Iraq, iniziata la battaglia per Mosul. Timori per i civili

Bandiera Isis a Mosul – giugno 2014

17 ottobre 2016

Con l’inizio delle operazioni militari per riprendere la città irachena di Mosul dalle mani dello Stato islamico, Amnesty International ha chiesto che sia fatto ogni sforzo per proteggere i civili dalle conseguenze dei combattimenti e da possibili rappresaglie.

Domani, 18 ottobre, Amnesty International renderà noto un nuovo rapporto, intitolato “Uccisi per i crimini di Daesh: violazioni dei diritti umani contro gli sfollati iracheni ad opera delle milizie e delle forze governative”, nel quale documenta le gravi violazioni dei diritti umani – compresi crimini di guerra – commesse dalle milizie e dalle forze governative irachene contro i civili sfollati durante precedenti operazioni militari. Il rapporto evidenzia il rischio che violazioni del genere, persino su scala più ampia, possano aver luogo durante l’offensiva su Mosul.

“Le autorità irachene devono adottare misure concrete per evitare che si ripetano le gravi violazioni dei diritti umani commesse a Falluja e in altre parti dell’Iraq durante gli scontri tra le forze governative e lo Stato islamico” – ha dichiarato Philip Luther, del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

“Le istruzioni del primo ministro iracheno Haydar al-Abadi circa la ‘cautela’ e la ‘vigilanza’ da usare per proteggere i civili devono essere più che semplici parole. Le autorità irachene dovranno esercitare comando e controllo effettivi sulle milizie e assicurare che chi è stato implicato in passate violazioni dei diritti umani non prenda parte alle operazioni di Mosul. Tutte le parti in conflitto dovranno prendere ogni misura possibile per evitare vittime civili” – ha aggiunto Luther.

Le autorità irachene e curde che stanno coordinando le operazioni militari dovranno assicurare vie d’uscita sicure per i civili in fuga dai combattimenti.

“I civili in fuga dovranno anche essere protetti da attacchi per rappresaglia e ricevere riparo e assistenza umanitaria. Di fronte allo scenario che un milione di civili lasci Mosul e le zone limitrofe, la situazione potrebbe rapidamente trasformarsi in una catastrofe umanitaria. Lo Stato islamico dovrà lasciare i civili liberi di abbandonare la città, evitando di usarli come scudi umani” – ha concluso Luther.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/iraq-iniziata-la-battaglia-per-mosul-timori-per-i-civili

SIRIA: ATTACCO AL CONVOGLIO DI AIUTI DELLE NAZIONI UNITE

Siria: l'”orribile” attacco al convoglio di aiuti delle Nazioni Unite é una flagrante violazione del diritto internazionale

Urum al-Kubra – 20 settembre 2016 © OMAR HAJ KADOUR/AFP/Getty Images

 20 settembre 2016

L’attacco di lunedì sera a un convoglio di aiuti delle Nazioni Unite e della Mezzaluna Rossa siriana, destinati a 78.000 persone ad Aleppo, è una flagrante violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, ha dichiarato Amnesty International.

Testimoni in Siria hanno riferito all’organizzazione che il convoglio, insieme al magazzino della Mezzaluna Rossa siriana in cui erano stoccati gli aiuti, sono stati bombardati intensamente per due ore lunedì sera, aumentando il sospetto che le forze governative siriane abbiano deliberatamente preso di mira l’operazione di soccorso.

“Un prolungato attacco contro un convoglio umanitario e i suoi operatori, sufficientemente orribile in ogni circostanza, in questo caso avrà anche un impatto disastroso non solo per i civili disperati ai quali era destinata l’assistenza, ma per le operazioni umanitarie che salvano vite in tutta la Siria” ha dichiarato Philip Luther, direttore della ricerca e dell’advocacy per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

“Se il convoglio è stato – come sembra – deliberatamente attaccato, questo sarebbe un ulteriore crimine di guerra commesso dal governo siriano. Mostra come i civili in Siria stanno pagando con la loro vita cinque anni di totale impunità per i crimini di guerra sistematici e i crimini contro l’umanità. Fino a quando la comunità internazionale non si impegnerà seriamente nel portare i responsabili davanti alla giustizia, questi crimini spaventosi continueranno ogni giorno”.

Il capo delle operazioni umanitarie dell’Onu, Stephen O’Brien, aveva dichiarato in precedenza che il convoglio era in viaggio con tutti i permessi necessari e che a tutte le parti coinvolte nel conflitto era stato notificato il suo percorso.

Dopo l’attacco, l‘Onu ha annunciato una sospensione temporanea di tutti i convogli di aiuti in Siria.

Almeno 20 civili sono stati uccisi durante l’attacco, secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa.

I testimoni intervistati da Amnesty International hanno riferito che una serie di aeromobili, compresi elicotteri e aerei da combattimento di fabbricazione russa, hanno preso parte al bombardamento, nel comune di Urum al-Kubra nella zona ovest del governatorato di Aleppo. Ventuno dei 31 camion del convoglio sono stati parzialmente o completamente distrutti.

“Le esplosioni si sono concentrate solo sulle vicinanze del centro della Mezzaluna Rossa, che è lontano da qualsiasi presenza militare. Non ho potuto avviare un’operazione di ricerca e soccorso fino a che il bombardamento non si è fermato … è continuato per almeno due ore” un soccorritore a Urum al-Kubra ha raccontato ad Amnesty International.

Abu Haytham, un attivista, ha riferito di aver sentito un aereo da guerra nella zona, ma non avrebbe mai immaginato che l’edificio siriano della Mezzaluna Rossa sarebbe stato preso di mira. Quando è arrivato sul luogo dopo il bombardamento, molti camion erano in fiamme e l’edificio era stato distrutto.

“Ho visto corpi di uomini a terra” ha dichiarato. “Mi è stato detto che erano camionisti e volontari che avevano scaricato i camion. I camion avevano il logo dell’UNHCR. Gli aiuti includevano farmaci, cibo e altri generi disperatamente necessari.

FINE DEL COMUNICATO

 

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/siria-orribile-attacco-al-convoglio-di-aiuti-delle-nazioni-unite-e-una-flagrante-violazione-del-diritto-internazionale

TORTURE, CONDIZIONI DETENTIVE INUMANE E DECESSI DI MASSA NELLE PRIGIONI SIRIANE

Torture, condizioni detentive inumane e decessi di massa nelle prigioni siriane

Comunicato stampa 18 agosto 2016

Siria, una immagine dal rapporto di Amnesty International

Le terribili esperienze dei detenuti sottoposti a una tortura dilagante sono state rese note oggi da Amnesty International, in un rapporto che stima in 17.723 il numero delle persone morte in carcere in Siria dal marzo 2011, l’inizio della crisi: una media di oltre 300 morti al mese.

Il rapporto di Amnesty International, intitolato “Ti spezza l’umanità. Tortura, malattie e morte nelle prigioni della Siria“, denuncia crimini contro l’umanità commessi dalle forze governative di Damasco e ricostruisce l’esperienza provata da migliaia di detenuti attraverso i casi di 65 sopravvissuti alla tortura.

Da questi racconti, emergono le agghiaccianti e inumane condizioni delle strutture detentive gestite dai vari servizi di sicurezza siriani e nel carcere militare di Saydnaya, alla periferia della capitale. La maggior parte dei testimoni ha riferito di aver assistito alla morte di compagni di prigionia e alcuni hanno raccontato di essere stati tenuti in celle insieme a cadaveri.

Il campionario di orrori contenuti in questo rapporto ricostruisce in raccapriccianti dettagli le violenze da incubo inflitte ai detenuti sin dal momento dell’arresto e poi durante gli interrogatori, svolti a porte chiuse all’interno dei famigerati centri di detenzione dei servizi di sicurezza siriani: un incubo che spesso termina con la morte, che può arrivare in ogni fase della detenzione” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Da decenni le forze governative siriane usano la tortura per stroncare gli oppositori. Oggi viene usata nell’ambito di attacchi sistematici contro chiunque, nella popolazione civile, sia sospettato di non stare dalla parte del governo. Siamo di fronte a crimini contro l’umanità, i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia” – ha aggiunto Luther.
I paesi della comunità internazionale, soprattutto Russia e Stati Uniti che condividono la direzione dei colloqui di pace sulla Siria, devono mettere questo tema in cima all’agenda delle discussioni tanto col governo quanto coi gruppi armati e sollecitare gli uni e gli altri a porre fine alla tortura” – ha proseguito Luther.

Amnesty International chiede inoltre il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza. Tutti gli altri detenuti dovrebbero essere sottoposti a un giusto processo in linea con gli standard internazionali oppure rilasciati. Osservatori indipendenti dovrebbero poter visitare immediatamente e senza ostacoli tutti i centri di detenzione.

Il rapporto di Amnesty International contiene nuove statistiche del Gruppo di analisi sui dati relativi ai diritti umani (Hrdag), un’organizzazione che usa un approccio scientifico per analizzare le violazioni dei diritti umani. Sulla base delle sue analisi, l’Hrdag ha concluso che tra marzo 2011 e dicembre 2015 nelle prigioni siriane sono morte 17.723 persone, oltre 300 al mese. Nei decenni precedenti il 2011, Amnesty International aveva riscontrato una media di 45 decessi in carcere all’anno, ossia tre o quattro al mese.

Si tratta, in ogni caso, di stime prudenti. Secondo l’Hrdag e Amnesty International, considerando le decine di migliaia di persone sottoposte a sparizione forzata nei centri di detenzione di tutta la Siria, il numero reale delle vittime è probabilmente più alto.

In occasione del lancio del suo rapporto, Amnesty International ha anche collaborato con un team di specialisti di Architettura forense per creare una ricostruzione virtuale in 3D della prigione militare di Saydnaya. Utilizzando modelli architettonici e acustici e le testimonianze degli ex detenuti, il modello ricostruisce il terrore quotidiano vissuto all’interno della prigione e le agghiaccianti condizioni detentive.

Per la prima volta, mettendo insieme le tecniche tridimensionali e la memoria dei sopravvissuti, siamo in grado di entrare dentro uno dei più famigerati centri di tortura della Siria” – ha spiegato Luther.

La violenza in ogni momento

La maggior parte dei sopravvissuti, le cui testimonianze hanno contribuito al rapporto di Amnesty International, ha raccontato ad Amnesty International che le torture iniziano al momento stesso dell’arresto e durante il trasferimento nei luoghi di detenzione.

Qui, all’arrivo, i detenuti sono sottoposti al cosiddetto haflet al-istiqbal (“festa di benvenuto”: duri pestaggi, spesso con spranghe di silicone o di metallo e cavi elettrici).

Ci trattavano come bestie. Volevano raggiungere il massimo dell’inumanità. Ho visto sangue scorrere a fiumi. Non avrei mai immaginato che l’umanità potesse toccare livelli così bassi. Non si facevano alcun problema a uccidere persone a casaccio” – ha raccontato Samer, un avvocato arrestato nei pressi di Hama.

Alla “festa di benvenuto”, spesso seguono i “controlli di sicurezza” durante i quali le donne vengono sottoposte ad aggressioni sessuali e a stupri da parte di personale di sesso maschile.

All’interno dei centri di detenzione dei servizi di sicurezza, i detenuti subiscono costanti torture, durante gli interrogatori per ottenere “confessioni” o altre informazioni, oppure semplicemente come punizione.

