IO STO CON LA SPOSA: UN FILM CONTRO LE BARRIERE

Cinque giorni di fuga. Cinque compagni di viaggio, palestinesi e siriani. Un obiettivo: raggiungere la Svezia. Con un gruppo di ragazzi italiani e arabi ad accompagnarli, superando il filo spinato vestiti da matrimonio. Per sfidare le regole che bloccano chi fugge dalla guerra. E raccontare un’amicizia che può unire il Mediterraneo

di Francesca Sironi

 

Io sto con la sposa: un film contro le barriere

Lei ha il vestito bianco. Di quelli con le balze, da sposa-principessa. Di fianco un ragazzo magro in completo, cravatta, cappotto. Dietro un piccolo corteo matrimoniale: amici con l’abito buono, signore con la messa in piega, immancabili cappelli. Abbigliati a festa, tutti quanti, stanno passando sotto il filo spinato. Perché sono clandestini, in fuga dalla guerra siriana, dalle persecuzioni in Palestina. E questa è la prima tappa del loro viaggio clandestino da Milano a Stoccolma passando per Francia e Germania. Travestiti da invitati a un matrimonio per superare i controlli di frontiera.

Lo straordinario viaggio di questo gruppo di amici è raccontato da Gabriele del Grande , Antonio Augugliaro e Khaled Soliman Alnassiry in “ Io sto con la sposa ”, un documentario-manifesto che da oggi è online per lanciare una raccolta fondi necessaria a finanziare la produzione del film. La storia è più che autentica e inizia a novembre del 2013: «Io e Khaled eravamo in stazione centrale, quando un ragazzo siriano, sentendoci parlare arabo, si è avvicinato chiedendoci indicazioni sui treni per arrivare in Svezia», racconta Gabriele del Grande, giornalista, inviato e autore del sito web “ Fortress Europe ”, dal quale aggiorna costantemente il numero di morti annegati nel Mediterraneo durante il loro viaggio-speranza per scappare dalla fame o dalle bombe.

Dall’inizio del conflitto siriano gli sbarchi sono aumentati, e così le tragedie, come quelle che a ottobre hanno coperto di bare i moli di Lampedusa. E oggi, mentre le navi di Mare Nostrum caricano emigranti a migliaia, Milano e la stazione Centrale sono diventati il rifugio di passaggio per tutti i profughi che non si vogliono fermare in Italia, e nell’arco di uno o due giorni scappano per raggiungere i Paesi del Nord. «Abbiamo la guerra in casa», commenta del Grande, continuando il racconto: «Abbiamo fatto amicizia con quel ragazzo. Lo abbiamo ospitato. E così abbiamo scoperto che è uno dei pochi sopravvissuti al naufragio dell’undici ottobre . Che ha passato ore in mezzo ai cadaveri».

Per raccontare la sua storia, e quella di molti altri che cercano ogni giorno di superare le frontiere europee senza farsi prendere, per arrivare in Svezia, dove ai richiedenti asilo sono garantiti documenti e futuro in breve tempo (a differenza che da noi), del Grande e i suoi amici hanno deciso di inventarsi un matrimonio: «Era il modo migliore per passare “inosservati”, proprio perché così eccentrici, al confine con la Germania. E poi volevamo superare l’immagine che tradizionalmente si ha di queste fughe: un’idea di vittime, di disperazione, di pura paura. Il nostro obiettivo era sfidare le leggi, le barriere, ma farlo sorridendo. Inscenando una festa che dimostri come sia possibile stringere amicizie e legami anche tra le due sponde del Mediterraneo».

Il 14 novembre l’improvvisato gruppo italo-sirio-palestinese parte. Attraversa il confine con la Francia all’altezza di una vecchia casa abbandonata dove ai muri sono rimasti i graffiti dei nostri emigranti di sessant’anni fa. Prende più auto a noleggio per arrivare in Germania passando dal Lussemburgo. Quindi il treno fino a Copenaghen. Poi altre macchine. Infine: Stoccolma. Sono salvi. Sono arrivati a una nuova casa.

«Io e gli altri miei due compagni d’avventura però rischiamo fino a 15 anni di carcere in realtà», spiega del Grande: «Per favoreggiamento d’immigrazione clandestina». Hanno già ingaggiato dei buoni avvocati però, pronti a dimostrare come per questa fuga loro non abbiano preso un soldo. Anzi, ne abbiano spesi parecchi: dai costumi, ai parrucchieri, al viaggio, ai panini all’autogrill, per non parlare della troupe che ha girato il film.

Ed ecco il perché della campagna di raccolta fondi: «Tutti i professionisti che ci hanno accompagnato per le riprese, e ora stanno lavorando al montaggio, hanno deciso di rischiare con noi. Sapendo che verranno pagati solo se riusciremo a raggiungere almeno il traguardo previsto di 75 mila euro», spiega l’autore: «Io stesso quando son rientrato a casa dalla Svezia avevo praticamente 30 euro sul conto».

Qui – Il sito web del documentario
Qui – La raccolta fondi per il film

 

 

Fonte:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/05/19/news/io-sto-con-la-sposa-il-documentario-e-una-sfida-contro-le-barriere-1.165887

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