In ricordo di Federico Aldrovandi a dieci anni dalla sua morte

Aldrovandi25 settembre 2005, viale Ippodromo a Ferrara. Federico di ritorno da una serata con gli amici decide di fare l’ultimo pezzo che lo separa da casa a piedi, sulla sua strada si imbatte nella volante alfa 3 con a bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri. I difensori dei poliziotti sostengono che la volante fosse arrivata sul posto in seguito alla segnalazione da parte di una cittadina preoccupata dal frastuono proveniente dal parchetto di viale Ippodromo. Il legale della famiglia Aldrovandi ha ragione invece di sostenere che quelle urla e quei rumori fossero il prodotto della colluttazione in corso tra Federico e i due agenti. Pontani e Pollastri descrivono il giovane come un invasato, spuntato d’improvviso dalla boscaglia e che li avrebbe aggrediti senza motivo a colpi di karate. Dopo poco tempo arriva la volante alfa 2 con a bordo Monica Segatto e Paolo Forlani. Lo scontro diventa violentissimo e alla fine i poliziotti hanno la meglio sul ragazzo, che muore. Muore sull’asfalto schiacciato dalla forza dei 4 agenti per quella che in termini medici si chiama “asfissia da posizione” per una forte compressione al torace. La tecnica di contenimento e ammanettamento prevede tempi più rapidi ma in quel caso si è andati ben oltre, si è sfociati nell’abuso e il momento della compressione sul selciato è stato l’ultimo atto di una lunga serie di violenze: calci, pugni, manganellate sferrate con una forza tale da spezzarne due. Pontani nel colloquio con il centralinista del 113 dirà testualmente: ”abbiamo avuto una lotta di mezz’ora con questo” e poi affermerà: “ cioè, l’abbiamo bastonato di brutto”. Federico rimane a terra, privo di vita, sfigurato in volto, col cranio sanguinante, 54 lesioni verranno rilevate dalla perizia medico legale di parte civile. Alla fine del primo grado di processo verrà illustrato dal giudice monocratico che i depistaggi, le omissioni e le testimonianze in “copia carbone” dei quattro agenti non hanno consentito un capo di imputazione più pesante di quel controverso “eccesso colposo in omicidio colposo”. Non è stato possibile parlare di omicidio preterintenzionale perché le indagini di polizia giudiziaria immediatamente successive al’evento sono state condotte in modo da rendere ostica la formulazione di tale capo d’accusa. A operare ialdro5 primi rilevamenti, a cercare testimoni a redigere verbali, c’èrano per forza di cose amici e colleghi di quei quattro poliziotti.I quattro poliziotti verranno condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi di reclusione (pena ridotta a 6 mesi grazie all’indulto). Dopo solo un mese di reclusione a Rovigo per Monica Segatto si apriranno le porte del carcere e beneficiando del decreto svuota carceri finirà di scontare la pena ai domiciliari. Anche Enzo Pontani dopo un mese a Milano otterrà i domiciliari. A luglio 2013 tre dei quattro poliziotti sono tornati in libertà. Pontani un mese dopo avendo iniziato la carcerazione più tardi per un cavillo tecnico. Per loro si prospetta la sospensione di sei mesi dal lavoro al termine dei quali potranno tornare ad indossare la divisa come se nulla fosse successo pur se le sentenze dei vari tribunali, dal I° all’ultimo grado di giudizio fino al tribunale di sorveglianza parlano di una “violenza ingiustificata prima” e “dissimulazione del vero poi” che gettò “discredito per il Corpo di Polizia cui ancora essi appartengono”, su un ragazzo che quella mattina non stava commettendo alcun reato e ne uscì ucciso da quattro individui che in cassazione, dal procuratore generale furono definite durante la sua arringa “quattro schegge impazzite”. 

Nel gennaio 2014 dopo i sei mesi di sospensione i quattro agenti sono tornati in servizio ricoprendo compiti amministrativi in varie città del Veneto e la madre in un’ intervista alla stampa si disse “umiliata, mortificata” da questo fatto. Quanto al fatto che non sia possibile la destituzione dalla polizia per condanne per reati colposi, la madre di Federico ribadisce quanto lei e il padre, Lino Aldrovandi, hanno sempre sostenuto: “in tutte le sentenze che si sono succedute, in particolare la prima, hanno sancito che non è stato possibile arrivare ad una pena maggiore a causa degli insabbiamenti dei colleghi. Io ho letto il regolamento della polizia, rimarca,: la destituzione, è prevista anche per il disonore alla divisa. E questo per me è alto tradimento. Basta leggerle le cose, basta volerle applicare, per me gli appigli ci sono. Ma forse non vogliono farlo”. “Qui non ci siamo solo noi, è la sua conclusione, ma è una questione che riguarda tutti, riguarda quello che decide di fare una istituzione di fronte ad una condanna per omicidio”.

Il 15 febbraio 2014 l’associazione di famigliari, amici e compagni di Federico Aldrovandi ha convocato un corteo che ha sfilato per Ferrara – città natale di Aldro – chiedendo che gli assassini del ragazzo vengano privati per sempre della possibilità di lavorare all’interno delle forze dell’ordine, una richiesta tanto basilare quanto fondamentale, un gesto di rispetto verso la morte di Federico dopo anni di umiliazioni, inchieste insabbiate e insulALDRO2ti che la sua famiglia ha dovuto subire. Il corteo è partito da via Ippodromo, la stessa in cui Aldro fu fermato in quella notte del 25 settembre 2005 per quello che doveva essere un semplice controllo di polizia ma che invece si trasformò in un pestaggio mortale, ed è arrivato fin sotto la Prefettura, dove una delegazione ha consegnato le richieste della piazza. Tantissime le persone che hanno preso parte alla manifestazione: in prima linea i genitori di Federico, che in tutti questi anni non hanno mai spesso di portare avanti la propria battaglia per la verità, ma anche amici, familari, ultras e soprattutto familiari e vittime di altri eclatanti casi di abusi in divisa.

Trovate qui sotto il documentario “E’ stato morto un ragazzo” documentario di Filippo Vendemmiati che racconta la triste vicenda di Federico.

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