Cosa ha detto Erdogan dopo l’attentato di Istanbul?

Tra notizie false, attacco ai nemici di sempre (i curdi) ed una nuova crociata contro gli accademici che hanno chiesto la fine delle operazioni militare nel Sud-Est del paese. E nessuna parola sul ruolo dell’ISIS.

Ancora bombe in Turchia. Ancora orrore.

Ancora corpi dilaniati e sangue sulle strade.

Questa volta l’attenzione si sposta dal Sud-Est del paese (Kurdistan Turco) – da mesi sotto un’offensiva dell’esercito che pare non avere fine e che ha provocato ad oggi oltre 400 morti – a quello che può essere considerato come il cuore pulsante della Turchia.

Istanbul, città di mezzo tra Europa ed Asia visitata ogni giorno da decine di migliaia di turisti, questa mattina è stata scossa da una forte esplosione. Intorno alle 10:15 ora locale, un attacco suicida ha colpito la zona di Sultanahmet, due passi dalla Moschea Blu e dalla basilica di Santa Sofia. Come ormai da prassi, dopo neanche mezz’ora dall’esplosione e con ancora le vittime per terra, il governo turco ha immediatamente emesso un divieto a tutti i media di trattare della vicenda.

La zona è stata recintata, giornalisti, fotografi ed operatori video costretti ad allontanarsi dall’area. Mentre i media di mezzo mondo rilanciavano le agenzie di stampa e le prime dichiarazioni relativamente al numero delle vittime e dei feriti, nei talk show della televisione turca si faceva finta di niente, come sulla TV di Stato dove proprio in quei minuti si parlava di tutt’altro, ovvero della costruzione di un nuovo segmento stradale (!). “Un divieto che è arrivato più velocemente delle ambulanze sulla scena dell’attentato. Questo è un disastro” ha dichiarato il leader del partito CHP Kemal Kılıçdaroğlu. Dopo neanche due ore dallo scoppio della bomba, l’impasse è stata rotta proprio dal presidente Turco Recep Tayyip Erdoğan con una conferenza stampa in cui dopo le prime frasi di rito, e con ancora tanti dubbi su numero e nazionalità di vittime e feriti, dava la notizia che tutti aspettavano: l’attentatore di Istanbul è un 28enne di origine siriane.

Caso chiuso. Una velocità stupefacente.

Molto più veloce rispetto alle altri stragi che hanno investito il paese negli ultimi 6 mesi: le due bombe durante il comizio elettorale dell’HDP il 5 Giugno a Diyarbakir, l’esplosione all’Amara Center di Suruc che ha fatto 33 morti, il massacro alla marcia per la pace di Ankara il 10 Ottobre. Ma tant’è.

Quello che lascia davvero sconvolti è che dopo aver dato questa notizia, il presidente Erdogan sposti subito l’attenzione verso i nemici storici (i curdi), accanendosi poi contro contro quegli intellettuali ed accademici che hanno sottoscritto nei giorni scorsi un appello internazionale chiedendo l’immediata fine delle operazioni militari nel sud-est del paese.

“Prendete posizione – ha dichiarato Erdogan – Se non siete dalla parte del governo turco, siete dalla parte dei terroristi”. “Questi intellettuali chiamano persone provenienti da altri paesi a seguire la situazione in Turchia. Sono dei traditori”. Erdogan parla dei 1.128 accademici provenienti da decine di università in Turchia, oltre a studiosi provenienti da molti altri paesi, che hanno hanno firmato la dichiarazione. Immediatamente lo YÖK (Consiglio generale per l’educazione) ha dichiarato che “saranno prese le misure giuridiche adeguate contro chi supporta i terroristi”. Nel 1984, il leader della giunta militare Kenan Evren, instauratosi con il colpo di Stato del 1980, definì 383 intellettuali che chiedevano democrazia “traditori”. Dopo 32 anni, oggi Erdoğan ha fatto la stessa cosa.

Erdogan ha poi rincarato la dose affermando che “La Turchia rimane il primo obiettivo dei terroristi perché li combatte con grande determinazione. Non facciamo differenza tra le varie sigle [terroristiche]. Per noi Daesh, PKK e PYD sono la stessa cosa”. Così le organizzazioni della sinistra curda in Turchia e in Siria, dove combattono una lotta all’ultimo sangue contro lo Stato Islamico, sono messe sullo stesso piano proprio con i nemici con cui si scontrano sul terreno. Erdogan ha poi chiuso il suo discorso invitando gli altri Stati ad “intensificare la lotta contro tutti i tipi di terrorismo” suggerendo infine agli ambasciatori turchi di “prendere tutte le misure necessarie per impedire l’aumento della simpatia internazionale nei confronti dei terroristi curdi”.

Poi nelle prime ore del pomeriggio il colpo di scena. L’attentatore di Istanbul si chiama Nabil Fadli, 28 anni, e non è siriano, bensì cittadino dell’Arabia Saudita, militante dello Stato Islamico.

Perché allora Erdogan si è così affannato nel dichiarare che l’attentatore di Istanbul aveva origine siriane?

È evidente che dopo il nulla di fatto da parte della NATO rispetto alla creazione di una buffer-zone del nord della Siria, e dopo le vittorie dei curdi siriani (e dei loro alleati) al califfo di Ankara non vada proprio giù quanto sta accadendo oltre confine. Tanto più dopo che con la liberazione di Tishreen Dam YPG/YPJ ed alleati hanno “infranto” il divieto turco di oltrepassare l’Eufrate, iniziando di fatto l’operazione di liberazione dell’ultimo “pezzo” di confine turco-siriano ancora sotto il controllo di ISIS, lì dove passano ancora mezzi, rifornimenti, armi e uomini che vanno a rinforzare le milizie del califfato, e soprattutto lì dove passano quotidianamente centinaia di autobotti con il petrolio di Daesh.

