Genocidio Ruanda, Chiesa Cattolica: “Chiediamo scusa per tutti gli errori commessi”

Genocidio Ruanda, Chiesa Cattolica: “Chiediamo scusa per tutti gli errori commessi”
 
La Chiesa Cattolica del Ruanda chiede pubblicamente scusa per il ruolo svolto nel genocidio del 1994, dove quasi un milione di persone vennero brutalmente uccise. “Chiediamo scusa per tutti gli errori commessi. Siamo costernati dal fatto che appartenenti alla chiesa abbiano violato il proprio giuramento con Dio”, recita un comunicato dei vescovi ruandesi.Nel documento si ammette che elementi della chiesa hanno pianificato, aiutato e posto in essere il genocidio, nel quale oltre 800.000 persone di etnia Tutsi e alcuni moderati Hutu vennero massacrati dagli estremisti Hutu. Molte delle vittime vennero uccise nelle chiese dove avevano trovato rifugio, con la complicità di alcuni preti. Come Athanase Seromba, presbitero della chiesa cattolica, condannato all’ergastolo dal Tribunale Criminale Internazionale per il Ruanda.

Secondo quanto riportano le testimonianze, fra 6 aprile e il 20 aprile 1994, Seromba fece abbattere a colpi d’artiglieria la propria chiesa al fine di uccidere circa 2000 Tutsi che visi erano rifugiati attirati dallo stesso sacerdote. Poi, partecipò attivamente anche al successivo massacro dei pochi superstiti. Per sfuggire alla giustizia, Seromba fuggì prima nella Repubblica Democratica del Congo, poi in Toscana sotto falso nome. In Italia, fu accolto nella  parrocchia dell’Immacolata e S. Martino in Montugni di Firenze. Solo nel 2002 si consegnò alla giustizia internazionale che nel 2008 lo condannò all’ergastolo.

Fonte:

SIRIA, OMRAN E’ IL VOLTO DELL’IDIGNAZIONE A RATE DELL’OPINIONE PUBBLICA

Siria, Omran è il volto dell’indignazione a rate dell’opinione pubblica

 

di Shady Hamadi | 18 agosto 2016

 

Omran si tocca il viso, incredulo. Ha cinque anni e forse non ha capito cosa è successo. E’ stato estratto dalle macerie di casa sua, ad Aleppo, distrutta da un ennesimo bombardamento aereo russo, uno di quei bombardamenti che qui, in Europa, in Italia, non vogliamo vedere, né condannare. Aleppo, la Siria intera, è il metro della schizofrenia occidentale: non si vede altro che l’Isis, si invoca il rispetto dei diritti umani ma si sta silenti su tutto. Si ha paura, qui, in Europa, di condannare i bombardamenti aerei che mietono più vittime del fondamentalismo; che distruggono ospedali, infrastrutture e… vite. Si ha paura – perché non bisogna schierarsi sui giornali o si perde di oggettività – di condannare i russi, il governo siriano per crimini contro l’umanità.

Con il suo sguardo incredulo, spaesato, che riassume l’abbandono e l’incomprensione che assediano i siriani, schiacciati da un regime brutale e da un fondamentalismo che si nutre di questa repressione, Omran è il simbolo dell’impunità: chiunque tu sia, puoi bombardare ospedali, usare le armi chimiche, fare fosse comuni e compiere pulizia confessionale o etnica ma sei consapevole che nessuno ti punirà, non verrai chiamato in giudizio da nessun tribunale. La Siria è diventata, suo malgrado, il simbolo del fallimento del mondo. “L’umanità – dichiarava in una conversazione telefonica Assad Younes, un giovane aleppino che ho intervistato settimana scorsa – è finita ad Aleppo”.

In ordine di tempo, Omran è l’ultimo bambino che risveglia l’indignazione a rate dell’opinione pubblica. Era cominciato tutto con Hamza ali Al Khateeb, torturato, evirato e infine ucciso nel maggio 2011. La Clinton e altri leader, che oggi hanno fatto un cambio di rotta clamoroso sulla Siria, dichiararono che “Assad doveva andarsene”. Poi, venne la strage di bambini di Houla, tagliati a pezzi dalle milizie fedeli al governo siriano. E ancora, Houda, la bambina che alzava le mani al cielo scambiando la macchina fotografica per un’arma; Aylan, il bambino morto fotografato su una spiaggia che cambiò, per un momento, le politiche dell’accoglienza per i siriani.

Ora è il turno di Omran, e ci chiediamo se questo bambino, il suo sguardo, può destare l’attenzione sul dramma di Aleppo, facendo sì che venga alla luce l’enorme tragedia che sta avvenendo in Siria, una tragedia che viene coperta dal clamore dell’Isis, dai curdi – diventati nuovi eroi per una sinistra, anche italiana, incapace di guardare al Medioriente nella sua complessità.

Ma Omran è anche il simbolo di un giornalismo che cerca il sensazionalismo per parlare di un tema: c’è bisogno di un fatto clamoroso, come la foto di un bambino sopravvissuto alla morte, per riaccendere i riflettori su una catastrofe che dovrebbe essere raccontata ogni giorno perché è il centro di tante questioni che toccano le nostre società. Sui giornali, dovremmo parlare continuamente della Siria, quella oltre il fondamentalismo e il regime, perché ha pagato mezzo milione di morti e undici milioni di sfollati esterni e interni. Dovremmo far sì che la voce dei siriani, quelli a Aleppo o Idlib, emerga nel marasma di cose dette su di loro ma senza di loro.

Ma, consapevole che così non sarà e che lo sguardo di Omran, il suo destino, è destinato a spegnersi nei prossimi giorni, sotto un mare di indifferenza e di disimpegno generale, ci rivediamo alla prossima notizia clamorosa: al prossimo bambino siriano che susciterà l’indignazione part-time di qualcuno.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/18/siria-omran-e-il-volto-dellindignazione-a-rate-dellopinione-pubblica/2981515/

Come Vittorio Arrigoni da Gaza ricordava la dichiarazione di Balfour

2 novembre 1917 2 novembre 2010: Balfour a Gaza
11/11/2010
Il mio pezzo di ieri per Infopal.it:

Il 2 novembre del 1917 sir Arthur James Balfour con la sua dichiarazione di adesione al progetto sionista di occupazione e colonizzazione della Palestina, dava il via ad un secolo di pulizia etnica dei palestinesi.

 

Per commemorare questo infausto giorno, che a distanza di 93 anni continua a ripercuotersi in epidemia di distruzione, di privazione di diritti e terra, di incarcerazione di esistenze e intere città,per ribellarci all’idea di come un potenza occupante abbia potuto avallare una catastrofe tale,muniti solo delle nostre bandiere e di un megafono martedì scorso siamo andati con alcuni volontari di Beit Hanoun a manifestare dinnanzi ai cecchini di Erez:

Così Saber alZanin, coordinatore dei volontari di Local Initiative:

Siamo qui oggi dinnanzi al confine Nord della Striscia di Gaza a protestare contro la creazione della “buffer zone”, tramite la quale Israele ci ha sottratto di fatto il 35 % delle terre coltivabili. Oggi è il 2 novembre 2010, nello stesso giorno 93 anni fa il governo britannico dette via libero al progetto sionista per la creazione di uno stato ebraico in Palestina. Qui nella terra dei nostri nonni, la terra degli ulivi, è passato di generazione in generazione il messaggio di respingere con tutte le nostre forze la promessa fatta dal Regno Unito ai sionisti,  tramite quella disgustosa dichiarazione di da Arthur Balfour. Dopo 93 anni la nostra generazione sta ancora aspettando che giustizia sia fatta e che i diritti sottratti ai nostri nonni ci siano restituiti. A dispetto di tutti i paesi che cospirano con Israele contro di noi, che ne sono complici,  la nostra resistenza è ancora attiva e i nostri diritti radicati su quella terra che ci è stata rubata. Ringraziamo tutti coloro, dal di fuori dalla Palestina ci sostengono, la solidarietà internazionale che in questi mesi si è dimostrata attiva con i convogli, le flotte di navi e qualsiasi dimostrazione in nostro favore in Europa e negli Stati Uniti. Apprezziamo e siamo fieri dei cittadini inglesi che solidarizzano con la nostra causa ma vogliamo ricordare loro che il loro governo, passato e presente, e’ una delle principali cause della nostra miseria. Quindi prima di arrivare a Gaza invitiamo gli attivisti inglesi  a ribellarsi al loro governo ancora oggi complice dei sionisti d’Israele”.

Un messaggio, quello di Saber, colto in pieno da Adie Mormech , compagno di Manchester dell’International Solidarity Movement. Adie ritiene che la gente del suo Paese ha il dovere di riparare ai torti del coinvolgimento britannico alla pulizia etnica della Palestina:

Il ruolo del governo britannico come sostenitore d’Israele e’ molto simile a come la Gran Bretagna ha contribuito al sistema dell’apartheid in Sud Africa. Fortunatamente molti cittadini britannici si sono mobilitati contro il regime dell’apartheid, appoggiando il boicottaggio al governo razzista sudafricano fino alla sua estinzione. Oggi in Gran Bretagna e in tutto il mondo il movimento di boicottaggio, disinvestimento e di sanzioni verso Israele cresce progressivamente mentre la comunità internazionale continua a permettere a Israele  di mantenere Gaza sottoposta ad una sorta di assedio medievale, la Cisgiordania e Gerusalemme occupate e i palestinesi sotto persistente regime di e discriminazione e pulizia etnica. Come è avvenuto per il Sud Africa, sta alle persone di coscienza in tutto il mondo unirsi al movimento fino a quando Israele non rispetterà il diritto internazionale e permettera’ ai palestinesi gli stessi diritti umani di qualsiasi altro popolo“.

Allontanandoci da Erez abbiamo sentito poco distante da noi i rumori sordi di spari provenienti dalle torrette di sorveglianza al confine: alla fine della giornata si conteranno 2 civili gambizzati dai cecchini israeliani.

Il giorno dopo, una sottaciuta nuova dichiarazione di Balfour veniva firmata, questa volta non dai britannici  bensi’ da Obama, col sangue palestinese.

Una nave da guerra statunitense al largo del mediterraneo lanciava un missile teleguidato verso il centro di Gaza city e uccideva il miliziano Muhamad Jamal Nimnim, di 27 anni.

Il primo assassinio “mirato” targato USA nella Striscia di Gaza.

Restiamo Umani,
Vittorio Arrigoni da Gaza city

 

 

 

Fonte:

 

http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?y=2010&m=11

GRECIA-ISRAELE: ACCORDI MILITARI SENZA PRECEDENTI

Ali Abunimah

da A l’encontre

L’esercito greco e quello italiano si addestreranno presto in Israele.

È l’ultimo segnale dell’approfondirsi dell’alleanza militare costruita da Israele e dal governo greco, sotto la guida del partito di sinistra Syriza.

Il mese scorso alcuni piloti elicotteristi israeliani hanno effettuato esercitazioni di combattimento senza precedenti, della durata di 11 giorni, in Grecia, nei paraggi dell’Olimpo.[1]

Nel maggio[2] e poi nel luglio 2015, il governo diretto da Syriza ha addirittura firmato un accordo militare con Israele che non ha uguali se non quello, analogo, che esiste tra Israele e gli Stati Uniti, garantendo immunità legali per tutti i militari indistintamente nel corso dell’addestramento in un altro territorio.[3]

L’accordo militare è stato sottoscritto a nome del governo da Panagiotis Kammenos, il ministro della Difesa, membro dei Greci indipendenti (ANEL), junior partner del governo di coalizione. Non vi è dubbio, tuttavia, che Syriza dia il suo appoggio: in luglio [6 luglio], Nikos Kotzias, il ministro degli Esteri nominato da Syriza,[4] si è recato a Gerusalemme per discussioni al vertice con il Primo ministro israeliano Benyamin Netanyahou per «rafforzare i legami bilaterali tra i due paesi».

Subito quest’anno aerei da guerra israeliani hanno effettuato missioni di addestramento intensive in Grecia, un’esperienza che verrà certamente utilizzata per attaccare la Striscia di Gaza nelle future aggressioni militari israeliane.

 

Elicotteri israeliani in Grecia

 

Stando a un comunicato stampa delle forze aeree israeliane, «la collaborazione greco-israeliana si va estendendo negli ultimi anni e, alla luce dei successi al momento dei recenti dispiegamenti, scambievoli voli probabilmente continueranno nel 2016».

Il comandante della base aerea di Larissa, che era la base degli elicotteri israeliani durante le esercitazioni, cita la dichiarazione del colonnello Dormitis Stephazanki: «Comprendiamo la grande rilevanza di un’attività congiunta con lo Stato di Israele, che contribuisce alla sicurezza di entrambi i paesi. Nel corso degli ultimi giorni, abbiamo lavorato insieme in modo speciale. Il linguaggio comune, l’amicizia profonda e le cose che abbiamo imparato insieme hanno contribuito a migliorare la collaborazione tra le rispettive forze».

Dormitis ha detto di essere convinto che l’addestramento in Grecia aveva migliorato «l’atteggiamento [degli israeliani] nell’assumersi l’incarico dei voli ogni volta che è necessario».

«Abbiamo sorvolato zone montuose che in Israele non esistono e abbiamo sperimentato voli a lunga distanza partendo da basi aeree israeliane verso la Grecia», ha dichiarato il luogotenente colonnello Matan, comandante di una squadra di elicotteri Apache, fabbricati negli Stati Uniti (l’esercito israeliano fornisce solo i cognomi, forse per proteggere il personale da possibili accuse per crimini di guerra).

Gli Apache – battezzati con il nome delle popolazioni di amerindi che sono state bersaglio dell’espansione coloniale genocida in America settentrionalesono stati utilizzati ampiamente da Israele per effettuare esecuzioni estragiudiziali di palestinesi. È l’apparecchio usato nei massacri di civili a Gaza lo scorso anno.

Il colonnello Y, comandante di un’unità israeliana di ricognizione, ha descritto la partecipazione di Israele all’esercitazione come «storica», soggiungendo che «era la prima volta che gli aerei che raccolgono informazioni hanno lavorato con apparecchi stranieri su un terreno sconosciuto e complesso».

 

Appoggiare i crimini di guerra?

 

Secondo il Jerusalem Post, i piloti greci di elicotteri si addestreranno in Israele nel corso dei prossimi mesi. Il giornale riferisce che aerei da combattimento greci «parteciperanno all’esercitazione multinazionale Blue Flag che si svolgerà nei cieli sopra il Sud di Israele». In giugno, un reportage di Haaretz ha rivelato che le forze aeree italiane, greche e statunitensi parteciperanno a quell’esercitazione.

La collaborazione militare tra Israele, l’Italia e la Grecia prosegue nonostante il fatto che un’indagine indipendente pubblicata di recente, per ordine del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, abbia scoperto massicce prove di crimini di guerra commessi da Israele al momento del suo attacco a Gaza durante l’estate scorsa, che ha ucciso oltre 2.200 palestinesi

Il mese scorso, Amnesty International ha pubblicato una sua indagine sull’aggressione israeliana contro la città di Rafah, a Sud della Striscia di Gaza. Anche qui, l’indagine ha concluso che centinaia di civili sono stati uccisi nel corso dei gravi crimini di guerra compiuti da Israele.

Amnesty ha scoperto che «alcune dichiarazioni pubbliche di comandanti dell’esercito israeliano e di soldati successive al conflitto forniscono ragioni imperiose per ricavare la conclusione che certi attacchi che hanno ucciso civili e distrutto case e proprietà sono stati effettuati e motivati per desiderio di vendetta – per dare una lezione o punire la popolazione di Rafah».

Inam Ouda Ayed bin Hammad, citato nel Rapporto di Amnesty, rievoca i cannoneggiamenti a tappeto e i bombardamenti che ci sono stati vicino alla sua casa nel quartiere al-Tannur di Rafah: «nel momento in cui sono uscito da casa, un Apache ha preso a spararci addosso».

Magari quegli stessi Apache e quegli stessi piloti hanno condiviso in Grecia occasioni cameratesche.

I Rapporti dell’ONU e di Amnesty hanno lanciato l’appello perché si facciano finalmente i conti con i crimini di guerra perpetrati a Gaza e nella Cisgiordania occupata. Viceversa, i governi di sinistra greco e italiano, come pure, ovviamente, l’amministrazione Barak Obama degli Stati Uniti, si limitano ad offrire la loro complicità e le loro ricompense unicamente ad Israele.

 

(Traduzione in francese di A l’Encontre; l’articolo è uscito il 5 agosto 2015 sul sito Electronic Intifada. L’autore del presente articolo, cofondatore del sito, ha pubblicato di recente The Battle for Justice in Palestine, Editions Haymarket, marzo 2014. Risiede negli Stati Uniti. Probabilmente per questo considera « di sinistra » anche il governo Renzi). Della vicenda avevamo già parlato sul sito : Kouvelakis: Dalla vicenda di Syriza alcuni insegnamenti per il nostro avvenire.

(Traduzione dal francese di Titti Pierini)

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[1]Un comunicato pubblicato il 3 agosto, sul sito «Israeli Air Force» http://www.iaf.org.il/4424-45323-en/IAF.aspx, indicava come, per due settimane, una squadriglia di elicotteri dell’aeronautica dell’IDF (Israeli Defense Forces) ed elicotteri e caccia dell’esercito greco avessero condotto esercitazioni congiunte, partendo dalla base di Larissa. «Era uno dei principali e complessi dispiegamenti di forze fuori da Israele». L’accento era posto soltanto sull’interesse di acquisire esperienza in voli ad alta quota (per gli elicotteri), nonché sulla raccolta di informazioni.

Il 28 luglio 2015, Israël Actualités, settimanale on line, poneva in rilievo una delle principali dimensioni dell’accordo militare (cfr. anche nota 3), concernente le varie poste in gioco disputate nel Mediterraneo orientale rispetto alle riserve di gas, che interessano sia Israele sia la Grecia. «Durante l’esercitazione, i dirigenti hanno discusso in particolare di “sicurezza marittima, energetica e di collaborazione nell’industria militare”, stando al Rapporto del ministero greco. L’accordo stipula che la marina israeliana potrà d’ora in poi intervenire per neutralizzare qualsiasi attacco islamista contro gli interessi greci e dello Stato ebraico, in acque cipriote e del Mediterraneo orientale. Unità scelte di Tsahal potrebbero anche, all’occorrenza, dispiegarsi sulle piattaforme di estrazione di gas di Cipro o installarsi in basi militari greche». Ali Abunimah lascia da parte questo aspetto decisivo dell’accordo (Redazione À l’Encontre).

[2]Il 21 maggio 2015 Israpresse sottolineava come sarebbero proseguiti tra Israele e la Grecia gli accordi «riguardanti prevalentemente la politica, la difesa, l’energia, il turismo, la cultura e l’accademia». «Dei festeggiamenti intervengono a rafforzare i legami tra i due paesi, divenuti incerti dopo l’arrivo al potere di Alexis Tsipras nel gennaio 2015». Il 26 gennaio 2015, l’influente quotidiano Yedioth Aharonoth citava l’ex ambasciatore di Israele in Grecia, Arye Makel, che riprendeva le dichiarazioni di Alexis Tsipras dell’agosto 2014 al momento dell’operazione militare “Protezione dei confini”, il quale «accusava lo Stato ebraico di assassinare bambini palestinesi». Dopo di allora i rapporti militari, tra gli altri, si sono consolidati, ma hanno segnato un nuovo corso. (Redazione À l’Encontre).

