Cile, l’altro 11 settembre

Da il manifesto:

 

—  Geraldina Colotti, 10.9.2014

Golpe pinochettista. 41 anni dal colpo di stato che spazzò via il socialismo allendista

 

 

Domani, l’America latina ricorda «l’altro 11 set­tem­bre»: il golpe in Cile con­tro il governo di Sal­va­dor Allende. Quel giorno di 41 anni fa, il gene­rale Augu­sto Pino­chet, soste­nuto dai padrini Usa, spazzò via il trien­nio allen­di­sta e una pos­si­bile tra­sfor­ma­zione poli­tica e sociale, incom­pa­ti­bile con gli inte­ressi di Washington.

L’opinione degli Usa sull’elezione di Allende risulta da una con­ver­sa­zione, dese­cre­tata, tra l’allora Segre­ta­rio di stato, Henry Kis­sin­ger, e il diret­tore della Cia, Richard Helms: «Non per­met­te­remo che il Cile fini­sca nel canale di scolo», dice Kis­sin­ger. «Sono con lei», risponde Helms. È il 12 set­tem­bre del 1970. Tre giorni dopo, il pre­si­dente nor­da­me­ri­cano, Richard Nixon (quello dello scan­dalo Water­gate) ordina alla Cia di «far pian­gere l’economia» cilena: gui­dando il sabo­tag­gio dei grandi gruppi indu­striali, nazio­nali e inter­na­zio­nali, appog­giando il blocco dei tra­sporti, favo­rendo la fuga degli inve­sti­tori e facendo man­care il cre­dito estero.

Fiumi di dol­lari (169 milioni tra il 1946 e il ’72) con­ti­nua­rono però ad abbe­ve­rare le Forze armate cilene, adde­strate nelle scuole nor­da­me­ri­cane. Nel ’72, gli aiuti mili­tari erano rima­sti l’unica forma di assi­stenza for­nita da Washing­ton, che si oppose anche alla pos­si­bi­lità che il Cile rine­go­ziasse il debito estero. Un piano lungo tre anni. Il golpe aprì la strada a una dit­ta­tura feroce e lon­geva, durata uffi­cial­mente fino al 1990, ma che ha lasciato nel paese un’eredità mefi­tica, dif­fi­cile da cancellare.

I ten­ta­tivi della destra di omag­giare l’ex dit­ta­tore Augu­sto Pino­chet e i suoi sche­rani non sono mai venuti meno, e la società cilena è ancora attra­ver­sata dalle cica­trici pro­fonde di quel periodo. La dif­fi­coltà con cui il governo di Michelle Bache­let – tor­nata alla pre­si­denza a dicem­bre dell’anno scorso con la coa­li­zione Nueva Mayo­ria – sta met­tendo mano a quell’eredità pesante, sono lì a dimostrarlo.

Molti poli­tici in carica durante la dit­ta­tura sono d’altronde ancora in scena: rap­pre­sen­tanti sto­rici del par­tito di estrema destra Union Demo­crata Inde­pen­diente (Udi) come Ser­gio Fer­nan­dez, ex mini­stro degli Interni di Pino­chet; Andrés Chad­wick, mini­stro degli Interni dell’ex presidente-miliardario, Seba­stian Piñera che, da gio­vane, fu tra coloro che giu­ra­rono di «sal­vare la patria» durante il cosid­detto atto di Cha­ca­ril­las del 1977: un con­sesso di mez­za­notte simile a quello messo in scena dai nazi­sti. E molti altri ancora.

L’organizzazione Ciu­da­da­nos por la Memo­ria ha pre­sen­tato alla Camera un pro­getto per abo­lire tutti i sim­boli che esal­tano il golpe pino­chet­ti­sta. Si spera in un pro­nun­cia­mento in prima istanza da parte della com­mis­sione per i Diriti umani del Par­la­mento, pre­lu­dio alla discus­sione in aula. Nell’organizzazione vi sono anche mili­tari demo­cra­tici, che riget­tano la per­si­stente atti­tu­dine di un impor­tante set­tore delle Forze armate, tut­tora con­vinto che i gol­pi­sti «sal­va­rono la patria dal peri­colo comu­ni­sta». Un’idea che viene da lon­tano. A soste­nerla, allora, un campo di inte­ressi che ha coa­gu­lato i ceti bor­ghesi e pos­si­denti, strati sociali inter­medi, tec­no­crati e intel­let­tuali, con­vinti che il socia­li­smo bloc­casse la cre­scita e lo sviluppo.

