1) Tu sei una performer specializzata nei queer drag show. Com’è nata questa forma di attivismo artistico?
Mescolando e contaminando esperienze. Azioni che per me sono indispensabili. Non si può parlare al contemporaneo senza attraversare i confini. Dei generi ovviamente, che siano essi di identità o di spettacolo. Nel 2006 eravamo un gruppo di donne, a Roma, che volevano sperimentare il drag, in particolare il drag king, ovvero la personificazione del maschile. Tranne la sottoscritta, che voleva confrontarsi con il femminile divino di una drag queen. Avendo un corpo femminile, mi dicevano che non lo avrei potuto fare. Invece capivo (la consapevolezza è poi arrivata a poco a poco) che interrogare la rappresentazione dei generi pone sempre interessantissimi interrogativi. Lavorare con il corpo, il desiderio, la performance, non solo è terapeutico, come qualunque forma di teatro, ma anche politico. Nacque il primo collettivo italiano di donne che, dopo un primo anno di assestamenti, con il nome di Eyes Wild Drag divenne la prima esperienza strutturata e la più longeva. Per 10 anni abbiamo fatto spettacoli, curato eventi, condotto laboratori, viaggiato da San Pietroburgo a Washington DC portando la nostra arte e la ricerca che stavamo conducendo. Per me è stata un’esperienza fondamentale, sia dal punto di vista umano che artistico.
Il Drag si confronta comunque sempre con un pubblico. Il Drag ha l’obiettivo di salire sul palcoscenico e intrattenere, per questo oltre che politico il Drag è anche un fatto estetico. Di me stessa piace dire che sono arti(vi)sta. Il motivo è che sono profondamente convinta che l’arte sia una forza indiscutibile per la lotta al riconoscimento della cultura e dei diritti. E ora, abbiamo davvero tanto per cui lottare.
2) In cosa consiste la forma di female drag cabaret da te portata avanti in Italia? Cos’è la figura della Faux Queen e perché è nata?
Faux Queen è una drag queen interpretata da una donna “biologica”. Questa è la definizione più immediata. In realtà è estremamente complessa e porta diverse criticità. Non è l’unico modo per definire una “donna che fa la drag queen” e neanche l’unico a portare contraddizioni. Faux vuol dire falso. Ciò implicherebbe che una donna che interpreta una drag queen sia meno di valore di una drag queen autentica, l’unica in qualche modo titolata a fare drag (ossia un “uomo biologico”). Si usa anche l’espressione Bio Queen, ma anche questa può essere vista come discutibile, perché si mette al centro del discorso l’appartenenza biologica di chi va in scena che, sappiamo bene, non è oggettivamente solo maschio e femmina. Esistono gli intersessuali (è un dato di fatto) e le persone fluide che si trovano escluse da questa definizione. Un modo abbastanza neutro potrebbe essere Female Impersonator, che vale per chiunque decida di vestire i panni della Drag Queen. Per quanto riguarda me, non ho particolari preferenze, in realtà. Quando io, nel 2006, percorrevo i miei primi passi in drag, anche un po’ osteggiata e incompresa perché non potevo entrare in nessuna categoria nota, nel frattempo negli Stati Uniti, la prima donna a impersonare una Drag Queen saliva per la prima volta nella storia sul palco del più grande contest americano, il San Francisco Trannyshack Pageant. Quella donna era Ana Matronix, leader degli Scissor Sisters. Non vinse, ma aprì la strada. L’anno successivo fu la volta di un’altra donna, la strabiliante Fauxnique, drag queen sulle punte, che portò a casa un altro record: la prima vittoria. Per il perché, ti posso dire solo la mia motivazione: vibrante necessità.
3) Fra gli eventi da te organizzati abbiamo, ad esempio, la Queerrida, il Victoria Party e la recente installazione performativa Il Lato Oscuro del Desiderio. Ci parli brevemente di questi progetti?
La Queerrida è un contest, una specie di “corrida” nata 7 anni fa, i cui contendenti di anno in anno stanno diventando sempre più professionisti. In realtà c’è un po’ di tutto, alla ricerca del “Q Factor”! Ogni eliminatoria vede passare il turno un contendente scelto da una giuria e un secondo scelto dal pubblico. Pur essendo una gara, il clima che si respira è estremamente di complicità. Si è complici nello stare sulla scena, di portare contenuti anche politici, di far ridere e pensare, di costruire insieme qualcosa di favoloso, sotto tanti punti di vista. Una volta eravamo talmente improbabili e fuori gli schemi da essere naturalmente poetici. Ora si trova anche tanto professionismo.
Il Victoria Party è la festa per liberare la drag queen intrappolata nella nostra vagina! Inventato allo Stonewall Inn di New York nel 2006 da Queen Marie e Cherylnore, le stesse ce lo hanno “donato” con due valige cariche di abiti, scarpe, parrucche e tutto il necessario che serve per allestire una style station dove trasformarsi nella drag dei nostri sogni. Chi partecipa poi sale sul palco, con me e le altre performer dello spettacolo, a sperimentare varie prove, tra cui lipsync. burlesque, ballo. E’ una serata estremamente divertente, che ci ricorda che basta davvero poco per trasformarsi in pura favolosità.
Il lato oscuro del desiderio esula dal discorso drag. Ho iniziato a sentirne la necessità durante la pandemia. Si tratta di una performance installativa divisa in sei stanze, con diversi performer e diversi gradi di interazione con il pubblico. Si interroga su cosa sta succedendo ai nostri corpi, alle nostre esistenze, alle nostre relazioni, al modo in cui pensiamo e viviamo l’incontro con l’altro, la socializzazione, la sessualità. Il lato oscuro indaga i desideri, lo spazio pubblico dello stigma, lo spazio privato dei sogni, l’intimità, lo spazio virtuale delle tecnologie che ci supportano e ci cullano in un’idea di protezione. E’ un’opera immersiva fruibile in maniera fluida che attinge al teatro, alla danza, alla performance art e alle arti visive.
4) Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?
Sta ripartendo tutto! Tutto insieme. Per cui il calendario è felicemente fitto di impegni. Voglio citarne qualcuno. Il ritorno di Erotic Lunch, il pranzo/cena spettacolo dedicato all’arte, al cibo e ai sensi, nella sua completa trilogia. Si parte il 20 novembre al Teatro Arciliuto di Roma e i biglietti sono già in vendita. Il lato oscuro del desiderio si potrà vedere al Centro Culturale Artemia di Roma, per la rassegna di teatro lgbtq+ patrocinata dal Circolo Mario Mieli, nelle giornate dal 25 al 27 novembre. La Queerrida si svolge ogni privo venerdì del mese alla serata Latte Fresco di Largo Venue. La tournée è in corso: dopo Trento e Berlino, sarò al Bari International Gender Festival il prossimo 13 novembre con il mio Bad Assolo. E per chi volesse approfondire quello che ho provato a raccontare qui, ogni giovedì si svolge a Fivizzano 27 il mio Atelier in Queer, sulla performance queer. Ci tengo a citare gli spazi che ospitano i miei progetti. Fare rete è essenziale per dare forza alle idee. *
5) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Non abbassare la guardia mai. Basta un attimo di distrazione per perdere ciò che abbiamo creduto acquisito e inalienabile fino a un istante prima. I corpi fanno politica e oggi la politica è contro i corpi, contro la loro libera scelta, contro i diritti e le donne. Ecco, non distraiamoci, perché è arrivato il momento dell’attivismo vero.
* Nota Bene: Quest’intervista è di qualche mese fa. Per problemi d’impegni la sto pubblicando solo adesso.