Intervista a Senith

Senith by Giuseppe Perna
Senith by Yamada Hanako

1) Tu sei una performer specializzata nei queer drag show. Com’è nata questa forma di attivismo artistico?

Mescolando e contaminando esperienze. Azioni che per me sono indispensabili. Non si può parlare al contemporaneo senza attraversare i confini. Dei generi ovviamente, che siano essi di identità o di spettacolo. Nel 2006 eravamo un gruppo di donne, a Roma, che volevano sperimentare il drag, in particolare il drag king, ovvero la personificazione del maschile. Tranne la sottoscritta, che voleva confrontarsi con il femminile divino di una drag queen. Avendo un corpo femminile, mi dicevano che non lo avrei potuto fare. Invece capivo (la consapevolezza è poi arrivata a poco a poco) che interrogare la rappresentazione dei generi pone sempre interessantissimi interrogativi. Lavorare con il corpo, il desiderio, la performance, non solo è terapeutico, come qualunque forma di teatro, ma anche politico. Nacque il primo collettivo italiano di donne che, dopo un primo anno di assestamenti, con il nome di Eyes Wild Drag divenne la prima esperienza strutturata e la più longeva. Per 10 anni abbiamo fatto spettacoli, curato eventi, condotto laboratori, viaggiato da San Pietroburgo a Washington DC portando la nostra arte e la ricerca che stavamo conducendo. Per me è stata un’esperienza fondamentale, sia dal punto di vista umano che artistico.

Il Drag si confronta comunque sempre con un pubblico. Il Drag ha l’obiettivo di salire sul palcoscenico e intrattenere, per questo oltre che politico il Drag è anche un fatto estetico. Di me stessa piace dire che sono arti(vi)sta. Il motivo è che sono profondamente convinta che l’arte sia una forza indiscutibile per la lotta al riconoscimento della cultura e dei diritti. E ora, abbiamo davvero tanto per cui lottare.

2) In cosa consiste la forma di female drag cabaret da te portata avanti in Italia? Cos’è la figura della Faux Queen e perché è nata?

Faux Queen è una drag queen interpretata da una donna “biologica”. Questa è la definizione più immediata. In realtà è estremamente complessa e porta diverse criticità. Non è l’unico modo per definire una “donna che fa la drag queen” e neanche l’unico a portare contraddizioni. Faux vuol dire falso. Ciò implicherebbe che una donna che interpreta una drag queen sia meno di valore di una drag queen autentica, l’unica in qualche modo titolata a fare drag (ossia un “uomo biologico”). Si usa anche l’espressione Bio Queen, ma anche questa può essere vista come discutibile, perché si mette al centro del discorso l’appartenenza biologica di chi va in scena che, sappiamo bene, non è oggettivamente solo maschio e femmina. Esistono gli intersessuali (è un dato di fatto) e le persone fluide che si trovano escluse da questa definizione. Un modo abbastanza neutro potrebbe essere Female Impersonator, che vale per chiunque decida di vestire i panni della Drag Queen. Per quanto riguarda me, non ho particolari preferenze, in realtà. Quando io, nel 2006, percorrevo i miei primi passi in drag, anche un po’ osteggiata e incompresa perché non potevo entrare in nessuna categoria nota, nel frattempo negli Stati Uniti, la prima donna a impersonare una Drag Queen saliva per la prima volta nella storia sul palco del più grande contest americano, il San Francisco Trannyshack Pageant. Quella donna era Ana Matronix, leader degli Scissor Sisters. Non vinse, ma aprì la strada. L’anno successivo fu la volta di un’altra donna, la strabiliante Fauxnique, drag queen sulle punte, che portò a casa un altro record: la prima vittoria. Per il perché, ti posso dire solo la mia motivazione: vibrante necessità.

3) Fra gli eventi da te organizzati abbiamo, ad esempio, la Queerrida, il Victoria Party e la recente installazione performativa Il Lato Oscuro del Desiderio. Ci parli brevemente di questi progetti?

La Queerrida è un contest, una specie di “corrida” nata 7 anni fa, i cui contendenti di anno in anno stanno diventando sempre più professionisti. In realtà c’è un po’ di tutto, alla ricerca del “Q Factor”! Ogni eliminatoria vede passare il turno un contendente scelto da una giuria e un secondo scelto dal pubblico. Pur essendo una gara, il clima che si respira è estremamente di complicità. Si è complici nello stare sulla scena, di portare contenuti anche politici, di far ridere e pensare, di costruire insieme qualcosa di favoloso, sotto tanti punti di vista. Una volta eravamo talmente improbabili e fuori gli schemi da essere naturalmente poetici. Ora si trova anche tanto professionismo.

Il Victoria Party è la festa per liberare la drag queen intrappolata nella nostra vagina! Inventato allo Stonewall Inn di New York nel 2006 da Queen Marie e Cherylnore, le stesse ce lo hanno “donato” con due valige cariche di abiti, scarpe, parrucche e tutto il necessario che serve per allestire una style station dove trasformarsi nella drag dei nostri sogni. Chi partecipa poi sale sul palco, con me e le altre performer dello spettacolo, a sperimentare varie prove, tra cui lipsync. burlesque, ballo. E’ una serata estremamente divertente, che ci ricorda che basta davvero poco per trasformarsi in pura favolosità.

Il lato oscuro del desiderio esula dal discorso drag. Ho iniziato a sentirne la necessità durante la pandemia. Si tratta di una performance installativa divisa in sei stanze, con diversi performer e diversi gradi di interazione con il pubblico. Si interroga su cosa sta succedendo ai nostri corpi, alle nostre esistenze, alle nostre relazioni, al modo in cui pensiamo e viviamo l’incontro con l’altro, la socializzazione, la sessualità. Il lato oscuro indaga i desideri, lo spazio pubblico dello stigma, lo spazio privato dei sogni, l’intimità, lo spazio virtuale delle tecnologie che ci supportano e ci cullano in un’idea di protezione. E un’opera immersiva fruibile in maniera fluida che attinge al teatro, alla danza, alla performance art e alle arti visive.

4) Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?

Sta ripartendo tutto! Tutto insieme. Per cui il calendario è felicemente fitto di impegni. Voglio citarne qualcuno. Il ritorno di Erotic Lunch, il pranzo/cena spettacolo dedicato all’arte, al cibo e ai sensi, nella sua completa trilogia. Si parte il 20 novembre al Teatro Arciliuto di Roma e i biglietti sono già in vendita. Il lato oscuro del desiderio si potrà vedere al Centro Culturale Artemia di Roma, per la rassegna di teatro lgbtq+ patrocinata dal Circolo Mario Mieli, nelle giornate dal 25 al 27 novembre. La Queerrida si svolge ogni privo venerdì del mese alla serata Latte Fresco di Largo Venue. La tournée è in corso: dopo Trento e Berlino, sarò al Bari International Gender Festival il prossimo 13 novembre con il mio Bad Assolo. E per chi volesse approfondire quello che ho provato a raccontare qui, ogni giovedì si svolge a Fivizzano 27 il mio Atelier in Queer, sulla performance queer. Ci tengo a citare gli spazi che ospitano i miei progetti. Fare rete è essenziale per dare forza alle idee. *

5) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Non abbassare la guardia mai. Basta un attimo di distrazione per perdere ciò che abbiamo creduto acquisito e inalienabile fino a un istante prima. I corpi fanno politica e oggi la politica è contro i corpi, contro la loro libera scelta, contro i diritti e le donne. Ecco, non distraiamoci, perché è arrivato il momento dell’attivismo vero.

* Nota Bene: Quest’intervista è di qualche mese fa. Per problemi d’impegni la sto pubblicando solo adesso.