Un’idea dura da vin­cere, nono­stante appaia evi­dente chi abbia pagato i costi delle poli­ti­che neo­li­be­ri­ste dila­gate nel segno dei Chi­cago Boys di Mil­ton Fried­man. Costi sociali gigan­te­schi e una repres­sione feroce, che, secondo i dati uffi­ciali, si è lasciata die­tro 3.200 morti e oltre 38.000 dete­nuti e tor­tu­rati. Furono quelli gli anni in cui venne for­mata la Dina, la poli­zia segreta diret­ta­mente con­trol­lata da Pino­chet. Gli anni dell’operazione Con­dor, il piano cri­mi­nale per eli­mi­nare gli oppo­si­tori ovun­que si tro­vas­sero: deciso dai ver­tici delle dit­ta­ture di Cile, Argen­tina, Bra­sile, Boli­via, Para­guay e Uru­guay, con il sup­porto di Fbi e Cia, e con un prin­ci­pale snodo nella zona del canale di Panama. Il capi­tolo cileno sta tutto den­tro la par­tita del grande Nove­cento: la lotta senza quar­tiere tra le forze della rea­zione e quelle del socialismo.

Una par­tita che con­ti­nua ancora, sep­pur in forme diverse e che si riflette nel bilan­cio, tutt’altro che ricon­ci­liato, sugli anni della dit­ta­tura. Per il blocco sociale che la sostenne e per i suoi eredi odierni, fu un fon­da­men­tale momento di svi­luppo che moder­nizzò il paese. Una rivo­lu­zione nella strut­tura pro­dut­tiva che pro­iettò il “laboratorio-Cile” nelle alte sfere del mer­cato capi­ta­li­stico glo­bale. Non a caso, quando Pino­chet lasciò la pre­si­denza dopo aver perso il ple­bi­scito del 1988, aveva ancora il gra­di­mento del 43% dei cileni. Un pro­getto di lunga git­tata, che ha distrutto il set­tore sta­tale pri­va­tiz­zando le imprese nazio­nali, con­traendo la spesa pub­blica e distrug­gendo i ser­vizi sociali, e lasciando campo libero alle mul­ti­na­zio­nali. La dit­ta­tura non era desti­nata a una paren­tesi, ma a det­tare i para­me­tri di una “demo­cra­zia” sotto tutela. Un’impalcatura che ingab­bia ancora il paese nono­stante gli anni della con­cer­ta­ción. I movi­menti e le orga­niz­za­zioni popo­lari lo hanno ricor­dato scen­dendo in piazza durante la pre­si­denza Piñera.

Ma anche il sacri­fi­cio di Sal­va­dor Allende, che scelse il sui­ci­dio durante il colpo di stato, è ben vivo nella memo­ria del paese e del con­ti­nente. E il costo pagato da quella breve sta­gione serve da monito alle nuove espe­rienze di governo in Ame­rica latina: quelle che hanno preso il potere in modo demo­cra­tico, e che scom­met­tono sul Socia­li­smo del XXI secolo. Il Vene­zuela, innan­zi­tutto. Le ana­lo­gie tra i piani desta­bi­liz­zanti messi in atto con­tro Cara­cas e quelli con­tro Allende, tor­nano nei discorsi e nelle analisi.

Ad ago­sto, gli eredi di Pino­chet che sie­dono in par­la­mento die­tro i ban­chi dell’Udi hanno innal­zato car­telli per chie­dere: «Libertà per Leo­poldo Lopez», il lea­der vene­zue­lano di Volun­tad Popu­lar dai tra­scorsi gol­pi­sti, in car­cere per aver diretto oltre due mesi di deva­sta­zioni e vio­lenze con­tro il governo Maduro dal feb­braio scorso.

Il vento di una nuova soli­da­rietà, che per­vade gran parte dell’America latina, ha por­tato in piazza i movi­menti sociali anche per soste­nere il diritto a uno sbocco al mare per la Boli­via di Evo Mora­les (una sto­rica que­stione aperta, insieme a quella che riguarda il Perù). E il Lati­noa­me­rica socia­li­sta ha soste­nuto la lotta dei nativi Mapu­che che, in Cile, lot­tano per rien­trare in pos­sesso dei loro ter­ri­tori ance­strali. Una que­stione che, dopo le deci­sioni del Par­la­mento e le aper­ture di Bache­let, sem­bra avviarsi sui binari adeguati.

