“Regeni marchiato e seviziato per giorni dai suoi aguzzini”

I risultati dell’autopsia sul ricercatore italiano ucciso in Egitto: sul corpo incise cinque lettere. I genitori: “Nostro figlio vittima di professionisti della tortura”

di CARLO BONINI e GIULIANO FOSCHINI

ROMA – Il corpo di Giulio Regeni è stato usato come una lavagna dell’orrore. Quattro, forse cinque lettere, tracciate da una lama in cinque punti diversi documentano incontrovertibilmente quello che a tutti era apparso da subito evidente. Nessun incidente. Per giorni, più mani di boia hanno torturato e marchiato, con sadismo e reminiscenze di altri secoli, il ricercatore italiano. Per poi, dopo giorni di sevizie, finirlo, ruotando il suo volto sfigurato su se stesso, fino a spezzargli il collo. Con quel corpo, con le fotografie contenute nelle 221 pagine di relazione del professor Vittorio Fineschi, da mesi a disposizione anche delle autorità del Cairo, torneranno da oggi a fare i conti i cinque investigatori egiziani che nelle prossime 48 ore incontreranno il procuratore Giuseppe Pignatone e il team di inquirenti italiani. Perché – come ora dicono i genitori di Giulio – “è stato il suo corpo, riconoscibile solo dalla punta del naso, a rimandare indietro ogni depistaggio. A stroncare il tentativo di accreditare che fosse drogato o vittima di un incidente stradale”.

IL MISTERO DELLE LETTERE
Nelle 225 pagine di esame autoptico il professor Fineschi fa un lungo esame delle torture subite da Giulio: ossa rotte, denti spezzati, tumefazioni ovunque. Segnala però alcuni particolari decisivi: qualcuno ha tracciato alcune lettere sul suo corpo. “Sulla regione dorsale – scrive Fineschi – a sinistra della linea si trovano un complesso di soluzioni disposte a confermare una lettera”. Stessa cosa all’altezza dell’occhio destro, a lato del sopracciglio. E poi sulla mano sinistra dove c’era una X. Lettera presente anche sulla fronte. Nessun incidente quindi. Ma torturatori professionisti. Ma chi ha voluto segnare il corpo di Giulio e perché lo ha fatto?

COLPITO CON PUGNI E BASTONI
Chiunque sia stato ha infierito sul corpo del ragazzo per giorni e in tempi diversi. Cinque i denti fratturati. Rotte anche le due scapole, l’omero destro, il polso, le dite delle due mani e dei due piedi, con entrambi i peroni ridotti in poltiglia. Ovunque ci sono segni di tagli e bruciature. “Si possono ipotizzare – si legge ancora nell’autopsia – che lo abbiano colpito con calci, pugni, bastoni, mazze” per poi scagliarlo ripetutamente a terra o contro alcuni muri. “Alcune lesioni cutanee – concludono i medici legali – hanno caratteristiche che depongono per una differente epoca di produzione avendo un timing differenziato”. Tradotto: Giulio è stato torturato ripetutamente, a distanza di giorni.

L’IRA DELLA FAMIGLIA
“Ci sembra chiaro che le torture che gli sono state inflitte, i tempi e le modalità dei supplizi che nostro figlio ha dovuto sopportare non possono che essere l’opera perversa di qualche professionista della tortura” dicono Paola e Claudio Regeni. “È evidente che non possiamo parlare di incidente ma non riusciamo ancora a capire come si possa dubitare che Giulio sia stato torturato; c’è un’azione mirata e sistematica sul corpo del povero Giulio. Azioni che possiamo ricondurre alle modalità già variamente e riccamente illustrate da vari rapporti internazionali, come quelli di Amnesty. So che per chi vive in Italia non esiste sistema cognitivo ed emotivo per anche solo riuscire ad immaginare cosa sia successo a Giulio. Ma il suo corpo parla”. Eppure l’Egitto continua a respingere ogni responsabilità.

L’INCONTRO
La famiglia di Giulio spera che da oggi qualcosa possa cambiare. Del resto, dopo il disastro della prima missione, il secondo viaggio degli investigatori egiziani a Roma è un punto segnato dal Governo nel tentativo di tenere inchiodato il Cairo a una cooperazione giudiziaria sin qui priva di risultati. Ma, in qualche modo, può anche trasformarsi in un’ultima chiamata. Per questo, il procuratore Giuseppe Pignatone, il sostituto Sergio Colaiocco, i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco che da febbraio lavorano al caso aspettano risposte precise dal procuratore generale egiziano, Nabil Ahmed Sadek. A cominciare dal famigerato traffico delle celle telefoniche della zona in cui Giulio venne sequestrato. Ieri – ed è un altro timido segnale positivo –sono arrivati alcuni documenti da Cambridge. Altri sono attesi nei prossimi giorni. “Siamo così abituati ai depistaggi – dicono Paola e Claudio – che siamo in una sorta di sospensione. Ma attendiamo. E non rinunceremo mai alla verità”.

© Riproduzione riservata
Fonte: