LA SEA WATCH ENTRA A LAMPEDUSA, MOBILITAZIONE DI SOSTEGNO IN TUTTA ITALIA

La decisione della capitana della Sea Watch di entrare nonostante i divieti e la sentenza della Corte europea nel porto di Lampedusa è un atto di disobbedienza coraggioso. Dalle città, si preparano iniziative di sostegno

«Basta, siamo entrati, ora fate scendere i migranti». Così la Sea Watch 3 annuncia l’arrivo nel porto di Lampedusa contravvenendo al divieto espresso dal governo italiano e in assenza di autorizzazione da parte delle autorità. La replica del Ministro Salvini alle parole della capitana Carola Rackete – definita come una «sbruffoncella che fa politica» – all’annuncio della nave di dirigersi verso il porto arriva nell’immediato: «l’autorizzazione allo sbarco non c’è, piuttosto schiero la forza pubblica, il diritto alla difesa dei nostri confini è sacra». E così sia: le motovedette della Guardia di Finanza si sono dirette verso la nave per ordinare l’alt all’imbarcazione, la quale, però, non si è fermata all’alt continuando la sua rotta verso Lampedusa.

La decisione della capitana della nave arriva il giorno successivo della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso presentato dai migranti e dalla comandante della Sea Watch per ottenere l’autorizzazione allo sbarco in Italia. Secondo Alessandra Sciurba «è una sentenza alla Ponzio Pilato: non è uno schiaffo alle Ong come vorrebbe il governo, però non è coraggiosa. Pone un problema di giurisdizione, ma dice all’Italia di dare assistenza alle persone che sono a bordo della nave». Secondo la Corte infatti, il trattamento subito dai migranti ospitati dalla nave della ONG tedesca non sarebbe sufficientemente grave da giustificare l’applicazione di misure umanitarie d’urgenza.

La valutazione, oltre che essere contraddetta dall’indicazione data alle autorità italiane di offrire adeguata assistenza, stride con la reale situazione dei migranti ridotti allo stremo dal viaggio e dall’estenuante attesa in nave, e soprattutto dalla condizione subita nell’inferno libico, dal quale stavano fuggendo e nel quale paradossalmente dovrebbero essere riportati.

Ma oltre le questioni di carattere giuridico, al centro della contesa è lo scontro politico innescato dal governo italiano contro l’organizzazione della solidarietà e dei salvataggi in mare. Come ribadisce la stessa Sea Watch: «la colpa dei migranti: essere stati soccorsi da una ONG. La punizione: friggere sul ponte di una nave per settimane. Rifiutati e abbandonati dall’Europa. Intanto – continua Sea Watch –  sono più di 200 le persone nei giorni scorso a Lampedusa».

Il Governo italiano è infatti il responsabile dell’attuale situazione di blocco: l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza Bis sta avendo i suoi primi effetti, determinando gravissime violazioni dei diritti dei naufraghi ai quali dovrebbe essere riconosciuto nel più breve tempo possibile un luogo sicuro dove sbarcare.

La coraggiosa decisione della capitana della ONG tedesca, che così facendo rischia una multa fino a 50mila euro e il sequestro della nave, sta però innescando una serie di reazioni. Nonostante la maggioranza del Pd insista nel ratificare i vecchi accordi siglati da Minniti con la Libia in merito al voto sulle missioni all’estero, alcuni parlamentari stanno accorrendo a Lampedusa per sostenere lo sbarco della nave, mentre dalle città (come Napoli e Livorno) cominciano ad arrivare indicazioni di mobilitazioni immediate.

Mediterranea lancia per questa sera stessa azioni diffuse nei sagrati delle chiese: «proponiamo a tutti e tutte, agli equipaggi di terra e di mare, di andare stasera su un sagrato di una chiesa della propria città, di portare le coperte termiche e di dire che siamo al fianco di SW, del suo carico di umanità e speranza così violentato in questi 14 giorni. Che abbracciamo la comandante Carola che ha deciso, nonostante leggi e divieti ingiusti, di rispettare i diritti umani».

La l’azione di disobbedienza della Sea Watch avrà in ogni caso la forza di rendere evidente le criminali responsabilità del ministro Salvini e la vigliacca complicità dei loro partner di governo, quanto l’ignobile immobilismo delle opposizioni e la vergognosa indifferenza dell’Europa.

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/la-sea-watch-entra-lampedusa-mobilitazione-sostegno-tutta-italia/

Leggi anche  https://www.dinamopress.it/news/mobilitazione-permanente-roma-aperta-porti-aperti/

LA MEGLIO GIOVENTU’ DELL’ANNO APPENA TRASCORSO

Antonio Megalizzi, Silvia Romano, Emma Gonzàles. E poi Paola Egonu, Linda Raimondo, Ana Isabel Montes Mier, Emma Gatti e Jaiteh Suruwa. Sono loro la meglio gioventù, sono loro le persone dell’anno.

  • ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un'Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso dall’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un’Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso nell’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.
  • EMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a WashingtonEMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a Washington.

 

  • ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.

  • EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.

  • JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)

  • LINDA RAIMONDO Ha 19 anni, vive in Val Susa e ha vinto il premio Space Exploration Master dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. È stata chiamata in Alabama per contribuire alla ricerca sulle navicelle spaziali e si addestra da astronautaLINDA RAIMONDO Ha 19 anni, vive in Val Susa e ha vinto il premio Space Exploration Master dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. È stata chiamata in Alabama per contribuire alla ricerca sulle navicelle spaziali e si addestra da astronauta.

 

PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle 
e il suo orientamento sessuale.

PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle e il suo orientamento sessuale.

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Fonte:

http://espresso.repubblica.it/foto/2018/12/26/galleria/i-ragazzi-e-le-ragazze-a-cui-dedicare-il-2018-1.329916#1

Leggi anche qui:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/12/26/news/antonio-e-i-suoi-fratelli-la-meglio-gioventu-1.329907?ref=HEF_RULLO

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PROTESTA A REGGIO CALABRIA PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

  1. Oggi a Reggio c’è stata l’ennesima protesta al Comune per chiedere l’assegnazione degli alloggi popolari. Il sit-in è stato come sempre organizzato dalle Associazioni “Un mondo di mondi”, Reggio Non Tace, il Csoa Angelina Cartella, la Società dei Territorialisti/e Onlus, la Collettiva Autonomia, il Centro Sociale Nuvola Rossa, il Comitato Solidarietà Migranti, l’Osservatorio sul disagio abitativo, il quale riunisce questa rete di associazioni). Come si legge nel comunicato stampa, distribuito in volantini durante il sit-in, continua ad essere negato il diritto delle famiglie a basso reddito. Negli ultimi due anni sono stati ottenuti dei risultati preliminari (delibera di Consiglio Comunale 10 febbraio 2017, verifiche della società Hermes, regolamento articolo 31) che non sono stati ancora applicati. Le associazioni sono scese ancora una volta in piazza per chiedere, innanzitutto, di effettuare le decadenze ed il recupero degli alloggi per portare a termine le verifiche che, da mesi, sono state completate dalla società  di servizi Hermes. Ciò, secondo legge e la delibera di Consiglio Comunale del 10 febbraio 2017, permetterebbe al Comune di riprendere decine di alloggi e assegnarli alle famiglie che ne hanno diritto. Le associazioni chiedono anche l’assegnazione degli alloggi confiscati alla ‘ndrangheta alle famiglie in disagio abitativo oltre che alle famiglie dell’ ex  Polveriera. Il dato che preoccupa di più i cittadini bisognosi degli alloggi è il blocco della graduatoria per i vincitori del bando del 2005. La mancanza di una casa rende difficile la vita quotidiana di questi cittadini e vanifica ogni altro diritto. Non sono mancati perciò  i toni esasperati dei cittadini durante l’incontro con il delegato comunale per il patrimonio edilizio Giovanni Minniti. Questi ha tentato di rassicurare cittadini e associazioni facendosi carico di contattare la Hermes, attraverso un’istanza di sollecito. Tali parole non hanno però convinto i partecipanti al sit-in, i quali da troppo tempo si sentono fare sempre le stesse rassicurazioni.

D. Q.

Qui di seguito le foto da me scattate durante la protesta.

 

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A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO

A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO
Neri di rabbia. Le due manifestazioni dopo la strage dei braccianti stranieri. I campi chiusi per sciopero
di Gianmario Leone, il Manifesto 09.08.18

Una giornata di protesta e di lotta come non si vedeva da tempo. Uno sciopero che ha avuto un’adesione totale da parte dei braccianti stagionali e due grandi manifestazioni che hanno riempito le strade di Foggia e della sua provincia. Per dimostrare che nonostante l’indifferenza e un sistema difficile da debellare, fatto di caporalato, di sfruttamento dei migranti in molte aziende agricole, dell’ombra della mafia e degli interessi enormi della filiera della grande distribuzione, c’è ancora voglia di lottare e non arrendersi.

LA GIORNATA è iniziata molto presto. Alle 8 è infatti partita dal ghetto di Rignano, nel comune di San Severo, cuore della protesta, la marcia dei berretti rossi organizzata dall’ Usb e Rete Iside alla quale ha partecipato anche il governatore Michele Emiliano. «È stata totale l’adesione dei lavoratori allo sciopero. Nessuno è al lavoro nei campi intorno al ghetto di Rignano» hanno assicurato dall’Usb. Centinaia di lavoratori hanno sfilato con i cappellini indossati dalle vittime, distribuiti da Usb e Rete Iside «per aiutare i braccianti a proteggersi dal solleone e idealmente dallo sfruttamento e dalla mancanza di diritti». Le rivendicazioni della marcia sono state le stesse esposte un mese fa al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, «che aveva accolto le richieste – sottolinea il sindacato – promettendo un tavolo che non c’è mai stato. Chiediamo sicurezza, diritti e dignità per tutti i lavoratori agricoli».

«BASTA MORTI sul lavoro», «schiavi mai» alcuni degli slogan che hanno accompagnato la manifestazione mattutina, giunta davanti alla prefettura di Foggia dove centinaia di migranti, sostenuti da cittadini e associazioni, si sono radunati durante l’incontro che la delegazione ha avuto con il prefetto. All’arrivo è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare i 16 morti nei due incidenti stradali avvenuti negli ultimi giorni sulle strade foggiane e tutti i caduti sul lavoro, compresi gli italiani morti nella miniera di Marcinelle l’8 agosto del 1956.

ABOUBAKAR SOUMAHORO, sindacalista italo-ivoriano dell’Usb, al termine della riunione ha raccontato di «risposte immediate» ricevute da prefetto e questura. Aggiungendo che il prefetto si è impegnato a «convocare dopo ferragosto una conferenza sul lavoro», mentre sul rinnovo dei permessi di soggiorno, che in tanti aspettano da mesi, «la questura ha dato la disponibilità a ricevere un elenco che l’Usb presenterà ogni due settimane per affrontare i casi di rinnovo».