È ancora presto per designare nuovi scenari, ma certamente se ne aprono di diversi dopo la giornata di oggi. Gli attentati fin’ora attributi ad ISIS hanno colpito esclusivamente i curdi e le organizzazioni politiche della sinistra turca loro alleate. Il fatto che un militante di ISIS scelga come proprio obiettivo Istanbul rivolgendo la propria attenzione “ai turisti”, apre certamente un nuovo capitolo nella storia di “amore” e “odio” tra il governo turco e Daesh.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/cosa-ha-detto-erdogan-dopo-lattentato-di-istanbul

Parigi, il terrore e i puntini che il mondo non vuole unire

Nella notte di venerdì 13 novembre Parigi è stata nuovamente colpita da tremendi attacchi terroristici rivendicati dall’Isis.

Qui la notizia su Internazionale:

Parigi, il 14 novembre 2015. (Xavier Laine, Getty Images)
  • 14 Nov 2015 20.36

Il punto sugli attentati di Parigi

Almeno 129persone sono morte venerdì 13 novembre a Parigi in una serie di attentati nel centro della città e vicino allo stade de France. I feriti sono 352, di cui 99 in condizioni molto gravi. Gli attacchi, secondo il procuratore di Parigi, sono stati compiuti da tre squadre di attentatori che hanno agito in maniera coordinata, tutti erano dotati di armi da guerra dello stesso tipo e di cinture esplosive. Sette attentatori sono morti negli attacchi.

Ecco la cronologia degli attentati:

  • 21.15 Un gruppo di uomini armati attacca due ristoranti: Le Carillon, in rue Alibert, e Le Petit Cambodge, in rue Bichat. Gli uomini, a bordo di un’automobile, aprono il fuoco contro i passanti e le persone sedute ai tavoli.
  • 21.23 Tre esplosioni vengono avvertite nel giro di pochi minuti vicino allo stade de France, dove è in corso la partita tra Francia e Germania. Le esplosioni causano quattro morti, tra cui i due attentatori che si sono fatti esplodere. I terroristi, secondo il procuratore di Parigi, hanno usato come esplosivo del perossido di acetone( Tatp).
  • 21.30 Quattro uomini armati entrano nella sala da concerto Bataclan, dove si tiene lo spettacolo del gruppo statunitense Eagles of Death Metal, e aprono il fuoco contro la folla. Muoiono almeno 89 persone. Diversi spettatori vengono presi in ostaggio.
  • 21.45 Gli assalitori del Bataclan, o altri assalitori, aprono il fuoco nei pressi del McDonald’s in rue Fabourg-du-Temple e in rue de la Fontaine-au-Roi, nei pressi della pizzeria Casa nostra, causando cinque morti e otto feriti gravi.
  • 21.55 All’incrocio tra rue Faidherbe e rue de Charonne un uomo spara contro la terrazza del caffè La Belle Equipe. Muoiono 19 persone e 14 restano gravemente ferite.
  • 21.55 Un kamikaze si fa esplodere di fronte al McDonald’s di Plaine Saint-Denis.
  • 00.25 Le forze speciali francesi fanno irruzione al Bataclan. Un terrorista viene ucciso, altri tre si fanno saltare in aria l’esplosivo che indossavano sulle cinture.

Dopo gli attentati il presidente francese François Hollande ha dichiarato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale e ha annunciato il ripristino dei controlli alle frontiere. Sono state sospese le manifestazioni sportive. Chiusi i musei e il parco di divertimenti Disneyland.

Sabato 14 novembre il gruppo Stato islamicoha rivendicato gli attacchi , con un comunicato pubblicato online che definiva Parigi “capitale dell’abominio e della perversione”. In una conferenza stampa, anche Hollande aveva attribuito allo Stato islamico la responsabilità degli attentati, definendoli “un atto di guerra”.

Il 14 novembre la polizia belga ha organizzato un blitz nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles. Sono state arrestate almeno cinque persone.Il procuratore di Parigi ha confermato che gli arresti sono legati agli attentati della capitale francese. La procura belga ha aperto un’inchiesta per terrorismo.

Un passaporto siriano e uno egiziano sono stati trovati vicino ai corpi dei due attentatori allo stade de France, ma le autorità non hanno ancora confermato l’identità dei due aggressori. Uno dei veicoli usati dai terroristi era stato immatricolato in Belgio e apparteneva a un cittadino francese residente in Belgio.

Uno dei terroristi dell’attacco al Bataclan, ha scritto Libération, era un francese di circa trent’anni originario di Courcouronnes, nell’Essonne. Era già noto alle forze dell’ordine per i suoi legami con il jihadismo. L’altro era siriano.

Le autorità tedesche sono convinte che un uomo arrestato in Bavaria all’inizio del mese, mentre era a bordo di un’automobile carica di esplosivi, sia legato agli attacchi di Parigi.

Il premier britannico David Cameron ha dichiarato che tra le vittime potrebbero esserci cittadini del Regno Unito. Tra i morti finora accertati ci sono anche cittadini romeni, tunisini, belgi, svedesi e una statunitense. Secondo la Cnn ci sarebbe anche una cittadina statunitense tra le vittime.

Due italiani sono rimasti lievemente feriti. Una ragazza veneta di 28 anni risulta ancora dispersa.

 

Fonte: http://www.internazionale.it/notizie/2015/11/14/il-punto-sugli-attentati-di-parigi

 

Qui l’aggiornamento dell’Ansa con la notizia della morte della studentessa italiana dispersa:

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/11/13/tre-sparatorie-a-parigi-vittime_1a91057f-5905-49e3-8d4a-592668bf11cc.html

 

Non si è fatta aspettare l’ondata vergognosa di islamofobia da parte di alcuni quotidiani.

