SIT-IN DI SOLIDARIETA’ AL POPOLO PALESTINESE A REGGIO CALABRIA

12 luglio 2014

Scritto da C.S.O.A. ANGELINA CARTELLA

Anche a Reggio Calabria a sostegno del popolo palestinese…
…per restare umani!

Uno degli eserciti più forti e tecnologici del mondo si sta apprestando ad una delle ripetute stragi a cui ci ha abituato, di fronte all’indifferenza del mondo intero. Il governo israeliano di  Netanyahu ha ribattezzato l’operazione “Margine protettivo” e parla di una “rappresaglia necessaria” contro i terroristi di Hamas, ma ad essere colpiti sono, come sempre, donne, bambini, intere famiglie innocenti. Lo stillicidio di morti giorno per giorno, tutti i giorni, diventa ciclicamente il massacro generalizzato. È successo in passato a Der Yassin, a Tall el Zaatar, a Sabra e Chatila, a Jenin. Succede oggi a Gaza, la gabbia per topi super affollata dalla quale non si può scappare

L’ennesima operazione militare di sterminio di un popolo, verso la soluzione finale, ampiamente preparata utilizzando a pretesto strumentale la scomparsa dei tre poveri ragazzi, trovati poi morti, stava saltando per opera di qualche ultraortodosso che ha pensato bene, per rappresaglia, di bruciare vivo un ragazzo palestinese. L’alibi, preparato con cura, non poteva più reggere, e allora via alla correzione di rotta, pubblicizzando da una parte la condanna a quei fanatici che stavano facendo fallire la pianificazione militare, e ringraziando dall’altra i “razzetti” di Hamas per aver permesso loro di recuperare le pseudo giustificazioni.

La piramide mediatica, dalle informazioni che arrivano solo dall’esercito israeliano, si dipana raccontando fatti e loro interpretazione ad uso e consumo del governo Netanyahu e dei suoi alleati internazionali, che per bocca del Segretario di Stato John Kerry hanno di fatto benedetto la nuova aggressione. La solita canea di pennivendoli di regime si fa carico trasversalmente della propagazione, in una gara a chi è più realista del re. L’enorme differenza del numero dei morti, le stragi di civili come forma di punizione collettiva, l’uso di armi tecnologiche e di distruzione di massa da sperimentare in loco, le centinaia di bombardamenti contro qualche decina di missili caserecci, l’ invasione che sembra imminente – con il suo corollario di morte e distruzione – , non contano se non come “comprensibili ed inevitabili” cause collaterali.

Il resto non si vede: un potente esercito di occupazione, brutale ed al contempo sofisticato, contro una delle ultime colonie occupate del mondo, i muri, i ghetti, il regime di apartheid, le migliaia di prigionieri – molti dei quali bambini -, le sistematiche violazioni di qualunque legge internazionale o risoluzione dell’ONU, la diaspora (con circa 6 milioni di palestinesi in giro per il mondo), il divieto del diritto al ritorno universalmente riconosciuto, le cicliche stragi alla Marzabotto contro civili indifesi, donne, bambini, i campi di concentramento, le torture

Le vittime del nazismo di ieri si sono trasformate nei carnefici di oggi con solo poche, pochissime voci che si levano a condannare questi crimini contro l’umanità e questi criminali. Nel silenzio o balbettio dei governi. Così come ieri con il nazismo.

Leviamo le nostre voci contro queste ignominie, che diventino un grido di protesta, di condanna; quella che i governi collusi mai faranno. Che diventi un grido di ripudio universale, che trasformi deboli voci in un boato, che parli di boicottaggio economico (i prodotti commerciali israeliani, seppur camuffati, cominciano con 729 come prime cifre del codice a barre), culturale, sportivo, mediatico, che faccia appello anche a lavoratori e giovani israeliani, perché si mobilitino contro un governo che usa il massacro di un popolo come arma di distrazione di massa dalla macelleria sociale che sta preparando.

Invitiamo tutte e tutti al Presidio organizzato per lunedì 14 luglio alle ore 18.00 a Piazza Italia, di fronte la Prefettura, contro il genocidio in atto del popolo palestinese. L’iniziativa non vuole essere solo un momento di solidarietà e di sostegno a un popolo martoriato, ma anche occasione per riflettere e ragionare insieme su come attivare azioni più incisive per contrastare le politiche di uno stato, quello sionista, che vedono coinvolte anche l’Italia e la stessa Calabria.

NOI NON CI STIAMO! NON IN NOSTRO NOME!
SOLIDARIETA’ CON IL POPOLO PALESTINESE!

Adesioni in aggiornamanto:

Comitato Solidarietà Migranti
Comitatoacquapubblica Villa San Giovanni
Nuvola Rossa vsg
Csoa Cartella
Collettivo UniRc AteneinRivolta
Pagliacci ClanDestini – Freckles
Sinistra in Movimento
Rifondazione Comunista Reggio Calabria
Collettiva AutonoMIA Reggio Calabria
Circolo SEL “Eugenio Musolino”
ass. “La cosa pubblica”
Arci Reggio Calabria

chi volesse dare la propria adesione: [email protected]

 

 

 

Fonte:

http://www.csoacartella.org/

JENIN, JENIN

 

 

04/gen/2011

Nell’aprile del 2002, a Jenin, Israele lanciò l’operazione “scudo di difesa” in risposta ad attentati suicidi, essendo alcuni dei kamikaze stati reclutati proprio lì, tra i disperati.

Il campo ospitava circa 14 mila palestinesi in pochi chilometri quadrati. Sarà un massacro senza precedenti, che colpirà anche civili indifesi: donne, vecchi e bambini. Più di un quarto dei profughi, che già vivevano in condizioni pessime, si troveranno le case distrutte o inagibili, perché colpite dall’artiglieria dei tank o degli elicotteri o abbattute dai bulldozer blindati.

Tahar Ben Jelloun, il famoso scrittore marocchino, scriverà: “Il crimine è lì, anche se ricoperto da tonnellate di macerie e di silenzio” (Jenin -un campo palestinese- Bompiani-)

Perché è stato censurato questo documentario ed il suo regista dovrà subire due processi, in Israele, dove vige la cosiddetta “libertà d’espressione”… ?

Jenin Jenin è un grido di dolore, di angosce inenarrabili, di rabbia e di desiderio di vendetta, di umanità. Bakri sparisce come presenza fisica o come voce fuori campo, non ricostruisce, neppure informa. Sono soltanto i volti e le parole dei profughi che informano, accusano, mostrano, processano, maledicono, resistono. Sono corpi e volti che sono colpiti alle radici della loro vita, della loro identità, delle loro storia. Ed alcuni di questi volti sono indimenticabili: un muto che mima efficacemente gli eventi a cui ha assistito; l’uomo che mostra la casa distrutta, elencando le tracce ridotte in macerie (il letto dove è morto suo padre, il fico di 52 anni, le pietre di cui essa era costituita); il giovane combattente lucido e sarcastico, che alla fine non trattiene una lacrima parlando della sua impotenza in quei giorni; un venditore di mercato che fa del gustosissimo teatro di strada fingendo di telefonare a Bush; e sopratutto la straordinaria ragazzina (avrà avuto allora 11-12 anni) lucida nel flusso ininterrotto di parole, di amore e di odio, poetica nelle sue metafore, determinatissima.

A ciò è da aggiungere il montaggio, che spezza le interviste per associazioni con altre, ricomponendole secondo una scansione narrativa fluida e corale, che testimonia con orgoglio l’indomita resistenza di un popolo; e inoltre l’uso limitato ma efficace di canti, musica e rumori, che si aprono come raccordo tra una sequenza e l’altra o per dare respiro grande alla tragedia che le parole e i volti esprimono.

Il regista Mohammad Bakri è un attore che ha lavorato con grandi autori palestinesi ed israeliani e noi lo conosciamo soprattutto per l’interpretazione di uno dei più bei film italiani di questo inizio secolo, Private di Saverio Costanzo, per cui è stato premiato come miglior attore protagonista al festival di Locarno del 2004.

In Italia il film è presentato dall’associazione Mediazione, un gruppo di singole persone, che ha dato vita a dei “progetti per il diritto all’informazione”. “Mediazione” nasce a Siena, per mostrare le realtà oltre i media. Nasce non per prendere partito, ma per pretendere che l’informazione non abbia partito.

 

Fonte:

https://www.youtube.com/watch?v=9xTqqqZg01I

DEIR YASSIN

Il 9 aprile 1948 forze ebraiche occuparono il villaggio di Deir Yassin situato su una collina a ovest di Gerusalemme, ottocento metri sul livello del mare e vicino all’insediamento ebraico di Givat Shaul. […]

Come irruppero nel villaggio, i soldati ebrei crivellarono le case con le mitragliatrici, uccidendo molti abitanti. Le persone ancora in vita furono radunate in un posto e ammazzate a sangue freddo, i loro corpi seviziati, mentre molte donne vennero violentate e poi uccise. […]

Una recente ricerca ha ridotto il numero delle persone massacrate a Deir Yassin da 170 a 93. Naturalmente, a parte le vittime del massacro, decine di altri individui furono uccisi in combattimento e perciò non vennero inseriti nelle lista ufficiale delle vittime. Comunque, poiché le truppe ebraiche consideravano ogni villaggio palestinese una base militare nemica, la distinzione tra massacrare gli abitanti e ucciderli “in battaglia” era di scarsa importanza. Bisogna solo dire che tra le persone massacrate a Deir Yassen vi erano trenta neonati; si capisce così che il calcolo “quantitativo” – che gli israeliani hanno ripetuto recentemente, nell’aprile del 2002, nel massacro di Jenin – è privo di senso. Allora, la leadership ebraica annunciò orgogliosamente un alto numero di vittime, in modo da fare di Deir Yassin l’epicentro della catastrofe – un avvertimento per tutti i palestinesi: un destino simile attendeva coloro che si fossero rifiutati di abbandonare le loro case e fuggire.>>
I. Pappe, La pulizia etnica della Palestina, Fazi Editore, Roma 2008, pp. 116-118.