Caso Brittany, lettera aperta agli amici cattolici dopo la scomunica del Vaticano

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La decisione di Brittany Maynard, come prevedibile, non è piaciuta al Vaticano. A poche ore dalla morte della giovane donna, che ha preferito lasciare questo mondo quando ha voluto lei, invece che per atroci sofferenze, ha espresso la sua contrarietà il presidente della Pontificia accademia per la vita, monsignor Carrasco de Paula. Per l’alto prelato infatti la morte assistita è «un’assurdità» perché «la dignità è un’altra cosa che mettere fine alla propria vita». «Non giudichiamo le persone ma il gesto in sé è da condannare». E ha spiegato: «Questa donna lo ha fatto pensando di morire dignitosamente, ma è qui l’errore, suicidarsi non è una cosa buona: è una cosa cattiva perché è dire no alla propria vita e a tutto ciò che significa rispetto alla nostra missione nel mondo e verso le persone che si hanno vicino».

Ricordiamo come sono andati i fatti. Nel capodanno del 2014 a Brittany è stato diagnosticato un tumore al cervello. L’operazione è servita a poco e i medici le hanno dato pochi mesi di vita. A quel punto, la giovane americana ha deciso di andare nell’Oregon, uno degli Stati americani in cui è consentita la dolce morte e di dare visibilità politica alla sua scelta.

Come dicevamo all’inizio non sorprende la posizione della Chiesa, ma i toni scelti non sono degni del papato di Francesco. Inutile nascondere che siamo davanti a una battaglia di civiltà tra coloro che pensano, con la chiesa, che la vita sia solo di Dio e chi invece si batte perché, in vita e in morte, si sia padroni del proprio corpo. Lo scontro è legittimo. Cioè che non è comprensibile è invece affermare che posizioni dissimili dalla propria non siano degne o siano atti cattivi. Queste definizioni riportano la Chiesa indietro negli anni e non lasciano spazio al dialogo. Il dialogo si costruisce nel rispetto. Ma se la scelta degli altri si considera con tracotanza e disprezzo, si sbattono le porte in faccia a qualsiasi possibilità di comprensione delle ragioni altrui.

Non si tratta quindi di convincere i cattolici a cambiare idea. Ma neanche il contrario. Così non si va da nessuna parte. Anche perché posizioni come quella espressa oggi dal cardinale de Paula sono il lasciapassare per leggi che vietano forme diverse di eutanasia. La mediazione è invece quella di creare le condizioni perché ognuno sia libero di seguire la propria decisione, il proprio credo, il proprio personale convincimento. Se un credente, anche se si trovasse nelle condizioni di Brittany, volesse vivere fino all’ultimo, nessuno glielo impedirebbe. Perché allora costringere questa donna e tanti e tante come lei a soffrire? Perché imporre agli altri la propria fede?

Cari cattolici, non si può chiedere rispetto senza darlo. E nelle parole di de Paula, oggi, non c’è rispetto, non c’è amore per l’altro. C’è solo la volontà di imporre al mondo la propria visione. Non vi si chiede di cambiare idea, ma di accettare anche la nostra. Ognuno libero di fare con la propria vita, ciò che lo fa stare meglio rispetto ai suoi convincimenti e ai suoi desideri. Il resto è dogma e imposizione, poco degno della chiesa di Francesco. Come è possibile infatti conciliare la frase del papa «chi sono io per giudicare» con il giudizio di oggi «non è una morte con dignità»? Lo chiedo a voi, perché a me sembra che siano due posizioni diametralmente opposte.

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/11/04/caso-brittnay-lettera-aperta-agli-amici-cattolici-dopo-la-scomunica-del-vaticano/

 

Qui le parole di monsignor De Paula:

http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/eutanasia-euthanasia-eutanasia-37307/