Prima Pagina Il Giornale

Prima Pagina Libero

Tutti al gridare al terrorismo islamico ( anche in modo offensivo: il caso più eclatante è, come abbiamo visto, quello della prima pagina di ieri del quotidiano di Belpietro, anche se gli altri non scherzano) forse perchè è più comodo pensare che sia tutto solo fanatismo religioso. Nessuno che allargi lo sguardo sul mondo per cercare di capire cosa sta succedendo. Io sono convinta che per capire veramente cosa è accaduto a Parigi bisogna comprendere  quello che sta accadendo in Medioriente. E’ un caso che questi attentati siano stati compiuti nella Francia che ha aperto un’inchiesta per  crimini di guerra contro Assad ( fonte: http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/francia-inchiesta-contro-assad_2135957-201502a.shtml )? E’ un caso che, nei giorni predenti, Putin abbia iniziato a bombardare la Siria, col pretesto della lotta all’Isis, uccidendo civili e colpendo anche un villaggio con bombe al fosforo bianco (qui il video dell’attacco russo col fosforo bianco: https://www.facebook.com/albertosavioli1972/posts/10207747605229222?pnref=story )? E’ un caso che questa strage sia avvenuta mentre in Palestina si parla di terza intifada e i soldati israeliani uccidono i palestinesi fingendo di esserne aggrediti (leggere, a esempio, le notizie del sito Infopal ) e mentre l’esercito turco bombarda il popolo curdo (leggi qui: http://www.retekurdistan.it/2015/11/assemblea-politica-basta-alle-politiche-di-oppressione-e-di-terrore-sul-popolo-curdo/ )? E’ un caso anche che gli ultimi attentati di Parigi siano accaduti all’indomani del più grave attentato da parte dell’Isis in Libano e esattamente un anno dopo la conquista da parte sempre dell’Isis di Ramadi e Mosul in Iraq? ( fonte: http://arabpress.eu/libano-in-lutto-per-le-vittime-del-duplice-attentato-suicida-a-beirut/70470/ ).
A fare le spese di tutto ciò sono sempre i popoli tutti e le persone di fede musulmana ancora una volta strumentalizzate. Eppure basterebbe unire i puntini per farsi almeno venire il dubbio che il sedicente Stato Islamico sia solo un pretesto – creato dai potenti del mondo e camuffato da organizzazione terroristica di matrice islamista (molti di questi terroristi si scopre ogni volta essere in realtà di origine occidentale) –  per distogliere la già scarsa attenzione dall’occupazione israeliana in Palestina, dalla dittatura di Assad in Siria, da quella di Putin in Russia, da quella di Erdogan in Turchia e contro i curdi e da tutto ciò che succede nel resto del Medioriente. E anche nel resto del mondo come accade con tutte le paure indotte dai potenti.

D. Q.

ANKARA, TURCHIA: UN ENORME MASSACRO

Più di 100 vittime ad Ankara in seguito all’attentato di questa mattina. Ancora una volta un attacco alle esperienze curde di autonomia e alla pace.

10 / 10 / 2015

Ancora una volta la Turchia è scossa da un attentato. Questa mattina nel centro di Ankara sono esplose due bombe, a poca distanza l’una dall’altra, nelle vicinanze della stazione ferroviaria dove stava per aver inizio la Marcia per la Pace.

Questa marcia era stata indetta dal partito Hdp, insieme a sindacati di sinistra Disk e Kesk e dagli ordini degli ingegneri e dei medici, con l’obiettivo di chiedere il cessate il fuoco nel sud-est dell’Anatolia, dove da qualche mese sono ripresi i combattimenti tra forze di sicurezza turche e Pkk.

Come a Diyarbakir lo scorso giugno e a Suruç quest’estate, l’obiettivo degli attentatori è colpire la società civile, democratica e filo-curda, che vede in Erdogan e nel suo partito il principale oppositore al processo di pace. Lo afferma anche il leader dell’HDP, Selahattin Demirtas : “Stiamo assistendo a un enorme massacro. Un atroce e barbaro attacco è stato compiuto”.

Il sabotaggio del processo di pace con il Pkk e la conseguente campagna di attacchi alle città curde del sud-est del Paese, in particolare rivolte verso quelle che come Cizre e Diyarbakir stessa hanno saputo concretizzare gli ideali di autonomia e autogoverno espressi nel confederalismo democratico, fanno parte di un piano molto più grande ideato da Erdogan stesso, teso a gettare il paese nel caos in vista delle prossime elezioni del 1 Novembre, dove si presenterebbe come il canditato forte e l’unico in grado di riportare l’ordine in Turchia. A questo caos si aggiunge la forte repressione nei confronti della stampa che si scaglia contro il regime di Erdogan e che cerca in tutti i modi di rompere la cortina di censura creata dal suo governo e che anche in questo caso si potrebbe ripercuotere sulle indagini avviate a seguito dell’attentato.

Ad Ankara rimangono sull’asfalto oltre 100 innocenti vite e tanti altri feriti, in un attentato che come i precedenti non è stato rivendicato e, tutt’ora, non se ne conoscono le modalità. Ma è ancora  più chiaro che la polizia e le forze di sicurezza sono corresponsabili per il fatto che non garantiscono la sicurezza dei manifestanti. Infatti, in seguito all’attentato una parte della folla si è scagliata contro la polizia, accorsa in tenuta antisommossa, colpevole appunto di non aver garantito la sicurezza della Marcia per la Pace. In seguito sono stati sparati anche alcuni colpi di arma da fuoco e lanciati lacrimogeni per disperdere i manifestanti.

Nel frattempo tutte le altre manifestazioni politiche nel paese sono state annullate e a chi stava raggiungendo la città di Ankara è stato chiesto di tornare indietro per paura di altri attentati.

In attesa di ulteriori notizie e rivendicazioni, ci stringiamo ancora una volta attorno a chi combatte per la pace. Her Biji Kurdistan!

 

 

 

Fonte:

http://www.globalproject.info/it/mondi/stiamo-assistendo-a-un-enorme-massacro/19476

TOLTO L’ASSEDIO A CIZRE, SI CONTANO I MORTI E I DANNI

Giovedì 17 Settembre 2015 21:01

altNel 1992 durante le cele­bra­zioni del New­roz (il capo­danno kurdo) la città di Cizre fu asse­diata dall’esercito turco per dodici giorni. A ven­ti­tre anni di distanza la sto­ria si ripete.

di Luigi D’Alife – da Il Manifesto

A par­tire dalle ele­zioni poli­ti­che del 7 giu­gno scorso e con l’attentato di Suruç, costato la vita a 33 gio­vani socia­li­sti che por­ta­vano aiuti a Kobane, la Tur­chia sem­bra essere ripiom­bata indie­tro di vent’anni: da un lato, l’ex primo mini­stro — ora pre­si­dente della Repub­blica — Erdo­gan, da tre­dici anni al potere, dall’altro il popolo kurdo, soste­nuto dalla sini­stra del Par­tito demo­cra­tico dei Popoli (Hdp).

La popo­la­zione di Cizre, ha dichia­rato 15 giorni fa l’autogoverno o come la defi­ni­sce il co-presidente del muni­ci­pio «l’autonomia demo­cra­tica». «Dopo pochi giorni, circa cento mezzi blin­dati dell’esercito sono entrati in città — ci spiega Fay­sal Sariy­il­diz — e un copri­fuoco con­ti­nuo è stato impo­sto a tutta la popo­la­zione. Cor­rente elet­trica, acqua e ser­vizi di comu­ni­ca­zione sono stati inter­rotti. Un incubo».

Gli ospe­dali di Cizre sono stati iso­lati dai mili­tari tur­chi, i soc­corsi in strada impe­diti con l’uso delle armi, così come la sepol­tura delle vit­time. A Cizre, città a mag­gio­ranza musul­mana, per otto giorni gli imam non hanno can­tato. Il bilan­cio è di cento feriti e 21 morti, tutti civili, tra i quali un bimbo di 35 giorni. Quin­dici tra le vit­time sono state col­pite diret­ta­mente alla testa dai cec­chini. Ora che il copri­fuoco è inter­rotto la gente si riprende le strade in cor­teo ricor­dando i civili uccisi. In testa ci sono le madri delle vit­time, ovun­que si sen­tono cori, grida, slo­gan, ovun­que si vedono bar­ri­cate e trin­cee. Cor­tei che si ingros­sano men­tre attra­ver­sano vie strette, ancora pro­tette da massi e sac­chi di sab­bia, dai teli per impe­dire ai cec­chini di ucci­dere, men­tre supe­rano le sara­ci­ne­sche esplose e i muri distrutti.

A Cizre è stata guerra ed è il quar­tiere di Sur a mostrare le ferite più evi­denti. «Siamo stati costretti a restare chiusi in casa per dieci giorni — ci spiega una donna davanti alla porta di casa cri­vel­lata di pro­iet­tili — era­vamo in 22 nello stesso appar­ta­mento, bam­bini ed anziani, senza cibo e sotto il fuoco costante dei cec­chini». Suo marito indica i palazzi da dove arri­va­vano gli spari ed affac­cian­dosi alla fine­stra mostra un forno distrutto da un carro armato. Un gruppo di bam­bini si rin­corre per strada, gio­cando davanti ad uno dei mezzi blin­dati che ancora cir­con­dano il quartiere.

«Siamo ter­ro­riz­zati — urla un signore sulla cin­quan­tina davanti al can­cello di ferro divelto della sua casa — il copri­fuoco non c’è più, ma non siamo liberi di uscire». La dele­ga­zione della Caro­vana per Kobane, pre­sente in Kur­di­stan in que­sti giorni, è diven­tata il mega­fono per la gente di Cizre. Cizre è come Kobane: stesse scritte sui muri, stesse mace­rie per le strade, stessa deter­mi­na­zione del popolo kurdo a resistere.

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/15447-tolto-l%E2%80%99assedio-a-cizre-si-contano-i-morti-e-i-danni

MIGRANTI, A REGGIO LA “NAVE DEI BAMBINI”

Sono 113 i minori arrivati a bordo della Phoenix dei coniugi Catrambone. Solo quelli non accompagnati rimarranno in Calabria. «La gente deve sapere cosa succede in mare»

Migranti, a Reggio la “nave dei bambini”

REGGIO CALABRIA Scendono dalla passerella in braccio alle madri o quasi aggrappati alle loro mani. Gli occhi sono pozzi di paura che quasi divorano visi scavati da fame, sole, salsedine, da una vita che – da subito – non è stata generosa. Alcuni sono stati desiderati, voluti da coppie che hanno scelto di guardare a un futuro al di là del mare, altri sono frutto delle violenze che durante il lungo viaggio dal cuore dell’Africa all’Europa, tante, troppe donne hanno subìto. Figli dell’amore, figli della violenza, ma soprattutto sopravvissuti e figli di sopravvissute.

 

LA NAVE DEI BAMBINI Un piccolo miracolo nei mesi in cui il Mediterraneo si è trasformato in un gigantesco cimitero di tombe senza nome. I 113 bambini accompagnati al porto di Reggio Calabria insieme a 107 donne e 124 uomini dalla Phoenix – il sogno solidale dei coniugi Catrambone, divenuta la prima nave di privati inquadrata nel dispositivo di soccorso migranti nel Mediterraneo – ce l’hanno fatta. Portano addosso i segni di un viaggio complesso e lungo e di una traversata complicata. In molti, appena sbarcati, hanno avuto bisogno dell’assistenza dei medici del Viminale che sul molo si occupano di controllo, assistenza e soccorso. Ma per i più sono bastati una merendina e un succo di frutta per reintegrare velocemente gli zuccheri, vestiti asciutti, un guanto di lattice che gonfiato si trasforma in un palloncino e le coccole dei volontari per recuperare forze e sorriso. «I bambini erano molto provati, molto tristi e molto spaventati», dicono gli operatori che però, su quei volti stanchi e ancora terrorizzati, con il passare delle ore hanno visto disegnarsi la serenità di essersi lasciati alle spalle – forse- la parte più difficile.