I metodi di tortura descritti dagli ex detenuti comprendono il dulab (“pneumatico”: il corpo della vittima viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico) e la falaqa (“bastonatura”, pestaggi sulle piante dei piedi), ma anche le scariche elettriche, lo stupro, l’estirpazione delle unghie delle mani o dei piedi, le ustioni con acqua bollente e le bruciature con sigarette.

Ali, detenuto presso la sede dei servizi di sicurezza militari di Homs, ha raccontato di essere stato sottoposto alla tortura dello shabeh (“impiccato”: il detenuto viene tenuto appeso per i polsi, coi piedi nel vuoto, e picchiato ripetutamente per parecchie ore).

La combinazione tra sovraffollamento, mancanza di cibo e di cure mediche e insufficienza di servizi igienico-sanitari costituisce un trattamento crudele, inumano e degradante, vietato dal diritto internazionale.

Le celle, hanno raccontato gli ex detenuti, erano così sovraffollate da rendere necessario fare i turni per dormire o, in alternativa, dormire rannicchiati.
Era come stare in una stanza di morti. Cercavano di farci fare quella fine” – ha raccontato un altro ex detenuto, Jalal.

“Ziad” (il nome è stato cambiato per proteggere la sua identità) ha denunciato che un giorno, nella sezione 235 dei servizi di sicurezza militari di Damasco, l’impianto di aerazione si è rotto e sette detenuti sono morti soffocati.

Ci prendevano a calci per vedere chi era morto e chi no. Ad alcuni di noi hanno ordinato di alzarci in piedi. In quel momento mi sono reso conto che c’erano sette morti, che avevo dormito accanto a sette cadaveri. Poi nel corridoio ho visto gli altri, circa 25 cadaveri“.

Gli ex detenuti hanno raccontato che l’accesso al cibo, all’acqua e ai servizi igienico-sanitari viene spesso limitato. La maggior parte di loro ha riferito di non aver mai potuto lavarsi adeguatamente. In questo ambiente, scabbia, pidocchi e altre infezioni proliferano. Poiché alla maggior parte dei detenuti vengono negate cure mediche adeguate, in molti casi i detenuti ricorrono a medicamenti rudimentali, ciò che ha contribuito al drammatico aumento dei decessi in carcere dal 2011.

In generale, i detenuti non hanno contatti con medici, familiari o avvocati: una condizione che in molti casi equivale a una sparizione forzata.

Il carcere militare di Saydnaya
I detenuti spesso trascorrono mesi se non anni nelle strutture detentive dei vari servizi di sicurezza siriani. Alcuni alla fine vengono portati di fronte a un tribunale militare, che li condanna nel giro di qualche minuto, per poi essere trasferiti nel carcere militare di Saydnaya, dove le condizioni sono particolarmente atroci.
[Nelle strutture dei servizi di sicurezza] ti torturano per farti ‘confessare’. A Saydnaya, l’obiettivo è la morte, una sorta di selezione naturale per liberarsi dei più deboli appena vengono trasferiti lì” – ha dichiarato Omar S., un ex detenuto.

La tortura a Saydnaya pare far parte di un tentativo sistematico di degradare, punire e umiliare i prigionieri. Secondo i sopravvissuti, a Saydnaya picchiare a morte i detenuti è la norma.

Salam, un avvocato di Aleppo che vi ha trascorso due anni, ha raccontato: “Quando mi hanno portato dentro la prigione, ho sentito l’odore della tortura: un odore
specifico, un misto di umidità, sangue e sudore. Lo riconosci: è l’odore della tortura
“.

Salam ha descritto un caso in cui le guardie hanno picchiato a morte un istruttore di arti marziali dopo aver scoperto che allenava i compagni di cella: “Hanno picchiato a morte l’istruttore e altri cinque detenuti, poi hanno proseguito con gli altri 14. Nel giro di una settimana erano tutti morti. Vedevamo il sangue scorrere via dalla cella“.

Inizialmente, i prigionieri di Saydnaya vengono tenuti per alcune settimane in celle sotterranee, dove d’inverno si gela, senza nulla per coprirsi. In seguito vengono portati nelle sezioni ai livelli superiori.

Per non morire di fame, i detenuti cui viene negato il cibo si nutrono con bucce d’arancia e noccioli di olive. Non possono parlare né rivolgere lo sguardo alle guardie, che regolarmente li scherniscono e li umiliano solo per il gusto di farlo.

Omar S. ha raccontato di una volta in cui una guardia ha obbligato due uomini a denudarsi e poi ha obbligato uno a stuprare l’altro, minacciandolo di morte se non l’avesse fatto.

La deliberata e sistematica natura della tortura nel carcere di Saydnaya rappresenta la forma più manifesta di crudeltà e di abietta mancanza di umanità” – ha commentato Luther.

Fonte:

RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULL’EGITTO: CENTINAIA DI PERSONE SCOMPARSE E TORTURATE

Rapporto di Amnesty International sull’Egitto: centinaia di persone scomparse e torturate in un’ondata di repressione brutale

Un immagine delle forze speciali egiziane

In Egitto, l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) si rende responsabile di rapimenti, torture e sparizioni forzate nel tentativo di incutere paura agli oppositori e spazzare via il dissenso pacifico: è quanto ha denunciato oggi Amnesty International in un drammatico nuovo rapporto, che mette in luce una scia senza precedenti di sparizioni forzate dai primi mesi del 2015.

Il rapporto, intitolato “Egitto: Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“, rivela una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi 14enni, sparire nelle mani dello stato senza lasciare traccia.

Secondo le organizzazioni non governative locali, la media delle sparizioni forzate è di tre-quattro al giorno. Di solito, agenti dell’Nsa pesantemente armati fanno irruzione nelle abitazioni private, portano via le persone e le trattengono anche per mesi, spesso ammanettate e bendate per l’intero periodo.

Questo rapporto rivela le scioccanti e spietate tattiche cui le autorità egiziane ricorrono nel tentativo di terrorizzare e ridurre al silenzio manifestanti e dissidenti” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Le sparizioni forzate sono diventate uno dei principali strumenti dello stato di polizia in Egitto. Chiunque osi prendere la parola è a rischio. Il contrasto al terrorismo è usato come giustificazione per rapire, interrogare e torturare coloro che intendono sfidare le autorità” – ha aggiunto Luther.

Le autorità egiziane si ostinano a negare l’esistenza del fenomeno delle sparizioni forzate, ma i casi descritti nel nostro rapporto forniscono ampie prove del contrario. Denunciamo non solo le brutalità cui vanno incontro gli scomparsi ma anche la collusione esistente tra le forze di sicurezza e le autorità giudiziarie, il cui ruolo è quello di mentire per coprire l’operato della sicurezza o non indagare sulle denunce di tortura, e che in questo modo si rendono complici di gravi violazioni dei diritti umani” – ha sottolineato Luther.

FIRMA ORA L’APPELLO PER CHIEDERE AD ABDEL FATTAH AL-SISI DI FERMARE LE SPARIZIONI FORZATE IN EGITTO.

Sparizioni forzate e tortura 

Il rapporto descrive in dettaglio i casi di 17 persone sottoposte a sparizione forzata, detenute illegalmente per periodi varianti da diversi giorni a sette mesi, tagliate fuori dal mondo esterno e private di contatti con avvocati e familiari e di qualsiasi supervisione giudiziaria.

Il rapporto comprende inoltre drammatiche testimonianze delle torture praticate durante sessioni d’interrogatorio che possono durare fino a sette ore, allo scopo di estorcere “confessioni” che verranno poi usate come prova durante gli interrogatori ufficiali davanti al giudice e che condurranno alla condanna. In alcuni casi, sono stati torturati anche dei minorenni.

Uno dei casi più agghiaccianti è quello di Mazen Mohamed Abdallah: sottoposto a sparizione forzata nel settembre 2015, quando aveva 14 anni, è stato ripetutamente violentato con un bastone di legno per estorcergli una falsa “confessione”.

Aser Mohamed, a sua volta 14enne al momento dell’arresto, è stato vittima di sparizione forzata nel gennaio 2016 per 34 giorni, negli uffici dell’Nsa di Città 6 ottobre (nella Grande Cairo). Durante quel periodo è stato picchiato, colpito con scariche elettriche su tutto il corpo e sospeso per gli arti. Alla fine è stato portato di fronte a un procuratore che lo ha minacciato di ulteriori scariche elettriche quando ha provato a ritrattare la “confessione”.

I due 14enni sono tra i cinque minorenni vittime di sparizione forzata per fino a 50 giorni descritti nel rapporto di Amnesty International. Alcuni di loro, anche dopo che ne era stato disposto il rilascio, sono stati sottoposti nuovamente a sparizione forzata prima di venire raggiunti da nuove accuse.

In altri casi, sono stati arrestati i familiari di persone da cui si voleva ottenere una “confessione”. Nel luglio 2015 Atef Farag è stato arrestato insieme al figlio 22enne Yehia. I loro familiari sostengono che Atef è stato arrestato per aver preso parte a un sit-in mentre suo figlio, che è disabile, è stato preso per costringere il padre a “confessare” una serie di gravi reati. Dopo una sparizione forzata durata 159 giorni, padre e figlio sono stati rinviati a processo per appartenenza al gruppo fuorilegge della Fratellanza musulmana.

L’evidente aumento delle sparizioni forzate risale al marzo 2015, ossia alla nomina a ministro dell’Interno di Magdy Abd el-Ghaffar, che in precedenza aveva fatto parte del Servizio per le indagini sulla sicurezza dello stato (Ssi), la famigerata polizia segreta dei tempi di Mubarak, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani: è stata smantellata dopo la rivolta del 2011 ma solo per essere rinominata Nsa.

Nel 2015 Islam Khalil, 26 anni, è stato sottoposto a sparizione forzata per 122 giorni. Tenuto bendato e ammanettato per l’intero periodo, è stato picchiato brutalmente e sottoposto a scariche elettriche anche sui genitali. Una volta, negli uffici dell’Nsa della città di Tanta (a nord del Cairo), è stato tenuto sospeso per i polsi e le caviglie per ore e ore fino a quando ha perso conoscenza.

Una volta, un agente che lo stava interrogando gli ha detto: “Pensi di avere qualche valore? Ti possiamo uccidere, arrotolarti in una coperta e buttarti in una discarica e nessuno chiederà di te“.

In un’altra occasione, un secondo agente lo ha sollecitato a dire le ultime preghiere mentre gli stava somministrando scariche elettriche.

Dopo 60 giorni Islam Khalil è stato trasferito in quello che ha chiamato “l’inferno”, ossia gli uffici dell’Nsa a Lazoughly, dove sono proseguite le torture.

A Lazoughly, a giudizio unanime il peggior centro di detenzione dell’Nsa, si stima si trovino centinaia di detenuti. Questa sede dell’Nsa si trova dentro il ministero dell’Interno, ironicamente a poca distanza da piazza Tahrir, dove cinque anni fa migliaia di persone avevano manifestato contro la tortura e le brutalità delle forze di sicurezza di Mubarak.

La sparizione forzata dello studente italiano Giulio Regeni, trovato morto al Cairo nel febbraio 2016 con segni di tortura, ha attratto l’attenzione dei mezzi d’informazione di ogni parte del mondo. Le autorità egiziane si ostinano a negare qualsiasi coinvolgimento nella sparizione e nell’uccisione di Giulio Regeni, ma il rapporto di Amnesty International rivela le similitudini tra i segni di tortura sul suo corpo e quelli sugli egiziani morti in custodia dello stato. Ciò lascia supporre che la sua morte sia stata solo la punta dell’iceberg e che possa far parte di una più ampia serie di sparizioni forzate ad opera dell’Nsa e di altri servizi d’intelligence in tutto il paese.

Le sparizioni forzate non solo aumentano il rischio di tortura e collocano i detenuti al di fuori della protezione della legge, ma hanno anche un impatto devastante sulle famiglie degli scomparsi, che sono lasciate sole a interrogarsi sul destino dei loro cari.

Tutto quello che voglio sapere è se mio figlio è vivo o morto” – dichiarava mesi fa Abd el-Moez Mohamed, padre di Karim, uno studente d’Ingegneria di 22 anni scomparso per quattro mesi dopo essere stato rapito nella sua abitazione del Cairo da agenti dell’Nsa pesantemente armati, nell’agosto 2015.

Alcuni familiari hanno denunciato la scomparsa dei loro cari al ministero dell’Interno e alla procura ma nella maggior parte dei casi non sono scattate le indagini. Nelle rare occasioni in cui ciò è accaduto, le indagini sono state chiuse dopo l’ammissione che lo scomparso era nelle mani dell’Nsa anche se questi ha continuato a vedersi negati i contatti con parenti e avvocati.

Il presidente Abdel Fattah al-Sisi deve ordinare a tutte le agenzie per la sicurezza dello stato di porre fine alle sparizioni forzate e alla tortura e dire chiaramente che chiunque ordinerà o commetterà queste violazioni dei diritti umani, o se ne renderà complice, sarà portato di fronte alla giustizia” – ha affermato Luther.

Tutte le persone detenute in tali condizioni devono avere accesso a familiari e avvocati e coloro che sono trattenuti solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti alla libertà di espressione e alla libertà di riunione devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni” – ha aggiunto Luther.

Il rapporto chiede inoltre al presidente al-Sisi di istituire con urgenza una commissione indipendente d’inchiesta che indaghi su tutte le denunce di sparizione forzata e di tortura commesse dall’Nsa o da altre agenzie per la sicurezza dello stato e che abbia il potere di chiamare a deporre tutte le agenzie governative, comprese quelle militari, senza subire interferenze.

Collusione e inganno

Il rapporto di Amnesty International contiene forti accuse nei confronti della procura egiziana, colpevole di accettare prove dubbie ottenute dall’Nsa – che falsifica regolarmente le date d’arresto per nascondere il periodo in cui i detenuti sono sottoposti a sparizione forzata -, di emettere incriminazioni basate su “confessioni” estorte sotto coercizione e di non disporre indagini sulle denunce di tortura, evitando ad esempio di ordinare esami medici e di includerne i risultati negli atti ufficiali.

Nei rari casi in cui la procura autorizza esami medici indipendenti, gli avvocati dei detenuti non possono prendere visione dei risultati.

Siamo molto critici nei confronti della procura egiziana, che si rende complice di violazioni dei diritti umani e tradisce in modo crudele il dovere, assegnatole dalla legge, di proteggere le persone dalle sparizioni forzate, dagli arresti arbitrari e dalla tortura. Se l’istituto della procura non verrà riformato per garantire la sua indipendenza dal potere esecutivo, ciò sarà fatto di proposito” – ha chiarito Luther.

L’Egitto è considerato da molti paesi occidentali un partner chiave nella lotta al terrorismo a livello regionale e questa è la giustificazione usata per rifornirlo di armi e altro materiale nonostante le prove che tali forniture vengono usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani. Molti paesi continuano a tenere strette relazioni diplomatiche, commerciali e di altra natura con l’Egitto senza dare priorità ai diritti umani.

Tutti gli stati, particolarmente quelli dell’Unione europea e gli Usa, devono usare la loro influenza per spingere l’Egitto a porre fine a queste terribili violazioni dei diritti umani, perpetrate col falso pretesto della sicurezza e del contrasto al terrorismo” – ha sottolineato Luther.

Invece di proseguire ciecamente a fornire equipaggiamento di sicurezza e di polizia all’Egitto, questi paesi dovranno annullare tutti i trasferimenti di armi e altro materiale che vengono usati per compiere gravi violazioni dei diritti umani fino a quando non saranno poste in essere garanzie efficaci contro il loro uso improprio, non saranno condotte indagini esaurienti e indipendenti sulle violazioni dei diritti umani e i responsabili di queste ultime non saranno portati di fronte alla giustizia” – ha concluso Luther.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 13 luglio 2016

Il rapporto “Egitto: ufficialmente tu non esisti’ Scomparsi e torturati nel nome della lotta al terrorismo” è disponibile presso l’Ufficio Stampa di Amnesty International Italia e online a questo indirizzo.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/Rapporto-Egitto-centinaia-persone-scomparse-torturate

AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA IL VERGOGNOSO SILENZIO DELLA RUSSIA SULLE VITTIME CIVILI CAUSATE DAGLI ATTACCHI IN SIRIA

Gli effetti dei bombardamenti del 29 novembre © Muhammad Qurabi al-Ghazal

COMUNICATO STAMPA CS204-2015

Gli attacchi aerei della Russia in Siria hanno ucciso centinaia di civili e provocato distruzioni di massa nei centri abitati, centrando case, una moschea, un mercato affollato e strutture sanitarie: attacchi che, come denuncia oggi un rapporto di Amnesty International, hanno violato il diritto internazionale umanitario.

Il rapporto, intitolato “Non sono stati colpiti obiettivi civili. Smascherate le dichiarazioni della Russia sui suoi attacchi in Siria“, denuncia l’alto prezzo pagato dalla popolazione civile siriana negli attacchi portati dall’aviazione di Mosca in territorio siriano.

Il rapporto di Amnesty International analizza sei attacchi lanciati dall’aviazione russa a Homs, Idlib e Aleppo tra settembre e novembre, nei quali sono stati uccisi almeno 200 civili e circa una dozzina di combattenti.
Il rapporto contiene prove che lasciano intendere che le autorità russe possano aver mentito per nascondere un attacco contro una moschea e un altro contro un ospedale da campo. Infine, il rapporto fornisce prove sull’uso di munizioni vietate dal diritto internazionale e di bombe prive di sistemi di guida in attacchi contro zone residenziali densamente popolate.

“Alcuni attacchi aerei russi sembrano aver direttamente colpito civili od obiettivi civili prendendo di mira zone residenziali senza alcun obiettivo militare e persino strutture sanitarie, causando morti e feriti tra la popolazione civile. Attacchi del genere costituiscono crimini di guerra. È fondamentale che queste violazioni siano oggetto di indagini indipendenti e imparziali” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Le autorità russe sostengono che le loro forze armate stanno colpendo solo i “terroristi”. Dopo alcuni attacchi, hanno risposto alle denunce di uccisioni di civili smentendole; in altri casi, sono rimaste zitte.

Amnesty International ha intervistato testimoni oculari e sopravvissuti agli attacchi e ha esaminato immagini ferme e in movimento riprese dopo gli attacchi, assistita dall’analisi di esperti in materia di armamenti. Gli attacchi sono stati giudicati attribuibili alla Russia incrociando le dichiarazioni del ministero della Difesa di Mosca e le testimonianze oculari su ciascuno di essi.

Le ricerche di Amnesty International sui sei attacchi aerei russi in Siria indicano che, nelle aree colpite, non c’era alcun obiettivo militare né presenza di combattenti. Questo porta a concludere che gli attacchi possano aver violato il diritto internazionale umanitario e, in alcune circostanze, abbiano costituito crimini di guerra. In uno dei peggiori attacchi descritti nel rapporto di Amnesty International, tre missili hanno centrato l’affollato mercato centrale di Ariha, nella provincia di Idbil, uccidendo 49 civili.
Persone che hanno assistito alla scena hanno raccontato come il mercato domenicale si sia trasformato nella scena di una carneficina: “Nel giro di pochi attimi la gente urlava, c’era puzza di bruciato nell’aria e tutto intorno il caos. C’era una scuola elementare lì vicino e i bambini scappavano terrorizzati…
C’erano corpi ovunque, decapitati e mutilati” – ha raccontato Mohammed Qurabi al-Ghazal, un media-attivista locale. Il testimone ha visto una donna seduta in lacrime davanti a una fila di 40 salme. Aveva appena perso suo marito e tre figli. I bambini erano letteralmente smembrati. In un altro sospetto attacco russo almeno 46 civili, tra cui 32 bambini e 11 donne che avevano trovato riparo nella cantina di un edificio residenziale, sono stati uccisi il 15 ottobre ad al-Ghantu, nella provincia di Homs.

Le riprese video dopo l’attacco mostrano l’assenza di obiettivi militari. Gli esperti in materia di armi che hanno analizzato l’attacco hanno affermato che la natura della distruzione indica il possibile uso di bombe termobariche, che producono effetti indiscriminati se usate nei pressi di obiettivi civili.

In un ulteriore attacco avvenuto il 7 ottobre, cinque civili sono stati uccisi e una decina di abitazioni sono state distrutte quando un missile da crociera ha centrato una serie di edifici civili a Darat Izza, nella provincia di Aleppo.

“Era diverso dagli altri attacchi aerei. La terra ha tremato come se ci fosse stato un terremoto… è stata la peggiore distruzione che abbia visto… Una madre e i suoi due figli sono stati uccisi in un’abitazione, una giovane coppia in un’altra: si erano sposati la settimana prima…” – ha dichiarato un testimone, confermando che l’area colpita era abitata da civili e che nei pressi non c’erano basi militari né gruppi armati.

Presunti attacchi russi hanno anche colpito strutture sanitarie cui, sulla base del diritto internazionale umanitario, spetta una protezione particolare. Attaccarle costituisce un crimine di guerra. Il testimone di un attacco a pochi metri di distanza dall’ospedale da campo di Sermin, nella provincia di Idlib, ha riferito di un aereo più sofisticato di altri, a tal punto che non è stato visto né sentito prima che sganciasse i missili.

La reazione delle autorità russe all’attacco del 1° ottobre contro la moschea Omar Bin al-Khattab a Jisr al-Shughour, nella provincia di Idlib, solleva gravi dubbi sulle tattiche elaborate per sviare le critiche. Dopo la diffusione di testimonianze e foto sulla distruzione della moschea, le autorità di Mosca hanno dichiarato che si trattava di un “falso”, diffondendo immagini via satellite di una moschea ancora intatta.

Tuttavia, la moschea mostrata dalle immagini russe era un’altra. “Il fatto che le autorità russe mostrino le immagini di una moschea intatta al posto di una che hanno distrutto mostra fino a che punto intendano evitare critiche e controlli sulle loro azioni in Siria. Una condotta del genere non fa sperare che intendano indagare in buona fede.

Il ministero della Difesa di Mosca dev’essere più trasparente e rendere pubblici gli obiettivi degli attacchi, per consentire di valutare se le sue forze armate stiano o meno rispettando gli obblighi del diritto internazionale umanitario” – ha commentato Luther. Da quando, il 24 novembre, un aereo da combattimento russo è stato abbattuto dalla Turchia, il ministero della Difesa di Mosca ha rilasciato ancora meno informazioni sull’attività delle sue forze aeree in Siria.

Amnesty International ha anche raccolto prove, tra cui foto e video, sull’uso da parte russa di bombe prive di sistema di guida che hanno colpito centri abitati, così come di armi vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo. Le bombe a grappolo sono armi di per sé indiscriminate che non devono mai essere usate in alcuna circostanza. Ciascuna di esse sprigiona piccoli ordigni che si propagano su un’area estesa come un campo di calcio.

Molti di essi non esplodono all’impatto e si trasformano in una minaccia per le popolazioni negli anni successivi. Il reiterato uso di bombe prive di sistema di guida nei pressi di zone densamente popolate viola il divieto di attacchi indiscriminati. “La Russia deve porre fine agli attacchi indiscriminati e agli altri attacchi illegali in Siria e cessare di usare bombe a grappolo e bombe prive di sistema di guida contro zone civili” – ha concluso Luther.

FINE DEL COMUNICATO          Roma, 23 dicembre 2015

Il rapporto “Non sono stati colpiti obiettivi civili. Smascherate le dichiarazioni della Russia sui suoi attacchi in Siria” è disponibile all’indirizzo: https://www.amnesty.org/en/documents/mde24/3113/2015/en/
e presso l’Ufficio Stampa di Amnesty International.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/amnesty-denuncia-il-vergognoso-silenzio-della-russia-sulle-vittime-civili-causate-dagli-attacchi-in-siria

I DESAPARECIDOS SIRIANI: GLI OPPOSITORI SPARISCONO NEI CENTRI SEGRETI DI DETENZIONE


29 AGOSTO 2014
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Alla vigilia della Giornata internazionale per gli scomparsi, che si celebra il 30 agosto, Amnesty International ha denunciato che in Siria le sparizioni continuano senza sosta, nonostante la risoluzione del Consiglio di sicurezza del febbraio 2014 che chiedeva la fine di questa e di altre terribili violazioni dei diritti umani.

“Non si contano gli attivisti, i giornalisti, i medici e gli avvocati che il governo siriano considera suoi oppositori, arrestati in mezzo alla strada o prelevati dalle loro abitazioni e scomparsi nei buchi neri della detenzione segreta. Le autorità siriane ricorrono sistematicamente alle sparizioni come strumento per sopprimere il dissenso” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Gli scomparsi rimangono nascosti agli occhi del mondo in centri di detenzione sparsi in tutta la Siria. La maggior parte di loro subisce condizioni di prigionia inumane, maltrattamenti e torture. Non è noto il numero di coloro che sono morti durante la detenzione segreta.

A febbraio, gli stati membri del Consiglio di sicurezza si erano impegnati ad assumere ulteriori misure se la Siria non avesse rispettato la risoluzione. L’assenza di tali misure a sei mesi di distanza ha consentito al governo di Damasco di portare avanti senza sosta la sua campagna di intimidazioni nei confronti del dissenso.

Ecco alcuni degli oppositori scomparsi:

Nasser Saber Bondek, poeta, è stato prelevato dalle forze di sicurezza siriane nella sua casa a Damasco il 17 febbraio 2014. Da allora non si sa più nulla di lui né sono state formulate delle accuse nei suoi confronti. Negli ultimi mesi si era prodigato nell’aiuto agli sfollati. La moglie ha lasciato la Siria con i bambini per paura di essere arrestata.

Khalil Ma’touq, avvocato dei diritti umani e direttore del Centro siriano per gli studi legali, è stato arrestato ad un posto di blocco insieme al suo amico Mohammed Thatha il 2 ottobre 2012. Da allora non si hanno più sue notizie. Le autorità siriane non hanno voluto dare informazioni sul suo destino. Negli anni Ma’touq ha difeso centinaia di prigionieri politici e di coscienza. Precedentemente gli era stato proibito di lasciare il Paese. Khalil soffre di una malattia polmonare cronica e ha difficoltà respiratorie.

 

Mohamed Bachir Arab, medico di Aleppo, è scomparso il 2 novembre 2011 dopo aver detto ai suoi amici di avere un appuntamento. La famiglia ha scoperto del suo arresto sui social media. Il governo non ha ancora fatto sapere nulla del suo destino. Alcuni detenuti rilasciati hanno testimoniato di averlo visto in alcuni centri di detenzione tra Aleppo e Damasco. L’ultima informazione risale al dicembre 2013.

Ali Mahmoud Othman, citizen journalist, dava notizie sul destino di Homs quando è stato arrestato nel marzo del 2012. I giornalisti stranieri lo conoscevano perché dava loro notizie e li aiutava ad uscire ed entrare ad Homs, tra questi Paul Conroy e la francese Edith Bouvier, entrambi feriti durante i bombardamenti della città.

Dopo la sua scomparsa alcuni ex detenuti hanno raccontato di averlo visto nei centri di detenzione  di Aleppo e Damasco ma alla famiglia non è stato comunicato nulla fino a maggio del 2012 quando Othman è apparso sulla tv di Stato e presentato come un giornalista che aveva complottato contro il Paese. Da allora nessuno ha più avuto sue notizie.

 

 

Fonte:

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2014/08/29/i-desaparecidos-siriani-gli-oppositori-spariscono-nei-centri-segreti-di-detenzione/

 

Vedi anche qui:

http://www.amnesty.it/Siria-continuano-senza-sosta-le-sparizioni-degli-oppositori

 

Qui si può firmare un appello anche se chiamare Sua Eccellenza Bashar al-Assad mia dà la nausea:

http://www.amnesty.it/giornata-internazionale-scomparsi-2014

 

 

 

SIRIA, YARMUK SOTTO ASSEDIO

Nota personale:

Ora che si è scomodata anche Amnesty International, continuerete a parlare di terrorismo arabo e imperialismo Usa o finalmente capirete che il governo del “compagno” Assad è una sanguinosa dittatura?

D. Q.

 

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 10/03/2014

Campo profughi di Yarmuk © unrwa.org

Un nuovo rapporto diffuso oggi da Amnesty International documenta crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nei confronti dei civili palestinesi e siriani residenti a Yarmuk, il campo alla periferia della capitale Damasco sotto assedio da parte delle forze governative.

Il rapporto, intitolato “Vite schiacciate: crimini di guerra contro i civili sotto assedio” e pubblicato alla vigilia del terzo anniversario dell’inizio della crisi siriana, denuncia la morte di quasi 200 persone da quando, nel luglio 2013, l’assedio si è fatto più stringente ed è stato tagliato l’accesso a cibo e medicinali fondamentali. Secondo le ricerche di Amnesty International, 128 delle vittime sono morte di fame.

“La vita a Yarmuk è diventata sempre più insopportabile per persone disperate, affamate e intrappolate in un ciclo di sofferenza da cui non sanno come poter uscire. La popolazione di Yarmuk è trattata come una pedina di guerra in un gioco mortale di cui non ha il controllo” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Secondo il rapporto, le forze governative e i loro alleati hanno ripetutamente compiuto attacchi, compresi raid aerei e pesanti bombardamenti, contro edifici civili tra cui scuole, ospedali e una moschea. Alcuni degli obiettivi degli attacchi erano stati adattati a rifugi per profughi interni provenienti da altre zone di conflitto.

Sono stati presi di mira anche medici e operatori sanitari.

“Lanciare attacchi indiscriminati contro le aree civili, provocando morti e feriti, è un crimine di guerra. Colpire ripetutamente una zona densamente popolata, da cui i civili non hanno modo di fuggire, dimostra un’attitudine spietata e un vile disprezzo per i principi più elementari del diritto internazionale umanitario” – ha affermato Luther.

Almeno il 60 per cento di coloro che si trovano ancora a Yarmuk soffre di malnutrizione. Gli abitanti hanno detto ad Amnesty International che non mangiano frutta o verdura da mesi. I prezzi sono saliti alle stelle e un chilo di riso può costare anche più di 70 euro.

“Le forze siriane stanno commettendo crimini di guerra usando la fame dei civili come arma di guerra. I terrificanti racconti delle famiglie che si sono ritrovate costrette a mangiare gatti e cani e di civili attaccati dai cecchini mentre cercavano cibo fuori dal campo, sono diventati familiari in questa storia dell’orrore che si è materializzata a Yarmuk” – ha sottolineato Luther.

Il campo è senza fornitura di energia elettrica dall’aprile 2013.
Nonostante la fornitura a intermittenza di razioni alimentari da parte dell’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa tra gennaio e febbraio 2014, gli aiuti arrivati sono del tutto inadeguati a sopperire alle necessità di base. Gli operatori umanitari li hanno definiti “una goccia nell’oceano”. La ripresa dei bombardamenti negli ultimi giorni ha significato ancora una volta l’interruzione delle forniture.

“Il numero dei morti aumenta e la situazione è disperata. È atroce pensare che in molti casi si sarebbero potute salvare vite umane se fossero state disponibili cure mediche adeguate”- ha commentato Luther.

Amnesty International ha avuto notizia di donne morte durante la gravidanza. Anche i bambini e gli anziani sono stati colpiti in modo particolarmente grave: 18 tra bambini e neonati sono morti. Tra le complicazioni riferite, quelle dovute all’ingerimento di cibo non commestibile, di piante velenose e di carne di cane.

La maggior parte degli ospedali ha dovuto chiudere e quelli aperti sono privi persino dei medicinali di prima necessità. In alcuni casi, secondo quanto raccontato ad Amnesty International dai residenti del campo, i gruppi armati di opposizione hanno rubato i medicinali e le ambulanze.

Gli stessi operatori sanitari sono stati presi di mira. Almeno 12 di essi sono stati arrestati durante l’assedio, nella maggior parte dei casi ai posti di blocco. Sei risultano “scomparsi” dopo essere stati fermati dalle forze governative. Si ritiene che almeno un medico sia morto sotto tortura.

“Prendere di mira i medici e gli operatori sanitari che stanno cercando di prestare cure agli ammalati e ai feriti è un crimine di guerra. Tutte le parti devono cessare di attaccare il personale medico e gli operatori umanitari” – ha sottolineato Luther.

A Yarmuk sono state arrestate almeno 150 persone, oltre 80 delle quali si ritiene siano ancora in stato di detenzione. Amnesty International chiede l’immediato e incondizionato rilascio di tutti coloro che sono stati arrestati solo a causa della loro opinione o identità politica.

“L’assedio di Yarmuk è una punizione collettiva nei confronti della popolazione civile. Il governo siriano deve immediatamente porre fine all’assedio e consentire alle agenzie umanitarie di entrare nel campo per assistere, senza essere ostacolate, la popolazione civile” – ha proseguito Luther.

Il mese scorso, il Consiglio di sicurezza aveva adottato una risoluzione che chiedeva a tutte le parti in conflitto di porre fine all’assedio dei centri abitati, di consentire l’accesso senza ostacoli delle agenzie umanitarie e di porre fine alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. La risoluzione non ha ancora portato a un significativo miglioramento nella situazione delle popolazioni assediate.

“L’assedio di Yarmuk è il più mortale di una serie di blocchi armati imposti dalle forze armate governative e dai gruppi armati di opposizione nei confronti di 250.000 civili in tutta la Siria. Questi assedi stanno causando incommensurabili sofferenze umane e devono cessare immediatamente” – ha concluso Luther.

Amnesty International continua a chiedere che chiunque sia sospettato di aver commesso od ordinato crimini di guerra o crimini contro l’umanità sia sottoposto alla giustizia, anche attraverso il deferimento della situazione in Siria al procuratore della Corte penale internazionale. Secondo lo statuto di Roma della Corte, determinati atti – tra cui l’omicidio, la tortura e la sparizione forzata – costituiscono un crimine contro l’umanità se condotti contro la popolazione civile come parte di un attacco sistematico e su larga scala.

FINE DEL COMUNICATO               Roma, 10 marzo 2014

Per interviste: Amnesty International Italia – Ufficio Stampa
Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: [email protected]

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/Siria-yarmuk-sotto-assedio-crimini-di-guerra-fame-e-morte