[3]Il 19 luglio 2015, così Israpresse presentava l’accordo: «Il capo dell’apparato della difesa israeliana e il ministro greco della Difesa nazionale hanno concluso un Accordo sullo statuto delle forze militari (Status of the force agreement, o SOFA), vale a dire una reciproca intesa giuridica che consente all’Esercito di Israele di stanziare truppe in Grecia e viceversa. Si tratta del primo SOFA che Israele conclude con un paese alleato, oltre agli Stati Uniti.

Il ministro israeliano ha espresso la propria gratitudine nei confronti del suo omologo per la sua visita in Israele, nonostante la difficile situazione del proprio paese, esprimendo la sua speranza di vedere la Grecia superare le grandi sfide che l’attendono. «Apprezziamo molto la collaborazione sicuritaria che si traduce nell’addestramento di nostri soldati e ufficiali in territorio greco. I nostri Stati condividono interessi comuni, dovendo affrontare le conseguenze dell’accordo sottoscritto la scorsa settimana tra le grandi potenze e l’Iran», ha dichiarato Ya’alon.

Da parte sua, il ministro greco ha affermato: «Il popolo greco è molto vicino a quello di Israele. Per quanto riguarda la nostra collaborazione militare, i rapporti sono eccellenti e continueremo a mantenerli e proseguiremo le esercitazioni comuni». Kammenos ha soggiunto: «Il terrorismo e la jihad non colpiscono solo il Medio oriente, ma anche i Balcani e l’Europa. È la guerra. Eravamo molto vicini anche a Israele per tutto ciò che concerne il progetto missilistico iraniano. Ci troviamo a portata di quei missili. Se un missile iraniano si dirige verso il Mediterraneo, questo può voler dire la fine di tutti i paesi dell’area» (Redazione A l’Encontre).

[4] Nikos Kotzias era il consigliere del Primo ministro greco Georgios Papandreou. Dopo la sua nomina agli Esteri, il 27 gennaio 2015, The Times of Israel (28 gennaio 2015) riferiva l’opinione di Emmanuel Karagiannis, greco d’origine, docente presso il King’s College di Londra, dove occupa la cattedra degli Studi militari: «Kotzias è un politico alquanto pragmatico, per cui non mi aspetto un peggioramento dei rapporti bilaterali. Kotzias considera la Turchia la principale potenza competitiva, in termini geopolitici nel Mediterraneo orientale. Credo quindi che il partenariato Grecia-Israele sopravvivrà a questo cambiamento politico [governo Tsipras]» (Redazione A l’encontre).

 

Tratto da: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2328:grecia-israele-accordi-militari-senza-precedenti&catid=7:medio-oriente-e-mondo-arabo-islamico&Itemid=17

SIRIA. SOFFOCATI DA GAS VELENOSO A JOBAR, DAMASCO

A quindici giorni dal secondo anniversario dal massacro chimico di Al Ghouta (per info qui alcuni articoli tratti dal blog di Asmae Dachan: https://diariodisiria.wordpress.com/2013/08/22/dallaltra-parte-del-mare-il-giorno-delle-stragi-alla-periferia-di-damasco/ ;  https://diariodisiria.wordpress.com/2013/11/10/al-ghouta-tre-mesi-dopo-lattacco-chimico/ ; http://diariodisiria.wordpress.com/2014/03/24/al-ghouta-oltre-le-armi-chimiche-resta-lassedio/ ; http://diariodisiria.wordpress.com/2014/05/20/siria-9-mesi-dopo-lattacco-chimico-nascono-bimbi-malformati-immagini-shock/ ; https://diariodisiria.wordpress.com/2014/08/17/1-anniversario-dellattacco-chimico-su-al-ghouta-mobilitazione-internazionale/ ) si registra l’ennesimo attacco chimico da parte del regime siriano.
Qui la notizia:

# Damasco, 06-08-2015: Forze del regime all’inizio di questa sera hanno di nuovo usato gas velenosi, che si ritiene essere gas cloro, a Damasco nel quartiere Jobar vicino Abbasid Square, portando al verificarsi di un numero di casi di asfissia. Uno dei residenti colpiti è stato visto nel settore ospedaliero della zona.”

Qui l’originale:

 

#‎Damascus‬, 06-08-2015: Regime forces earlier this evening again used poison gas, believed to be chlorine gas, in Damascus’ Jobar neighbourhood near Abbasid Square, leading to the occurrence of a number of cases of asphyxiation. One of the residents affected is seen in the area’s field hospital.

From: S.N.N.

GAZA. MARGINE PROTETTIVO UCCIDE ANCORA. 4 MORTI A RAFAH

06 ago 2015

Ordigno inesploso rimasto tra le macerie di una casa è saltato in aria uccidendo quattro membri della famiglia Abu Naqira. Trenta i feriti, 10 in condizioni gravi. Sarebbero 7mila le bombe inesplose ancora nella Striscia.

Raid su Gaza durante l'offensiva Margine Protettivo

dalla redazione

Gerusalemme, 6 agosto 2015, Nena News – A quasi un anno dalla fine della più brutale operazione militare israeliana contro Gaza, Margine Protettivo, nella Striscia si muore ancora: stamattina un ordigno inesploso è saltato in aria tra le macerie di una casa distrutta a Rafah, nel sud di Gaza.

Almeno quattro le vittime, tutte appartenenti alla stessa famiglia, tutti tra i 18 e i 38 anni: Bakr Hasan Abu Naqira, Abdul-Rahman Abu Naqira, Ahmad Hasan Abu Naqira e Hassan Ahmad Abu Naqira. Trenta i feriti. Secondo i medici che hanno accolto i feriti all’ospedale di Rafah, il bilancio potrebbe salire: dieci dei trenta feriti sono in gravissime condizioni. La bomba è esplosa mentre la famiglia stava ripulendo le rovine della propria casa. L’esplosione ha provocato danni anche alle abitazioni vicine.

Secondo l’agenzia Onu Ocha, sarebbero oltre 7mila gli ordigni israeliani inesplosi ancora presenti tra le macerie di una Gaza mai ricostruita. Tra le case, per le strade rase al suolo. Bombe a orologeria, perché molti gazawi vivono proprio tra quelle macerie, negli scheletri delle proprie case in attesa che entrino gli aiuti per la ricostruzione, bloccati sia da Israele che dall’assenza di pressioni e finanziamenti internazionali.

La storia si ripete: anche nelle precedenti operazioni, Piombo Fuso del 2008-2009 e Colonna di Difesa del 2012, dopo il cessate il fuoco si continuava a morire in questo modo: 111 i morti (di cui 64 bambini) per bombe inesplose tra il 2009 e il 2012, quattro al mese nel solo 2012. Nena News

 

Fonte:

http://nena-news.it/gaza-margine-protettivo-uccide-ancora-4-morti-a-rafah/

L’ignavia colpevole del mondo ha spento i riflettori sul Darfur

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WAR DARFUR

Quando il Segretario di Stato americano Colin Powell nell’agosto del 2004, tornando da una missione in Sudan, definì per la prima volta ciò che stava avvenendo in Darfur come “il primo genocidio del 21esimo secolo” si accesero all’istante i riflettori sul conflitto che dal febbraio del 2003 stava dilaniando la regione occidentale sudanese.

La presa di posizione statunitense apparve come il banco di prova per la comunità internazionale di essere in grado di fermare, compattamente, le atrocità di massa. Ma ben presto emerse l’ineluttabilità del fallimento dell’azione contro il regime del presidente Omar Hassan al-Bashir, ex generale giunto al potere nall’89 grazie a un colpo di stato.

Oggi, 11 anni dopo il viaggio di Powell, quei riflettori sono spenti e l’attenzione mediatica sul dramma del Darfur è finita da tempo. Non sono però finiti i massacri che in questo caldo agosto, alternato a piogge devastanti, in tutto il Darfur stanno stremando un popolo provato da anni di soprusi e di ogni genere di violazioni dei diritti umani.

Tutto ciò a fronte del dispiegamento nella regione di una forza di pace delle Nazioni Unite, composta da oltre 20mila cachi blu, che si è rivelata sin dal primo momento costosa e inefficace. Per non parlare della beffa di un presidente in carica, considerato dalla Corte penale dell’Aja un criminale di guerra e genocida, in grado di viaggiare con relativa libertà in Africa, come dimostra il recente viaggio in Sudafrica, e non solo nonostante un mandato di arresto internazionale.

E intanto in Darfur si continua a vivere nella paura e nella miseria. Gran parte della popolazione ormai è in condizioni al limite della sopravvivenza. A 12 anni dall’inizio del conflitto le stime Onu parlano di oltre 300mila vittime e di circa 6 milioni di persone bisognose di aiuti di ogni genere, di cui oltre il 30% ospitate nei campi gestiti dall’agenzia Ocha’ (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs). Nel primo semestre del 2015 ben 385mila sono stati i nuovi profughi a causa della recrudescenza del conflitto in molte aree della regione, che ha registrato il flusso di sfollati più consistente dal 2006 a oggi.

Dall’inizio dell’anno le possibilità di assistenza delle centinaia di migliaia di nuovi rifugiati, per lo più donne e bambini, e a rischio in tutto il Darfur. Le minacce sono sempre le stesse: insufficiente disponibilità d’acqua e di cibo, condizioni igienico-sanitarie e sicurezza inadeguate. La mortalità continua a essere molto alta. In pochi superano i 50 anni mentre tra i bambini molti non raggiungono il sesto anno di vita. Malnutrizione e infezioni le principali cause di morte per i più piccoli. Il settore sanità è quello che registra la maggiore criticità ed è considerato addirittura cronico dagli operatori umanitari sul campo che continuano a operare in un contesto difficile come testimoniano le continue espulsioni.
La protezione della missione di peacekeeping è del tutto insufficiente. Continuano a registrarsi scontri armati che coinvolgono i civili soprattutto nel Nord Darfur ed episodi di crimini di massa, in particolare stupri, usati come arma di guerra.

