BLACK LIVES UNITED A RIO

Reportage. Davanti alla celebre chiesa della Candelaria nel giorno in cui si ricorda la strage di senza tetto avvenuta qui nel 1983. Nel paese che detiene il triste record di innocenti morti ammazzati dalla polizia, attivisti afroamericani e movimenti delle favelas hanno unito le loro voci per dire basta alla violenza razzista delle forze dell’ordine. Negli Usa come in Brasile, «è genocidio dei neri». Il 6 e il 7 agosto si replica, sfidando le Olimpiadi

La protesta che a Rio ha unito le associazioni che lottano nelle favelas contro le uccisioni della polizia e il movimento Usa «Black Lives Matter»

23 luglio, Chiesa de La Candelaria, Rio da Janeiro. Si è scelta non a caso questa data e questo luogo per sancire un nuovo percorso tra diverse associazioni brasiliane contro le uccisioni della polizia nelle favelas (Maes de Maio, Candelaria Nunca Mais e Brazil Police Watch tra le altre) e il movimento statunitense Black Lives Matter. Gli attivisti statunitensi sono da qualche giorno in città e ci resteranno fino a inizio dei Giochi quando, insieme ai brasiliani, il 6 e il 7 agosto, saranno per le strade di Rio contro quello che chiamano apertamente il genocidio dei neri. Sono previsti una serie di appuntamenti dal giorno successivo alla cerimonia d’apertura.

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foto Ivan Grozny Compasso

Una lotta unica

Dal nord al sud dell’America, un’unica voce. È significativo farlo in Brasile, durante i Giochi, nel Paese che detiene il triste record di morti ammazzati durante operazioni di polizia. Super militarizzato sempre, ancora di più in questi giorni. «Negli Stati uniti non crediate che sia così diverso. Come azione di monitoraggio abbiamo riscontrato, quest’anno, seicento afro americani colpiti da proiettili sparati dalla polizia», ricorda Daunasia Yancey, voce riconosciuta di Black Lives Matter. «Quello che sta accadendo negli Stati uniti e in Brasile è figlio di una politica razzista molto chiara», rincara la dose.

Elizabet Martin è una donna del Massachusetts, ha perso suo figlio che in Brasile c’era venuto in vacanza, anche lui ucciso dalla polizia di qui. Lei ha fondato il Brazil Police Watch: «Sono molto preoccupata per quello che può succedere con i Giochi. Ci sarà ancora più esercito, controllo del territorio, violenza. Se, per preparare e garantire una Olimpiade bisogna uccidere i propri cittadini, bisogna gridarlo al mondo che c’è qualcosa di molto sbagliato».

Nella Chiesa de La Candelaria, risalente al 1710, opera neo classica, grande orgoglio non solo della cultura carioca ma brasiliana, il 23 luglio 1983 più di quaranta senza dimora si trovavano proprio qui. Quattro agenti aprirono il fuoco contro di loro e otto morirono trucidati. Da allora casi come questo sono accaduti altre volte, con la differenza che si sono scelti luoghi più periferici vista l’eco addirittura internazionale che ebbe la vicenda.

L’impunità è garantita poiché di fronte all’insistenza di associazioni dei familiari delle vittime e altre organizzazioni come Amnesty International Brasil, le autorità di polizia replicano di essere stati costretti a rispondere al fuoco per legittima difesa. «Dal 2012, dal 5 al 20% dei casi sono stati indagati. L’impunità è garantita, in pratica. Il 77% dei morti, parliamo dunque di cifre molto significative, 5600 persone solo nel 2012, anno della Coppa del Mondo, erano neri abitanti delle favelas. Vere e proprie esecuzioni». E sono state davvero tante.

Quest’anomala messa, perché di questo si dovrebbe trattare, è celebrata da padre Renato Chiera, fondatore della Casa do Menor, che si scaglia contro il razzismo usato come incudine contro i più poveri. Accusa i politici, non risparmiando nessuno. Fa i conti dei Giochi scherzando amaramente sul fatto che il municipio è fallito per organizzarli e non ha pensato all’istruzione, ai servizi, a ciò di cui la gente ha maggiormente bisogno.

Centoundici colpi

Ogni tanto l’omelia si interrompe per ricordare non solo i caduti de La Candelaria ma anche quelli di molti altri episodi, non solo brasiliani. Quelli statunitensi, ad esempio. Tra gli altri Alton Sterling ucciso a Baton Rouge in Louisiana, Philando Castiglia nel Minnesota e Michael Brown a Ferguson. Si è ricordato poi il caso della favela di Costa Barros, qui a Rio de Janeiro, quando cinque ragazzi morirono sotto centoundici colpi sparati da poliziotti militari: Wesley Castro di 20 anni, Cleiton Correa del Souza di 18, Wilton Estevs Jr. di 20, Carlo Eduardo da Silva Souza e Roberto Souza Penha di soli sedici anni. Tornavano da un compleanno quando l’auto su cui viaggiavano è stata investita da una pioggia di colpi. Centoundici appunto. Tra i banchi anche le madri di questi ragazzi, alcune davvero giovanissime. Si fanno coraggio l’una con l’altra. Tra le organizzatrici c’è l’esperta Debora Silva Maria, fondatrice del Movimento Maes de Maio. Molto disponibile, dispensa una parola per tutti. Ha tempo pure di rilasciare qualche intervista. Ci sono televisioni tedesche e francesi oltre che brasiliane e l’inviato del New York Times. Lei risponde anche per quelle che hanno meno voglia di esporsi. Anche Debora ha perso un figlio di 29 anni, a São Paulo. Rimase celebre una sua frase pronunciata direttamente alla presidente Dilma Roussef, qualche mese dopo la sua prima elezione: «Non possiamo ancora festeggiare la fine della dittatura, perché vi siete dimenticati di avvertire le forze armate».

