WORLD PRIDE 2019: I RAGAZZI DI 50 ANNI FA ALLO STONEWALL INN

 In RainbowStorie

La metro, a New York, è un delirio. Per capirsi: la stazione del Rockfeller Center sta proprio dentro il Rockfeller Center. Se hai culo, la trovi perché ci scendi. Poi devi pregare per riveder la luce del giorno, tra un exit messo lì, in mezzo a uno dei tanti corridoi tra le vetrine dei negozi ultra-chic. Ma riprenderla, al contrario, può essere davvero un’impresa, se non impossibile. Per questa ragione, l’altro giorno, abbiamo deciso di uscire sulla 5th Avenue e farci una bella passeggiata, fino allo Stonewall Inn, nel cuore del Greenwich Village.

ALLO STONEWALL INN, SULLE NOTE DI I WILL SURVIVE

Arrivati a destinazione, l’effetto è quello sperato. Tutte le persone che conosco e che sono già state qui mi hanno detto: «Non ti credere. È un bar piccolissimo». Un “nulla di che”, a vederlo così, decontestualizzando il tutto. Ma non è questa la “grandezza” che ci si aspetta da un posto simile. Lo Stonewall Inn sta di fronte una piazzetta. In questa, c’è una ringhiera, sormontata da centinaia di bandierine arcobaleno. Al suo interno, un parco molto piccolo, con delle panchine. Lì c’è il memoriale di Stonewall, diventato monumento nazionale. Dentro ci trovi delle statue: una coppia di maschi, in piedi, e una coppia di donne, sedute. C’è pure un pianoforte. A un certo punto, un ragazzo si siede e suona I will survive. E tutti e tutte, lì intorno, ci mettiamo a cantare. Ed è questo che rende grande quel luogo.

E A UN CERTO PUNTO, I RAGAZZI E LE RAGAZZE DI CINQUANT’ANNI FA

È un viavai di persone, lo Stonewall Inn. Un santuario arcobaleno vero e proprio, con la gente che fa la fila per fare una fotografia di fronte alla vetrina, in cui campeggia l’insegna del locale, a neon. Coppie di donne che si abbracciano, ragazzi che in gruppo si fotografano. A un certo punto, in mezzo a quella calca, un gruppo di persone anziane esce fuori. La gente si raduna in cerchio. Sono i “veterani”. Sono quei/lle giovani di cinquant’anni fa che si ribellarono alle disposizioni legali di allora, quando indossare più di due abiti non conformi al proprio genere comportava l’arresto e la galera. Dopo un iniziale moto di sorpresa, la folla realizza. E tutti e tutte battiamo le mani, nello stesso momento. Un lungo applauso, che è il suono stesso della gratitudine.

LE PAROLE DEL SINDACO DE BLASIO

Il numero 53 di Christopher Street a New York in questi giorni è stato un viavai di varia umanità. Ieri, nel giorno della commemorazione della rivolta, sul palco allestito in fondo alla piazzetta prospiciente al locale si sono alternati attivisti e attiviste, i veterani stessi, drag queen e anche personaggi della politica, nazionale e locale. Come Bill de Blasio, il sindaco della Grande Mela, che ha ricordato il dovere di proseguire quella lotta di liberazione, omaggiando Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson. Con una ferma condanna al suprematismo bianco, che vuole riportarci indietro nella lotta per i diritti civili. Ci guardiamo, noi della delegazione italiana. Gli sguardi un po’ smarriti, un po’ divertiti allo stesso tempo: «Uguale a Virginia, proprio» si sente dire, da un punto imprecisato, in mezzo alla folla.

LA CHIAMATA ALL’ARCOBALENO E IL VALORE DEGLI ALLEATI

E sempre da quel palco gli attivisti e le attiviste che si sono avvicendati ci hanno ricordato, ancora e a chiare lettere, che chi vive la condizione di non aver avuto problemi col colore della sua pelle e con il suo orientamento sessuale, deve usare tale privilegio per rendere migliore la vita agli altri. Un richiamo a fare delle scelte precise, di fronte alle ingiustizie. Una chiamata all’arcobaleno, se preferiamo. Ad un certo punto, in quella piccola marea di orgoglio, ci fermiamo a parlare con una donna. Ha i capelli bianchi, è un’attivista. Lesbica e nera. Il suo nome è Mandy Carter: «Senza gli alleati» ci rivela «non saremmo andati da nessuna parte». Ed è lì, ci dice, perché si sente a casa. Perché sa che non può essere altrove.

LA GRANDEZZA DELLO STONEWALL INN

«Niente di che» mi hanno detto in molti e molte, quando hanno visto questo luogo. Senza alcun intento denigratorio, sia chiaro. Un modo per farmi capire che quel bar è piccolino, niente di ciclopico, in una città in cui i grattacieli incombono e il consumismo più sfrenato corrode le coscienze. Non posso fare a meno di ricordare i versi di Kavafis, in Itaca:

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in cammino: che cos’altro ti aspetti?