IN PIÙ DI DUEMILA hanno invece sfilato per le strade del capoluogo dauno nella seconda manifestazione organizzata da Cgil, Cisl, Uil, con l’adesione di Arci, Libera e altre associazioni. In marcia, accanto a sindacalisti e migranti, ancora il governatore Emiliano e poi l’europarlamentare pugliese Elena Gentile, il deputato Roberto Speranza e l’attore Michele Placido. «Un senso di sconfitta è quello che si avverte quando accadono queste tragedie immani» hanno sottolineato i sindacalisti, per i quali «questa manifestazione è il momento del cambiamento, per dire basta a morti ammazzati di lavoro».

IL MOMENTO PIÙ TOCCANTE c’è stato quando sul palco ha preso la parola Mohamed, lavoratore migrante: «Non è una pacchia lavorare tutto il giorno per pochi euro o pagare 5 euro per salire sui furgoni della morte – ha gridato -. Come siamo giunti a questo punto? Come siamo passati dall’accoglienza diffusa al degrado diffuso? Chiediamo diritti, non l’impossibile. Vogliamo pari diritti per pari doveri».

UN ALTRO LAVORATORE ha ricordato il dramma vissuto da ogni singolo migrante: «Le famiglie di quelle 16 persone in Africa soffrono per i loro cari che avevano lasciato tutto per venire in Italia a lavorare. Prima sono stati trattati come animali e poi sono morti». Sul palco si sono poi alternati gli interventi dei segretari di Cgil, Cisl, Uil, le cui delegazioni sono giunte da tutta Italia, e dei presidenti delle associazioni che hanno aderito alla manifestazione. «Non sono incidenti, sono omicidi. Siamo stanchi – le ultime parole dal palco – di chi incita all’odio e ci accusa di buonismo».

Fonte:

https://ilmanifesto.it/a-foggia-la-doppia-protesta-contro-…/

Da Mauro Biani :

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Migranti, la fake news su Josepha: “Ma quale naufragio, ha lo smalto”. Non è vero, giornalisti a bordo spiegano perché

Migranti, la fake news su Josepha: “Ma quale naufragio, ha lo smalto”. Non è vero, giornalisti a bordo spiegano perché
In Rete sono centinaia i post pieni di odio all’indirizzo della migrante camerunense, salvata dalla ong Open Arms, corredati dalla sua foto con smalto rosso e braccialetti: “È un’attrice”. Ma Annalisa Camilli di Internazionale, che era sulla nave, spiega: “Applicato dalle volontarie di Open Arms per distrarla e farla parlare. Non lo aveva quando è stata soccorsa, serve dirlo?”
“Una naufraga con lo smalto”. Eccola, l’ultima fake news diventata virale sul web. Involontaria protagonista è Josepha, la naufraga salvata dalla ong Open Arms dopo 48 ore trascorse alla deriva in mare, aggrappata a un pezzo di legno. In Rete sono centinaia i post pieni di odio all’indirizzo della migrante camerunense, corredati dalla sua foto con smalto rosso e braccialetti. Da lì la montatura virale: “È un’attrice”, “Non c’è stato alcun naufragio”. Una montatura che acquista toni che vanno oltre le fake news, venati di razzismo.“Scappa dalla guerra ma si è pitturata le unghie. Inoltre le mani non hanno l’aspetto spugnoso tipico di chi resta in acqua per ore”, discetta un account su Twitter. La fake news corre tra un post e l’altro, tra un social e l’altro, si colora di complottismo. “Si è rifatta le unghie tra un naufragio e l’altro”, scrive qualcuno. “Funziona come Cocoon, dopo 48 ore in acqua sei più bella”, postano altri con cinismo.

La verità dietro quello scatto, la racconta Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale che era a bordo dell’Open Arms quando hanno soccorso Josepha: “Ha le unghie laccate perché nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa, serve dirlo?”.

A riprova – e incredibilmente ce n’è bisogno – la foto del salvataggio della donna dove chiaramente non ha smalto, né braccialetti. Ma neanche questo placa l’odio in rete. “Sulla nave Open Arms ci si diletta con lo smalto”, ironizza qualcuno e subito sotto accusa finiscono i volontari di Open Arms ‘colpevoli’ di avere lo smalto a bordo e di aver regalato un attimo di umanità, di normalità e anche di legittima vanità alla migrante.

di | 23 luglio 2018
Fonte:

I libici ci hanno picchiato, parla la donna sopravvissuta

La donna salvata e la dottoressa Giovanna Scaccabarozzi sulla Open Arms, il 17 luglio 2018. (Annalisa Camilli)

Questo articolo fa parte della serie Cronache dal Mediterraneo, il diario di Annalisa Camilli sulla nave impegnata nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo.

Josefa ha occhi enormi, allungati e larghi. Mi guarda aprendo le palpebre lentamente. È sdraiata sul ponte della Open Arms. L’equipaggio ha messo dei giubbotti di salvataggio sotto alla sua schiena e l’ha coperta con dei teli termici che sembrano d’argento e d’oro. Il suo viso è sofferente, apre gli occhi per chiedere aiuto, li sgrana. Poi torna a chiudere le palpebre come per riposare.

“Sono del Camerun, sono scappata dal mio paese perché mio marito mi picchiava. Mi picchiava perché non potevo avere figli”, racconta Josefa (non Josephine, come si era detto inizialmente) con un filo di voce in un francese dolce. Si tocca la pancia. “Non potevo avere figli”, ripete. Ha il corpo robusto e le mani piccole ancora raggrinzite per essere stata in acqua tutta la notte.