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IL SOGNO SOLIDALE DEI CONIUGI CATRAMBONE «Il centro di coordinamento di Roma ieri ci ha segnalato due barconi di legno al largo delle coste libiche – dice Regina Catrambone – ma non abbiamo potuto prendere tutti a bordo perché erano più di settecento. Oltre alle duecento, duecentocinquanta persone che viaggiavano sul ponte ce n’erano altrettante che viaggiavano in stiva, vicino ai motori. Abbiamo distribuito a tutti i giubbotti di salvataggio ma per il recupero del secondo barcone abbiamo dovuto attendere la nave Dattilo della Guardia Costiera». Non è la prima volta che la Phoenix approda a Reggio Calabria. Da due anni i coniugi Christofer Catrambone e Regina Egle Liotta – statunitense lui, reggina lei, ma entrambi residenti a Malta – hanno deciso di fare qualcosa di concreto per arginare la strage che si consuma quotidianamente sulla rotta fra Libia e Italia. Per questo hanno trasformato la Phoenix – un’ex imbarcazione di ricerca della Marina degli Stati Uniti – in una “nave della solidarietà” al servizio del dispositivo di soccorso e recupero che opera nel Mediterraneo. Dal 2 maggio scorso, insieme a loro è imbarcata anche un’equipe di Medici senza frontiere in grado di affrontare le prime emergenze a bordo: ustioni, disidratazione, ipotermia, complicanze di patologie croniche dovute a condizioni di viaggio proibitive o a violenze e torture che i rifugiati hanno subito in Libia. Un lavoro che sembra non avere mai fine.

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«LA GENTE DEVE SAPERE COSA SUCCEDE IN MARE» Accompagnato al porto di destinazione un gruppo di migranti, c’è un nuovo barcone da intercettare, un gommone da recuperare, nuovi disperati da soccorrere. Ma nonostante la fatica, i risultati concreti ci sono e sono misurabili. Oltre undicimila persone sono state tratte in salvo e accompagnate sulla terraferma dalla Phoenix. «A me non è mai capitato di vedere bambini affogati nel corso delle traversate, ma penso che in mare ci siano tantissimi Aylin. Questa è la mia grande disperazione. Foto come quella del bambino curdo ritrovato senza vita su una spiaggia in Turchia vanno diffuse e viste, perché la gente si deve rendere conto di cosa succeda in mare. Famiglie che muoiono, bambini che muoiono. Non possiamo rimanere indifferenti, dobbiamo aiutarli». Anche perché chi mette a rischio la propria vita per mare, lo fa – spiega la Catrambone – perché nel suo Paese non può più stare. Perché è dilaniato da una guerra, come la Siria, o perché messo in ginocchio da regimi paradittatoriali che fondano la propria esistenza sulla repressione, come Etiopia ed Eritrea. Ed è da qui che la stragrande maggioranza dei profughi arrivati oggi a Reggio Calabria ha iniziato un viaggio che non può dirsi concluso. Solo i minori non accompagnati e chi ha bisogno di ospedalizzazione rimarrà a Reggio Calabria. Gli altri – ha deciso il ministero dell’Interno – appena concluse le procedure di identificazione dovranno salire sui pullman che li porteranno in Toscana, Veneto, Puglia ed Emilia. E per i più non si tratta che di una tappa.

 

MIOPIA EUROPEA In molti sognano il Nord europa dove nella maggior parte dei casi hanno familiari, amici o conoscenti che li hanno preceduti. Ma nonostante le dichiarazioni di pubblico cordoglio seguite alla pubblicazione delle immagini delle vittime più piccole delle stragi nel Mediterraneo, la fortezza Europa sembra essere ancora imbrigliata da una discussione viziata da troppe gelosie e poche soluzioni. Anche la proposta di aumentare le quote di migranti che i vari paesi dell’Ue sono tenuti ad accogliere – pena sanzioni – appare del tutto insufficiente di fronte a un’ondata migratoria di portata epocale, provocata in larga parte dalla scellerata politica estera delle varie potenze europee negli ultimi decenni. Nel frattempo, in mare si continua a morire.

 

Alessia Candito
[email protected]

Fonte:

LA FOTO DI AYLAN KURDI RISCHIA DI ESSERE PRESTO DIMENTICATA

  • 04 Set 2015 16.38
Di

Johan Hufnagel, direttore di Libération, fornisce una “spiegazione” disarmante sul perché il quotidiano francese non ha pubblicato la foto di Aylan Kurdi, il bambino siriano trovato morto sulle spiagge della Turchia: “Non l’abbiamo vista”. La cecità di Libération, che per molto tempo è stato un punto di riferimento nell’uso della fotografia e che non può essere sospettato di aver sottovalutato la gravità della situazione dei profughi e dei flussi migratori, spiega forse come mai nessun giornale francese – a parte le Dernières Nouvelles d’Alsace e Le Monde (che l’ha inserita in ritardo) – ha pubblicato le fotografie che, dopo aver circolato sui social network, sono finite sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo?

Questa sgradevole sorpresa non deve però impedire di riflettere a mente fredda su questo momento di emozione collettiva provocata dalle immagini. Dodici persone in fuga dalla Siria sono morte mentre la barca con la quale cercavano di arrivare in Grecia è affondata vicino all’isola di Kos. Sulla spiaggia sono stati ritrovati i corpi di Aylan Kurdi, 3 anni, e di suo fratello Galip, 5 anni, e della loro madre Rehan.

Negli ultimi mesi e durante tutta l’estate abbiamo purtroppo visto migliaia di fotografie di questi naufraghi dei tempi moderni. Spesso abbiamo dimenticato le foto molto simili che, solo qualche anno fa, erano state scattate sulle coste spagnole di fronte al Marocco. Perché allora l’immagine, le immagini, di Aylan hanno avuto un impatto diverso, perché l’emozione sembra improvvisamente aumentata?

Queste immagini hanno qualcosa di commovente per la loro distanza rispettosa e l’assenza di spettacolarizzazione.

Si possono avanzare numerose spiegazioni, come per esempio il fatto che si tratti di un bambino, ma purtroppo non è il primo e molto probabilmente non sarà neanche l’ultimo. Il modo in cui sono state pubblicate le immagini fornisce forse qualche elemento in più per capire l’intensità di questa reazione emotiva.

