Sud Sudan: fragile coprifuoco dopo giorni di scontri

12 LUGLIO 2016 | di

Dopo cinque giorni di combattimenti nella capitale del Sud Sudan, Juba, ieri sera è stato raggiunto un nuovo, fragile cessate-il-fuoco.

Lo ha decretato ieri pomeriggio il presidente Salva Kiir e, poco dopo, lo ha condiviso il suo rivale, il vicepresidente Riek Machar.

Dal 7 luglio, quando sono ripresi gli scontri tra le forze armate rivali, centinaia di persone sono morte e migliaia hanno lasciato Juba, diretti verso le chiese e i campi allestiti dall’Onu per gli sfollati, a loro volta sotto i colpi d’artiglieria. Per chi è rimasto in città, ora il pericolo è costituito dalle insufficienti forniture di cibo e di acqua.

Il 10 e l’11 luglio colpi d’artiglieria hanno colpito le aree residenziali a ridosso del quartiere di Jebel, dove ha sede la base del vicepresidente Riek Machar. Diversi civili sono rimasti feriti e varie abitazioni hanno subito danni.

Dall’esplosione del conflitto, risalente ormai al dicembre 2013, i due leader rivali – uniti nella lotta per l’indipendenza dal Sudan e in seguito acerrimi nemici – si fanno beffe del diritto internazionale, secondo il quale è illegale tanto attaccare obiettivi civili (per non parlare dei centri profughi dell’Onu) quanto nascondere obiettivi militari all’interno di centri abitati. Per non parlare di veri e propri crimini di guerra contro le donne.

Il peggio è che, a quanto pare, i due leader non controllano più le forze a loro fedeli. Venerdì scorso i combattimenti sono ripresi proprio mentre Salva Kiir e Riek Machar erano a colloquio nel palazzo presidenziale. Inutile l’appello congiunto alla moderazione, fatto poco dopo nel corso di una conferenza stampa.

Per evitare ulteriori ostilità, sarebbe necessario un embargo completo sulle armi dirette in Sud Sudan, decretato dal Consiglio di sicurezza, cosa di cui al momento non si parla, nonostante venga sollecitato da quasi due anni. Difficile del resto, quando tra i membri permanenti siedono alcuni tra i principali fornitori globali di armi.

 

 

Fonte:

/http://lepersoneeladignita.corriere.it/2016/07/12/sud-sudan-fragile-coprifuoco-dopo-giorni-di-scontri/

QUANDOIL TERRORE E’ “IN NOME DI CRISTO”: ALLA CORTE PENALE DELL’ AJA EX COMANDANTE DELL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE

24 GENNAIO 2015 | di

 

Dominic Ongwen, ex comandante dell’Esercito di resistenza del Signore, il gruppo armato di matrice cristiana che ha terrorizzato l’Uganda dal 1987 e, negli ultimi 10 anni, anche i paesi circostanti, è arrivato all’Aja, dove dovrà rispondere alla Corte penale internazionale di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

I tempi della giustizia internazionale non sono particolarmente veloci: il governo dell’Uganda chiese l’intervento della Corte oltre 11 anni fa. Nel 2005 il procuratore della Corte spiccò un mandato di cattura per Ongwen e altri quattro leader dell’Esercito di resistenza del Signore.

Dieci anni dopo, il 5 gennaio 2015, Ongwen si è arreso alle forze speciali statunitensi che dal 2011 collaborano in Africa centrale con una task force dell’Unione africana. Nei giorni successivi, è stato trasferito all’esercito ugandese e da questo alla Corte penale internazionale, che il 17 gennaio lo ha preso in carico a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana.

Ongwen è accusato di quattro fattispecie di crimini contro l’umanità (omicidio, riduzione in schiavitù, atti inumani e sofferenza) e di tre fattispecie di crimini di guerra (omicidio, crudeltà contro le popolazioni civili, attacchi intenzionali contro le popolazioni civili e saccheggio).

Degli altri quattro leader dell’Esercito di resistenza del Signore, tre si ritiene siano morti mentre rimane ancora latitante, e apparentemente inafferrabile, Joseph Kony, fondatore del gruppo armato, colui che diceva di lottare in nome di Cristo e dei 10 comandamenti e che voleva essere il leader di una nazione basata sul rispetto integrale dei precetti biblici.

L’Esercito di resistenza del Signore ha seminato il terrore per oltre 20 anni nel nord dell’Uganda (qui, una testimonianza risalente al 2004) causando oltre 100.000 morti e rapendo migliaia di bambine e bambini: le prime per ridurle in schiavitù sessuale, i secondi per farne futuri combattenti. Prova d’iniziazione: mutilare o uccidere i genitori.

Lo stesso Ongwen venne rapito dall’Esercito di resistenza del Signore, all’età di 10 anni e, dopo il consueto lavaggio del cervello a colpi di droghe e versi della Bibbia, iniziò una rapida carriera criminale: brigadiere a 18 anni, maggiore dopo i 20, presente nei massacri compiuti oltre confine, in Sud Sudan e soprattutto nella Repubblica Centrafricana.

Il fatto che sia stato tanto carnefice quanto vittima dell’Esercito di resistenza del Signore potrà far parte della strategia difensiva, quando inizierà il processo.

Intanto, questo sviluppo segna un passo avanti verso la giustizia per le innumerevoli vittime del terrore seminato in Africa “in nome di Cristo”.

 

 

 

Fonte:

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2015/01/24/quando-il-terrore-e-in-nome-di-cristo-verso-il-tribunale-dellaja-ex-comandante-dellesercito-di-resistenza-del-signore/