IL CASO
Il 14 febbraio 2012, Ali Mohammed Baqir al-Nimr, 17 anni, viene arrestato e condotto presso la Direzione generale delle indagini (Gdi) del carcere di Dammam. Non può vedere il suo avvocato e, secondo quanto riferisce, viene torturato da ufficiali della Gdi affinché firmi una “confessione”.
Resta detenuto nel centro di riabilitazione giovanile Dar al-Mulahaza per un anno e, a 18 anni, riportato nella Gdi di Damman.
Il 27 maggio 2014, il tribunale penale speciale di Gedda lo condanna a morte per reati che comprendono la “partecipazione a manifestazioni antigovernative”, attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di un mitra. Il tribunale si sarebbe basato sulla “confessione” estorta con la tortura e maltrattamenti e su cui si è rifiutato di indagare.
Ad agosto 2015 il caso viene inviato al ministro dell’Interno per dare attuazione alla sentenza.
A settembre la famiglia diffonde la notizia appresa: i giudici di appello presso la Corte penale speciale (Scc) e della Corte suprema confermano la sentenza.
Ali al-Nimr è un attivista scita e nipote dell’eminente religioso sciita Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, di al-Awamiyya in Qatif, nella zona orientale dell’Arabia Saudita, condannato a morte dal tribunale penale speciale il 15 ottobre 2014.
LA PENA DI MORTE IN ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
Violando la Convenzione sui diritti dell’infanzia e il diritto internazionale, ha messo a morte persone per reati commessi quando erano minorenni.
Spesso i processi per reati capitali sono tenuti in segreto e sono sommari e iniqui, senza l’assistenza e la rappresentanza legale durante le varie fasi della detenzione e del processo. Gli imputati possono essere condannati sulla base di confessioni estorte con torture e maltrattamenti, coercizione e raggiri.
Le tensioni tra la comunità sciita e le autorità saudite sono cresciute dal 2011, quando sono cresciute le manifestazioni contro gli arresti e le vessazioni di sciiti che svolgevano preghiere collettive e violavano il divieto di costruire moschee sciite.
Le autorità saudite hanno risposto con la repressione di chi era sospettato di partecipare o sostenere o esprimere opinioni critiche verso lo stato. I manifestanti sono stati trattenuti senza accusa e in isolamento per giorni o settimane e sono stati segnalati maltrattamenti e torture.
Dal 2011, quasi 20 persone collegate alle proteste sono state uccise e centinaia incarcerate.