Anche di Patricia Olivera, la sorella di uno degli scampati alla tragedia del 23 luglio 1983, si ricordano duri attacchi verso chi fa di tutto per insabbiare cosa è accaduto da allora e cosa è successo dopo. Da anni lotta per vedere incriminati i veri mandanti, sa che i quattro sono solo degli esecutori, visto che quello non è rimasto affatto un caso isolato. Solo il più visibile.

C’è anche Fatinha, una delle storiche fondatrici del Movimento Candelaria Nunca Mais, fondato una settimana dopo il massacro. Con l’arcivescovo di allora, Dom Eugenio Sales, intimò di non smettere mai di ricordare «fino a che saranno uccisi bambini nelle strade di Rio». Dopo 27 anni non solo ci sono i brasiliani ma pure statunitensi uniti nella stessa convinzione. Fatinha è molto provata, non solo dal tempo, che evidentemente non ha cancellato quella notte. Ci sono molti ragazzini attorno a lei, indossano delle magliette azzurrine e fanno parte di uno dei progetti che queste donne hanno realizzato nella favelas.

«È un genocidio»

«È in atto, nelle Americhe, in diverse forme, un vero e proprio genocidio. Non è una questione che riguarda solo i neri – lo dice con impeto il reverendo e attivista John Selders – è una questione che riguarda tutti gli uomini, nessuno escluso. I poveri e la comunità nera sono le vittime, americane, ma negli altri continenti siamo sicuri che non stia avvenendo la stessa cosa contro altri popoli che si vogliono esclusi?». Un lungo applauso chiude il suo intervento. Un’attivista di Black Lives Matter, la cugina di un’altra vittima, Waltrina Middleton, fa partire un coro gospel. Lo seguono tutti e uno dopo l’altro alzano il pugno chiuso. Madri, fratelli, preti, brasiliani, statunitensi. Tutti. A pugno chiuso.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/black-lives-united-a-rio/

Brasile, mano dura contro le occupazioni

Rio de Janeiro. Allarme Isis e repressione dei movimenti

Manifestazione a Rio

Mano dura contro le occupazioni. In Brasile, il governo ad interim di Michel Temer usa l’«allarme terrorismo» per reprimere i movimenti sociali. Almeno 50 agenti in tenuta antisommossa hanno sgomberato con violenza i manifestanti, accampati in un edificio del Ministero della Cultura a Rio de Janeiro dal 16 maggio. Nelle cariche è stato colpito anche l’ex senatore del Partito dei lavoratori Eduardo Suplicy.

Il 12 maggio, il Senato ha votato l’impeachment contro Dilma Rousseff, con 55 voti favorevoli e 22 contrari. La presidente è stata sospesa dall’incarico per 180 giorni e, da allora, i movimenti sociali l’accompagnano al grido di «Fora Temer». Secondo il presidente del Senato, Renan Calheiros, il voto finale dopo il processo dovrebbe tenersi «nella settimana del 20», probabilmente dopo la chiusura dei Giochi olimpici (che si svolgono dal 5 al 21).

Temer – che ha nominato un gabinetto di soli uomini bianchi, anziani e ricchi – sta passando la scure sui diritti: ha abolito ministeri sociali, ha licenziato, ha tagliato i programmi rivolti ai settori popolari. Un’ondata di proteste, scoppiata in oltre 18 città del paese, lo ha però obbligato a ripristinare il Ministero della Cultura. Intanto, sono apparsi chiari i contorni e gli intenti del golpe istituzionale: proteggere i suoi principali artefici dall’inchiesta per tangenti Lava Jato, la «mani pulite» brasiliana che Rousseff voleva agevolare. Gran parte dei parlamentari e dei senatori che hanno votato l’impeachment sono coinvolti nel grande scandalo per corruzione dell’impresa petrolifera di Stato, Petrobras. Per questo, diversi ministri di Temer hanno dovuto dimettersi.

Per contro, il Pubblico ministero federale ha ritenuto infondata la denuncia penale sporta nei confronti della presidente, e ha archiviato il fascicolo relativo alla cosiddetta «pedalata fiscale», un’operazioni di credito mascherata. Cade quindi il «crimine di responsabilità» che ha mosso l’impeachment: la presidente non ha truccato i conti dello Stato. Il 20 luglio, anche la sentenza del Tribunale internazionale sulla democrazia in Brasile, composto da giuristi, intellettuali, premi Nobel e anche dal Tribunale dei popoli, ha stabilito che l’impeachment costituisce un colpo di stato e deve essere considerato nullo.

Il Tribunale è stato convocato a Rio de Janeiro dalle organizzazioni Via Campesina, Fronte Brasile Popolare e Fronte di giuristi per la Democrazia. La sentenza verrà inviata al Supremo Tribunal Federal per chiedergli di «impedire la rottura dell’ordine democratico» e annullare il procedimento contro la presidente. E, negli Stati uniti, anche un gruppo di 40 deputati del Partito democratico si è diretto a John Kerry per esprimere «profonda preoccupazione per la minaccia alle istituzioni democratiche» che rappresenta l’impeachment, e ha chiesto al segretario di Stato Usa di non appoggiare il governo Temer.

Il leader del movimento brasiliano dei Sem Terra, Joao Pedro Stedile, ha dal canto suo annunciato che intensificherà le occupazioni, qualora Temer voglia vendere le terre alle multinazionali, come ha scritto la stampa in questi giorni. Stedile ha denunciato il pacchetto di riforme neoliberiste deciso da Temer e ha dichiarato che il Fronte Brasile Popolare, di cui fanno parte diversi movimenti sociali come l’Mst sta valutando la possibilità di uno sciopero generale prima della votazione finale sull’impeachment.

E mentre si moltiplicano gli allarmi sulla possibilità di cellule dell’Isis provenienti dalla città di Corrientes, in Argentina, Dilma Rousseff ha detto in un’intervista alla Jornada che l’attuale crisi del Brasile è «la peggiore dalla fine della dittatura militare», e che sui Giochi olimpici «spira un’aria contaminata».

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/brasile-mano-dura-contro-le-occupazioni/

L’innocenza perduta dei Giochi

Rio 2016. Olimpiadi amare per gli abitanti delle zone più povere e violente di Rio. Che con il «golpe» hanno perso anche quel poco che avevano. E la cidade maravilhosa appare come impacchettata da teli in pvc che delimitano le pareti delle grandi arterie stradali, così le immagini delle spiagge oscurano quel che c’è dietro

Mural nella favela de Manguinhos: in 2 anni otto ragazzini sono stati uccisi dall’esercito mentre giocavano a pallone

Rio de Janeiro è una città dove l’innocenza si perde in fretta. I poveri perché esclusi, sfruttati e aggrediti, i ricchi perché rinchiusi nelle loro fortezze vivono una Rio tutta loro, intimoriti che qualcuno possa portare loro via ciò che possiedono. Qui la gente si mescola nelle strade e nei luoghi di socialità, ma ricchi e poveri è come fossero le rotaie del treno. Percorrono le stesse strade ma non s’incontrano mai.

La crisi politica, economica e sociale si sente eccome. Le conseguenze più dirette del «golpe» che ha disarcionato la presidente Rousseff sono state la sospensione di tutti quei provvedimenti che aiutavano i più in difficoltà. Lo stato, attraverso la bolsa familia ha prima aiutato queste persone che ora si vedono levare quei pochi aiuti di cui, di diritto, beneficiavano. Potere mandare i figli a scuola, ad esempio, o avere un supporto medico ora non è più possibile.

Tutto costa sempre di più. dai trasporti al cibo. Il costo del latte è cresciuto di sei volte in tre anni. I mezzi pubblici, nonostante le tante proteste, restano un nervo scoperto perché in tantissimi sono costretti a servirsene, ma non sono alla portata di tutti. Così, soprattutto nella zona nord della città, dove vivono essenzialmente i più poveri, non è inusuale vedere coloro che poi troveremo raccogliere lattine sulle spiagge della zona sud, seguire i binari del treno per arrivare fino al centro da dove poi, sempre a piedi, raggiungeranno la loro destinazione. Un viaggio in pratica. Dei migranti in cammino dentro la propria stessa città.

Il casermone della polizia

Arrivando in metropolitana alla favela di Manguinhos è tutto un brulicare di favelas. Arrivati la prima cosa che non si può non vedere è la cosiddetta «città della polizia», una caserma di dimensioni gigantesche che costeggia proprio i binari dove tanti disperati sono in cammino.

Per entrare nella favela bisogna costeggiarla, ma non a piedi. È la zona più pericolosa, dove gli «assalti», come sono chiamati qui, sono all’ordine del giorno. Un paradosso. Percorsi in moto taxi questi settecento metri, una grossa strada, poi la favela. La polizia è all’entrata, come ci fosse una dogana. È una postazione informale, gli agenti chiacchierano, danno uno sguardo allo smartphone ma osservano tutti quelli che transitano. Dentro, tra i vicoli, grossi pezzi di cemento. Sono messi per impedire ai mezzi pesanti dell’esercito di accedervi.

