Il coraggio di Giuditta non può essere… Levato

stele-levato«Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea. Ho dato me stessa, la mia giovinezza. Ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me, per vendicarmi».

Queste sono le parole che qualche istante prima di morire pronunciò Giuditta Levato, contadina di Calabricata (Catanzaro) protagonista nei movimenti di lotta per l’occupazione delle terre incolte uccisa dagli agrari nel ’46.

Erano gli anni delle battaglie per la terra incolta ai braccianti e contro il latifondo dei signori, quindi della riforma agraria del “ministro dei contadini”, cioè del comunista calabrese Fausto Gullo. Ma pure gli anni delle violenze che culmineranno con la strage di Portella della Ginestra del ’47 e dell’eccidio di Melissa del ‘49. E Giuditta, che fu attiva nel Pci e nel fronte politico e sindacale social-comunista che nel Meridione si schierò a fianco dei contadini, fu in prima linea in queste battaglie. E fu proprio su quella “prima linea”, cioè nei campi, che, trentunenne ed incinta di sette mesi del terzo figlio, il 28 novembre del ’46 fu uccisa da colpi di fucile in pieno addome per mano agraria.

Ed è proprio a lei, civile, coraggiosa e generosa donna calabrese, che a Reggio è dedicata una sala di Palazzo Campanella, la sede del Consiglio regionale della Calabria. All’interno della quale da anni è esposto il bellissimo quadro di Mike Arruzza che racconta quel tragico evento che ha reso Giuditta uno dei simboli della Calabria più bella. Un quadro, occupante una superficie molto ampia di una parete dell’aula, che per qualche giorno ha lasciato il proprio posto ad un dipinto contro la violenza sulle donne raffigurante una figura femminile con il volto tumefatto e serpenti tra i capelli. E che, dopo reazioni di sorpresa ed indignazione, è quasi subito ritornato dove stava prima.

Una momentanea sostituzione, quella del quadro di Giuditta Levato, alla cui base sembrerebbe ci sia stata la sistemazione anticipata dell’altra opera in sala in vista di un convegno, appunto, contro la violenza sulle donne. Insomma, un incidente, parrebbe.

Fosse stato diversamente sarebbe stato gravissimo. Perché il suo impegno per l’uguaglianza e la giustizia, il suo coraggio davanti l’arroganza e la violenza, la sua generosità nel rinunciare ai propri affetti e, addirittura, alla propria vita, non possono essere rimossi. Il suo ricordo non può essere…Levato dalla mente dei calabresi, sia quelli che da lunedì, dopo il voto regionale, amministreranno la Calabria, sia quelli che continueranno a viverla da amministrati.

Sacrificandosi, Giuditta è morta per dei valori. E per una causa. Mentre stava per spirare, mandò a dire ai suoi figli che sarebbe partita per unpalazzo-campanella lungo “viaggio”. Quel “viaggio”, metaforicamente, dovremmo considerarlo come quello della Calabria verso un futuro senza ndrangheta, senza malaffare, senza una classe dirigente spesso inadeguata, senza disoccupazione e povertà, senza privazione di diritti, senza una devastazione di ambiente, territorio ed identità, senza comportamenti talvolta poco civili della gente. Dunque verso un futuro di giustizia, di legalità, di competenza, di lavoro e di benessere, di diritti come quello alla sanità o alla mobilità, di rispetto della natura e di valorizzazioni delle infinite risorse ambientali, paesaggistiche, storiche, tradizionali ed enogastronomiche che abbiamo, di atteggiamenti che ci facciano ricordare come qui ci sia stata la civiltà della Magna Grecia.

Difficile, difficilissimo. Forse impossibile, chissà. In ogni caso, ogni calabrese di buona volontà, senza delegare o senza abbandonarsi a pessimismo o disfattismo, dovrebbe rimboccarsi le maniche e darsi da fare ogni giorno, in famiglia, nel lavoro, nella società. Sarebbe il modo migliore per provare a costruire una Calabria più giusta e più bella, concretizzando l’esortazione a combattere che Giuditta mandò ai suoi cari poco prima di morire e vendicando lei e la sua terra da tutte le ingiustizie.

Fonte:

http://www.socialsud.it/socialsud/coraggio-giuditta-non-puo-essere-levato/