Dome­nica scorsa, migliaia di cit­ta­dini hanno mani­fe­stato per i diritti umani e per ricor­dare le vit­time della dit­ta­tura. Vi sono stati scon­tri con i cara­bi­ne­ros. I mani­fe­stanti – fami­liari delle vit­time, arti­sti, asso­cia­zioni, par­la­men­tari, poli­tici e la Gio­ventù socia­li­sta del Cile (Js) — hanno denun­ciato l’impunità ancora impe­rante. Hanno lan­ciato la cam­pa­gna “Ver­dad y Justi­cia ahora”. Alcuni magi­strati – soste­nuti dalla pre­si­dente Bache­let, che ha perso il padre e ha subito car­cere e tor­ture durante il regime di Pino­chet — accom­pa­gnano le ricer­che dei fami­liari delle vittime.

Tre ex uffi­ciali dell’esercito sono stati accu­sati per il seque­stro e l’omicidio del can­tau­tore Vic­tor Jara, ucciso cin­que giorni dopo il golpe in uno sta­dio di San­tiago che oggi porta il suo nome. Il Ser­vi­zio medico legale cileno (Sml) ha comu­ni­cato di aver sco­perto resti umani in una tenuta vicina alla caserma mili­tare di Tejas Ver­de­sal, dove ven­nero impri­gio­nate oltre 100 per­sone subito dopo il colpo di stato.

E con­ti­nuano le agi­ta­zioni dei set­tori popo­lari che pre­mono per un cam­bia­mento di sostanza. Il 4 set­tem­bre, i lavo­ra­tori hanno sfi­lato per strade della capi­tale. I rap­pre­sen­tanti della Cen­tral Uni­ta­ria de Tra­ba­ja­do­res (Cut) hanno chie­sto a Bache­let che venga discusso al Con­gresso il pro­getto di riforma del lavoro: «Occorre supe­rare il modello eco­no­mico basato sull’accumulazione di capi­tali che non con­si­dera lo svi­luppo del popolo che lavora», ha detto Bar­bara Figue­roa, pre­si­dente della Cut. Il 4 set­tem­bre è una data sim­bolo per il movi­mento sin­da­cale, per­ché ricorda l’elezione di Allende a pre­si­dente del Cile.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/cile-laltro-11-settembre/

Sulla canonizzazione di Giovanni Paolo II

Fra qualche giorno ci sarà la canonizzazione dei pontefici Roncalli e Wojtyla. Spesso noi cattolici ci facciamo condizionare dalle figure dei rappresentanti della Chiesa, soprattutto quando si tratta di pontefici, vediamo solo ciò che essa vuole mostrarci rifuggendo critiche e accuse come anticlericali e infondate. Ma si può anche scegliere di non lasciarsi condizionare e di andare oltre.
C’è uno scatto molto noto che in alcuni ambienti ha suscitato parecchio scalpore. Si tratta della famosa fotografia che ritrae  papa Giovanni Paolo II nell’atto di affacciarsi al balcone del palazzo presidenziale cileno per benedire la folla, con a fianco il dittatore Pinochet.

Dell’episodio ha parlato in un intervista, apparsa sull’ “Osservatore Romano” del 23 dicembre 2009, il cardinale Roberto Tucci: <<Come dimenticare il volto di Wojtyla quando si accorse del tiro che gli giocò Pinochet durante il viaggio in Cile nel 1987? Lo fece affacciare con lui al balcone del palazzo presidenziale, contro la sua volontà. Ci prese tutti in giro. Noi del seguito fummo fatti accomodare in un salottino in attesa del colloquio privato. Secondo i patti – che avevo concordato su precisa disposizione del Papa – Giovanni Paolo II e il presidente non si sarebbero affacciati per salutare la folla. Wojtyla era molto critico nei confronti del dittatore cileno e non voleva apparire accanto a lui. Io tenevo sempre d’occhio l’unica porta che collegava il salottino, dove eravamo noi del seguito, alla stanza nella quale erano il Papa e Pinochet. Ma con una mossa studiata li fecero uscire da un’altra porta. Passarono davanti a una grande tenda nera chiusa – ci raccontò poi il Papa furioso – e Pinochet fece fermare lì Giovanni Paolo II, come se dovesse mostrargli qualcosa. La tenda fu aperta di colpo e il Pontefice si ritrovò davanti il balcone aperto sulla piazza gremita di gente. Non poté ritrarsi, ma ricordo che quando si congedò da Pinochet lo gelò con lo sguardo. Alfonsín, in Argentina, fu più rispettoso, e non pretese assolutamente di comparire al suo fianco. In Africa invece re, dittatori e governanti corrotti lo tiravano da tutte le parti per sfruttarne l’immagine. Lui lo sapeva, ma era uno scotto da pagare per incontrare la gente. Ne era addolorato, ma sopportava. Con noi poi si sfogava. E quando parlava non risparmiava le denunce.>> (Fonte: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/interviste/2009/296q07a1.html)


