Honduras, doppio omicidio di attivisti per la terra

20 ottobre 2016

Protesta per la terra e l’acqua – Guatemala, 22 aprile 2016

Il pomeriggio del 18 ottobre José Angel Flores, 64 anni, presidente del Movimento unito dei contadini, è stato ucciso da uomini non identificati nella provincia di Colón. Un altro leader comunitario, Silmer Dionisio George, rimasto gravemente ferito nell’attentato, è morto poche ore dopo il ricovero in ospedale.

Da anni, Flores denunciava le minacce ricevute. Nel 2014, la Commissione interamericana dei diritti umani aveva sollecitato il governo onduregno a fornirgli protezione.

Questo ennesimo attacco mortale contro gli attivisti per la terra, a sette mesi di distanza dall’omicidio di Berta Cáceres conferma che l’Honduras è una “zona vietata” per chi difende l’ambiente.

La mancanza di indagini approfondite sugli attacchi e sulle minacce e l’assenza di misure di protezione efficaci da parte delle autorità lasciano gli attivisti per la terra indifesi e alimentano il clima di violenza.

Una settimana prima, il presidente onduregno Juan Orlando Hernández aveva rifiutato d’incontrare il segretario generale di Amnesty International, Salil Shetty.

FIRMA L’APPELLO GIUSTIZIA PER BERTA CACERES

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/honduras-doppio-omicidio-di-attivisti-per-la-terra

Honduras, ucciso un altro leader contadino

Honduras. Nel 2015 185 ambientalisti ammazzati

Honduras, manifestazione ambientalista

Ancora piombo, in Honduras, contro i movimenti popolari. Questa volta, a cadere sotto i colpi dei sicari è stato il presidente del Movimiento Unificado Campesino del Aguán (Muca), José Angel Flores. Lo hanno ucciso nella comunità La Confianza, nel dipartimento di Colon. Uomini incappucciati gli hanno sparato nel suo ufficio, ammazzando anche un’altra persona, Silmer Dionisio George. Il dirigente contadino aveva ricevuto numerose minacce e intimidazioni, anche dalla polizia, che a marzo lo aveva prelevato senza motivo insieme alla famiglia nonostante fosse malato. Era sotto la protezione della Comision Interamericana de Derechos Humanos (Cidh), ma questo non ha fermato gli assassini.

Un copione purtroppo già visto. E’ andata così anche nel caso delle ambientaliste Berta Caceres e Lesbia Yaneth, uccise rispettivamente il 3 marzo e il 6 luglio. Entrambe appartenevano all’organizzazione indigena Copinh e si battevano contro lo strapotere delle multinazionali, che rubano e devastano i territori dei nativi. Omicidi di stato, denunciano le organizzazioni popolari, maturati all’ombra di grandi interessi. Organizzazioni indigene e contadine, legittime proprietarie delle terre in base alla riforma agraria del 1992, si scontrano con le imprese dell’agroindustria e con i paramilitari che le difendono.

Secondo Global Witness, dal 2010 a oggi si sono registrati oltre 3.064 casi di persecuzione contro difensori dei diritti umani. Solo nel 2015 sono stati ammazzati 185 ambientalisti. Le violenze sono aumentate dopo il golpe contro l’allora presidente Manuel Zelaya, nel 2009, che avrebbe voluto portare il paese nell’Alba di Cuba e Venezuela.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/ucciso-un-altro-leader-contadino/

Il coraggio di Giuditta non può essere… Levato

stele-levato«Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea. Ho dato me stessa, la mia giovinezza. Ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me, per vendicarmi».

Queste sono le parole che qualche istante prima di morire pronunciò Giuditta Levato, contadina di Calabricata (Catanzaro) protagonista nei movimenti di lotta per l’occupazione delle terre incolte uccisa dagli agrari nel ’46.

Erano gli anni delle battaglie per la terra incolta ai braccianti e contro il latifondo dei signori, quindi della riforma agraria del “ministro dei contadini”, cioè del comunista calabrese Fausto Gullo. Ma pure gli anni delle violenze che culmineranno con la strage di Portella della Ginestra del ’47 e dell’eccidio di Melissa del ‘49. E Giuditta, che fu attiva nel Pci e nel fronte politico e sindacale social-comunista che nel Meridione si schierò a fianco dei contadini, fu in prima linea in queste battaglie. E fu proprio su quella “prima linea”, cioè nei campi, che, trentunenne ed incinta di sette mesi del terzo figlio, il 28 novembre del ’46 fu uccisa da colpi di fucile in pieno addome per mano agraria.

Ed è proprio a lei, civile, coraggiosa e generosa donna calabrese, che a Reggio è dedicata una sala di Palazzo Campanella, la sede del Consiglio regionale della Calabria. All’interno della quale da anni è esposto il bellissimo quadro di Mike Arruzza che racconta quel tragico evento che ha reso Giuditta uno dei simboli della Calabria più bella. Un quadro, occupante una superficie molto ampia di una parete dell’aula, che per qualche giorno ha lasciato il proprio posto ad un dipinto contro la violenza sulle donne raffigurante una figura femminile con il volto tumefatto e serpenti tra i capelli. E che, dopo reazioni di sorpresa ed indignazione, è quasi subito ritornato dove stava prima.

Una momentanea sostituzione, quella del quadro di Giuditta Levato, alla cui base sembrerebbe ci sia stata la sistemazione anticipata dell’altra opera in sala in vista di un convegno, appunto, contro la violenza sulle donne. Insomma, un incidente, parrebbe.

Fosse stato diversamente sarebbe stato gravissimo. Perché il suo impegno per l’uguaglianza e la giustizia, il suo coraggio davanti l’arroganza e la violenza, la sua generosità nel rinunciare ai propri affetti e, addirittura, alla propria vita, non possono essere rimossi. Il suo ricordo non può essere…Levato dalla mente dei calabresi, sia quelli che da lunedì, dopo il voto regionale, amministreranno la Calabria, sia quelli che continueranno a viverla da amministrati.

Sacrificandosi, Giuditta è morta per dei valori. E per una causa. Mentre stava per spirare, mandò a dire ai suoi figli che sarebbe partita per unpalazzo-campanella lungo “viaggio”. Quel “viaggio”, metaforicamente, dovremmo considerarlo come quello della Calabria verso un futuro senza ndrangheta, senza malaffare, senza una classe dirigente spesso inadeguata, senza disoccupazione e povertà, senza privazione di diritti, senza una devastazione di ambiente, territorio ed identità, senza comportamenti talvolta poco civili della gente. Dunque verso un futuro di giustizia, di legalità, di competenza, di lavoro e di benessere, di diritti come quello alla sanità o alla mobilità, di rispetto della natura e di valorizzazioni delle infinite risorse ambientali, paesaggistiche, storiche, tradizionali ed enogastronomiche che abbiamo, di atteggiamenti che ci facciano ricordare come qui ci sia stata la civiltà della Magna Grecia.

Difficile, difficilissimo. Forse impossibile, chissà. In ogni caso, ogni calabrese di buona volontà, senza delegare o senza abbandonarsi a pessimismo o disfattismo, dovrebbe rimboccarsi le maniche e darsi da fare ogni giorno, in famiglia, nel lavoro, nella società. Sarebbe il modo migliore per provare a costruire una Calabria più giusta e più bella, concretizzando l’esortazione a combattere che Giuditta mandò ai suoi cari poco prima di morire e vendicando lei e la sua terra da tutte le ingiustizie.

Fonte:

http://www.socialsud.it/socialsud/coraggio-giuditta-non-puo-essere-levato/