È come in guerra. Perché qui, anche se non dichiarato, c’è un conflitto in corso che va avanti da molti anni e proprio con l’assegnazione dei grandi eventi sportivi ha cominciato un lavoro molto sporco, che ha visto di fatto i più poveri aggrediti con la scusa della guerra al narcotraffico e la sicurezza.

Ma proprio a Manguinhos è evidente la stretta relazione tra chi spaccia e chi dovrebbe impedire quest’attività. Perché non può essere che se c’è un certo gruppo criminale a gestire gli affari, c’è la pace, se invece è un altro si scatena l’inferno. E quando questo si verifica non viene risparmiato proprio nessuno.

Morire su un campo di calcio

Luogo simbolo che sintetizza lo stato delle cose è il campo da calcio di Manguinhos. È in mezzo alla favela, dove c’è una specie di piazza. Ai quattro angoli del campo, all’esterno, su dei tavoli gruppi di tre o quattro ragazzi che fumano maconha e osservano quello che succede. Qualcuno è armato. C’è la pace ora, è tutto tranquillo. Per fare qualche foto del campo bisogna chiedere loro il permesso. Ci arrivo con la madre di Christian, che ha perso la vita proprio mentre stava giocando a pallone.

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La madre di Christian (foto Ivan Grozny Compasso)

Questo campo detiene il triste record di caduti mentre si gioca. Quando l’esercito entra, pesantemente armato e senza accordi con chi controlla il mercato della droga, sceglie volutamente di colpire i civili anche per mettere le persone delle comunità contro i trafficanti e agevolare un passaggio che altrimenti non si sarebbe verificato.

Di storie così ce ne sono tantissime. Molte delle madri che hanno perso i loro figli lottano per avere una giustizia che in partenza sanno che non otterranno ma sono sempre di più e cominciano a farsi sentire anche da quella parte di opinione pubblica che certe cose non le vorrebbe ascoltare.

I grandi eventi sportivi non hanno portato alcun beneficio alle comunità di qui e anzi hanno reso la presenza delle forze militari ancora più pressante. E poi ci sono le grandi opere, come viadotti e le nuove linee della metropolitana. Sono le uniche opere fatte per rimanere, ma non ancora ultimate.

Marlon è figlio di Mateus e Tina. Loro sono nati nella Città di Dio, a pochi km da dove li incontro. Cresciuti poveri e in mezzo alla violenza come tutti quelli che nascono li, si innamorano e decidono di fare un solo figlio in modo da potergli dare tutto il necessario per offrirgli una vita migliore. Riescono addirittura a mandarlo all’Università. Si laurea in pochi anni come ingegnere civile e trova lavora presso un grande cantiere, proprio a Tijuca, dove si trova il villaggio olimpico. Il ritardo delle consegne e la poca sicurezza delle condizioni di lavoro fanno il resto. Marlon oggi è tetraplegico, costretto a letto per tutta la vita a causa di un volo di diversi metri.

Il suo non è un caso sfortunato, non è il fato che ha deciso ma una condizione generale, complessiva, fatta di sfruttamento e corruzione, abusi e ingiustizia. I suoi genitori stanno portando avanti una causa contro lo Stato e la società che aveva (in subappalto) i lavori.

È sempre più difficile per chi ha meno, trovare l’opportunità di migliorare la propria condizione perché anche quando si ottiene l’occasione c’è sempre qualcuno che ricorda da dove si è venuti.

Non ne rimarrà un tubo

La città, come si dice in questi casi, si sta preparando al grande evento. I Giochi a distanza di due anni dalla Coppa del Mondo. Ed è tutto un brulicare di gazebo e strutture mobili montate con tubi innocenti. Da Tijuca, dove si trova il villaggio olimpico, passando per Copacabana, il Maracanà e giungere poi fino a Deodoro, dove c’è un sito, sede dei Giochi, si vedono solo enormi capannoni, transenne e tribune prefabbricate. E soldati.

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Sorveglianza armata nei luoghi dei Giochi (foto LaPresse)

Operai senza sosta lavorano nei punti più visibili della città, che è stata come impacchettata, da teli in pvc che dall’aeroporto fino al centro delimitano le pareti delle grandi arterie autostradali. Le immagini delle grandi spiagge e i loghi dei Giochi in bella mostra impediscono di vedere cosa c’è dietro. Il Compleixo da Marè, ad esempio. O altre piccole e grandi favelas che si arrampicano sui morri della città. Un velo colorato che copre le presunte colpe di quella che resta, nonostante tutto, la cidade maravilhosa.

Ma quando i Giochi saranno finiti, tutto sarà smontato, d’innocente qui non rimarrà neppure un tubo.

 

 

Fonte:

ATTIVISTI DEL MOVIMENTO BLACK LIVES MATTER IN BRASILE

NEW YORK TIMES:
ATTIVISTI DEL MOVIMENTO BLACK LIVES MATTER IN BRASILE
articolo pubblicato sul New York Times il 20 luglio 2016*

I giochi olimpici de Janeiro Rio potrebbero rivelarsi mortali per i neri poveri della città. A lanciare l’allarme, giovedì (20.07), una delegazione di attivisti americani del movimento Black Lives Matter e gruppi di attivisti brasiliani.