La grandezza dello Stonewall Inn la puoi comprendere in questa prospettiva. Recandoti in quel luogo, pullulante di vita. E realizzando che, pur essendo un punto infinitamente piccolo in una città gigantesca, quel posto ti somiglia più di quanto saresti disposto ad ammettere. È piccolo, apparentemente insignificante. Eppure da lì tutto è partito. Un punto infinitamente piccolo, si diceva, che ha generato tutto ciò che è stato. Il nostro big bang. La vita che esplode, tutta insieme, e che crea il tempo a venire, mettendo in moto il circuito degli eventi.

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“Piccano ma non peccano”: il Gay Pride in Calabria

26/06/2014
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Era il 1994 quando a Roma sfilò il primo corteo italiano del gay pride, che vide la partecipazione di circa diecimila persone andando ben oltre le aspettative degli organizzatori.

Oggi, a distanza di venti anni esatti, la comunità Lgbtqi (Lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersexual) calabrese porta in strada il suo orgoglio regionale per la prima volta con il “Calabria Pride 2014”. La manifestazione, prevista per sabato 19 luglio con lo slogan “piccano ma non peccano”, chiuderà l’onda nazionale già partita il 7 giugno a Roma, pronta a toccare tutta la penisola con le tappe di Milano, Bologna, Napoli e Palermo.

Come già altre regioni, anche la Calabria è arrivata alla conclusione che un evento pubblico di grande impatto sociale e politico come il Pride possa rappresentare un’opportunità d’incontro e riflessione della comunità, ma soprattutto un’occasione da non perdere per la rivendicazione di diritti e l’abbattimento di pregiudizi. Perché non è semplicemente una parata. Dentro ci sono gli sforzi di dieci anni di associazionismo locale, in una realtà spesso chiusa e impenetrabile.

La macchina organizzativa costituita dalle associazioni Eos (Cosenza), I due mari (Reggio Calabria) e Kaleidos (Catanzaro) nel corso dell’ultimo anno ha organizzato diversi eventi per la sensibilizzazione sui temi dell’orientamento sessuale e delle identità di genere, come mostre fotografiche, dibattiti e laboratori. E la “passeggiata democratica” del 19 luglio rappresenta il più intenso dei finali.

calabria pride

I muri sono difficili da abbattere, richiedono una lunga e faticosa lotta, ancor più ardua quando la barriera da demolire è quella del millenario pregiudizio anti-omosessuale o della diffusa convinzione che in Calabria non ci siano margini di svecchiamento di consuetudini e mentalità. Al motto di ‘’piccano ma non peccano’’ questa manifestazione prova a ribaltare entrambi i concetti e a porsi come cuore pulsante di un cambiamento che possa investire tutto il territorio.

«Il clima che si respira a livello della società civile è sorprendentemente positivo», dice il portavoce Lucio Dattola, «ma con qualche reflusso bipolare. Non mancano le polemiche sollevate da chi accusa aprioristicamente il pride di essere poco più di una carnevalata. Polemiche che paradossalmente giocano a favore della manifestazione perché fanno ulteriormente capire quanto la Calabria abbia bisogno di un pride».

Il logo prescelto come simbolo di questo primo ‘’orgoglio calabrese’’ è un tacco a spillo che richiama provocatoriamente l’immagine delle regione e si pone come tributo ai moti Stonewall, dove la rivendicazione dei diritti gay nacque dalla ribellione della transgender Sylvia Rivera.

Passerella privilegiata di quella che è già stata ribattezzata ‘’a passiata’’ sarà Reggio Calabria, culla di bellezza e illegalità. Un comune commissariato per contiguità mafiose e tuttora senza sindaco che sposa la causa del pride con il patrocinio morale, concesso contro ogni aspettativa dai tre commissari saliti a Palazzo San Giorgio. «I concetti di formazione e cultura, scelti come linee guida programmatiche del documento politico ufficiale del Calabria Pride, non sono da intendersi qui come valori ad appannaggio solo della comunità Lgbtqi, ma come tematiche condivise da tutta la società», puntualizza Lavinia Durantini, presidente di Eos Arcigay Cosenza. «Ancor più in una regione che solo nella cultura può trovare la giusta determinazione per combattere contro mafia e violenza».

Il 18 luglio, vigilia della parata, l’intera Reggio sarà chiamata ad intervenire. Nel centro istituzionale della città, la piazza su cui affacciano i palazzi del Comune, della Regione e della Prefettura, ci sarà un palco su cui affrontare storie di vita con la giornalista Adele Cambria, Porpora Marcasciano, presidente del Movimento italiano transessuale (Mit), e Vanni Piccolo, tra i soci fondatori del Circolo di cultura omosessaule Mario Mieli. Previsto anche una da parte del calabrese Stefano Rodotà, che un anno fa ha sfiorato la poltrona del Quirinale.

Intanto è possibile dimostrare la propria adesione al Calabria Pride aderendo alla campagna “IO CI SONO”: basta inviare una propria foto al gruppo Facebook nato per l’evento per diventare uno dei modelli della campagna pubblicitaria. La foto inviata vi verrà restituita con la scritta in basso “IO CI SONO #Calabriapride2014”. «Il grande successo della campagna pubblicitaria IO CI SONO è la testimonianza di forte sostegno e vicinanza alla causa per cui il comitato Calabria Pride si batte», ricorda Francesco Furfaro di Arcigay Kaleidos Lamezia Terme, «perché la Calabria c’è e il suo orgoglio inizia finalmente a farsi sentire».

 

Fonte:

http://www.linkiesta.it/calabria-pride-2014

28 giugno 1969: i moti di Stonewall

Sabato 28 Giugno 2014 06:5828 giugno1

È il giugno 1969. La situazione per gli omosessuali americani è particolarmente difficile, le irruzioni della polizia nei locali gay sono all’ordine del giorno, fino a pochi anni prima l’identità di tutti i presenti al momento di una retata veniva pubblicata sui quotidiani locali, qualsiasi scusa viene usata dalle forze dell’ordine per procedere ad un arresto per “pubblica indecenza”, i poliziotti addirittura sono soliti usare l’entrapment (adescamento), per spingere le persone ad infrangere la legge e quindi arrestarle.

Proprio in quest’anno esce il Manuale diagnostico e statistico dell’Associazione americana di psichiatria che ancora definisce l’omosessualità come una malattia mentale. A tutto il ’69 non esiste nessun movimento di diritti per gli omosessuali, proprio mentre la questione dei diritti civili (per i neri, per le donne, per i poveri, per le minoranze in genere) raggiunge la massima importanza negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.

A New York i locali gay sono molto numerosi, soprattutto nel quartiere Greenwich Village, e la maggior parte di essi si sono vista revocare la licenza per la vendita degli alcolici proprio a causa delle frequentazioni omosessuali. Lo Stonewall Inn, in Cristopher Street, è sicuramente uno dei locali più famosi, ed è gestito dalla mafia newyorkese che ha fiutato nella clientela omosessuale un lauto guadagno, e che spesso riesce a contenere i danni delle retate e a continuare a vendere alcolici con qualche bustarella.

Venerdì 27 giugno lo Stonewall Inn è come sempre strapieno: ci sono alcune drag queen, ma soprattutto tantissimi giovani clienti. Verso l’una del 28 giugno sei agenti irrompono nel locale, rompendo gli oggetti a colpi di manganello e minacciando gli avventori. Circa duecento clienti vengono identificati e fatti uscire uno a uno mentre tre travestiti vengono fermati (la legge impone infatti che sia illegale indossare meno di tre capi di vestiario “adatti al proprio genere”).

Ma per la prima volta qualcuno reagisce. La miccia si accende , forse quando la trans gender Sylvia Riveira lancia una bottiglia contro un’agente, oppure quando una lesbica oppone resistenza all’arresto: la folla riunitasi davanti al locale attacca la polizia con un fitto lancio di pietre, i bidoni vengono dati alle fiamme, e i poliziotti sono costretti a barricarsi dentro al locale per alcune ore, fino al sopraggiungere di ingenti rinforzi.
Il giorno successivo i giornali parleranno di tredici persone arrestate e tre agenti feriti.

28 giugno2

Nelle serate successive, quelle di sabato e domenica, il neonato movimento omosessuale si fortifica, dando vita ad altre manifestazioni davanti allo Stonewall Inn, e ad altre tumulti con le forze dell’ordine: il seme è gettato, per la prima volta gli omosessuali utilizzano il termine gay nelle proprie rivendicazioni e non chiedono più solo di “essere lasciati in pace”, ma rivendicano parità di diritti. Gli scontri, una sorpresa per tutti, dimostrano per la prima volta che la comunità omosessuale è diventata movimento, deciso a combattere e a rifiutare il ruolo canonico di vittime.

Ben presto, dopo la svolta segnata dalla rivolta dello Stonewall, vedranno la luce altri gruppi ed organizzazioni come la “Gay Activists Alliance” dapprima a New York, quindi nel resto del paese. In altri paesi ci saranno negli anni successivi simili rivolte, come ad esempio in Canada nel 1981, quando a seguito dell’irruzione della polizia in un locale gay, ci sarà quella che sarà ancora ricordata come la “Stonewall canadese”.

 

 

Fonte:
http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/1908-28-giugno-1969-i-moti-di-stonewall