Non riesce quasi a parlare, due occhiaie profonde le scavano gli occhi, le sue pupille sono di un nero intenso. Alza il braccio per salutarmi, poi mi stringe la mano. È ancora fredda, sembra che abbia i brividi. Giovanna Scaccabarozzi, la dottoressa italiana di Open Arms che da stamattina si sta prendendo cura di lei, dice che ora è fuori pericolo, ma è ancora sotto shock. Trema, non si riesce a tranquillizzare, sembra stanchissima.

Non si ricorda nulla di cosa è successo e ha un unico timore. Non vuole essere portata in Libia

Una flebo di soluzione fisiologica è appesa sul palo del ponte della nave: goccia a goccia entra nelle vene di Josefa per reidratarla. “Siamo stati in mare due giorni e due notti”, racconta. Non si ricorda da dove sono partiti e non sa dove sono i suoi compagni di viaggio. “Sono arrivati i poliziotti libici”, dice. “E hanno cominciato a picchiarci”.

Non si ricorda nulla di cosa è successo dopo e ha un unico timore. Non vuole essere portata in Libia. “Pas Libye, pas Libye”, ripete come in una preghiera, una litania sussurrata con un filo di voce. “Pas Libye”. Per tranquillizzarla i volontari le dicono che ora è al sicuro, che presto arriverà in Europa.

A turno vengono vicino a lei sul ponte per passarle un fazzoletto bagnato sulla fronte: ha i capelli pieni di una polvere bianca, forse un per un periodo è stata rinchiusa in un carcere senza potersi lavare. “Se avessimo tardato ancora qualche ora sarebbe morta anche lei”, afferma la dottoressa italiana originaria di Lecco che stamattina l’ha accolta sul ponte della nave spagnola e le ha diagnosticato una grave ipotermia.

“Ha una forza incredibile che l’ha fatta recuperare rapidamente”, spiega Giovanna Scaccabarozzi, che insieme a Marina Buzzetti fa parte dell’équipe medica che a bordo della Open Arms ha accudito Josefa dal primo momento. “Abbiamo fatto delle manovre di riscaldamento e la stiamo idratando”. Alle due dottoresse è toccato anche il compito di fare il referto medico sui due cadaveri recuperati. Uno è di un bambino che ha un’età stimata tra i tre e i cinque anni. “Il bambino era tutto nudo, non sappiamo se abbia un legame di parentela con le due donne”, racconta Scaccabarozzi.

Momenti decisivi
“È morto di ipotermia, poco prima che arrivassimo”, conferma il medico. Questa è la notizia più dura da accettare per tutta la squadra di volontari che da anni dedica le proprie vacanze e i momenti liberi dal lavoro per soccorrere chi rischia di perdere la vita in mezzo al mare. “Arrivare anche solo un’ora prima avrebbe potuto fare la differenza”, questa consapevolezza tormenta i volontari.

La nave Open Arms chiede di poter sbarcare Josefa e i corpi del bambino e della donna senza nome. “Abbiamo dovuto chiamare la Spagna, il nostro stato di bandiera, poi abbiamo chiamato i libici, quindi gli italiani”, spiega Marc Reig, comandante della Open Arms. Tutto è bloccato in una serie di polemiche e di rimpalli infiniti, le stesse polemiche e gli stessi ritardi che hanno decretato la morte di un bambino senza nome che ora giace in un sacco bianco a prua.

Giovanna Scaccabarozzi passa ancora una pezza bagnata sulla fronte di Josefa, che sussurra “Merci”. Grazie. Poi alza il braccio e la saluta, come una bambina al suo primo giorno di scuola. Sul braccio ha i segni di una bruciatura. Non oso chiederle chi o cosa le ha lasciato questo segno. Dice di avere dolore dappertutto.

Dall’inizio del mondo, almeno da quando si racconta la storia di Antigone e Creonte, la legge degli uomini si contrappone a quella dei potenti e sceglie il corpo e la voce di una donna per dire che il potere non potrà mai cancellare la legge naturale, quella che ha a che fare con la vita e la morte, con la malattia e la sepoltura. Josefa ha occhi grandi e una voce flebile, dalla pezza sulla fronte le spunta una ciocca di capelli ricci e bianchi. Ha quarant’anni.

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MANIFESTAZIONE A REGGIO CALABRIA PER SOUMAILA SACHO

foto di USB Federazione provinciale di Reggio Calabria.

23 giugno a Reggio Calabria per Soumaila Sacko!

  • sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00
  • Piazza Giuseppe De Nava, 89125 Reggio di Calabria RC, Italia

  • Organizzato da USB Federazione provinciale di Reggio Calabria

APPELLO

Verità e Giustizia per Soumaila Sacko

Tutti/tutte a Reggio Calabria Sabato 23 giugno per proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti

Vogliamo Verità e Giustizia: chiediamo insieme ai familiari che sia fatta piena luce sull’assassinio di Soumaila Sacko, bracciante e militante sindacale USB, come abbiamo chiesto quando abbiamo rifiutato senza indugio la notizia della reazione a un furto.

Vogliamo proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica: insieme ai lavoratori ed alle lavoratrici di qualsiasi provenienza geografica, alle associazioni e movimenti per la giustizia sociale e la solidarietà, ai disoccupati e precari, agli studenti, alle famiglie e alle persone che già in tutta Italia si sono mobilitate dopo questo tragico delitto, proseguiamo la lotta che stavamo conducendo assieme al nostro compagno e fratello Soumaila Sacko.

Vogliamo diritti e dignità per i lavoratori e le lavoratrici di tutta la filiera agricola: vogliamo e dobbiamo onorare la memoria di Soumaila, e come ci hanno chiesto di fare anche i suoi familiari,
rilanciamo la lotta dei dannati e delle dannate della terra, di chi si spezza la schiena per pochi euro al giorno e ha deciso di non chinare più la testa contro le prepotenze, i caporali e lo sfruttamento. Di chi lavora senza alcuna sicurezza, costretto ad accettarne qualsivoglia conseguenza.

Vogliamo diritti sociali per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne: viviamo spesso una condizione assimilabile alla schiavitù ed in condizioni di segregazione sociale, in non luoghi dove si produce l’annullamento delle persone che lo abitano e la privazione dei fondamentali diritti umani. Spesso non abbiamo elettricità, acqua e riscaldamento. Non abbiamo una casa, ma solo rifugi di fortuna. Siamo esclusi dalle società, siamo non-umani che vivono in non-luoghi. Siamo invisibili, salvo ridiventare visibili quando torniamo a lavorare nei campi e veniamo sfruttati e sfruttate. Rivendichiamo l’urgenza di un inserimento abitativo dignitoso.

Vogliamo la bonifica dell’area dell’Ex-Fornace “TRANQUILLA” riportata agli onori della cronaca dopo i fatti del 2 giugno 2018, considerata la discarica dei veleni più pericolosa d’Europa a
causa dell’interramento di 130mila tonnellate di rifiuti industriali tossici. Il processo si sta per chiudere con un nulla di fatto, mentre la gente del circondario continua ad ammalarsi e a morire di cancro. Lo chiediamo insieme agli abitanti delle comunità locali che spesso vengono ingannate da campagne strumentali e razziste mentre vivono sulla propria pelle le conseguenza della crisi economica e sociale.

Vogliamo sicurezza per le lavoratrici delle campagne: esse vivono doppiamente lo sfruttamento e la vulnerabilità sulla propria pelle in quanto lavoratrici braccianti e in quanto donne. Esattamente come
accadeva nel bracciantato della seconda parte dell’Ottocento negli USA nei confronti delle donne nere schiavizzate.
Non vogliamo la guerra tra poveri: rifiutiamo la guerra tra poveri che ci vorrebbe contrapposti ai cittadini e alle cittadine del comprensorio, agli italiani e alle italiane, agli abitanti e alle abitanti della Piana di Gioia Tauro. Rifiutiamo la contrapposizione non solo nel mondo dell’agricoltura ma anche, ad esempio, dei 400 licenziati del porto di Gioia Tauro. Siamo consapevoli che i nostri problemi non sono generati dall’altro, dal diverso, ma dalle politiche attuate dai diversi Governi, che ci vogliono contrapposti per distogliere la nostra attenzione dal vero nemico, da ciò che ci ha impoverito, resi privi di diritti e diseguali. Siamo esseri umani non sudditi e (R)Esistiamo.

Mandiamo un abbraccio ai nostri fratelli che lavorano nella logistica che il 23 giugno marceranno a Piacenza. A fianco dei compagni di Abd Elsalam, ucciso perché difendeva i diritti dei
suoi compagni contro i soprusi delle multinazionali della logistica. La lotta di noi sfruttati non ha confini, insieme diventiamo imbattibili.

Vogliamo manifestare con gli abitanti della Piana di Gioia Tauro e della Calabria tutta, che non ci stanno a essere etichettati come razzisti e che quotidianamente sono impegnati nel promuovere la
cultura del rispetto delle diversità, ma che ancora una volta vengono cancellati nella rappresentazione mediatica di un territorio che non corrisponde alla realtà.

Invitiamo tutti e tutte alla manifestazione di Sabato 23 giugno 2018 dalle ore 10.00 con partenza da Piazza De Nava (Reggio Calabria): per Soumaila Sacko e per proseguire la marcia per i
diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti e di tutti i lavoratori della terra.

#SoumailaSacko#Primaglisfruttati#Restiamoumani

Per adesione: [email protected]

USB (Unione Sindacale di Base) – Coordinamento Lavoratori agricoli USB – Associazione maliana di solidarietà – Potere al Popolo – Sinistra Anticapitalista – Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea – Partito Comunista Calabria – Fronte della Gioventù Comunista Calabria – Coalizione Internazionale Sans-Papiers Migranti e Rifugiati (Italia) – Movimento Migranti e Rifugiati – Associazione Ivoriani e West Africa – FuoriMercato Autogestione in Movimento – Associazione Rurale Italiana (ARI), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina (ECVC) – Mimmo Lucano, Sindaco di Riace – Campagna LasciateCIEntrare – ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa) – Rete dei Comuni Solidali – Il Sud che sogna – Società dei territorialisti – Rete Restiamo Umani – Osservatorio sul disagio abitativo – SOS Rosarno – CoSMi (Comitato Solidarietà Migranti) – c.s.c. Nuvola Rossa – EquoSud – Ass. Yairaiha – Ass. Il Brigante Serra San Bruno – Ass. La Kasbah Cosenza – Ass. Magnolia – Ass. Ponti Pialesi – Ass. Un mondo di mondi – c.s.o.a Angelina Cartella – Spazio Autogestito Sparrow Cosenza – Sportello Sociale Autogestito Lamezia Terme – Comitato Piazza Piccola Cosenza – Comitato PrendoCasa Cosenza – CPOA Rialzo Cosenza – RASPA (Rete delle associazioni Sibaritide-Pollino per l’autotutela) – Comitato Verità Democrazia e Partecipazione Crotone – Rete Antirazzista Catanese – Arci provinciale Reggio Calabria – Arci provinciale Crotone – Circolo Arci “Il Barrio” – Circolo Arci “Gli spalatori di nuvole” – Circolo ARCI “Culture in… Movimento” – Legambiente Reggio Calabria – Collettiva AutonoMia – Non una di meno Reggio Calabria – Mani e Terra SCS Onlus – Cooperativa Agorà Kroton – Società Cooperativa Sankara – ReggioNonTace – Ciavula.it – Cobas telecomunicazioni Cosenza – Associazione dei Comuni della Locride – Francesca Danese, già Assessora alle Politiche Sociali, Salute, Casa ed Emergenza Abitativa del Comune di Roma – Circolo del Cinema “Cesare Zavattini” Reggio Calabria – Eleonora Forenza, Eurodeputata GUE/NGL – Progetto Diritti onlus – Transform Italia – Francesco Piobbichi, operatore sociale – Associazione “Il Viandante” – Collettivo studentesco Catanzaro – Gruppo Scuola Hospital(ity) School – Collettivo Mamadou Bolzano – Baobab Experience – A buon diritto

Fonte:

RESTIAMO UMANI A REGGIO CALABRIA: GIORNATA A FAVORE DI RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

Arrivati 264 migranti al porto di Crotone

Restiamo umani a Reggio Calabria giornata a favore di rifugiati e richiedenti asilo

Una grande festa dell’accoglienza dove parole d’ordine saranno contrasto all’odio e alla paura, pluralità e integrazione. Il 20 giugno dalle ore 18 in poi, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato (#withRefugees), promossa dalle Nazioni Unite, anche Reggio Calabria scende in piazza con una manifestazione dal titolo ‘Restiamo Umani’, organizzata da una fitta rete di associazioni che operano da anni sul territorio.

L’evento apartitico ha come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di rifugiati e richiedenti asilo che, quotidianamente, sono costretti a fuggire da guerra e violenza, lasciando i propri affetti e la propria casa.

Dietro ogni volto c’è una storia da raccontare, ma anche tanti miti da sfatare, per questo Restiamo Umani sarà da un lato, un’occasione per ascoltare le testimonianze di chi ha subito ricatti e umiliazioni, ma anche di chi è riuscito a ricostruire nella città dello Stretto, una nuova vita e una nuova comunità, dall’altro quella di fornire informazioni corrette su dati e statistiche, partendo proprio da slogan e fake news che circolano sul web.

Le associazioni promotrici della manifestazione non sono solo quelle che si occupano di accoglienza, a testimonianza che il tema dei migranti, è universale e deve coinvolgere tutti. Proprio per questo, tutti partecipanti saranno riuniti sotto i colori della bandiera della pace.

Hanno già aderito:

Abakhi, Acisjf Fata Morgana, Actionaid, Agedo, Agesci, Agiduemila, AMI Sezione di Reggio Calabria, Amnesty International- Gruppo Italia 292, Anpi,Arci Reggio Calabria, Arci Next, Arcigay, Artemide,Associazione Georgia in Calabria, Associazione Rifiuti Zero, Associazione Altea, Associazione A tu per tu, Associazione Cuore di Medea, Associazione WACG, Azimut- Calabria for Harambee, Azione Cattolica Diocesana, Banco Alimentare,Cai Sezione Reggio Calabria,Casa accoglienza Centro Castellini, Centro antiviolenza Casa Rifugio A. Morabito Progetto Incipit,Centro Agape,Centro Servizi Volontariato,Centro ascolto ‘Scalabrini’,  Laici Scalabriniani, CISM RC, Chiesa valdese, Comunità Accoglienza Onlus, Comunità Papa Giovanni XXIII,Coop. Collina del Sole,Cooperativa Exodus, Cooperativa Il piccolo principe, Cooperativa Cisme, Cooperativa Camelot, Coordinamento Ecclesiale Diocesano di Prima accoglienza Reggio Calabria,Coordinamento per l’ambiente,Cosmi,CSI,CSC Nuvola Rossa,CVX, Differenziamo Differenziandoci,Don Cosciotti,Emergency, Libera, LP.PC (Patto civico), Maestri di Speranza, Masci Rc4, Masci Rc5,MEIC, Mèdecins du Monde,Migrantes, Mindoro Tamaraw RC,Moci, Museo Diocesano, Museo dello Strumento musicale,Open Lab Aps, Reggio non Tace, Reggio Veg,Unicef, USMI RC.

L’appuntamento è, dunque, per il 20 giugno alle ore 18 a Piazza Italia. Chi volesse aderire, come associazione, realtà del Terzo Settore, ente ed Istituzione o come singolo, può scrivere a [email protected].  L’elenco verrà aggiornato sull’evento Facebook ‘Restiamo umani’.

 

Fonte:

http://www.strill.it/calabria/2018/06/restiamo-umani-a-reggio-calabria-giornata-a-favore-di-rifugiati-e-richiedenti-asilo/

FINITA L’ODISSEA DELL’ACQUARIUS

Dal profilo Facebook di don Nandino Capovilla:

“BENVENUTI IN FAMIGLIA!” Come un’eco di preghiera, arriva da Valencia alla Cita una stessa invocazione: “All I have to say, thank you God!”- hanno cantato i sopravvissuti dell’Aquarius, stremati dalle violenze prima libiche e poi italiane, compiute “non in nostro nome”, in violazione di Trattati e Convenzioni Internazionali.

CHI RENDERA’ GIUSTIZIA A MADRE AFRICA, che dopo aver partorito l’umanità, continua ad essere da noi depredata “a casa loro”? Certamente non l’egoismo di popoli che si illudono di blindarsi in un sovranismo nazionalista e antievangelico. Sarà piuttosto la testimonianza quotidiana di comunità cristiane accoglienti a rispettare “il diritto alla speranza di chi non dovrà mai più essere lasciato in balìa delle onde dopo aver lasciato la sua terra affamato di pace e giustizia”(papa Francesco)

QUATTRO FIGLI IN UMANITA’ sono stati battezzati stamattina alla Cita e l’antichissima voce dal Cielo –“Tu sei mio figlio, l’amato!”- è risuonata a conferma della vocazione di comune appartenenza all’unica famiglia umana. Per questo, oggi e sempre e nonostante tutto, canteremo con gioia “BENVENUTI IN FAMIGLIA!”

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi
Fonte:

https://www.facebook.com/nandinocapovilla/posts/1835329236529470

 

L’intollerabile odissea forzata della Aquarius è terminata

La nave umanitaria approda a Valencia con i 630 naufraghi dopo otto giorni di mare

La Aquarius, nave di soccorso umanitario noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è entrata nel porto di Valencia in Spagna questa mattina, in convoglio con una nave della Guarda costiera italiana e con una nave militare italiana, per lo sbarco di 630 persone, soccorse nel Mediterraneo otto giorni prima.

Questi 630 tra uomini, donne e bambini sono fuggiti da un calvario inimmaginabile in Libia più di otto giorni fa: spinti su gommoni da trafficanti spietati, hanno trascorso ore terrificanti alla deriva, ammassati su imbarcazioni precarie, prima di essere finalmente soccorsi dalla Aquarius, da navi mercantili e da unità della Guardia costiera italiana, seguendo tutte la stessa legge non negoziabile: la legge del mare che obbliga ad assistere ogni singola persona in situazione di pericolo in mare.

Otto giorni dopo essere fuggite dall’inferno libico, queste 630 persone sono finalmente salve e al sicuro a terra, in Spagna, grazie alla Aquarius e al suo team di marinai professionisti, soccorritori volontari e operatori umanitari.

Il coraggio e la resilienza di questi 630 naufraghi, la professionalità e la profonda umanità dell’equipaggio della Aquarius devono essere elogiate, come lo straordinario supporto che SOS MEDITERRANEE ha ricevuto dalla società civile in Spagna e in tutta Europa.

La nave Aquarius è diventata il simbolo concreto per coloro che in Europa mettono i valori universali di rispetto per la vita umana, dignità e solidarietà prima di ogni altra considerazione.

Detto questo, i diversi ritardi dovuti alla chiusura dei porti italiani e poi l’Odissea forzata, pericolosa e degradante della nave Aquarius nel Mediterraneo devono necessariamente suonare come un campanello d’allarme per i leader europei.

Non è tollerabile per l’Europa che possa ripetersi una situazione come questa.

L’inerzia degli Stati europei è criminale. Si è tradotta in oltre 13.000 morti nel Mediterraneo dal 2014, quando i leader europei hanno detto «mai più» dopo la tragedia di Lampedusa. L’Europa porta questi morti sulla propria coscienza.

Le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate sul rispetto delle vite umane prima di ogni altra considerazione.

SOS MEDITERRANEE esorta una volta ancora tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad assumere le proprie responsabilità e a mettere il soccorso in mare al vertice delle loro agende politiche. Gli Stati membri dell’Unione europea devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo:

- le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate innanzitutto sul rispetto delle vite umane, prima di ogni altra considerazione, in conformità con il diritto marittimo internazionale e il diritto umanitario.

- le persone soccorse devono essere trattate con dignità e umanità a bordo delle navi di soccorso e ricevere tutte le cure che il loro stato di vulnerabilità richiede, fino a quando non è raggiunto un porto sicuro.

Alle autorità marittime competenti dovrebbe essere consentito di rispettare i loro obblighi di coordinamento e di ottimizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso.

Un numero sufficiente di navi di soccorso, adeguatamente attrezzate ed equipaggiate, deve essere dispiegato nel Mediterraneo, permettendo una copertura vasta della zona di soccorso.

Lo sbarco delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino deve essere assicurato in tutti i casi, senza nessun ritardo, in accordo con i regolamenti marittimi.

SOS MEDITERRANEE invita a una larga mobilizzazione della società civile in Europa e nel Mediterraneo, per trasmettere questo messaggio alle autorità governative.

Salvare vite in pericolo è un obbligo morale e legale. Finché ci saranno persone che rischiano la propria vita in mare, SOS MEDITERRANEE continuerà la propria missione nelle acque internazionali, alle porte dell’Europa, per ricercare, soccorrere, proteggere e testimoniare.

Rassegna stampa: 
- Valencia si prepara ad accogliere l’Aquarius respinta dall’Italia, di Annalisa Camilli, Internazionale
- Aquarius, l’esperto Fulvio Vassallo Paleologo: “Illegale il respingimento collettivo di donne incinte e bambini, l’Italia rischia”, Repubblica.it

[ 17 giugno 2018 ]
Fonte:

 

Codice di Condotta: perché MSF non ha firmato

31 Luglio 2017

Perchè MSF non ha firmato il Codice di Condotta ONG per le operazioni di ricerca e soccorso?

Nel corso di queste ultime settimane MSF ha avuto una serie di scambi e discussioni aperte e costruttive con il Ministero dell’Interno sul Codice di Condotta. Durante questi incontri abbiamo espresso una serie di preoccupazioni sul documento, richiedendo chiarimenti su temi specifici e sollecitando sostanziali cambiamenti che ci avrebbero messo nelle condizioni di poterlo firmare.Riconosciamo che sono stati fatti sforzi significativi  per rispondere ad alcune delle osservazioni presentate da MSF e dalle altre organizzazioni, tuttavia dopo un’attenta valutazione della versione conclusiva del codice, permangono una serie di preoccupazioni e richieste lasciate inevase.

Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

Al contrario, riteniamo che per la formulazione ancora poco chiara di alcune parti, il Codice rischi nella sua attuazione pratica di contribuire a ridurre l’efficienza e la capacità di quel sistema. Le linee di riferimento e l’impianto generale del Codice sono rimasti sostanzialmente immutati e, per questa ragione, con enorme dispiacere  riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta proposto dalle autorità italiane.

Quali sono le principali preoccupazioni di MSF riguardo al codice?

Prima di entrare nel merito delle motivazioni che sono alla base di questa decisione è importante sottolineare che le operazioni di ricerca e soccorso di MSF sono sempre state condotte nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali e sotto il coordinamento della guardia costiera italiana (MRCC di Roma).

1) Non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio di vite in mare

La responsabilità di organizzare e condurre le operazioni di ricerca e soccorso in mare risiede – come è sempre stato – negli Stati. L’impegno di MSF nelle attività di ricerca e soccorso mira a colmare un vuoto di responsabilità lasciato dai governi che auspichiamo sia solo temporaneo. Non a caso da tempo chiediamo agli stati UE di creare un meccanismo dedicato e preventivo di ricerca e soccorso che integri gli sforzi compiuti dalle autorità italiane. Dal nostro punto di vista il codice di condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

2) Le limitazioni al trasbordo su altre navi riducono l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare

La richiesta delle autorità italiane che le navi di soccorso concludano le loro operazioni provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi, riduce l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare. In questo modo si crea un sistema di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i luoghi di sbarco, che avrà come conseguenza una minore presenza di quelle navi nella zona di ricerca e soccorso. Le stesse Linee guida per il Trattamento delle persone soccorse in mare raccomandano che le navi impegnate in operazioni SAR portino a termine il soccorso il più presto possibile, anche attraverso i trasferimenti ad altre navi se necessario.

3) Principi umanitari a rischio

Il codice inoltre non fa alcun riferimento ai principi umanitari e alla necessità di mantenere la più assoluta distinzione tra le attività di polizia e repressione delle organizzazioni criminali e l’azione umanitaria, che non può essere che autonoma e indipendente. Il rigoroso rispetto dei principi umanitari riconosciuti a livello internazionale è per noi un presupposto irrinunciabile. Essi rappresentano la sola garanzia di poter accedere alle popolazioni in stato di maggiore necessità ovunque nel mondo, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza. Ogni compromesso su questi principi è potenzialmente in grado di ridurre la percezione di MSF come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale.

4) L’inserimento del Codice nel contesto attuale del Mediterraneo

Le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee per contenere migranti e rifugiati in Libia attraverso il supporto alla Guardia Costiera Libica sono, nelle circostanze attuali, estremamente preoccupanti. La situazione in Libia è drammatica. Le persone di cui ci prendiamo cura nei centri di detenzione intorno a Tripoli e quelle che soccorriamo in mare condividono le stesse vicende di violenza e trattamenti disumani. La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga. Una volta intercettate, saranno condotte in centri di detenzione dove, come le nostre équipe che lavorano in quei centri testimoniano ogni giorno, sono a rischio permanente di essere detenute in modo arbitrario e indefinito, trattenute in condizioni disumane e/o sottoposte a estorsioni o torture, comprese violenze sessuali. Ovviamente le attività di ricerca e soccorso non costituiscono la soluzione per affrontare i problemi causati dai viaggi sui barconi e le morti in mare, ma sono necessarie in assenza di qualunque altra alternativa sicura perché le persone possano trovare sicurezza. Contenere l’ultima e unica via di fuga dallo sfruttamento e dalla violenza non è dal nostro punto di vista accettabile. Il recente annuncio dell’operazione militare italiana nelle acque libiche proposta nel momento in cui il Codice di Condotta è stato introdotto costituisce un elemento di ulteriore preoccupazione che ci ha confermato la necessità di marcare l’assoluta indipendenza delle nostre attività di soccorso in mare dagli obiettivi militari e di sicurezza.

MSF continuerà le sue attività di ricerca e soccorso in mare?

Si, MSF continuerà a salvare vite in mare. Anche se MSF non è nelle condizioni di poter firmare il Codice di Condotta, l’organizzazione rispetta le leggi nazionali e internazionali, coopera sempre con le autorità italiane e conduce tutte le operazioni in pieno coordinamento con l’MRCC e in piena conformità alle norme vigenti. Allo stesso tempo comunichiamo la nostra intenzione di continuare a rispettare quelle disposizioni del Codice che non sono contrarie ai punti problematici per MSF, tra cui quelle relative alle capacità tecniche, alla trasparenza finanziaria, all’uso dei trasponder e dei segnali luminosi. Confermiamo inoltre l’impegno a coordinare ogni nostra iniziativa con l’MRCC e anche a garantire l’accesso a bordo di funzionari di polizia giudiziaria, secondo quanto sopra espresso, così come la collaborazione costruttiva con le autorità italiane, nel pieno rispetto degli obblighi di legge.

Leggi la lettera inviata al Ministro dell’Interno