Gli attivisti americani si trovano a Rio per una visita di quattro giorni volta ad evidenziare i rischi che il gigantesco apparato di sicurezza olimpica costituisce, in un paese in cui un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato gli agenti delle forze dell’ordine come responsabili di una “parte significativa” delle quasi 60.000 morti violente all’anno.

Durante i giochi, ch si svolgeranno tra il 5 ed il 21 agosto, circa 85.000 tra soldati e poliziotti saranno di pattuglia nel tentativo di rendere sicura questa città notoriamente pericolosa per i 10.000 atleti e per gli spettatori stranieri, che si calcola saranno tra i 350.000 ed i 500.000. Si tratta di più del doppio del contingente di sicurezza ai Giochi Olimpici di Londra del 2012.

Ma mentre il gigantesco apparato di sicurezza può aiutare a proteggere i visitatori stranieri da scippi e rapine a mano armata, furti d’auto e sparatorie dei narcotrafficanti che fanno regolarmente parte della vita di Rio, gli attivisti degli Stati Uniti e le loro controparti locali hanno avvertito che la maggiore presenza di forze dell’ordine potrebbe causare un picco di omicidi da parte della polizia.

“Si parla dei costi per la costruzione delle strutture olimpiche, dell’acqua sporca, dello Zika e della criminalità, ma io voglio che il mondo conosca l’orrore della polizia che uccide i cittadini come parte della preparazione delle Olimpiadi”, ha detto Elizabeth Martin, una donna del Massachusetts il cui nipote Joseph è stato ucciso nel 2007 da un agente di polizia fuori servizio, mentre festeggiava il suo 30° compleanno a Rio.

Il Brazil Police Watch (Osservatorio sulla Polizia Brasiliana), gruppo fondato dalla Martin dopo la morte di Joseph, ha organizzato il viaggio.

I sei attivisti americani hanno iniziato la loro visita a Rio con un incontro carico di emozioni con le famiglie delle vittime della violenza della polizia locale, leader di comunità e attivisti anti-razzisti. I due gruppi hanno condiviso le loro storie personali e discusso sulle analogie tra la situazione dei neri in Brasile e negli Stati Uniti, denunciando il profilo razziale degli omicidi della polizia e la criminalizzazione delle comunità povere.

“È importante trovarsi e stare insieme, perché sappiamo che questa violenza è collegata”, ha detto Daunasia Yancey, attivista nera dei Black Lives Matter che arriva da Boston. “La violenza contro i neri è globale e la nostra resistenza è globale.”

Secondo la Yancey, sia negli Stati Uniti che in Brasile, le uccisioni di giovani neri da parte della polizia sono un problema sistemico. “Non si tratta solo di singoli casi di cattivi poliziotti. Si tratta del sistema di polizia, questo è il modo in cui la polizia lavora”, ha detto.

Monica Cunha, di Rio de Janeiro, il cui figlio Rafael è stato ucciso dalla polizia nel 2006, annuisce e dice: “Essere neri oggi in Brasile vuol dire essere marchiati per morire, spesso per mano della polizia”.

L’esatta misura della quantità degli omicidi commessi della polizia in Brasile rimane oscura e attivisti per i diritti umani e organizzazioni internazionali accusano da tempo la polizia della nazione sudamericana della pratica abituale di esecuzioni sommarie, normalmente giustificate come uccisioni a seguito di presunte “resistenze all’arresto” (ndt. i ben noti “autos de resistencia” ossia “atti di resistenza” detti anche “atti di resistenza seguiti da morte”. Si tratta di un sistema legale ereditato dalla dittatura militare ed ancor oggi in vigore, che, non prevedendo alcuna indagine nel caso in cui si certifichi che una morte è avvenuta in un confronto a fuoco, copre di fatto gli omicidi commessi dai poliziotti garantendo loro l’impunità)

Secondo le stime di Amnesty International, la polizia di Rio è responsabile di uno ogni cinque omicidi occorsi nel 2015 e che il numero degli omicidi per mano della polizia è aumentato nello stato di Rio di circa il 40 per cento durante la Coppa del di calcio del 2014.

Gli attivisti del Black Lives Matter hanno detto che più di 600 persone sono state uccise dalla polizia negli Stati Uniti finora nel corso di quest’anno.

Durante l’incontro, sono state ricordati alcuni dei più eclatanti omicidi commessi dalla polizia sia negli Stati Uniti che in Brasile: Alton Sterling a Baton Rouge, in Louisiana; Philando Castiglia nel Minnesota; Michael Brown a Ferguson, Missouri; il massacro nel 1993 di otto bambini di strada al di fuori della chiesa della Candelaria di Rio; l’uccisione nel dicembre dello scorso anno di cinque giovani nella periferia di Rio, con la polizia che aprì il fuoco contro di loro mentre si trovavano dentro la loro auto (ndt. il caso del quartiere Costa Barros, dove cinque ragazzi tra i 16 ed i 20 anni che tornavano a casa dopo aver festeggiato in un parco pubblico il primo stipendio di uno di loro, vennero massacrati senza alcun motivo da 111 colpi di fucile sparati da poliziotti militari. Per approfondire: http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews…).

John Selders, un pastore di Hartford, Connecticut, ha detto che i punti in comune tra la situazione dei neri in Brasile e negli Stati Uniti creano un legame che trascende barriere linguistiche e culturali.

“Voi non siete soli qui in Brasile,” ha detto Selders, mentre l’interprete faceva eco alle sue parole in portoghese. “Noi siamo voi. Voi siete noi. Noi siamo un solo popolo.”

guarda anche il video:
https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/videos/831491776950263/

*fonte: http://www.nytimes.com/…/ap-lt-brazil-black-lives-matter.ht…

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Rio 2016: Jhonata, 16 anni ucciso con uno sparo alla testa da un poliziotto militare nella favela Borel

01.07.16

RIO 2016: JHONATA, 16 ANNI, UCCISO CON UNO SPARO ALLA TESTA DA UN POLIZIOTTO MILITARE NELLA FAVELA BOREL. LA GIUSTIFICAZIONE: SACCHETTO DI POP CORN “CONFUSO” PER UN SACCHETTO DI DROGA

Un altro giovane nero di una favela di Rio è stato ucciso dalla polizia militare ieri sera (30.06) nella favela Morro do Borel a Rio de Janeiro. Si chiamava Jhonata Dalber Matos Alves e aveva 16 anni.

Jhonata non abitava in quella zona, vi si era recato per far visita agli zii. Era uscito di casa insieme ad un amico per andare a comprare un sacchetto di pop corn e forse proprio quel sacchetto che aveva in mano gli è stato fatale: sarà droga, hanno pensato i poliziotti militari e BUM! Centrato in piena testa. I poliziotti diranno poi che nella zona era in corso un conflitto a fuoco con i trafficanti, che una moto con dei banditi a bordo era appena transitata e che il ragazzo è stato colpito per sbaglio, la solita storia insomma…

Tutte le testimonianze degli abitanti della zona concordano nel dire che la situazione era assolutamente tranquilla e che non c’era nessuna sparatoria in corso.

Un abitante della favela ha filmato il momento in cui il ragazzo è stato raccolto e portato via dai poliziotti, ancora in vita. All’ospedale hanno tentato un intervento urgente, ma Jhonata non ce l’ha fatta. Nella serata gli abitanti di Borel sono scesi in strada per protestare. La polizia ha represso la giusta rivolta con lacrimogeni e pallottole di gomma. Nella favela è scattato il coprifuoco e a tarda notte giungevano notizie di abitanti chiusi nelle loro case invase dai gas lacrimogeni. Mentre scriviamo mancano 35 giorni, 14 ore e 34 minuti alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici.

13.07.16

Nei quartieri dei ricchi la polizia militare non si confonde mai

Il 30 giugno scorso, Jhonata, studente di 16 anni, è stata l’ennesima vittima delle UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) in una favela di Rio. è stato “PACIFICATO PER SEMPRE” con uno proiettile conficcatogli nella testa da un poliziotto militare. Secondo le testimonianze degli abitanti della favela, i poliziotti avrebbero confuso il sacchetto di pop corn che Jhonata portava in mano con un sacchetto di droga. La polizia militare di Rio de Janeiro (come potrete constatare in questo breve documento) è un’autentica specialista in “confusioni”! Si confonde praticamente ogni giorno, ma solo nelle favelas e nelle periferie. Non si registrano, infatti, casi di “confusione” nei quartieri benestanti della città…

I numeri spaventosi di omicidi commessi dai poliziotti militari di Rio sono tornati spaventosamente a crescere con l’approssimarsi della Coppa del Mondo di calcio prima ed ora con le Olimpiadi.

Negli ultimi 10 anni, secondo i dati raccolti dalla ONG Human Rights Watch, la sola polizia di Rio ha ucciso “ufficialmente” più di 8000 persone, il 77% delle quali giovani, nere e abitanti nelle periferie e nelle favelas. Tra gennaio e maggio di quest’anno, sempre secondo i dati ufficiali, si sono registrati 322 omicidi. Anche i poliziotti muoiono in servizio: le statistiche indicano che un poliziotto muore ogni 25 civili uccisi.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!jhonata-16-anni-ucciso-dalla-polizia-mil/c1bnl

RIO 2016. CONTO ALLA ROVESCIA. RIMOZIONI

RIO 2016. CONTO ALLA ROVESCIA. EP.1 “RIMOZIONI”
[guarda il video in HD – assista em HD]
Nei tre mesi che precedono l’inizio dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, la serie di documentari “Conto alla Rovescia” punta le cineprese sulle violazioni dei diritti umani che hanno segnato tutto il processo di preparazione della città. Le rimozioni forzate sono una delle eredità più perverse di queste Olimpiadi. Negli anni pre-olimpici, Rio de Janeiro ha conosciuto la più brutale politica di rimozioni della sua storia: più di 60.000 famiglie hanno perso le loro case dal 2009, anno in cui Rio de Janeiro è stata scelta come sede delle Olimpiadi del 2016. La storia della resistenza di queste famiglie è al centro del primo episodio di “Conto alla Rovescia”.[guarda il video su Vimeo: https://vimeo.com/172275477]
Realizzazione: Justiça Global e Couro de Rato
facebook.com/justicaglobal/
facebook.com/couroderato/
Direzione: Luis Carlos de Alencar
Poesia Originale: Elaine Freitas
Musica Originale: Mano Teko e Mc Lasca
versione originale del video su YouTube:
youtu.be/D2IdgKhkxh0

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Fonte:

 

Rio de Janeiro odora di morte

Rio de Janeiro odora di morte

La campana ha suonato ancora una volta al Cimitero di Caju. Aliston, 17 anni, un’altra giovane vittima della polizia a Rio de Janeiro

di Victor Ribeiro, pubblicato su Midia Coletiva il 21.06.16

traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

Foto del cimitero di Victor Ribeiro. Il giovane nelle foto è Aliston

L’anno scorso, lavorando per il Jornal A Nova Democracia, ho seguito 6 funerali di giovani uccisi dagli spari della polizia militare. Cercavamo le famiglie delle vittime uccise per mano della polizia, per verificare i fatti e soprattutto per contestare le versioni “ufficiali”, quelle pubblicate da una stampa razzista, che descrive sempre la vittima come sospetta. E contemplare la versione delle famiglie e dei residenti come la versione ufficiale.

Il 20 giugno scorso siamo andati a solidarizzare con la famiglia di Aliston Ancelmo Ferreira, di 17 anni, ucciso la mattina del 18, mentre partecipava ad una festa nella favela di Manguinhos.

Aliston è stato colpito alla schiena da un colpo di fucile mentre cercava di proteggersi con altri partecipanti alla festa, dall’attacco del “caveirão” (temibile veicolo blindato della polizia di Rio e “chauffeur” di morte).

Qunado sono arrivato ho abbracciato Ana Paula Oliveira (madre di un altro giovane ucciso a Manguinhos), e lei mi ha detto: “Ancora una volta, amico mio, ci si vede al cimitero, un altro giovane ucciso.”

È stato uno dei funerali più difficili per me,  in questi giorni di indagini sulle morti nella città di Rio de Janeiro. In effetti il ​​caso di Aliston sembrava come tutti i precedenti: giovane innocente, nero, di una favela “pacificata”, ucciso da un colpo di fucile, il cui futuro è stato interrotto dalla farsa della sicurezza per le Olimpiadi in città.

Ma questa volta vedere la famiglia semplice di Aliston versare lacrime su una bara senza corone di fiori, tanti giovani abbracciati guardare quel corpo immobile del loro amico, la madre con quel bisogno di essere sostenuta per la troppa sofferenza … non ho resistito. Mi sono ritirato e ho pianto.

Foto di Victor Ribeiro

Marlon, di 16 anni, amico di Aliston, che si trovava nella stessa festa mi ha detto: “Sono arrivati ​​all’alba e hanno iniziato a sparare. Tutti quanti abbiamo cominciato a correre. Tante persone si sono ferite durante la fuga. Avrebbe potuto morire un sacco di gente”. Qualcuno gli chiede: “E tu continuerai ad andare alle feste?”  Marlon risponde: “No zia, non ci andrò mai più”

Triste é la realtà dei giovani della favela, il cui spazio di divertimento e tempo libero è un campo di guerra. Il cui piacere va messo sulla bilancia insieme alla necessità di sopravvivere.

Le parole del pastore confortavano  parenti e amici, quando qualcuno mi avvisa della sospetta presenza di un P2 (ndt. così vengono chiamati in gergo gli agenti di polizia in borghese infiltrati) nella camera mortuaria. In effetti c’era una persona in piedi nelle vicinanze, che sembrava scattare ogni tanto delle foto dei presenti.

La campana ha suonato una volta ancora al Cimiterio di Caju, e noi là in processione fino al grande settore delle tombe a terra, quelle dei più poveri o dei senza nome, dove sarebbe stato sepolto Aliston. La procedura è stata rapida e il becchino ha detto: “Tomba 73.491. Annotate questo numero per sapere dove è sepolto.”

La nonna di Aliston ha dovuto essere sostenuta dai parenti perché non riusciva neanche a rimanere in piedi, mentre i giovani amici guardavano la fossa, senza mai distogliere lo sguardo, in un profondo segno di addio che é rimasto impresso nella mia memoria.

A poco a poco i parenti hanno lasciato la tomba di Aliston e Ana Paula si é avvicinata a me dicendomi: “Vado a visitare la tomba di Johnatha, ci vediamo là all’ingresso del cimitero.”

Alla fine, davanti al bus che ha portato le persone di Manguinhos al funerale, il padre di Aliston è venuto verso di noi e ci ha detto che voleva registrare un’intervista in modo che divulgassimo la versione della famiglia sul caso. Soprattutto perché il solo servizio sull’accaduto é stato trasmesso dalla TV Record, che, tra le altre sciocchezze tipiche di questo giornalismo irresponsabile di questi canali,  ha detto che la morte è avvenuta nella favela di Jacaré, il che dimostra il totale disprezzo per la memoria della vittima e per il conforto della famiglia.

Il padre di  Aliston, Paulo Roberto Ferreira 58 anni, ci ha raccontato: “Le ragazze sono corse a casa a chiamarmi… Quando sono arrivato sul posto (dove si è svolta la festa) ho trovato il corpo di mio figlio a terra, colpito… la polizia aveva accerchiato i ragazzi e non permetteva a nessuno di uscire per proteggersi dagli spari. Nonostante non mi lasciassero soccorrere mio figlio, io ho afferrato il suo corpo e tutto insanguinato sono riuscito a trasportarlo al posto di pronto soccorso dove ne hanno certificato la morte. Non so se è a causa delle Olimpiadi, ma stiamo pagando uu prezzo molto alto, vogliono far sembrare Rio una città sicura. Credo più nella giustizia divina che nella nostra di qui”.

Anch’io, signor Paulo, è stato tutto quello che sono riuscito a rispondere.

Rio de Janeiro odora di morte.

Ana Paula Oliveira - foto: Katja Schilirò

09.07.15

Ogni Lutto Una Lotta (Cada Luto Uma Luta) di Ana Paula Oliveira e Victor Ribeiro

“Ogni volta che parlo di mio figlio, divento più forte”

Ana Paula Oliveira, madre di Johnatha (19 anni), che è stato ucciso dalla polizia (UPP – Unità di Polizia di Pacificatrice), nella favela Manguinhos a Rio de Janeiro, il 14 maggio 2014.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!rio-de-janeiro-odora-di-morte/c1w5f

 

RIO DE JANEIRO: OLIMPIADI 2016, VIOLENZA DELLA POLIZIA, LO STATO DI CALAMITA’ PUBBLICA E L’OSPEDALE DEGLI ORRORI

RIO DE JANEIRO. L’OSPEDALE DEGLI ORRORI
[guarda il video in HD – assista em HD]
Un’ispezione della Procura trova un deposito con più di 60 cadaveri, 34 dei quali di neonati, nel fatiscente obitorio e in un container dell’ospedale pubblico Rocha Faria di Rio de Janeiro. Alcuni cadaveri sono risultati abbandonati fin dal 2011. Sono queste le strutture sanitarie che hanno subito e subiranno i tagli imposti dal DECRETO DI CALAMITÀ PUBBLICA [leggi: https://www.facebook.com/carlinho.utopia/posts/1064025123688012] del governo dello stato per poter assicurare lo svolgimento delle Olimpiadi.

Fonte: http://g1.globo.com/…/ministerio-publico-encontra-63-corpos…

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
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OLIMPIADI RIO 2016: (STATO DI) CALAMITÀ PUBBLICA

Decreto 45.692 del 17 giugno 2016
ART.1° – VIENE DECRETATO LO STATO DI CALAMITÀ PUBBLICA IN RAGIONE DELLA GRAVE CRISI FINANZIARIA DELLO STATO DI RIO DE JANEIRO, CHE IMPEDISCE L’ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI ASSUNTI IN DECORRENZA DELLA REALIZZAZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI E PARALIMPICI DI RIO 2016.

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foto di Il Resto del Carlinho Utopia.
Qui un appello di Amnesty International contro la violenza della polizia

Amnesty International Italia

RIO 2016

Non c’è posto per la violenza in questi giochi!

Leggi il testo dell’appello

«È sconvolgente vedere quanto a Rio e in altre città brasiliane gli omicidi ad opera della polizia continuino a ritmo quotidiano»

Atila Roque, direttore di Amnesty International Brasile

Approfondisci       Leggi il rapporto

Fonte:

BRASILE: I BRUTTI ANATROCCOLI DI RIO 2016

I brutti anatroccoli di Rio 2016

Più di 80.000 abitanti di Rio de Janeiro sono stati rimossi dalle loro case, con le buone o con le cattive, a causa delle grandi opere per la Coppa e per le Olimpiadi del 2016. Dietro queste rimozioni non c’è solo un giro d’affari miliardario che beneficia grandi imprese costruttrici e politici corrotti a spese dei contribuenti, ma anche un’operazione di vera e propria pulizia sociale. Favelas e comunità come quella di Vila Autodromo, che sorge nei pressi del nuovo Parco Olimpico, vanno spazzate via per far posto a nuovi insediamenti di lusso destinati alle classi più agiate che, si sa, non gradiscono la vicinanza dei “brutti anatroccoli”…
Un reportage di Luiz Carlos Azenha [https://vimeo.com/147068151]

Fonte: