Il “malore attivo” dell’anarchico Pinelli – Videotestimonianza di Valitutti

IL “MALORE ATTIVO” DELL’ANARCHICO PINELLI:QUANDO LA VERITA’ VOLO’ FUORI DALLA FINESTRA
UNA PAGINA NERA DELLA STORIA GIUDIZIARIA ITALIANA
saverio ferrari  –  Redazione Osservatorio Democratico  –  14/12/2004

Complessa e scandalosa fu la vicenda giudiziaria riguardo la morte di Giuseppe Pinelli. Nel maggio 1970 su proposta del Pubblico Ministero Giovanni Caizzi il Giudice Istruttore Antonio Amati archiviò sbrigativamente come “morte accidentale” la precipitazione dell’anarchico dal quarto piano della questura. Si scoprì in seguito che pur di giungere a questo esito non si erano nemmeno svolti gli accertamenti di rito riguardo il punto e l’ora della caduta del corpo e che il collegio peritale non aveva pensato di recarsi sul posto dell’evento. Nel frattempo, il 15 aprile, Luigi Calabresi aveva querelato per ”diffamazione continuata e aggravata” Pio Baldelli, direttore responsabile del quotidiano Lotta Continua che aveva promosso una sistematica campagna di denuncia, con articoli e vignette, attribuendo al commissario responsabilità precise circa la morte dell’anarchico.

Il Procuratore Generale di Milano Enrico De Peppo, per sgomberare il terreno ed evitare problemi, prima di assegnare la causa ad un magistrato, ritardando i tempi, fece in modo che l’archiviazione di Caizzi giungesse a compimento. Si aprì così solo nell’ottobre del 1970 il processo per diffamazione che, per altro, portò nell’aprile del 1971 alla richiesta di riesumazione del cadavere di Pinelli per ulteriori accertamenti. Attraverso nuove perizie medico-legali si intendeva verificare se fosse ancora possibile rinvenire sulla salma tracce di un colpo di karatè sferrato durante gli interrogatori che con ogni probabilità aveva leso il bulbo spinale. Forse la vera causa di quel malore che avrebbe provocato la defenestrazione. L’avvocato di Calabresi, Michele Lerner, ricusò a questo punto il giudice Biotti per aver anticipato in un colloquio privato le proprie convinzioni sulla colpevolezza di Calabresi. Il 7 giugno 1971 la Corte d’appello rimosse il giudice dall’incarico ed il processo si arenò definitivamente. Solo il 4 ottobre del 1971 si riaprì il caso, quando su denuncia della vedova Licia Rognini, il Giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio emise sei avvisi per omicidio volontario contro il commissario Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero Mucilli ed il tenente dei carabinieri Savino Lo Grano. L’istruttoria si concluse il 27 ottobre del 1975 con il proscioglimento di tutti gli indagati.

Una sentenza passata alla storia. Pinelli, sostenne D’Ambrosio, non si era suicidato ma nemmeno era stato assassinato. “Verosimilmente”, a causa di un “malore attivo” e dall’“improvvisa alterazione del centro di equilibrio” fu violentemente spinto fuori dalla finestra. Giuseppe Pinelli alto 1,67, sentendosi male, invece di accasciarsi sul pavimento come ogni altro essere mortale, con un balzò inconsulto e involontario si ritrovò invece a scavalcare una finestra di 97 centimetri, spalancando al contempo, quasi in volo, le imposte socchiuse della finestra. Una tesi senza precedenti nella storia del diritto e rimasta ancor oggi unica nel suo genere. Gli stessi periti d’ufficio esclusero la possibilità dell’evento in palese contrasto con le più elementari leggi della fisica e della medicina legale. Per altro, su Pinelli non furono rinvenute ferite sulle mani e sulle braccia a dimostrazione che il corpo fosse già inanimato al momento della caduta, così dicasi per l’assenza di perdita di sangue dal naso e dalla bocca. Non bastò.

Il Giudice nonostante le smentite alla propria tesi, proveniente dagli stessi indagati, ciascuno dei quali si era lasciato andare a testimonianze tutte in contrasto fra loro, senza mai in alcun modo parlare del malore, la sostenne senza fornire alcuna prova o riscontro concreto. In questo frangente anche il caso clamoroso del brigadiere Vito Panessa che addirittura affermò che nel tentativo di afferrare l’anarchico gli rimase una scarpa in mano, quando Pinelli venne rinvenuto nel cortile della questura con ambedue le scarpe ai piedi. Si aggiunse come beffa finale il provvedimento di amnistia per Antonino Allegra, capo dell’Ufficio politico, circa i reati di abuso di potere e arresto illegale di Giuseppe Pinelli, ancor oggi vittima senza giustizia, l’ultima della strage di Piazza Fontana. Una pagina nera, certo non la sola, nella storia giudiziaria italiana.

SAVERIO FERRARI
Milano, 2 dicembre 2004

 

Fonte:

http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2747&Class_ID=1001

 

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Videotestimonianza di Pasquale Valitutti sul caso Pinelli:

 

L’ultima battaglia di Bianca la rossa. È mancata Bianca Guidetti Serra

Stamane Torino ha perso una grande donna, figura centrale della giustizia e della politica per molti anni. A darne notizia il figlio Fabrizio Salmoni.

la Redazione

Bianca Guidetti Serra è stata l’avvocato dei deboli, delle minoranze, degli sfruttati, ha difeso operai, studenti, e minorenni che hanno subito abusi, ha lavorato per ottenere leggi moderne sull’adozione. È mancata stamane, 24 giugno alle 8,30, dopo lunga malattia a 95 anni nella sua casa di Torino che era stata anche il suo studio legale. Lo comunica il figlio Fabrizio Salmoni con la moglie Cecilia e la figlia Loretta Lisa.

 

Al di là delle sue brevi esperienze istituzionali (consigliere comunale indipendente con Democrazia Proletaria 1985-87; deputata indipendente per DP 1987-90*; poi ancora con il Pds 1990-99), Bianca è stata un grande avvocato anche quando si è trattato di confrontarsi con i poteri forti: fu parte civile con i sindacati contro la Fiat per le schedature illegali dei dipendenti (unica, storica condanna penale della Fiat); fu difensore del Direttore del giornale Lotta continua Pio Baldelli contro il commissario Calabresi e fu parte civile nel processo contro i Frati Celestini di Prato, imputati di maltrattamenti nei confronti dei bambini a loro affidati. La ricordiamo anche per altri processi storici (banda Cavallero, banda XXII Ottobre, Brigate Rosse, Ipca di Ciriè, Eternit di Casale Monferrato) ma la gente la ricorderà soprattutto per la miriade di processi in difesa di militanti politici degli anni Sessanta-Settanta.

Alberto Salmoni (primo), Bianca Guidetti Serra (seconda). e Primo Levi (ultimo )

All’avvocatura era approdata nel 1947, dopo la Resistenza che l’aveva vista staffetta partigiana in Val di Susa e in Val Chisone; impegnata ad aiutare, con Ada Gobetti amici e conoscenti ebrei, considerati di “nazionalità nemica” dalla Repubblica Sociale italiana; e ancora come organizzatrice dei Gruppi di Difesa della Donna a Torino.

Quando sui muri di Torino apparvero i primi manifesti antisemiti, Bianca – con la più giovane sorella Carla (che avrebbe poi sposato Paolo Spriano), con Alberto Salmoni (che sarebbe, in seguito, diventato suo marito) e altri giovani – si mise metodicamente a strapparli. Forse in questa determinazione (che la polizia, per fortuna dei ragazzi, considerò soltanto un atto di vandalismo), giocò l’amicizia con Primo Levi. (Anpi)

Iscritta al Pci dal 1943, ne uscì nel 1956 a seguito dei fatti d’Ungheria e si dedicò quindi completamente all’attività professionale, pur sempre nell’ambito della più ampia sinistra italiana, da indipendente: si occupa con determinazione del diritto di famiglia e della tutela dei più deboli, dei minori e dei carcerati; è presente nelle fabbriche torinesi per assistere gli operai per conto della Camera del lavoro; negli anni Settanta combatte la battaglia contro le schedature politiche degli operai alla Fiat.

Nel maggio del 2009 intervistata dal  quotidiano «La Stampa» in occasione dei suoi 90 anni, le fu chiesto quale significato ebbe il processo, che la vide protagonista come parte civile, sulle schedature scoperte dall’allora pretore Guariniello – processo che si concluse con l’assoluzione degli imputati:

Io credo che un significato l’abbia avuto: quello di non accettare un sistema iniquo senza protestare. Era una storia di abusi. Che giustificava la volontà di ribellarsi. Dopo di allora nessuno poté più pensare di trattare così gli operai. La Stampa»)

Bianca Guidetti Serra

Nel 1987 si dimise da consigliere per presentarsi, sempre come indipendente nelle fila di Dp, alle elezioni per la Camera dei Deputati. In Parlamento prese parte ai lavori delle Commissioni giustizia e antimafia. Nel 1990, insieme a Medicina Democratica e all’Associazione Esposti Amianto (AEA) partecipò alla presentazione, come prima firmataria, di una proposta di legge per la messa al bando dell’amianto, approvata poi nel 1992 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, Legge n. 257 del 27 marzo 1992).

Aveva smesso di esercitare nei primi anni Novanta per le prime difficoltà fisiche, poi nel 1997 il primo ictus ne aveva definitivamente interrotto l’attività.

Il suo impegno nel campo del diritto ci dice che, in coerenza con le sue scelte di sempre e con la sua indole combattiva, oggi la vedremmo certamente dare battaglia in Tribunale in difesa dei valsusini e di chiunque subisce gli abusi del Potere. Per questo, e in omaggio alla sua vita, siamo sicuri che saranno in molti a volerla andare a salutare per l’ultima volta. Si attendono nelle prossime ore informazioni più dettagliate sulle sue esequie.

La redazione di TG Vallesusa si stringe con affetto attorno all’amico e collega Fabrizio Salmoni in questo momento di dolore per la perdita della mamma Bianca.

* Diede le dimissioni da parlamentare dopo poco più di due anni per incompatibilità personale con quel tipo di lavoro

Bibliografia di Bianca Guidetti Serra:

Il paese dei celestini (con Francesco Santanera), Einaudi, Torino 1973

Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile (II vol.), Einaudi, Torino 1977

Le schedature Fiat, Rosenberg & Sellier, Torino 1984

Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d’Ombra 1994

Da segnalare la sua biografia autorizzata: Santina Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, Torino 2009.

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12 APRILE, “ZAINETTI”, SGOMBERI E UN VECCHIO ANARCHICO

Di

Marco Bascetta, 16.4.2014

Polizia. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Una strategia della deterrenza che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata dietro un buon numero di vittime

Il «cre­tino», quello che scam­bia il corpo di una gio­vane ragazza per uno zai­netto impu­ne­mente cal­pe­sta­bile, il poli­ziotto in bor­ghese esi­bito ripe­tu­ta­mente da gior­nali e tele­vi­sioni come sim­bolo media­tico di ogni vio­lenza poli­zie­sca «fuori dalle regole», l’uomo messo all’indice dalla recita dello stato di diritto che «non guarda in fac­cia nes­suno» non dovrebbe sen­tirsi troppo solo. Pas­sano pochi giorni dalle cari­che di piazza Bar­be­rini ed ecco che i suoi col­le­ghi, nel corso dello sgom­bero vio­lento di una palaz­zina nel quar­tiere romano della Mon­ta­gnola, que­sta volta in divisa, si acca­ni­scono a colpi di man­ga­nello su chi giace inerme in terra. Con tutta evi­denza non può essere scam­biato per uno zaino o un sacco della spaz­za­tura. Sono corpi ben rico­no­sci­bili e del tutto inca­paci di difen­dersi quelli che ven­gono ripe­tu­ta­mente, deli­be­ra­ta­mente, col­piti a san­gue da un folto gruppo di poliziotti.

È uno sgom­bero di occu­panti, di senza casa, di sfrat­tati, non ci sono Palazzi del potere da difen­dere, zone rosse o piazze da tenere sotto con­trollo. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Di una stra­te­gia della deter­renza dif­fi­cil­mente ricon­du­ci­bile al puro e sem­plice pia­cere poli­zie­sco di menar le mani. Il video che ritrae il pestag­gio è, se pos­si­bile, ancora più crudo di quelli girati durante le cari­che di sabato scorso. Non offre «immagini-simbolo» tenere o com­mo­venti su cui fare cat­tiva poe­sia. Solo la testi­mo­nianza di quell’ordinaria vio­lenza che quo­ti­dia­na­mente si eser­cita nelle caserme, nelle car­ceri, per le strade e che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata die­tro un buon numero di vittime.

La gra­tuita bru­ta­lità messa in campo alla Mon­ta­gnola non può che signi­fi­care due cose. O che ciò che dicono i ver­tici della poli­zia e il Mini­stero degli interni conta meno di niente, che gli agenti se ne infi­schiano alta­mente. O che, «con­tror­dine ragazzi! Nes­suno vi vieta di pestare a pia­ci­mento, anzi». A dire il vero c’è anche una terza pos­si­bi­lità: che tutta que­sta indi­gna­zione per i diritti (e i corpi) cal­pe­stati dei cit­ta­dini non sia altro che una mise­ra­bile messa in scena. E forse è pro­prio quest’ultima even­tua­lità la più pro­ba­bile. Gli «eccessi» di poli­zia in Fran­cia li chia­mano «sba­va­ture», qui da noi ci si con­sola con la trita sto­riella delle «mele marce». Ma tutti sanno che il pro­blema sta nel frut­teto e, ancor più, nel suo coltivatore.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.it/ordinaria-violenza/

 

Leggi anche qui:

http://www.fanpage.it/chi-e-il-disabile-che-fronteggiava-la-polizia-a-roma-lello-valitutti-ecco-la-sua-storia/