Una drag queen in cucina: intervista a Peperita


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Dal profilo instagram peperitadrag_bakeoff8

Alcuni giorni fa ho intervistato Peperita, una drag queen con una passione per la cucina e la pasticceria. Qui di seguito l’intervista:

 

Ciao, Peperita. Sono Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato quest’intervista.
1) Tu di giorno sei un impiegato e di notte ti trasformi in una drag queen. Come concili queste attività?
Ciao. Parto con il ringraziarti per questa opportunità di raccontarmi a voi. Le mie vite convivono, a fatica e con molti sacrifici, perfettamente, ho imparato ad organizzarmi mentalmente in modo da essere pronto a tornare dal lavoro e trasformarmi per far vivere il mio personaggio.

 

2)Il momento del travestimento, prima degli spettacoli, è già un entrare nel personaggio che si andrà a rappresentare o questo avviene solo nel momento in cui si calca il palco?
Sì, assolutamente, nel momento in cui apro il beauty dei trucchi inizio piano piano a nascondere Giacomo, perché mi chiamo così, e lascio vivere Peperita, che puntualmente torna a dormire subito dopo essermi struccato.

 

3)In quali locali ti esibisci di solito?
Ho la fortuna di girare tutta la nostra meravigliosa Penisola.

 

4)Da chi è composto solitamente il pubblico di un drag queen show?
Il mio pubblico è vario ma ci sono sempre tantissimi bambini e la cosa mi rende super orgoglioso… Sono loro il nostro futuro e fargli vivere il mondo dell’arte vuol dire aiutarli a diventare open mind.

 

5)A quale/i modello/i femminile/i ti piace ispirarti per i tuoi spettacoli?
Mi ispiro a molte donne della musica nazionale ed internazionale ma, quando entro in azione come cabarettista, l’unica fonte di ispirazione è la mia amata nonnina.

 

6)In che rapporti sei con il mondo lgbtq+ in generale? C’è una parte di attivismo nella tua arte?
Sono integrato nella comunità lgbtq+ ed in tutti i miei show porto il mio esempio di figlio, fratello, nipote e fidanzato in modo da far capire ai più quanto sia meraviglioso essere liberi di amare.

 

7)Oltre al mondo drag, sei anche un’appassionata di cucina e, in special modo, di pasticceria. Com’è nato questo amore per i fornelli?
Sempre da mia nonna, lei era una grande cuoca, mi ha insegnato quasi tutto quello che so, soprattutto i segreti della cucina pugliese.

 

8) Sei tra i partecipanti del programma di pasticceria Back Off Italia su Real Time Tv e la prima drag queen aspirante pasticcera. Cosa ti aspetti da quest’esperienza e cosa speri di tramettere nel programma?
Sono molto orgoglioso di far parte del cast dei concorrenti di Bake Off 8, voglio far capire a tutta l’Italia quanto è bella la bandiera rainbow e quanto sia importante considerare le drag dei veri artisti capaci si intrattenere, cucinare, sorridere ed essere sempre impeccabili. Essere una drag non vuol dire essere legata solo alle disco, pizzerie, ristoranti o piazze, una drag sta bene OVUNQUE.

 

9)Qual è la tua specialità in cucina?
Ormai è famosa la mia focaccia barese.

 

10) E il dolce che ti piace di più preparare?
Il dolce che preferisco preparare sono i dolci da forno: tipo croissant, pan di spagna, biscotti e frolle.
11)Se tu stessa fossi un dolce quale saresti?
IO SONO UN DOLCE: SONO UNA RAINBOW CAKE. Dall’ aspetto candido e forte ma dentro ho mille colori e sono tenerissima.

 

*

Ti ringrazio per la tua disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

 

Nota bene: la sera del 4 settembre 2020, in cui iniziava il programma Bake Off 8, Peperita ha purtroppo subito un infortunio ad un ginocchio proprio mentre si recava allo studio televisivo. Ha dovuto pertanto ritirarsi dalla gara di pasticceria prima ancora di cominciare. Quello di Peperita è però, come lei stessa ha pronunciato, solo un arrivederci. Da me il più sincero augurio di pronta guarigione e di poter presto realizzare il suo sogno di diventare pasticcera.

 D. Q.

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28 giugno 1969: i moti di Stonewall

Sabato 28 Giugno 2014 06:5828 giugno1

È il giugno 1969. La situazione per gli omosessuali americani è particolarmente difficile, le irruzioni della polizia nei locali gay sono all’ordine del giorno, fino a pochi anni prima l’identità di tutti i presenti al momento di una retata veniva pubblicata sui quotidiani locali, qualsiasi scusa viene usata dalle forze dell’ordine per procedere ad un arresto per “pubblica indecenza”, i poliziotti addirittura sono soliti usare l’entrapment (adescamento), per spingere le persone ad infrangere la legge e quindi arrestarle.

Proprio in quest’anno esce il Manuale diagnostico e statistico dell’Associazione americana di psichiatria che ancora definisce l’omosessualità come una malattia mentale. A tutto il ’69 non esiste nessun movimento di diritti per gli omosessuali, proprio mentre la questione dei diritti civili (per i neri, per le donne, per i poveri, per le minoranze in genere) raggiunge la massima importanza negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.

A New York i locali gay sono molto numerosi, soprattutto nel quartiere Greenwich Village, e la maggior parte di essi si sono vista revocare la licenza per la vendita degli alcolici proprio a causa delle frequentazioni omosessuali. Lo Stonewall Inn, in Cristopher Street, è sicuramente uno dei locali più famosi, ed è gestito dalla mafia newyorkese che ha fiutato nella clientela omosessuale un lauto guadagno, e che spesso riesce a contenere i danni delle retate e a continuare a vendere alcolici con qualche bustarella.

Venerdì 27 giugno lo Stonewall Inn è come sempre strapieno: ci sono alcune drag queen, ma soprattutto tantissimi giovani clienti. Verso l’una del 28 giugno sei agenti irrompono nel locale, rompendo gli oggetti a colpi di manganello e minacciando gli avventori. Circa duecento clienti vengono identificati e fatti uscire uno a uno mentre tre travestiti vengono fermati (la legge impone infatti che sia illegale indossare meno di tre capi di vestiario “adatti al proprio genere”).

Ma per la prima volta qualcuno reagisce. La miccia si accende , forse quando la trans gender Sylvia Riveira lancia una bottiglia contro un’agente, oppure quando una lesbica oppone resistenza all’arresto: la folla riunitasi davanti al locale attacca la polizia con un fitto lancio di pietre, i bidoni vengono dati alle fiamme, e i poliziotti sono costretti a barricarsi dentro al locale per alcune ore, fino al sopraggiungere di ingenti rinforzi.
Il giorno successivo i giornali parleranno di tredici persone arrestate e tre agenti feriti.

28 giugno2

Nelle serate successive, quelle di sabato e domenica, il neonato movimento omosessuale si fortifica, dando vita ad altre manifestazioni davanti allo Stonewall Inn, e ad altre tumulti con le forze dell’ordine: il seme è gettato, per la prima volta gli omosessuali utilizzano il termine gay nelle proprie rivendicazioni e non chiedono più solo di “essere lasciati in pace”, ma rivendicano parità di diritti. Gli scontri, una sorpresa per tutti, dimostrano per la prima volta che la comunità omosessuale è diventata movimento, deciso a combattere e a rifiutare il ruolo canonico di vittime.

Ben presto, dopo la svolta segnata dalla rivolta dello Stonewall, vedranno la luce altri gruppi ed organizzazioni come la “Gay Activists Alliance” dapprima a New York, quindi nel resto del paese. In altri paesi ci saranno negli anni successivi simili rivolte, come ad esempio in Canada nel 1981, quando a seguito dell’irruzione della polizia in un locale gay, ci sarà quella che sarà ancora ricordata come la “Stonewall canadese”.

 

 

Fonte:
http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/1908-28-giugno-1969-i-moti-di-stonewall