Il 2 novembre del 2014, su segnalazione di alcuni rifugiati sudanesi in Italia, Italians for Darfur è stata la prima organizzazione a denunciare sul proprio blog lo stupro di massa a Tabit, un villaggio a nord di al-Fasher. Oltre 200 tra donne, adolescenti e bambine erano state violentate nella notte tra giovedì 30 ottobre e il primo novembre da militari governativi e milizie arabe, gli ex janjaweed.

Secondo i testimoni, il raid punitivo sarebbe stato conseguenza della scomparsa di un militare della guarnigione dell’esercito del Sudan di pattuglia nell’area. La forza Onu dispiegata in Darfur non ha potuto effettuare nell’immediato un sopralluogo e confermare, in un primo momento, l’episodio. Dopo aver parlato nuovamente con abitanti del posto, senza la presenza di militari governativi, i caschi blu hanno invece raccolto elementi che non hanno più lasciato dubbi su quanto fosse avvenuto a Tabit.

Human Rights Watch ha poi pubblicato l’11 febbraio di quest’anno una approfondita ricerca che ha evidenziato le responsabilità delle truppe dell’esercito del Sudan che avevano eseguito una serie di attacchi contro la popolazione civile della cittadina vicino al-Fasher, arbitrarie detenzioni, pestaggi e maltrattamenti di decine di persone oltre allo stupro di massa di donne e ragazze. I militari hanno giustificato gli abusi dichiarando che le vittime fornivano aiuti ai guerriglieri coinvolti nelle operazioni contro il governo.

Il mondo, nonostante le prove di questa come di altre atrocità perpetrate in Darfur, è rimasto e resta a guardare nel silenzio più colpevole e sconcertante che l’ignavia internazionale abbia mai manifestato.

Fonte:

http://www.huffingtonpost.it/antonella-napoli/lignavia-colpevole-del-mondo-ha-spento-i-riflettori-sul-darfur_b_7935888.html

L’ipocrisia di Israele tra pinkwashing e violenza sionista

La pietà non è selettiva. E’ un concetto che non mi stancherò mai di ripetere. Ma per molta parte del mondo ci sono vittime più importanti di altre. Ho appena letto la triste notizia della morte di una ragazza di 17 anni, Shira Banki, accoltellata al Gay Pride di Gerusalemme da un fanatico appena uscito di prigione per un’aggressione simile. Il premier israeliano, Netanyahu, ha espresso il suo “cordoglio” per questo assassinio parlando dei diritti di ogni persona e dei valori fondamentali della società israeliana ( fonte: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Israele-morta-la-ragazza-pugnalata-al-Gay-Pride-Shira-Banki-7e947b94-8c7b-4992-a750-6d1b4b5fe1ef.html)

Lo stesso Netanyahu ha condannato come atto terroristico l’attacco da parte di coloni israeliani che ha causato la morte di un bimbo palestinese di soli 18 mesi, Ali Dawabsha, bruciato vivo dopo il lancio di bottiglie molotov ( fonte: http://nena-news.it/bimbo-palestinese-muore-in-casa-bruciata-da-coloni-israeliani/ ).

Ali Dawabsha, 18 mesi. Foto da Twitter

 Siamo al trionfo dell’ipocrisia! Un stato che occupa illegalmente un altro territorio, rubando terra, risorse e massacrando il popolo palestinese, tenta di nascondere i suoi crimini sotto il sottile velo del pinkwashing. Shira Banki non è solo una vittima di omofobia ma è una delle tante persone la cui immagine è sfruttata dal loro stesso stato che finge di riconoscere loro i diritti umani che continuamente calpesta.
Il piccolo Ali sarebbe per Netanyahu vittima di un attacco terroristico. E tutti gli altri palestinesi uccisi continuamente dai soldati israeliani ( gli ultimi due nella stessa giornata in cui è stato ucciso Ali: leggi qui http://www.infopal.it/ramallah-adolescente-ucciso-da-soldati-israeliani/ e qui http://www.infopal.it/giovane-palestinese-ucciso-dalle-forze-israeliane-nella-striscia-di-gaza/) solo perchè palestinesi? Non sono crimini anche questi? E all’omicidio di Mohammed Abu Khdeir, anch’egli bruciato vivo da  coloni israeliani nel luglio dell’anno scorso (fonte: http://nena-news.it/palestina-omicidio-abu-khdeir-fermati-sei-estremisti-israeliani/), perchè Netanyahu non ha parlato di terrorismo? Forse perchè era troppo impegnato a preparare l’ennesima operazione militare, l’Operazione Bordo Protettivo, durante la quale (con la scusa di difendersi dal “terrorismo” palestinese) sono stati uccisi più di 2000 palestinesi.
Questi sono solo alcuni esempi che si possono fare sull’ipocrisia di quella che è chiamata “l’unica democrazia in Medioriente”.
D. Q.

A proposito di giornata della memoria

La memoria dimenticata: l’olocausto di rom e sinti.

http://frontierenews.it/2012/01/la-memoria-dimenticata-lolocausto-di-rom-e-sinti/

 

 

Gli omosessuali durante il nazifascismo:

http://it.peacereporter.net/articolo/876/Il+triangolo+rosa


File:Pink triangle.svg

Dal blog di Vittorio Arrigoni:


Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele. (Primo Levi)
27/01/2011


“Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele.”
(Primo Levi)

“Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre  fu sempre: siamo tutti vittime dell’Olocausto”. (Norman G. Finkelstein, Introduzione a “L’industria dell’Olocausto”)

«Mia nonna fu uccisa da un soldato tedesco mentre era a letto malata. Mia nonna non è morta per fornire ai soldati israeliani la scusa storica per ammazzare le nonne palestinesi a Gaza. L’attuale governo israeliano sfrutta cinicamente e senza limiti il senso di colpa dei gentili per l’olocausto onde giustificare i suoi omicidii in Palestina».

(Sir Gerald Kaufman, membro del Parlamento britannico)

 

Giornata dell’amnesia
27/01/2011
Si consiglia a chi è di debole di memoria una cura al fosforo,
ma soffrono più di amnesia circa l’olocausto a Gaza o dalle parti di Tel Aviv?
La cura di fosforo bianco israeliano somministrato ai civili di Gaza due anni fa.

Fonte:

 

6 anni fa Piombo Fuso

6 anni fa, il 27 dicembre 2008, iniziò l’operazione militare israeliana su Gaza denominata Piombo Fuso. L’attivista italiano dell’ISM Vittorio Arrigoni, che si trovava a Gaza, ha raccontato l’orrore di quei giorni sulle pagine del quotidiano il manifesto e nel suo blog http://guerrillaradio.iobloggo.com/ Questo racconto è diventato poi anche un libro, Gaza. Restiamo umani e, dopo l’omicidio di Vik un film.
Dopo la morte di Vittorio la madre Egidia Beretta e la sorella Alessandra hanno cercato di riportare in vita il blog Guerrilla Radio. Non riuscendoci qualche giorno fa hanno lasciato un invito a rileggere gli articoli di Vik che parlano dei territori occupati della Palestina. In occasione di questa tristissima ricorrenza riporto il suo primo articolo su Piombo Fuso perchè le parole e la testimonianza di Vittorio sono sempre vive.

Di Vittorio Arrigoni da http://guerrillaradio.iobloggo.com/:

Buon natale e felice anno nuovo a Gaza da Israele
27/12/2008
Un messaggio cordiale di fine anno a tg1 tg2 rete 4 canale 5 italia uno, Claudio Pagliara su tutti,
ma anche il tg3:
ANDATE A FARE IN CULO.
 
Siamo sotto le bombe a Gaza,
e molte sono cadute a poche centinaia di metri da casa mia.
 
E amici miei,
ci sono rimasti sotto.
 
Siamo a 160 morti sinora,
una strage senza precedenti.
 
Terroristi?
Hanno spianato il porto , dinnanzi a casa mia
e raso al suolo le centrali di polizia.
 
Mi riferiscono che i media italiani tutti in toto danno per buono il comunicato militare israeliano di base terroristiche bombardate.
Cazzate.
Li ho conosciuto, questi ragazzi,
li ho salutati tutti i giorni recandomi al porto per pescare coi pescatori palestinesi, o la sera per recarmi nei caffè del centro.
Diversi li conoscevo per nome. Un nome, una storia, una famiglia.
 
Sono giovani, diciotto ventanni,
per lo più che se ne fottono di Fatah e Hamas,
che si sono arruolati nella polizia per poter aver assicurato un lavoro in una Gaza che sotto assedio ha l’80 perce tno di popolazione disoccupata.
 
Aprite le orecchie,
colletti bianchi della disinformazione occidentale.
Queste divise ammazzate oggi (senza contare le decine di civile che si trovavano a passare per caso, molti bambini stavano tornando a casa da scuola)
sono i nostri poliziotti di quartiere.
Se ne stavano tutti i giorni dell’anno a presidiare la stessa piazza,
la stessa strada,
li ho presi in giro solo ieri notte per come erano imbaccuccati per riparsi dal freddo,
dinnanzi a casa mia.
 
Non hanno mai sparato un colpo verso Israele,
ne mai lo avrebbero fatto, non è nella loro mansione.
Si occupano della sicurezza interna,
e qui al porto siamo ben distanti dai confini israeliani.
 
Ho una videocamera con me ma sono un pessimo cameraman,
perchè non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime.
Non ce la faccio.
Non riesco perchè sto piangendo anche io.
 
Ambulanze e sirene in ogni dove,
in cielo continuano a sfrecciaree i caccia israeliani con il loro carico di terrore e morte.
Devo  correre,
all’ospedale AL Shifa necessitano di sangue.
 
non sono umani,
credo che non lo siano mai stai.
 
V.
Fonte: