento all’acqua ghiacciata

 

Decine e decine di sopravvissuti provenienti da dieci diverse scuole residenziali della British Columbia e dell’Ontario hanno descritto sotto giuramento le seguenti torture, inflitte fra il 1922 e il 1984, a loro stessi e ad altri bambini, alcuni di soli cinque anni di età:

 

Stringere fili e lenze da pesca attorno al pene dei bambini;
Inserire aghi nelle loro mani, guance, lingue, orecchie e pene;
Tenerli sospesi sopra tombe aperte minacciando di seppellirli vivi;
Costringerli a mangiare cibo pieno di vermi o rigurgitato;
Dire loro che i genitori erano morti o che stavano per essere uccisi;
Denudarli di fronte alla scolaresca riunita e umiliarli verbalmente e sessualmente;
Costringerli a stare eretti per oltre 12 ore di seguito sino a quando non crollavano;
Immergerli nell’acqua ghiacciata;
Costringerli a dormire all’aperto durante l’inverno;
Strappare loro i capelli dalla testa;
Sbattere ripetutamente le loro teste contro superfici in muratura o in legno;
Colpirli quotidianamente senza preavviso tramite fruste, bastoni, finimenti da cavallo, cinghie metalliche, stecche da biliardo e tubi di ferro;
Estrarre loro i denti senza analgesici;
Rinchiuderli per giorni in stanzini non ventilati senza acqua né cibo;
Somministrare loro regolarmente scosse elettriche alla testa, ai genitali e agli arti.

 

LE TESTIMONIANZE

 

«Quando avevo sei anni, proprio davanti ai miei occhi vidi una suora ammazzare una bambina. Era suor Pierre, ma il suo vero nome era Ethel Lynn. La bambina che uccise si chiamava Elaine Dik e aveva cinque anni. La suora la colpì con violenza dietro il collo e io udii quell’orribile schiocco. Morì proprio dinanzi a noi. Poi la suora ci disse di scavalcarne il corpo e andare in classe. Era il 1966». Steven H., St Paul’s Catholic day School, North Vancouver

 

«Nè io né nessuno dei miei fratelli potè avere figli dopo che fummo sottoposti ai raggi x nella scuola residenziale Carcross Angelican School, nello Yukon. Presero ognuno di noi e ci misero sotto la macchina a raggi x per 10-20 minuti. Proprio sulla zona pelvica. Avevo 10 anni. Io e i miei fratelli non avemmo mai figli». Steve John, Denè Nation, 7 giugno 2005

 

«Il primo a subire l’operazione fu il maggiore dei miei figli, quando aveva quattro anni. Era il 1975. Lo portarono via mentre io non ero in casa. Nel luglio del 1981 sterilizzarono il mio figlio più giovane, aveva nove anni. Lo portarono al Victoria General Hospital e lo tennero là per giorni. Nessuno dei due ragazzi può avere figli. Ci fecero questo perchè siamo discendenti dei capi originali, eredi di questi territori. Il governo sta ancora cercando di farci fuori». (Nomi non mostrati su richiesta) Vancouver Island, 18 maggio 2005

 

«Il dott. James Goodbrand sterilizzò molte delle nostre donne. Ho sentito personalmente Goodbrand dire che il governo lo pagava 300 dollari per ogni donna che sterilizzava». Sarah Modeste, Cowichan Nation, Vancouver Island, 12 agosto 2000

 

«Mia sorella Maggie fu scaraventata da una suora dalla finestra del terzo piano della scuola di Kuper Island, e morì. Tutto venne insabbiato, né venne svolta alcuna indagine. All’epoca, essendo indiani, non potevamo assumere un avvocato e così non venne mai fatto alcunché». Bill Steward, Duncan, BC, 13 agosto 1998

 

«Mio fratello morì a causa di una scossa elettrica data da un ago da bestiame. Aveva quattro anni, i pastori lo trascinarono e lo ferirono, gli tagliarono la pelle sotto la fronte con una frusta. Come la frusta dei cavalli. Era tagliente e aveva sopra delle lame. Io ero lì, lo sentivo gridare aiuto. Subito dopo c’era un mare di sangue sul pavimento, ma non lo portarono all’ospedale, in infermeria o altrove, e quello accadde allora, quando ero lì. Lo sento ancora che grida aiuto: “Rick, aiuto, mi stanno torturando! Sto morendo!”. E poi morì. Era il mio unico.. Il mio unico… Il mio miglior amico e il mio unico fratello che ho sempre amato». Rick La Vallee, Portage La Praire Residential School (Catholic Curch).

 

«Avevo soltanto otto anni, e ci avevano mandato dalla scuola residenziale anglicana di Alert Bay al Nanaimo Indian Hospital, quello gestito dalla Chiesa Unitaria. Lì mi hanno tenuto in isolamento in una piccola stanza per più di tre anni, come se fossi un topo da laboratorio, somministrandomi pillole e facendomi iniezioni che mi facevano star male. Due miei cugini fecero un gran chiasso, urlando e ribellandosi ogni volta. Così le infermiere fecero loro delle iniezioni, ed entrambi morirono subito. Lo fecero per farli stare zitti». Jasper Jospeh Port Hardy, British Columbia 10 novembre 2000

 

«Una sorta di accordo sulla parola fu in vigore per molti anni: le chiese ci fornivano i bambini dalle scuole residenziali e noi incaricavamo l’RCMP di consegnarli a chiunque avesse bisogno di un’infornata di soggetti da esperimento: in genere medici, a volte elementi del Dipartimento della Difesa. I cattolici lo fecero ad alto livello nel Quebec, quando trasferirono in larga scala ragazzi dagli orfanotrofi ai manicomi. Lo scopo era il medesimo: sperimentazione. A quei tempi i settori militari e dell’Intelligence davano molte sovvenzioni: tutto quello che si doveva fare era fornire i soggetti. I funzionari ecclesiastici erano più che contenti di soddisfare quelle richieste. Non erano solo i presidi delle scuole residenziali a prendere tangenti da questo traffico: tutti ne approfittavano, e questo è il motivo per cui la cosa è andata avanti così a lungo; essa coinvolge proprio un sacco di alti papaveri». (Dai fascicoli riservati del tribunale dell’IHRAAM, contenenti le dichiarazioni di fonti confidenziali, 12-14 giugno 1998)

Fonte:

http://danielebarbieri.wordpress.com/2010/04/06/marco-cinque-genocidio-canadese/

La responsabilità della Chiesa cattolica nel genocidio dei Nativi Americani è certa!

 

 

A questa pagina del sito http://www.nativiamericani.it/ 
è possibile vedere il documentario Unrepentant con i sottotitoli in italiano:

http://www.nativiamericani.it/?p=561

 

 

‘Distruggono la famiglia’. Bagnasco contro l’educazione alla diversità nelle scuole

Il presidente dei vescovi italiani chiede al governo Renzi di mettere al bando i nuovi libri di testo per le elementari e le medie voluti dai governi Monti e Letta per combattere l’omofobia. Secondo l’arcivescovo di Genova che ignora la laicità dello Stato, così si trasformano le aule in “campi di rieducazione e indottrinamento”

di | 26 marzo 2014

 

‘Distruggono la famiglia’. Bagnasco contro l’educazione alla diversità nelle scuole

 

Allarme, la scuola italiana apre alla “dittatura di genere”. In altri termini alla normalizzazione dell’omosessualità. La “colpa” è di tre volumetti dal titolo ‘Educare alla diversità a scuola‘ destinati alle primarie e secondarie di secondo grado. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, durante la prolusione di apertura del Consiglio permanente dei vescovi, poi ripresa da Avvenire, non usa mezzi termini: la scuola pubblica sta diventando un immenso campo di rieducazione perché quei libretti “instillano preconcetti contro la famiglia e la fede religiosa”. Un monito indirizzato forte e chiaro al governo Renzi e al ministro competente.

Di cosa si tratta? I volumi sono stati autorizzati dalla presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per le Pari opportunità) all’epoca del governo Monti e dall’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero. Il governo di Enrico Letta ha dato seguito nell’ambito delle nuove strategie nazionali anti omofobia. A curare le pubblicazioni l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. La realizzazione è dell’istituto Beck.

Le tematiche si sviluppano in cinque schede che trattano le “linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze” attraverso altrettanti capitoli: le componenti dell’identità sessuale; omofobia: definizione, origini e mantenimento; omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche; bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire; adolescenza e omosessualità. Si legge che non basta più “essere gay friendly (amichevoli nei confronti di gay e lesbiche), ma è necessario essere gay informed (informati sulle tematiche gay e lesbiche).

Lo scopo è avere un manuale contro il bullismo che si accanisce contro i “diversi” tanto che a pagina 18  c’è un vero e proprio manifesto scolastico contro il bullismo. “Bisogna che l’insegnante riveda la scheda sul bullismo. È importante, inoltre, che l’insegnante sia molto chiaro e deciso nello spiegare ai suoi studenti i seguenti punti: la scuola non tollera questo tipo di comportamenti. Il bullismo è sbagliato. Prendere in giro, minacciare, picchiare qualcuno, farlo sentire escluso, perché è grasso, perché è un “secchione”, perché è diverso da noi, perché pensiamo che sia omosessuale, è sbagliato. Ognuno ha diritto di essere com’è, ognuno ha qualcosa da insegnarci. Quanto più qualcuno è diverso da noi, tanto più ha da insegnarci. Essere bulli non è “figo”, è stupido”.

C’è poi uno spazio con le domande frequenti (faq) dove si risponde in modo schematico ai quesiti sulla sessualità. “I rapporti sessuali omosessuali sono naturali? Sì. Il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità, sin dall’antica Grecia. Inoltre, molti eterosessuali possono avere sporadiche fantasie omosessuali, così come molti omosessuali possono avere sporadiche fantasie eterosessuali. Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate. Un altro pregiudizio è che con l’omosessualità si estinguerebbe la società. In realtà, come afferma l’Organizzazione mondiale della sanità, la sessualità è un’espressione fondamentale dell’essere umano. L’unica cosa che conta è il rispetto reciproco dei partner.

Potremmo quindi ribaltare la domanda chiedendoci: “I rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?”. Qui si arriva al terreno di scontro con la Cei, perché sono questi e altri passaggi che hanno fatto fare un salto sulla sedia al cardinale Bagnasco ; ad esempio quelli che riguardano la televisione e i media “che discriminano le famiglie omosessuali”, invitando i docenti a chiedere agli alunni come mai “in Italia non ritraggono diverse strutture familiari”. Passaggio “delicato”, il tentativo di far immaginare “sentimenti ed emozioni che possono provare persone gay o lesbiche”; e la masturbazione fra ragazzi è presentata “come un gioco”. Bagnasco ha sparato a zero: “Strategia persecutoria contro la famiglia”. Ancora: “Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei ‘campi di rieducazione’, di indottrinamento. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati?”. E conclude: “I genitori non si facciano intimidire…non c’è autorità che tenga”.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/26/distruggono-la-famiglia-tradizionale-bagnasco-contro-leducazione-alla-diversita-nelle-scuole/927200/