Una reazione che si manifesta nel momento in cui sempre più europei si rendono conto che non si può più parlare di migranti – anche se le situazioni sono spesso simili, le condizioni non sono esattamente le stesse – e che è tempo di affrontare la questione politica dell’accoglienza dei profughi.

L’immagine più ripresa mostra in primo piano, in orizzontale, un bambino con i pantaloni corti e la maglietta rossa, la faccia contro la sabbia, il volto bagnato dalla risacca. Un uomo in uniforme di schiena gli si avvicina. In molte pubblicazioni in prima pagina è stato scelto uno scatto con solo il corpo del bambino. Non si può non pensare a come questa immagine rimandi alle radici della nostra cultura, ai racconti magici dell’oceano che porta a riva i sopravvissuti “provenienti dal ventre del mare” o che dà loro la vita. Ma in questo caso il mare ha restituito un corpo inanimato, come fa quotidianamente con i rifiuti di cui si sbarazza.

Un’immagine quindi violenta. L’immagine successiva, anch’essa molto pubblicata, mostra il militare che trasporta con delicatezza il cadavere del bambino. In questo caso proiettiamo la nostra percezione dell’orrore nella speranza che questa immagine si trasformi in metafora della compassione attiva di un’Europa che tergiversa da mesi – da anni – di fronte a una situazione insopportabile.

Attenzione, nessuna di queste foto che sono state rapidamente diffuse, pubblicate e condivise, è violenta. Al contrario, hanno qualcosa di commovente, sia per la loro distanza rispettosa sia per l’assenza totale di spettacolarizzazione che anima l’inquadratura. Quello che è violento, molto violento, intollerabile, è la situazione alla quale ci rimandano e sulla quale ci avvertono.

Questa osservazione ha anche lo scopo di evitare nuove polemiche sterili sull’opportunità o meno di pubblicare queste immagini. Certo che lo si doveva fare. In nome dell’informazione, in nome dell’indispensabile segnale di allarme e rispettando – come non è sempre stato fatto – il pudore della fotografa, Nilüfer Demir, che ha saputo mantenere una delicata distanza da quello che vedeva.

Ho paura che queste fotografie saranno presto dimenticate

Di solito è impossibile – e ancora meno a caldo – determinare perché e come delle fotografie diventino delle icone, dei catalizzatori di gruppi che si proiettano e si riconoscono in esse. Questo è ancora più vero oggi, sommersi come siamo da sollecitazioni visive e dalle migliaia di immagini che cancellano quelle che le hanno precedute.

Se i politici, che si sono detti sconvolti dalle immagini che mostrano il cadavere del piccolo Aylan sulla spiaggia, prenderanno delle decisioni affinché questi fatti non si ripetano, allora queste fotografie diventeranno impossibili da fare e saranno servite a qualcosa.

Ma in questi tempi dalla velocità incontrollata, con le migliaia di immagini che sono arrivate dopo quelle drammatiche del bambino siriano, ho paura che queste fotografie saranno presto dimenticate. In modo vergognoso e inquietante. Ancora una volta questo probabile oblio ci deve far riflettere sulla nostra relazione con la memoria e quindi con la storia. Una riflessione terribile.

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/opinione/christian-caujolle/2015/09/04/foto-bambino-migranti-aylan-kurdi

 

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http://www.internazionale.it/notizie/2015/09/04/aylan-kurdi-funerali-kobane

Abdullah Kurdi, padre di Aylan Kurd davanti alla camera mortuaria di Mugla, nel sud della Turchia il 3 settembre. (Ozan Kose, Afp)

 

LA TORTURA SESSUALE IN TURCHIA E’ UN CRIMINE DI GUERRA

La tortura sessuale della Turchia sono un crimine di guerra

L’Avvocata İpek Bozkurt dice che il recente uso della tortura sessuale contro le donne nell’escalation di guerra in Turchia costituisce un crimine di guerra.

La guerra si sta intensificando nel Kurdistan settentrionale (in Turchia), lo stato turco utilizza tattiche che riecheggiano la guerra sporca del anni 1990. I soldati hanno evacuato i villaggi. La polizia ha arrestato i politici kurdi. È stato dichiarato il coprifuoco in molti settori.

Un’altra tattica che riecheggia gli effetti psicologici del 1990 è il crescente attacco contro le donne. La polizia e soldati hanno più volte trattato le donne come oggetto sessuale per demoralizzarle e degradarle nella strategia di guerra.

Il 10 agosto la guerrigliera curda Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) ha bloccato una strada vicino alla città curda di Varto. La polizia ha torturato Ekin fino alla morte, la ha trascinata sul terreno e ha fatto circolare una foto con il suo corpo nudo. Il 23 agosto la polizia ha arrestato Figen Şahin di 25 anni nella città di Adana, dopo che un quartiere prevalentemente curdo ha dichiarato l’autogoverno. La polizia l’ha torturata con abusi sessuali e minacciata di condividere le fotografie del suo corpo nudo.

İpek Bozkurt è un avvocata attivista della piattaforma turca Donne contro gli omicidi, che lavora contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Ha detto che nella recente guerra, lo Stato sta usando il corpo delle donne come un campo di battaglia.

“Con gli anfibi ai piedi e la loro postura quelli che l’hanno uccisa stanno in realtà cercando di mostrare – esponendo il corpo di una guerrigliera – che la considerano un oggetto sessuale, senza onore “
İpek ha dichiarato che l’esposizione del corpo nudo di Ekin Wan come oggetto sessuale costituisce un crimine di guerra ai sensi della Convenzione di Ginevra.

E’ un comportamento incompatibile con il rispetto della dignità umana e i principi della Convenzione di Ginevra. Ha fatto notare che la convenzione riconosce lo stupro e il maltrattamento delle donne come crimini di guerra.

