Grosso guaio al canile di Reggio Calabria

La struttura assegnata nonostante non fosse a norma. Il Comune cerca di metterci una pezza. Ma i volontari di “Dacci una zampa” si rivolgono alla magistratura

Martedì, 20 Dicembre 2016 20:06 Pubblicato in Cronaca

REGGIO CALABRIA È possibile dare in gestione una struttura pur sapendola non a norma? E ricordarsene circa nove mesi dopo, annunciando lavori che ci mettano una pezza, ma che senza che una gara al riguardo sia stata bandita? A quanto pare, a Reggio Calabria sì.

IMPEGNO A TEMPO DETERMINATO A svelarlo è l’ultimo episodio dell’ormai guerra aperta fra l’amministrazione e i volontari di “Dacci una zampa”, l’associazione animalista che per prima ha rimesso in funzione il canile municipale di Mortara di Pellaro, per anni lasciato a marcire nonostante fosse da tempo completato. Una struttura all’epoca frequentata anche dall’allora aspirante sindaco Giuseppe Falcomatà, che in piena campagna elettorale non ha esitato a “metterci la faccia” insieme alla futura consorte, immortalando il suo impegno «per i cani di Mortara» con il consueto selfie.

CANILE ASSEGNATO Ma l’idillio con i volontari è durato poco. Dopo che Tar e Consiglio di Stato hanno confermato l’assegnazione dell’appalto per la gestione del canile all’associazione Aratea, il sindaco ha usato la mano dura. Nonostante le diverse irregolarità da più parti segnalate – dall’agibilità solo parziale della struttura, al mancato accatastamento, come alla non conformità di spazi e box alla nuova normativa regionale di riferimento, entrambe confermate dagli annunciati lavori – Falcomatà ha deciso di procedere comunque con l’assegnazione del canile.

ASSEGNAZIONE Scortata dalla polizia municipale, ad aprile l’associazione Aratea fa il suo ingresso a Mortara. Dopo un po’ di parapiglia con i volontari di “Dacci una zampa” si trova – almeno sulla carta – un accordo. Loro escono dalla gestione, ma dentro rimangono i cani che nel tempo cittadini, Asp, vigili urbani e forze dell’ordine hanno portato alla struttura, affidandoli ai volontari. Gli animali – si stabilisce – saranno ospiti della struttura dietro pagamento di 0,68 centesimi a cane, cioè la diaria che ha permesso all’associazione Aratea di imporsi sulle altre che hanno concorso per l’assegnazione del canile. Dal punto di vista sanitario invece, con un verbale della dirigente del settore ambiente, Loredana Pace, l’intero canile – sia la parte adibita rifugio, sia quella destinata al “sanitario”– è stata invece affidata al dottore Mario Marroni, responsabile dell’area A dei servizi veterinari dell’Asp. Entrambe, sono ordinariamente gestite dall’associazione Aratea con il proprio personale.

LE PRIME ANOMALIE E qui ci si trova di fronte alla prima anomalia. Anzi, ad una prima serie di anomalie. A metterlo nero su bianco, in una nota ufficiale, otto mesi dopo è il direttore dell’Area C dell’Asp, dottor Giuseppe Giugno, che con una nota sollecita il sindaco Falcomatà «a voler con la massima urgenza nell’ottica di una fattiva cooperazione tra le parti, convocare una riunione per porre fine a questa situazione che ormai si protae da molto tempo e che inevitabilmente oltre a determinare responsabilità di natura economica, amministrativa e penale, crea confusione nei ruoli e nelle competenze istituzionali».

LA DURA LEGGE DEL DCA Perché? Semplice. Il Dca di riferimento, emanato il 31 maggio 2015 dal commissario ad acta alla Sanità, Massimo Scura, stabilisce criteri molto precisi per i canili in regione. In generale, recita il documento, nella stessa struttura non possono esistere canile sanitario e canile rifugio, a meno che non si tratti di strutture municipali in cui le due sezioni siano nettamente divise e delimitate. Diversi sono anche gestione, personale e mantenimento, così come le aree dell’Asp che vigilano su di essi.

LA MUNIFICITÀ DI PALAZZO SAN GIORGIO Secondo la normativa regionale di riferimento, se le spese dei rifugi municipali sono a carico del Comune che li ospita, quelle del sanitario invece competono alla conferenza dei sindaci della provincia per cui il sanitario è riferimento, chiamata anche ad assistere gli animali con proprio personale. Dal punto di vista veterinario invece, se l’Area A è chiamata a vigilare sul sanitario, il canile rifugio compete all’area C. Sottigliezze burocratiche? Non proprio. Ignorandole, l’amministrazione comunale reggina ha dovuto sborsare (quanto meno sulla carta) anche i soldi necessari al mantenimento degli animali per i quali altri sindaci avrebbero dovuto versare il proprio obolo.

ACCREDITAMENTO SÌ O NO? In più, se l’area C non è mai stata coinvolta nella supervisione del canile, come fa la struttura ad essere accreditata, dunque come può operare? Ecco perché Giugno parla di «responsabilità di natura economica, amministrativa e penale». Ed ecco perché la medesima comunicazione è stata mandata per conoscenza anche a Questura, Prefettura, Nas e Nirda (Nucleo investigativo per i reati in danno agli animali della Guardia forestale).

TRA CHIUSURE E ORDINANZE Tutti soggetti che nel corso degli ultimi otto mesi sono stati più volte chiamati a occuparsi del canile di Mortara. E non solo per la chiusura della struttura a causa di un’epidemia, disposta con ordinanza del sindaco del 14 luglio e preceduta di circa un mese da una comunicazione della dirigente Pace. O per i consueti battibecchi – legali e no – tra l’associazione Aratea, che gestisce il canile, e i volontari di Dacci una zampa, che lì hanno ospiti i propri cani.

MESI COMPLICATI Da aprile a oggi, carabinieri e municipale più volte sono dovuti piombare di fronte ai cancelli, su sollecitazione di cittadini e volontari cui è stato interdetto l’ingresso, al canile si è presentata persino una delegazione di Lav e parlamentari del Movimento 5 stelle arrivati a Mortara per un’ispezione conclusasi con un nulla di fatto, mentre più problematica per l’associazione sembra essere stata quella dei Nirda che durante un blitz hanno rinvenuto medicinali ad uso umano, escrementi non smaltiti correttamente e altre criticità strutturali, in tutto e per tutto simili a quelle messe in luce da più parti ancor prima dell’assegnazione del canile. Circostanze alla base di una serie di denunce per maltrattamenti, come in una serie di querele per diffamazione, seguite a battibecchi – dai toni spesso aspri – sui social.

ARRIVANO I NAS Per destare l’amministrazione però ci sono voluti i Nas, che ad agosto – in piena emergenza cimurro – piombano in canile e riscontrano una serie di anomalie, a partire dall’inesistente divisione fra canile sanitario e canile rifugio. Ragion per cui chiedono chiarimenti alla dirigente responsabile, Loredana Pace, ordinando contestualmente immediati lavori di adeguamento. Richieste che il Comune non ha potuto ignorare.

SGOMBERATE TUTTO Ecco perché a novembre, il sindaco Falcomatà ordina lo svuotamento del settore rifugio, in attesa dei lavori di adeguamento, inibendo contestualmente l’ingresso di altri animali. Alla dirigente Pace – prevede l’ordinanza del sindaco – toccherà inoltre individuare altre strutture del territorio in grado di ospitare i cani in attesa del completamento dei lavori di adeguamento. Intimazioni che comportano una serie di problemi.

QUALCHE PROBLEMA Primo, l’ingresso degli animali nella sezione “sanitaria” è regolamentato da rigide norme e – quanto meno sulla carta – non possono transitarci senza specifica motivazione. Secondo, tutte le altre strutture della provincia sono private – dunque lì i cani potrebbero essere trasferiti solo a caro prezzo – e negli anni scorsi più volte sono emerse criticità al riguardo. Ma ad amministrazione e gestori del canile la cosa sembra poco importare. E il meccanismo si mette in moto. O almeno così pare. Ai volontari di “Dacci una zampa”, che in questi mesi hanno lavorato alla costruzione di un’oasi canina su un terreno donato dalla Provincia, è stato ordinato di portar via i cani ospiti di Mortara entro 15 giorni, pena il sequestro. Un provvedimento “abnorme” per i legali dell’associazione e “insensato”.

QUALE URGENZA? Perché – banalmente – il sequestro presuppone un’urgenza che allo stato non è rintracciabile in alcun dove. Sugli albi online, non c’è infatti notizie di gare o manifestazioni di interesse. Che si sappia, mai il consiglio comunale ha discusso della questione. Eppure in ballo rischiano di esserci un bel po’ di soldi. Stando al Dca, per l’adeguamento o la creazione di canili sanitari nella provincia di Reggio ci sarebbero 270mila euro. Se e in che misura il Comune di Reggio Calabria abbia intenzione di contare su questi soldi non è dato sapere, tantomeno se la probabile mancanza di accreditamento possa influire sulla fruizione di questo denaro. Quel che si sa è che – al momento – non c’è documento o albo ufficiale che rechi traccia di questi lavori. E allora perché tanta fretta?

LE DOMANDE DI DACCI UNA ZAMPA «C’è qualcosa che non va e non ha senso in tutta questa storia – dicono dall’associazione – e non si tratta solo dell’ostinazione con cui il Comune ignora le nostre istanze, inoltrate anche via pec, all’ufficio dirigenziale competente e al sindaco. Come mai si scoprono solo adesso le criticità strutturali che noi segnaliamo da anni? Come hanno fatto ad assegnare la gestione del canile pur essendone a conoscenza? Perché tanta fretta di trasferire i cani? E com’è possibile che oggi si organizzino “feste di natale” in una struttura non adeguata e con gran parte degli animali trasferiti nel settore sanitario?». Domande rimaste senza risposta. Ma di fronte al silenzio dell’amministrazione, i volontari hanno deciso di rivolgersi alla magistratura.

Alessia Candito

 

Fonte:

http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/52997-grosso-guaio-al-canile-di-reggio-calabria

Reggio Calabria, incendiato l’asilo di Santa Venere

Il sindaco Giuseppe Falcomatà: «Più questi vigliacchi continueranno a bruciare più noi continueremo a costruire»

giovedì 3 novembre 2016 | 13:23

Nella notte ignoti hanno incendiato l’asilo di Santa Venere a Reggio Calabria.

 

La struttura, completamente nuova, avrebbe dovuto spalancare le sue porte a tanti piccoli bambini tra qualche giorno. La notizia è stata resa pubblica sindaco della “Città dello Stretto” Giuseppe Falcomatà.

 

«Avremmo inaugurato l’asilo di Santa Venere tra qualche giorno – ha scritto il primo cittadino – ma stanotte è stato bruciato. Vigliacchi, fatevene una ragione: continuerete a bruciare, noi continueremo a ricostruire».

 

 

Fonte:

http://lacnews24.it/21932/cronaca/reggio-calabria-incendiato-asilo-santa-venere.html

Reggio, il Consiglio comunale approva il Registro delle Unioni Civili

FalcomataGiuseppeunionicivili

di Walter Alberio – Partita chiusa. Il Consiglio comunale di Reggio Calabria approva il Registro delle unioni civili. Il testo passa con 20 voti favorevoli, 2 astenuti e 5 contrari.

Piovono emendamenti, ben novantasette, sull’Aula di Palazzo San Giorgio nella seduta fiume odierna.

Sono 14 gli emendamenti presentati dal centrodestra per modificare il testo nella parte dei principi generali; 26 sulla parte relativa all’iscrizione; 6 sui requisiti; 18 sugli effetti dell’iscrizione; 26 sulla cancellazione e 6 sulla parte che tratta la trascrizione da Registri civili di altro Comune. Tuttavia, solo diciassette vengono approvati, mentre il resto degli emendamenti viene respinto.

Il regolamento, quindi, sostanzialmente non cambia rispetto a quello approvato lo scorso 21 aprile in Commissione Statuto e Regolamenti, teatro, anche in quella occasione, dello scontro frontale tra maggioranza e opposizione.

Il dibattito. Scintille, come da pronostico, sin dalle prime battute della seduta consiliare. Vano anche l’intervento (quasi un appello alle forze di opposizione presenti a Palazzo San Giorgio) dell’assessore alle Politiche sociali, Giuseppe Marino: “Il dibattito sulle unioni civili ha visto intervenire tanti enti e tante associazioni, spesse condizionate dal fatto che questo argomento è strumentalizzato da convinzioni ideologiche. Voglio credere – ha proseguito, l’assessore – che il dibattito che c’è stato in queste settimane in città abbia un obiettivo condiviso: creare un nuovo umanesimo nella nostra città, ovvero un senso di comunità ritrovata, superando i recinti ideologici, dove le nostre discussioni spesso rimangono impigliate. Bisogna portare avanti – ha concluso, Marino – una operazione di concretezza politica, per creare una città inclusiva e senza barriere”.

La discussione in Aula, tuttavia, regala siparietti e una serie di interventi piccati. E’ il forzista Massimo Ripepi a definire il regolamento “inutile e ipocrita”, scagliandosi contro il presidente della Commissione Statuto e Regolamenti, nonché primo firmatario, Mimmo Martino: “Altro che analisi approfondita del regolamento. In Commissione è stato presentato e approvato in un minuto. Si è trattato di una farsa. Avete dovuto obbedire agli ordini di partito, nonostante l’80% delle associazioni audite si siano espresse contrariamente alla realizzazione del Registro”.

Forza Italia si spacca: scricchiolii, malumori e pasticci. Una grande confusione, un caos imbarazzante, dove a emergere sono solo gli attriti all’interno della minoranza. E’ quanto accaduto nella fase della votazione degli emendamenti al testo sulle unioni civili, ridottasi ad una resa dei conti politica interna. Sul banco degli imputati, il capogruppo forzista, Demetrio Marino, accusato palesemente di fare “accordini personali” con il centrosinistra.

“Voterò contro tutti gli emendamenti, anche quelli presentati dal centrodestra, perché non accetto accordi sottobanco. Su argomenti in cui ci sono in gioco delle identità valoriali, io, non mi vendo”, ha tuonato Dattola, capo dell’opposizione comunale, nonché ancora dirigente del partito Forza Italia.

A rincarare la dose, il consigliere in quota Forza Italia, Massimo Ripepi, particolarmente infastidito: “Stiamo votando no, perché c’è stato un accordo personale tra il capogruppo di Forza Italia e la maggioranza. Consiglio al mio capogruppo – ha detto, Ripepi, indicando le associazioni presenti – di aderire al gruppo ‘Neo illuminista’. Deve essere stigmatizzato l’accorduccio personale che non c’entra niente con la politica”.

A prendere le difese di Marino, rimane solo l’altro forzista, Antonio Pizzimenti: “Noi riconosciamo Dattola come nostro coordinatore, ma non ha fatto una bella figura, abbandonando l’aula”, ha sottolineato (quasi sommessamente) il consigliere d’opposizione

Accade, così, che parte della minoranza vota negativamente per tanti emendamenti da loro stessi presentati, prima di abbandonare temporaneamente l’Aula del Consiglio.

Falcomatà: “Battaglia di civiltà per un Paese più moderno”. “E’ un testo molto equilibrato e rappresenta un passo in avanti verso un Paese più moderno”, ha affermato nel suo intervento, dopo un accesso dibattito tra i consiglieri, il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà.

ConscomunalercUnionicivili“Noi, come già altri Comuni in passato, siamo da stimolo ad una politica nazionale, spesso ferma e indecisa per non scontentare qualcuno. Oggi, più di ieri, i Comuni, quali enti di prossimità, sono amministrazioni di frontiera e – ha aggiunto, il primo cittadino, alla presenza delle associazioni Arcigay “I due mari” di Reggio Calabria, Maestri di Speranza, Collettivo Autonomia e Pagliacci clandestini – non possono rinunciare alla battaglie di carattere sociale”.

“Qui stiamo discutendo dell’uguaglianza dei diritti davanti alla legge. I nostri legami – ha proseguito, Falcomatà – sono, prima di tutto, frutto dell’amore, dell’affetto e del rispetto reciproco. Non possiamo pensare che tutelare i diritti della minoranza, significhi toglierne altri alla maggioranza delle persone”.

Creato Giovedì, 14 Maggio 2015 16:02

 

Fonte:

http://ildispaccio.it/primo-piano/75056-reggio-il-consiglio-comunale-approva-il-registro-delle-unioni-civili

 

 

Comunicato di Lucio Dattola, presidente di Arcigay “I due mari” di Reggio Calabria:

di LUCIO DATTOLA* – (rep) Oggi pomeriggio il Consiglio Comunale di Reggio Calabria ha approvato il Registro delle Unioni Civili.

È una data storica per tutta la Città e possiamo dirci soddisfatti del risultato ottenuto.

La maggioranza, compatta ha valutato coraggiosamente i 97 emendamenti presentati dell’opposizione ed ha ben gestito l’andamento dei lavori.

Un grazie sentito a Giuseppe Falcomatà, sindaco che ha dimostrato oltre che con i fatti, anche con il suo intervento di essere libero da logiche di scuderia, capace di superare le frontiere dei nostri tempi con preparazione convinzione e risolutezza!

Ancora un ringraziamento a Demetrio Delfino impareggiabile presidente del Consiglio Comunale presentatosi in aula con la bandiera arcobaleno ed a tutti i consiglieri che con le dichiarazioni di voto favorevole hanno riempito di significato ed emozione questo Consiglio Comunale (in particolare Minniti e Misefari).

Vogliamo ribadire che tutto questo non sarebbe mai stato possibile senza il sostegno l’apporto e la collaborazione di tante associazioni e tante persone che non hanno risparmiato forze e risorse, per realizzare un orizzonte talmente ampio da ricomprendere tutte le affettività, capace perciò di non creare privilegi e discriminazioni, ma uguaglianza e libertà!

Un grazie infine a Vincenzo, Michela, Silvio, Valentina, Giovanni, Bernadette, Marco, Mirella, Luciana, Antonella, Cecilia, Gabriella, Annamaria, Tiziana, Valentina, Claudia, Grazia, Paola, Simona, Valentino, Daniela, Santo, Andrea, Laura, Antonio perché nel loro impegno ci hanno regalato tempo passione ed amore.

*Presidente arcigay

 

Fonte:

http://www.zoomsud.it/index.php/in-evidenza/80747-arcigay-registro-unioni-civili-una-data-storia-per-reggio-grazie-a-falcomata-delfino-e-a-tanti-altri-dattola.html

 

Settimana contro il razzismo/ Reggio Calabria, La madre di Arghillà dona speranza al quartiere

 

Settimana contro il razzismo/ Reggio Calabria, La madre di Arghillà dona speranza al quartiere

 

Ha lavorato per una settimana, sotto gli occhi attenti e indagatori degli abitanti del quartiere Arghillà, estrema periferia di Reggio Calabria, per realizzare un murales per la Giornata mondiale contro il razzismoleggi anche questo articolo

 

E’ Maurizio Giulio Gebbia, meglio noto con lo pseudonimo Rosk, uno street artist di Caltanissetta, da sempre impegnato nel sociale. Duecento metri quadrati di parete verticale, la facciata di una casa popolare del quartiere, per ridare speranza.

Così ecco che Rosk, coordinato da Inward, l’Osservatorio sulla creatività urbana, con l’aiuto di Mirko Loste Cavallotti, ha realizzato la sua grande opera “La madre di Arghillà”, per imprimere sul quartiere e nella cittadinanza un simbolo permanente della lotta al razzismo, manifestando il senso stesso della pungente reazione che molto spesso la gente riserva ad altri esseri umani, portatori possibili di nuova umanità, di caratteristiche da integrare, di una nuova primavera di vita comune.

 

 

 

E Rosk lo fa ricordando al territorio, non a caso, il culto della Madonna Nera, sentito localmente a Seminara, Palmi ed in altre città calabresi, anche fuori Reggio Calabria, oltre che in tutta Italia.

Eccola, dunque, la Madonna Nera, la madre di Arghillà, con il viso color ebano assorto in direzione di una tenera rondine poggiata su un irto filo spinato.

Nella Giornata mondiale contro il razzismo, il 21 marzo, dunque, a conclusione dell’intera settimana promossa dall’Unar, ecco che sono arrivati in tanti, per l’inaugurazione del murales insieme al sindaco Giuseppe Falcomatà. Un momento di festa arricchito da un concerto in piazza di giovani artisti emergenti, per una nuova primavera di Arghillà e di Reggio Calabria, per combattere i pregiudizi e costruire una città sempre più accogliente dove ci siano pari diritti e opportunità.

Fonte:

http://www.immezcla.it/inchieste-immigrazione/cultura/item/881-giuseppe-falcomat%C3%A0-giulio-rosk-inward-street-art-unar-murales.html

Reggio Calabria: La famiglia naturale, Calamandrei e l’Istat

Dal blog di Mario Meliadò:

16 marzo 2015

La famiglia naturale, Calamandrei e l’Istat

mariomeliado @ 07:15

Coppie e famiglie – Non è questione di natura. In realtà, basterebbe guardare la copertina del libro ormai ben noto (uscito tre anni fa c&fper i prestigiosi tipi di Feltrinelli) di Chiara Saraceno, forse la più celebrata sociologa italiana, illustre editorialista per quotidiani come Il Sole 24 Ore e Repubblica, per avere ben chiari i termini della questione…
La “famiglia naturale” non è, no, la classica mela.

Perché, vedete, già a caldo, quando è esplosa la questione della “famiglia naturale” e della mozione approvata quasi a voti unanimi nel Consiglio comunale di Reggio Calabria, diventata (ovviamente) un “caso nazionale” contribuendo a bollare la città con un’antipaticissima patente oscurantista, a questo blogger è venuto spontaneo il parallelo con la mela…
Al di là del suo nome, inteso come sostantivo di quattro lettere che inizia con una consonante e termina con una vocale, una mela “è una mela”. E non ci sta niente da fare: quella, è. Hai voglia a discutere di lana caprina… sempre mela è.
Ma proprio per questo, se alla fine tiri fuori una norma, un codicillo, una delibera, un ordine del giorno per dire che da ora in avanti la mela si chiamerà “mela”, e la mela è fatta così e cosà, e per meglio tutelarla verrà pure istituita una Festa della Mela, e allora scatta automatica un’equazione: qui si vuol fare una cosa sciocca, cioè definire cosa sia una “mela” che è cosa che tutti ma proprio tutti già sanno, esclusivamente per mettere “paletti” forse neanche necessari e soprattutto per definire a suon di carte bollate ciò che “mela” non è.

Tentiamo di dirlo in altre parole…

Al di là del proprio pensiero, occorrerà fotografare l’esistente. Questo click ci dice che esistono numerosissime situazioni in cui vivono insieme un uomo e una donna che si amano, uniti in matrimonio, e (se ci sono) i figli della coppia; ma anche che nel 2015, da parecchi anni ormai esistono pure parecchie coppie (magari numericamente inferiori) composte in maniera diversa, per esempio da due donne che si amano, o da due uomini che si amano. Ma, anche: da un uomo e da una donna che si amano però non sono uniti in matrimonio e, chissà!, magari neppure in fufamilyturo contrarranno questo vincolo. O da un uomo e una donna che non si sono mai amati, epperò stanno insieme per vincoli di mutua assistenza, queste ultime coppie del tutto affini a quelle composte da due uomini o da due donne che per le medesime ragioni non d’amore, ma sicuramente di cura e assistenza e supporto, e magari anche affettive, compongono nei fatti una coppia.

Da decenni esiste un quesito: se tutte queste coppie di tipo “B” – amore o meno – possano definirsi “famiglia”.
Per mille motivi, la risposta è sicuramente positiva: non si può infatti ritenere, quantomeno sotto i profili sociali (quanto ai profili giuridici, il discorso è differente e complesso…), che esista un unico modello di famiglia, o che per formarne una – nel 2015 – sia indispensabile il matrimonio o la sua composizione esclusivamente da parte di due soggetti eterosessuali, un maschio e una donna dunque.

A questo punto, sorge “la” domanda: e allora “queste” famiglie (siamo sempre nel “gruppo B”…), che” famiglie sono?

In teoria questo sarebbe un quesito inutile. Perché, se “famiglia” è solo quella composta da un uomo e una donna uniti in matrimonio, beh…. insomma, signori: una mela “è una mela”.
Invece i tempi, e la famigerata “fotografia” sociale, ci dicono che la famiglia e la mela sono ben differenti: perché oggi da tempo “la” famiglia ha ceduto il posto ai vari tipi possibili di nucleo familiare (e non necessariamente per ragioni di tipo sessuale).

Avere una risposta pronta, quindi, aiuta: queste famiglie (“gruppo B”…) sono famiglie “non naturali”.
O no?
Cioè, il vero punctum dolens dell’intera vicenda è

che aver definito la “mela”, la presunta “famiglia naturale”, serve più che altro a una cosa sola: a discriminare tutti gli altri modelli, che incarnerebbero una non meno presunta “famiglia innaturale”.

La risposta della Saraceno – già autorevolissima docente di Sociologia della famiglia all’Università di Torino – in un’intervista rilasciata alla Stampa nel 2013 è limpida quanto severa: «Nel discorso pubblico italiano, in particolare della gerarchia della Chiesa cattolica ma non solo – penso per esempio ai nostri politici – si scambia la causa con l’effetto, cioè si dice: questi sono irresponsabili, non hanno un progetto e quindi non li riconosciamo. Invece, l’irresponsabilità deriva dalla mancanza di riconoscimento di tali rapporti».

Ma c’è una risposta una meno conosciuta, di quello che è probabilmente il maggior giurista italiano di tutti i tempi…

Va infatti chiarito che quando si trattò di formulare e poi approvare l’articolo 29 della Costituzione, i nostri Padri Costituenti si scontrarono in maniera micidiale, per poi licenziare un testo che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Dunque non la famiglia come tale, ma cCalamome “società” naturale; e, in ogni caso, fondata sul matrimonio.
In quelle stesse ore, drastica la stroncatura dell’autore forse più noto della nostra Carta fondamentale, il celebratissimo Piero Calamandrei (foto a destra): «Dal punto di vista logico ritengo che sia un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come un’ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – colla frase successiva “fondata sul matrimonio”, che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico, è per me una contraddizione in termini».

Ma se la Saraceno e l’immenso Calamandrei non bastano, potrà forse essere d’aiuto a rappresentarsi la situazione con maggiore oggettività una coppia di dati statistici.

Il primo: l’Italia (di cui la Città del Vaticano è notoriamente un’enclave) è il Paese europeo in cui è più diffusa la pratica del matrimonio “diretto”, cioè non preceduto da convivenza. Il secondo: benché il nostro Paese abbia il primato continentale appena citato, il 12,8% delle coppie sposate è convolato a nozze dopo un periodo breve o lungo di convivenza. Questo cosa significa? La coppia dapprima “innaturale” è poi diventata “naturale” grazie a un contratto (perché giuridicamente questo il matrimonio è)?
Di più: l’incedere delle convivenze (anche, soprattutto a matrice eterosessuale) è a dir poco impetuoso. Nel 2007 erano circa 500mila; stando a una specifica ricerca dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, le convivenze erano ormai quasi un milione (972mila: dati 2011) e un bambino su quattro (dunque il 25% del totale) nel 2011 risultava nato da genitori non coniugati.
Nel frattempo, il numero delle coppie di conviventi mai sposati è cresciuto a 578mila.

Tutte famiglie innaturali?

…Un’altra convincente risposta sta non in opinabili norme sull’ “educazione sentimentale” dei più piccoli (varate però dall’Oms: e bisognerà prima o poi decidersi a chiarire se l’Organizzazione mondiale della sanità, quando propala standard scomodi per qualcuno, improvvisamente diventi inattendibile, quando per tutto il pianeta è serio e attendibile per tutte le altre attività….), ma proprio dalla documentazione ufficiale dell’Istat.
Nel questionario ufficiale del Censimento 2011, la famigliaa 67 anni dall’approvazione della Costituzione… e anche questo conta! – è inequivocabilmente definita così: «Un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso Comune». E per la prima volta quel Censimento, ormai quattro anni fa!, ha dato la possibilità alle coppie d’indicarsi, in forma anonima o meno, quali coppie conviventi omosessuali.

E non è finita qui: stando alle risposte ai questionari, ha avuto modo di chiarire direttamente l’Istituto di statistica, «la maggioranza dei rispondenti (62,8%) è d’accordo con l’affermazione “è giusto che una coppia di omosessuali che convive possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata”. Il 43,9% con l’affermazione “è giusto che una coppia omosessuale si sposi se lo desidera». Stiamo parlando, ripetiamo, non di un’idea, ma delle risposte ufficiali al Censimento 2011 da parte dei 24 milioni e mezzo (24.512.012, per l’esattezza) di nuclei familiari censiti in cui quattro anni fa risultavano organizzati i 59 milioni e mezzo d’italiani. Nel 2011, cioè due anni prima che si dimettesse papa Benedetto XVI, evento che ha poi portato all’avvento dell’attuale Pontefice, papa Francesco…

A Reggio Calabria, Italia, però, si discute ancòra di famiglia naturale.

Fonte:

https://mariomeliado.wordpress.com/2015/03/16/la-famiglia-naturale-calamandrei-e-listat/

Qui un comunicato della Collettiva AutonoMia di Reggio Calabria

http://www.strill.it/citta/2015/03/reggio-collettiva-autonomia-si-ridiscuta-la-mozione-ripepi/

Qui un articolo di Giulia Polito:

http://www.socialsud.it/socialsud/unioni-civili-palazzo-san-giorgio-grazie-ma-per-la-svolta-sara-unaltra-volta/

IL RINNOVO DELL’ORDINANZA REGIONALE SUI RIFIUTI SAREBBE UN ERRORE

12 Nov 2014
Scritto da C.S.O.A. ANGELINA CARTELLA

Alla città e alla Calabria serve altro


È sicuramente un’eredità pesante quella ricevuta dal neo Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, tante sono le problematiche cui dovrà provare a dare soluzioni e in tempi drammaticamente rapidi. Una di queste è l’ennesima emergenza rifiuti ormai alle porte, un evento scontato per chi ha seguito in questi anni le dinamiche legate al sistema di raccolta e smaltimento regionale.

Certo non è cosa facile affrontare un sistema regionale dei rifiuti come quello calabrese, dominato dalle speculazioni e dal malaffare, come denunciato da quell’“anarcoambientalista” di Pecorella ai tempi in cui era Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Calabria. Non sono bastati a questo proposito né i quindici anni di commissariamento del settore, né tantomeno i due anni di gestione “ordinaria” fatti a suon di provvedimenti tampone e di scelte che tutto hanno avuto tranne che carattere programmatico.

Il ritornello oramai stantio atto a giustificare la situazione lo conosciamo bene: la Regione ha ricevuto dal Commissario un sistema disastroso (dimenticandosi però di dire che diversi degli attori protagonisti dell’ attuale gestione, sono stati protagonisti dell’ufficio commissariale), per rimettere a posto le cose ci vogliono ingenti investimenti che la regione non può al momento affrontare perché non ci sono somme in bilancio e inoltre vanta un enorme credito dai comuni calabresi quasi tutti insolventi, i comuni non hanno le risorse per pagare i loro debiti, e poi perché dovrebbero pagare per un servizio che non hanno ricevuto? Inoltre quegli incivili dei calabresi non fanno la differenziata e non pagano neanche le tasse… Ècosì che va avanti l’eterno rimpallo di responsabilità che vede come unici perdenti i cittadini calabresi e come allegri vincitori i gestori di discariche, impianti e di servizi connessi al ciclo dei rifiuti.

È all’interno di questo scenario che in questi giorni abbiamo letto degli incontri e delle proposte avanzate dal Sindaco Falcomatà, come la richiesta di rinnovo dell’ordinanza regionale che autorizza il conferimento in discarica dei rifiuti non trattati, un atto questo fortemente osteggiato da noi e da tutti i comitati calabresi che si sono occupati in questi anni della questione rifiuti. Così come denunciato in passato, noi crediamo che questa proposta sia decisamente sbagliata: l’ennesima soluzione tampone che non risolvendo il problema ne amplifica la portata.

Non è il livello comunale quello a cui stiamo facendo riferimento: non possiamo di certo addossare la colpa a Falcomatà della situazione, né pretendere da lui la bacchetta magica per risolvere un problema pluriennale. Ma ci domandiamo perché chiedere di reiterare un atto, un’ordinanza “straordinaria” ma in piedi ormai da 18 mesi, che avrebbe valenza regionale, che andrebbe a togliere le castagne dal fuoco al Dipartimento Politiche per l’Ambiente regionale che in questi anni ha continuato il “lavoro” dell’Ufficio del Commissario, senza soluzione di continuità, teso a incentivare discariche e megaimpianti a discapito della differenziata e della riduzione dei rifiuti, aumentando i costi collettivi e gonfiando le casse delle lobbies del settore.

Non si potrebbe chiedere una deroga per i soli Comuni che dovrebbero far riferimento all’impianto di trattamento di Sambatello, che non funziona da un tempo ormai imprecisabile, invece di richiedere l’estensione del provvedimento a tutto il territorio calabrese? Non si potrebbe, inoltre, per tamponare l’emergenza, emanare un’ordinanza comunale che imponga la separazione umido-secco dei rifiuti e il conferimento solo della frazione umida e lo stoccaggio della secca, nell’attesa che si possa organizzare una raccolta porta a porta?

Questi sono solo due piccoli spunti. Noi riteniamo improcrastinabile una netta inversione di tendenza nel settore rifiuti, un cambio di rotta che, aldilà dei facili slogan, possa riconsegnare nelle mani dei Comuni la responsabilità delle gestioni, e non allontanarla sempre più dai cittadini, come disegnato dalla legge di riordino e dalle politiche nazionali. Una svolta che punti fortemente alla differenziata, non solo per raggiungere – e magari superare – le percentuali previste dalla legge, ma anche per gestirne i proventi della vendita, che punti a piccoli impianti di prossimità, per il compostaggio e il recupero dei materiali, e non ai megaimpianti e alla filiera finalizzata alla pratica barbara e scellerata dell’incenerimento dei rifiuti.

Il Comune di Reggio, il più grande della Calabria, può fare da testa di ponte per una gestione virtuosa e trasparente del ciclo dei rifiuti, pubblica e partecipata, non ascoltando le sirene dei professionisti del settore ma guardando all’interesse e al benessere dei suoi abitanti e dei calabresi tutti.

 

Fonte:

 

http://www.csoacartella.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1046:il-rinnovo-dellordinanza-regionale-sui-rifiuti-sarebbe-un-errore&catid=7:comunicati&Itemid=2