Secondo il cardinale Tucci, quindi, durante la visita in Cile, Wojtyla sarebbe stato vittima di una trovata astuta di Pinochet. Tuttavia, se guardiamo un paio di filmati girati durante la visita del pontefice, possiamo vedere che il presidente incontrò il papa proprio affianco del balcone che dava sul cortile della Moneda, la tenda nera di cui si parla era già aperta e faceva intravedere la folla, e, al termine delle presentazioni dei prelati che accompagnavano Wojtyla, Giovanni Paolo e Pinochet si diressero insieme e senza esitazioni verso il balcone. Le immagini di questi momenti sono visibili nell’ultima parte di questo video

e nella prima parte di quest’altro:

Per quanto riguarda poi il riferimento all’Argentina e a Alfonsìn, nel settimo capitolo del libricino Storia delle Madres de Plaza de Majo, Edizione Buendia, a cura dell’associazione Kabawil, è citato un viaggio di Giovanni Paolo II in Argentina, nel marzo 1987, durante il governo Alfonsìn. Durante questo governo, fintamente democratico, iniziò un processo farsa nei confronti dei militari coinvolti nella sparizione dei desaparecidos, che, con le cosiddette leggi di Punto Finale e di Obbedienza Dovuta, puntava alla quasi totale impunità degli assassini. Sul viaggio del papa si legge: <<Nel marzo di quell’anno, per finire di modellare uno scenario di riconciliazione e punto finale, venne in visita ufficiale nel paese il Papa, Giovanni Paolo II. Il pontefice rimase in Argentina solo sei giorni, quanto bastava per avvalorare ancora di più i militari che cercavano il perdono. Nelle varie tappe del suo itinerario – Bahia Blanca, Viedman, Mendoza, Rosario, Cordoba, Tucuman, Salta, Corrientes, Parana e Buenos Aires – il capo supremo della chiesa aiutò a creare il clima propizio per una scalata golpista di nuovo tipo>>. Nella settimana santa del 1987, infatti ci fu la sommossa dei Carapintadas che portò alla legge di Obbedienza Dovuta, la quale riconosceva diversi gradi nella repressione genocida. Se in questo caso fu favorevole ai repressori, una precedente visita di Wojtyla nel 1982 durante il governo Galtieri, rallentò anche se di poco la caduta del regime. Nel quarto capitolo di questo libricino si legge: <<Per alleviare il sicuro effetto che la sconfitta andava a provocare nella popolazione, il Papa Giovanni Paolo II visitò per un’ora il paese. Sebbene la versione ufficiale del motivo del viaggio fosse sigillare un accordo di pace, il pontefice venne ad adempiere un altro compito: contenere l’ira popolare e ridare ossigeno alla possibilità di governare del regime, la cui sorte finale era ormai scritta. La dittatura sapeva che doveva abbandonare il potere, ma voleva farlo nel modo più ordinato possibile. A tre giorni della visita del Papa, il “governatore” Menendez firmò la resa agli inglesi, e neanche le preghiere papali poterono impedire una mobilitazione spontanea in opposizione alla dittatura, che un’altra volta gli assassini repressero selvaggiamente>>.

Tornando ai rapporti di Wojtyla con Pinochet, in un articolo del “New York Times”, si racconta che, sempre durante la sua visita, il papa pregò con il generale Pinochet e sua moglie in una cappella nel palazzo dove il presidente democraticamente eletto del Cile, Salvador Allende, morì nel colpo di stato che portò al potere il generale Pinochet. Il pontefice ha anche benedetto la casa. (Fonte: http://www.nytimes.com/1987/04/03/world/john-paul-calls-for-chileans-to-move-toward-democracy.html)

Nel 1993 il cardinale Angelo Sodano e papa Wojtyla inviarono al generale Pinochet due messaggi di auguri per il cinquantesimo anniversario del suo matrimonio. <<Il cardinale Sodano (nunzio apostolico in Cile negli anni della dittatura di Pinochet) nella sua lettera scrive, tra l’altro, di aver ricevuto dal pontefice “il compito di far pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l’ autografo pontificio qui accluso come espressione di particolare benevolenza”. Il cardinale fa anche riferimento al viaggio cileno fatto da Giovanni Paolo II. “Sua Santità – ricorda infatti Sodano – conserva il commosso ricordo del suo incontro con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria visita pastorale in Cile”. E conclude il messaggio a Pinochet, riaffermando “signor Generale, l’espressione della mia più alta e distinta considerazione”. Altrettanto “partecipata” la lettera augurale di Wojtyla. “Al Generale Augusto Pinochet Ugarte, alla sua distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d’oro matrimoniali e – scrive il pontefice – come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale. Giovanni Paolo II”>>. (Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/06/29/pinochet-auguri-dal-papa.html)

Pinochet fu arrestato a Londra nel 1998 dopo che la Spagna ne aveva chiesto l’estradizione perchè fosse processato per presunti crimini contro i diritti umani. Il 19 febbraio 1999 Wojtyla intervenne nella controversia sull’estradizione dell’ex dittatore cileno lanciando un appello di clemenza per motivi umanitari e nell’interesse della riconciliazione nazionale in Cile. (Fonte: http://news.bbc.co.uk/2/hi/282225.stm) Pochi giorni dopo quest’appello , le Madri di Plaza de Mayo scrissero una dura lettera a papa Wojtyla. Qui il testo in italiano:

Buenos Aires 23 febbraio 1999

Sig Giovanni Paolo II

Ci è costato diversi giorni assimilare la richiesta di perdono che Lei, Sig. Giovanni Paolo II, ha inoltrato in favore del responsabile di genocidio Pinochet.

Ci rivolgiamo a Lei come cittadino comune, perchè ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa in Vaticano, senza conoscere, senza avere sofferto sulla sua pelle la tortura con scariche elettriche, le mutilazioni e le violenze sessuali, abbia il coraggio di chiedere, in nome di Gesù Cristo, clemenza per l’assassino Pinochet.

Gesù è stato crocifisso e la sua carne è stata lacerata dai Giuda come Lei che oggi difende gli assassini.

Sig. Giovanni Paolo II, nessuna madre del Terzo Mondo che ha dato alla luce, allattato e curato con amore un figlio che è stato mutilato dalle dittature di Pinochet, Videla, Banzer, Stroessner, accetterà con rassegnazione la sua richiesta di clemenza.

Noi Madri ci siamo incontrate con Lei in tre occasioni, ma Lei non ha impedito i massacri, non ha alzato la voce in difesa delle nostre migliaia di figli durante quegli anni di terrore.

Adesso non abbiamo più dubbi su da quale parte sta Lei, ma sappia che malgrado il suo potere immenso, non potrà arrivare nè a Dio nè a Gesù.

Molti dei nostri figli si sono ispirati a Gesù nel loro impegno per il popolo.

Noi Membri dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, attraverso una preghiera immensa che arrivera’ al mondo, chiediamo a Dio che non perdoni Lei, Sig. Giovanni Paolo II, perchè Lei denigra la Chiesa del popolo che soffre. Lo facciamo in nome dei milioni di esseri umani che morirono e continuano a morire ad opera degli assassini che Lei difende e sostiene.

DICIAMO: SIGNORE NON PERDONARE GIOVANNI PAOLO II

Associazione Madri di Plaza de Mayo
Hebe Bonafini
presidentessa
(seguono firme)”

(Fonte: http://www.censurati.it/2001/02/03/accuse-al-papa-le-madri-di-plaza-de-mayo/)

Il perdono è un principio cristiano. Ma considerati i rapporti che Wojtyla ha intrattenuto con il dittatore Pinochet e i suoi silenzi nei confronti delle vicende dei desaparecidos argentini, ho seri dubbi sul fatto che il perdono che Giovanni Paolo II voleva per il generale sanguinario fosse ispirato da motivazioni evangeliche. Credo piuttosto che il gesto del pontefice sia stato la prosecuzione dei buoni rapporti con Pinochet e che dimostri come questo papa, nonostante abbia compiuto numerosi viaggi, visitato molti popoli, attratto tanti giovani e sia molto amato, sia stato un uomo più vicino agli oppressori che agli oppressi.
Non possiamo impedire alla Chiesa Cattolica di scegliersi i suoi santi ma di fronte alla canonizzazione di Giovanni Paolo II, che avverrà il prossimo 27 aprile, (tre giorni prima del 37° anniversario della prima riunione delle Madri di Plaza de Mayo), per mano di Papa Francesco, l’argentino Jorge Bergoglio, pontefice che secondo molti starebbe cambiando la Chiesa, ritengo giusto non tacere sulle contraddizioni di Wojtyla.

 

Donatella Quattrone