İpek ha detto inoltre che l’attivismo delle donne potrebbe svolgere un ruolo chiave nel processo di pace. “Negli ultimi quindici anni, il movimento delle donne ha fatto molti passi avanti in questo paese, credo che le donne possono svolgere un ruolo importante, unite nella richiesta di una politica rispettosa dei diritti umani senza più uccisioni.”

 

 

Fonte:

http://www.uikionlus.com/la-tortura-sessuale-della-turchia-sono-un-crimine-di-guerra/

KURDISTAN: AGGIORNAMENTI AL 4° GIORNO DALL’INIZIO DELL’ATTACCO TURCO

Articoli tratti da http://www.uikionlus.com/
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La polizia uccide un giovane a Nusaybin

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Comunicato congiunto di emergenza dei partiti curdi

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3° giorno di operazioni dello Stato Turco

3° giorno di operazioni delle forze speciali Turche nella guerra lanciata da Erdogan contro i Curdi ed il PKK: gli arresti salgono a 618 persone, di cui 518 sono Curdi e militanti …

KCK: La resistenza deve immediatamente aumentare

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La co-presidenza del Consiglio Esecutivo del KCK in una dichiarazione scritta prende posizione sugli attacchi aerei dell’esercito turco: “Alla fine del 2012 è iniziata di fatto una …

Erdogan all’attacco, In casa e fuori

Erdogan all’attacco, In casa e fuori

July 26, 2015

La meglio gioventù (tra Siria e Kurdistan)

Mentre in diverse città anche italiane ieri si svolgevano manifestazioni in solidarietà alla città curda di Suruc – colpita il 20 luglio da una strage di giovani (decine uccisi e un centinaio feriti) per un attacco kamikaze di una miliziana dell’Isis – leggevo, sulla bacheca del giornalista siriano Shady Hamadi, un post in cui ricorda un’altra strage (una delle tante che ancora oggi avvengono sotto il regime di Assad) avvenuta all’Università di Aleppo nel 2013. Copio la sua memoria e, di seguito, un articolo dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia sulla strage dell’altro ieri. Ho voluto mettere insieme questi due massacri per riportare due esempi (tanti altri se ne potrebbero fare tra diverse epoche e parti del mondo) di quella che un tempo sarebbe stata chiamata la meglio gioventù.

D. Q.

 

Da

Shady Hamadi

Forse non erano socialisti ma sicuramente sognavano un futuro migliore. Sono gli 82 ragazzi e ragazze morti all’università di ‪#‎Aleppo‬ il 15 gennaio 2013, uccisi da una bomba sganciata da un aereo del regime siriano, quando ‪#‎Isis‬ non c’era. Vittime anche loro. ‪#‎Suruc‬

foto di Shady Hamadi.

*

Come e perché si è arrivati al massacro di Suruç ?

Come e perché si è arrivati al massacro di Suruç ?

I giovani che sono morti o feriti a Suruç avevano un unico scopo: andare a Kobanê e unirsi alla ricostruzione della città. La Federazione della gioventù socialista (SGDF) aveva scritto un comunicato stampa prima di andare a Suruç. Da un mese i giovani si stavano preparando per partire con un’azione pubblica.

I residenti di Suruç e i rappresentanti delle organizzazioni non governative hanno accolto i giovani a Suruç. Si sono incontrati con il governatore distrettuale e gli hanno detto che volevano andare a Kobanê. Governatore Distrettuale però li ha fatti aspettare dicendo che solo pochi di loro potevano attraversare il confine, ponendosi in contrasto con tutto il gruppo.

Il sanguinoso attacco di Suruç è avvenuto dopo la conferenza stampa nel centro culturale Amara, in risposta alla risposta negativa del governatore distrettuale.

Bisogna fare le seguenti domande per quanto riguarda l’attacco:
1- La polizia ha fermato tutti i giovani che si stavano dirigendo ad Amara . Il posto di blocco della polizia era a 200 metri di distanza da Amara, la polizia avrebbe potuto fare il posto di controllo più vicino al centro culturale. La polizia ha fatto il posto di blocco a 200 metri di distanza da Amara, in modo da non essere coinvolta dall’esplosione?

2- Come ha fatto la kamikaze ISIS ad entrare nel centro culturale dove la polizia ha perquisito ogni notebook, macchina fotografica e anche le matite dei giovani massacrati?

3- Come è potuto succedere che i sevizi di intelligence turchi, che sorvegliano Suruç compresa il valico di confine di Mürşitpınar , non sono riusciti a ‘vedere’ la cellula dell’ ISIS?

4- Come è possibile che la polizia non ha identificato la cellula dell’ISIS nonostante il fatto che Amara è vicino ad una stazione di polizia?

5- Perché la polizia ha attaccato i civili che portavano i feriti in ospedale? È perché volevano lasciare i feriti a morire così?

6- Ci sono molte cellule ISIS intorno a Suruç? Lo stato a conosce queste cellule?

7- Perché i corpi sono stati esaminati all’ obitorio di Antep invece che a Urfa? Cosa stanno cercando di nascondere?

8- Non ci sono dichiarazioni di testimoni ma si sostiene che ci sono stati due attentatori, un uomo che ha fatto esplodere la bomba e una donna,la donne è ferita e sotto custodia della polizia attualmente. Chi è l’attentatrice nata nel 1995 a Sivas, che è tenuta sotto custodia dalla polizia? Perché i funzionari non vogliono fare dichiarazioni su questo?

Lo stato turco non risponde a queste domande.

Molte persone avevano previsto questo attacco, dopo la liberazione del YPG di gire spi (Tel Abyad). Come filmati della telecamera hanno confermato, l’ ISIS è fuggito da gire spi ed è passato ad Akçakale liberamente e felicemente. Poco dopo, Dicle News Agency e altri media indipendenti hanno documentato la sede ISIS ad Akçakale. Diha ha anche riferito che sièformata una una cellula ISIS a Ceylanpınar due giorni fa.

Gire SPI è stata una sconfitta pesante per l’AKP e ISIS perché la loro logistica era organizzata attraverso questo confine I funzionari dell’AKP hanno dimostrato il loro malcontento per la liberazione di Gire spi pubblicamente, e Erdogan ha dichiarato che “non sarebbero stati a guardare’ . Ora stanno cercando di vendicare la liberazione di Gire Spi nel Nord Kurdistan. Quando ISIS è stato sconfitto in Rojava, hanno portato la guerra da questa parte del confine. Stanno ripetendo l’attacco di Kobanê il 25 giugno a Suruç, Urfa e Diyarbakir. Il brutale massacro di Suruç prende di mira il modello di vita democratica e libera sviluppato in Rojava e i solidali con il movimento di liberazione curda.

Siamo in una situazione pericolosa per come Erdogan e il suo Akp stanno alimentando l’odio sia dopo la sconfitta in Rojava ché dopo le elezioni.Non possiamo fare appello ai tiranni perchè lo Stato non protegge i civili e le istituzioni da ISIS. lo Stato protegge e tollera isis. Tale situazione rende l’autodifesa più fondamentale che mai.

Come possiamo organizzare la nostra auto-difesa?
1- La legittima difesa è un problema serio e importante. Dovremo organizzarla sistematicamente e senza panico e senza fare affidamento sullo stato.

2- Non dobbiamo lasciare la sicurezza nelle mani degli agenti di polizia con azioni collettive nelle città di confine, nonché centri urbani come Amed. È più probabile che ISIS attacchi le aree in cui vi è una presenza di polizia più alta I civili a centinaia possono formare comitati di sicurezza per l’auto-difesa.

3- Ci sarà pericolo sino a quando esisteranno cellule ISIS. Pertanto, i giovani dovrebbero prendere l’iniziativa ed eliminare le cellule ISIS che operano sotto false spoglie di organizzazioni umanitarie o riviste.

4- Le organizzazioni non governative, i politici democratici, i parlamentari e la stampa dovrebbero prendere posizione per quanto riguarda la sede ISIS nella casa colonica TIGEM in Akçakale. Parlamentari e ONG dovrebbero chiarire perché Tigem è chiusa ai civili.
di Amed Dicle

MASSACRO DI PIRSUS/SURUC 20.07.2014 – I NOMI DEI MARTIRI
Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Okan Pirinç, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz.”

 

 

Fonte:

http://www.uikionlus.com/come-e-perche-si-e-arrivati-al-massacro-di-suruc/

PRESIDIO A ROMA IL 21 LUGLIO IN SOSTEGNO DI SURUC

PRESIDIO A ROMA IL 21 LUGLIO IN SOSTEGNO DI SURUC

Presidio pubblico a PIAZZA DELLA REPUBBLICA

MARTEDI’ 21 LUGLIO 2015 alle ORE 19.00

La mattina del 20 luglio intorno alle ore 11 si verificato un grave attentato a Suruc,città turca sud-orientale a soli 10 km da Kobane.

A Suruc erano arrivati 300 membri della Federazione delle associazioni della gioventù socialista (SGDF) che si erano riuniti nel centro culturale “Amara” prima di recarsi a Kobane per una missione di ricostruzione della città curdo-siriana martoriata dal conflitto con l’Isis dei mesi scorsi.

Per potersi recare a Kobane e svolgere la missione, i giovani della Federazione avevano inoltrato una richiesta ufficiale alla prefettura di Suruc, richiesta che non aveva avuto esito positivo dalle autorità turche.

A seguito di tale diniego i giovani si erano radunati al centro culturale “Amara”, punto di riferimento in questi mesi per la comunità internazionale che ha portato il sostegno alla regione curdo-siriana del Rojava, per una conferenza stampa.

L’esplosione sarebbe stata provocata da una giovane kamikaze dell’ISIS durante la conferenza stampa, e almeno 30 persone hanno perso la vita. Altre 100 sono rimaste ferite, alcune in modo grave sono in pericolo di vita.

Contemporaneamente nella città di Kobane si è verificava un secondo attacco, non distante con la frontiera del valico di Mursitpinar, che provocava diverse vittime tra le file delle YPG.
Dal 19 luglio del 2012 i curdi della regione del Rojava nel mezzo della guerra civile siriana si sono organizzati attraverso delle amministrazioni democratiche e autonome. Lo scorso 19 luglio, tutto il Kurdistan ha celebrato questo evento.

Proprio questa ricorrenza pensiamo sia alla base degli attacchi dell’ISIS, che ha scelto di colpire diverse località come nei recenti attacchi a Kobane avvenuti tra il 25 e 26 giugno scorso, che hanno provocato la morte di più di 200 civili brutalmente uccisi, molti addirittura mentre dormivano nelle proprie case.

Come per gli attacchi del 25 giugno scorso, pensiamo chedietro all’attentato di Suruc vi sia l’appoggio, quantomeno logistico, proveniente dallo stato Turco.

Condanniamo con fermezza la brutalità di questi attacchi terroristici e chiediamo alla Comunità internazionale, all’Unione europea e al Consiglio d’Europa e all’opinione pubblica internazionale di fermare la Turchia e i paesi che direttamente o indirettamente appoggiano o favoriscano l’ISIS.

Occorre fermare immediatamente questa strage infinita e ci appelliamo a tutte le coscienze democratiche che si oppongono alla barbarie dell’ISIS e dei loro fiancheggiatori.

Per questo indiciamo un presidio pubblico a PIAZZA DELLA REPUBBLICA per il giorno MARTEDI’ 21 LUGLIO 2015 alle ORE 19.00 e invitiamo a portare un fiore in ricordo delle vittime barbaramente assassinate dall’ISIS.

Ribadiamo la nostra presenza a Suruc per il 15 settembre prossimo per una grande mobilitazione internazionale, insieme ai movimenti, le associazioni, i partiti che in questi mesi hanno supportato in ogni modo la Città di Kobane e il Rojava tutto, per chiedere l’apertura immediata di un corridoio umanitario tra la Turchia e i territori del Rojava.

Fonte: