Rio 2016: Jhonata, 16 anni ucciso con uno sparo alla testa da un poliziotto militare nella favela Borel

01.07.16

RIO 2016: JHONATA, 16 ANNI, UCCISO CON UNO SPARO ALLA TESTA DA UN POLIZIOTTO MILITARE NELLA FAVELA BOREL. LA GIUSTIFICAZIONE: SACCHETTO DI POP CORN “CONFUSO” PER UN SACCHETTO DI DROGA

Un altro giovane nero di una favela di Rio è stato ucciso dalla polizia militare ieri sera (30.06) nella favela Morro do Borel a Rio de Janeiro. Si chiamava Jhonata Dalber Matos Alves e aveva 16 anni.

Jhonata non abitava in quella zona, vi si era recato per far visita agli zii. Era uscito di casa insieme ad un amico per andare a comprare un sacchetto di pop corn e forse proprio quel sacchetto che aveva in mano gli è stato fatale: sarà droga, hanno pensato i poliziotti militari e BUM! Centrato in piena testa. I poliziotti diranno poi che nella zona era in corso un conflitto a fuoco con i trafficanti, che una moto con dei banditi a bordo era appena transitata e che il ragazzo è stato colpito per sbaglio, la solita storia insomma…

Tutte le testimonianze degli abitanti della zona concordano nel dire che la situazione era assolutamente tranquilla e che non c’era nessuna sparatoria in corso.

Un abitante della favela ha filmato il momento in cui il ragazzo è stato raccolto e portato via dai poliziotti, ancora in vita. All’ospedale hanno tentato un intervento urgente, ma Jhonata non ce l’ha fatta. Nella serata gli abitanti di Borel sono scesi in strada per protestare. La polizia ha represso la giusta rivolta con lacrimogeni e pallottole di gomma. Nella favela è scattato il coprifuoco e a tarda notte giungevano notizie di abitanti chiusi nelle loro case invase dai gas lacrimogeni. Mentre scriviamo mancano 35 giorni, 14 ore e 34 minuti alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici.

13.07.16

Nei quartieri dei ricchi la polizia militare non si confonde mai

Il 30 giugno scorso, Jhonata, studente di 16 anni, è stata l’ennesima vittima delle UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) in una favela di Rio. è stato “PACIFICATO PER SEMPRE” con uno proiettile conficcatogli nella testa da un poliziotto militare. Secondo le testimonianze degli abitanti della favela, i poliziotti avrebbero confuso il sacchetto di pop corn che Jhonata portava in mano con un sacchetto di droga. La polizia militare di Rio de Janeiro (come potrete constatare in questo breve documento) è un’autentica specialista in “confusioni”! Si confonde praticamente ogni giorno, ma solo nelle favelas e nelle periferie. Non si registrano, infatti, casi di “confusione” nei quartieri benestanti della città…

I numeri spaventosi di omicidi commessi dai poliziotti militari di Rio sono tornati spaventosamente a crescere con l’approssimarsi della Coppa del Mondo di calcio prima ed ora con le Olimpiadi.

Negli ultimi 10 anni, secondo i dati raccolti dalla ONG Human Rights Watch, la sola polizia di Rio ha ucciso “ufficialmente” più di 8000 persone, il 77% delle quali giovani, nere e abitanti nelle periferie e nelle favelas. Tra gennaio e maggio di quest’anno, sempre secondo i dati ufficiali, si sono registrati 322 omicidi. Anche i poliziotti muoiono in servizio: le statistiche indicano che un poliziotto muore ogni 25 civili uccisi.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!jhonata-16-anni-ucciso-dalla-polizia-mil/c1bnl

Valdik Gabriel, “Biel”, 11 anni. ucciso con uno sparo alla nuca da un agente della Guardia Civile Metropolitana di San Paolo, come il piccolo Italo

01.07.16

L'ultima foto scattata dal padre a Valdik

I lettori del nostro sito ricorderanno sicuramente il caso, e la storia, di Italo, 10 anni, ucciso il 2 giugno scorso da un poliziotto militare con uno sparo alla testa, al termine di un inseguimento all’auto che aveva rubato con un suo amico di 11 anni. Poco più di venti giorni dopo la storia, analoga, si è ripetuta.

Valdik, o Biel, come era chiamato dai suoi famigliari e dagli amici, è morto sabato scorso dopo essere stato colpito alla nuca, al termine di un inseguimento, da un agente della GCM (Guardia Civile Metropolitana) di San Paolo. Il bambino, di 11 anni, si trovava nei sedili posteriori di un’auto, una vecchia Chevette, rubata. L’auto era stata segnalata agli agenti da due motociclisti.

Secondo la famiglia, con lui c’erano altri due minorenni, tra i 12 ed i 15 anni, che sarebbero riusciti a scappare.

L’agente della guardia metropolitana che ha ucciso Biel ha subito dichiarato che dall’auto erano stati sparati dei colpi di pistola nella sua direzione e per questo avrebbe risposto al fuoco. Le perizie hanno dimostrato che nessuno sparo è stato effettuato dall’interno dell’auto e nessuna arma è stata ritrovata, oltre al fatto che i finestrini erano tutti chiusi. I colleghi dell’agente che ha sparato, dal canto loro, hanno rafforzato la tesi dichiarando di “non essere sicuri” che sia avvenuta una sparatoria.

Waldik Gabriel e Ítalo sono vittime di uno stato che uccide bambini neri invece di proteggerli

di Bianca Santana, pubblicato su HuffPost Brasil il 27.06.16

“Giustizia per Biel!” è stata la parola d’ordine intonata da amici e famigliari che apriva la strada ad una cassa di un metro e mezzo, circondata da fiori bianchi e gialli. Il vetro incastonato nel legno sottile permetteva di vedere solo il volto di Waldik Gabriel Silva Chagas, 11 anni, ucciso la domenica precedente (26.06) dallo Stato brasiliano.

Il bambino nero, gracile, sembrava essere ancora più giovane. È stato colpito alla nuca da un proiettile della Guardia Civile Metropolitana, mentre era seduto sul sedile posteriore di una vecchia auto. Secondo la Guardia Civile, l’auto era stata descritta da due motociclisti che erano stati rapinati e stava fuggendo dall’inseguimento degli agenti. Secondo Nilma Silva, matrigna di Gabriel, stava andando con gli amici ad una festa di piazza nel quartiere vicino.

L'auto sulla quale si trovava Valdik con il foro del proiettile sul lunotto posteriore
Dolore al funerale del piccolo Valdik
Valdik
Italo

Valdik, 11 anni (a sinistra) e Italo, 10 anni

Indipendentemente da quanto sia successo, un unico colpo ha colpito l’auto. Non è stato sparato alle gomme, per evitare una possibile fuga, ma nel lunotto posteriore. Alla nuca di un bambino di 11 anni. “Non ci risulta che frequentasse brutte compagnie. Ma se anche così fosse, questo è quello che dovevano fare?” Domanda Nilma.

Nel via vai di persone vicine a Gabriel, curiosi e giornalisti, di fronte all’obitorio del cimitero comunale di Vila Formosa, un uomo osserva in silenzio. Abisogun Olatunji, 34 anni, nero, membro dell’Unione dei Collettivi Pan-africanisti, era lì in solidarietà alla famiglia e per vedere se avevano bisogno di una qualche assistenza: “Ogni 23 minuti un giovane nero muore brutalmente assassinato in Brasile. Si tratta di una pulizia etnica, politica di Stato. Dobbiamo affrontare questa situazione.”

Il gruppo è anche in contatto con la famiglia di Italo Ferreira de Siqueira Jesus, 10 anni, ucciso dalla polizia militare all’inizio di questo mese. “La cosa peggiore è vedere la mancanza di risposta da parte della società”, dice Abisogun. “Ci occupiamo anche di lavoro educativo, di coscienza, autostima. Ma per poterlo fare, abbiamo bisogno di essere vivi.”

Oltre che militante nero, Abisogun è professore di storia nelle scuole municipali e statali. Nel 2014, mentre stava partecipando ad una riunione di docenti nella scuola dove lavora, ha sentito degli spari.

La polizia aveva ucciso uno studente di fronte alla scuola. “Io vivo nella zona di Itaim Paulista e ho un figlio di tredici anni, Ayodele. Qualche sera fa mi era venuta voglia di mangiare delle patatine fritte e avevo pensato di chiedere a lui di andarle a comprare. Ma ci ho ripensato immediatamente e gli ho detto: “Resta pure in casa che ci vado io, che ho meno chance di morire”.

Nel 2015, quando l’ ECA (lo Statuto di Bambini e Adolescenti) ha completato 25 anni, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) denunciò gli alti indici di omicidi di bambini e adolescenti in Brasile. Le principali vittime sono giovani neri e poveri, che vivono nelle favelas e nelle periferie delle grandi città, come Biel e Italo. Nel 2013, sono stati registrati 10.500 casi: una media di 28 bambini e adolescenti uccisi al giorno. Siamo al secondo posto nella classifica dei paesi con il più alto numero di omicidi di bambini e giovani entro i 19 anni, dietro solo alla Nigeria.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!valdik-gabriel-11-anni/c1wrz

 

 

Leggi anche qui:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!in-memoria-di-biel-e-italo/c8n5

RIO 2016. CONTO ALLA ROVESCIA. RIMOZIONI

RIO 2016. CONTO ALLA ROVESCIA. EP.1 “RIMOZIONI”
[guarda il video in HD – assista em HD]
Nei tre mesi che precedono l’inizio dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, la serie di documentari “Conto alla Rovescia” punta le cineprese sulle violazioni dei diritti umani che hanno segnato tutto il processo di preparazione della città. Le rimozioni forzate sono una delle eredità più perverse di queste Olimpiadi. Negli anni pre-olimpici, Rio de Janeiro ha conosciuto la più brutale politica di rimozioni della sua storia: più di 60.000 famiglie hanno perso le loro case dal 2009, anno in cui Rio de Janeiro è stata scelta come sede delle Olimpiadi del 2016. La storia della resistenza di queste famiglie è al centro del primo episodio di “Conto alla Rovescia”.[guarda il video su Vimeo: https://vimeo.com/172275477]
Realizzazione: Justiça Global e Couro de Rato
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Direzione: Luis Carlos de Alencar
Poesia Originale: Elaine Freitas
Musica Originale: Mano Teko e Mc Lasca
versione originale del video su YouTube:
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“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
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Fonte:

 

Rio de Janeiro odora di morte

Rio de Janeiro odora di morte

La campana ha suonato ancora una volta al Cimitero di Caju. Aliston, 17 anni, un’altra giovane vittima della polizia a Rio de Janeiro

di Victor Ribeiro, pubblicato su Midia Coletiva il 21.06.16

traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

Foto del cimitero di Victor Ribeiro. Il giovane nelle foto è Aliston

L’anno scorso, lavorando per il Jornal A Nova Democracia, ho seguito 6 funerali di giovani uccisi dagli spari della polizia militare. Cercavamo le famiglie delle vittime uccise per mano della polizia, per verificare i fatti e soprattutto per contestare le versioni “ufficiali”, quelle pubblicate da una stampa razzista, che descrive sempre la vittima come sospetta. E contemplare la versione delle famiglie e dei residenti come la versione ufficiale.

Il 20 giugno scorso siamo andati a solidarizzare con la famiglia di Aliston Ancelmo Ferreira, di 17 anni, ucciso la mattina del 18, mentre partecipava ad una festa nella favela di Manguinhos.

Aliston è stato colpito alla schiena da un colpo di fucile mentre cercava di proteggersi con altri partecipanti alla festa, dall’attacco del “caveirão” (temibile veicolo blindato della polizia di Rio e “chauffeur” di morte).

Qunado sono arrivato ho abbracciato Ana Paula Oliveira (madre di un altro giovane ucciso a Manguinhos), e lei mi ha detto: “Ancora una volta, amico mio, ci si vede al cimitero, un altro giovane ucciso.”

È stato uno dei funerali più difficili per me,  in questi giorni di indagini sulle morti nella città di Rio de Janeiro. In effetti il ​​caso di Aliston sembrava come tutti i precedenti: giovane innocente, nero, di una favela “pacificata”, ucciso da un colpo di fucile, il cui futuro è stato interrotto dalla farsa della sicurezza per le Olimpiadi in città.

Ma questa volta vedere la famiglia semplice di Aliston versare lacrime su una bara senza corone di fiori, tanti giovani abbracciati guardare quel corpo immobile del loro amico, la madre con quel bisogno di essere sostenuta per la troppa sofferenza … non ho resistito. Mi sono ritirato e ho pianto.

Foto di Victor Ribeiro

Marlon, di 16 anni, amico di Aliston, che si trovava nella stessa festa mi ha detto: “Sono arrivati ​​all’alba e hanno iniziato a sparare. Tutti quanti abbiamo cominciato a correre. Tante persone si sono ferite durante la fuga. Avrebbe potuto morire un sacco di gente”. Qualcuno gli chiede: “E tu continuerai ad andare alle feste?”  Marlon risponde: “No zia, non ci andrò mai più”

Triste é la realtà dei giovani della favela, il cui spazio di divertimento e tempo libero è un campo di guerra. Il cui piacere va messo sulla bilancia insieme alla necessità di sopravvivere.

Le parole del pastore confortavano  parenti e amici, quando qualcuno mi avvisa della sospetta presenza di un P2 (ndt. così vengono chiamati in gergo gli agenti di polizia in borghese infiltrati) nella camera mortuaria. In effetti c’era una persona in piedi nelle vicinanze, che sembrava scattare ogni tanto delle foto dei presenti.

La campana ha suonato una volta ancora al Cimiterio di Caju, e noi là in processione fino al grande settore delle tombe a terra, quelle dei più poveri o dei senza nome, dove sarebbe stato sepolto Aliston. La procedura è stata rapida e il becchino ha detto: “Tomba 73.491. Annotate questo numero per sapere dove è sepolto.”

La nonna di Aliston ha dovuto essere sostenuta dai parenti perché non riusciva neanche a rimanere in piedi, mentre i giovani amici guardavano la fossa, senza mai distogliere lo sguardo, in un profondo segno di addio che é rimasto impresso nella mia memoria.

A poco a poco i parenti hanno lasciato la tomba di Aliston e Ana Paula si é avvicinata a me dicendomi: “Vado a visitare la tomba di Johnatha, ci vediamo là all’ingresso del cimitero.”

Alla fine, davanti al bus che ha portato le persone di Manguinhos al funerale, il padre di Aliston è venuto verso di noi e ci ha detto che voleva registrare un’intervista in modo che divulgassimo la versione della famiglia sul caso. Soprattutto perché il solo servizio sull’accaduto é stato trasmesso dalla TV Record, che, tra le altre sciocchezze tipiche di questo giornalismo irresponsabile di questi canali,  ha detto che la morte è avvenuta nella favela di Jacaré, il che dimostra il totale disprezzo per la memoria della vittima e per il conforto della famiglia.

Il padre di  Aliston, Paulo Roberto Ferreira 58 anni, ci ha raccontato: “Le ragazze sono corse a casa a chiamarmi… Quando sono arrivato sul posto (dove si è svolta la festa) ho trovato il corpo di mio figlio a terra, colpito… la polizia aveva accerchiato i ragazzi e non permetteva a nessuno di uscire per proteggersi dagli spari. Nonostante non mi lasciassero soccorrere mio figlio, io ho afferrato il suo corpo e tutto insanguinato sono riuscito a trasportarlo al posto di pronto soccorso dove ne hanno certificato la morte. Non so se è a causa delle Olimpiadi, ma stiamo pagando uu prezzo molto alto, vogliono far sembrare Rio una città sicura. Credo più nella giustizia divina che nella nostra di qui”.

Anch’io, signor Paulo, è stato tutto quello che sono riuscito a rispondere.

Rio de Janeiro odora di morte.

Ana Paula Oliveira - foto: Katja Schilirò

09.07.15

Ogni Lutto Una Lotta (Cada Luto Uma Luta) di Ana Paula Oliveira e Victor Ribeiro

“Ogni volta che parlo di mio figlio, divento più forte”

Ana Paula Oliveira, madre di Johnatha (19 anni), che è stato ucciso dalla polizia (UPP – Unità di Polizia di Pacificatrice), nella favela Manguinhos a Rio de Janeiro, il 14 maggio 2014.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!rio-de-janeiro-odora-di-morte/c1w5f

 

RIO DE JANEIRO: OLIMPIADI 2016, VIOLENZA DELLA POLIZIA, LO STATO DI CALAMITA’ PUBBLICA E L’OSPEDALE DEGLI ORRORI

RIO DE JANEIRO. L’OSPEDALE DEGLI ORRORI
[guarda il video in HD – assista em HD]
Un’ispezione della Procura trova un deposito con più di 60 cadaveri, 34 dei quali di neonati, nel fatiscente obitorio e in un container dell’ospedale pubblico Rocha Faria di Rio de Janeiro. Alcuni cadaveri sono risultati abbandonati fin dal 2011. Sono queste le strutture sanitarie che hanno subito e subiranno i tagli imposti dal DECRETO DI CALAMITÀ PUBBLICA [leggi: https://www.facebook.com/carlinho.utopia/posts/1064025123688012] del governo dello stato per poter assicurare lo svolgimento delle Olimpiadi.

Fonte: http://g1.globo.com/…/ministerio-publico-encontra-63-corpos…

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OLIMPIADI RIO 2016: (STATO DI) CALAMITÀ PUBBLICA

Decreto 45.692 del 17 giugno 2016
ART.1° – VIENE DECRETATO LO STATO DI CALAMITÀ PUBBLICA IN RAGIONE DELLA GRAVE CRISI FINANZIARIA DELLO STATO DI RIO DE JANEIRO, CHE IMPEDISCE L’ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI ASSUNTI IN DECORRENZA DELLA REALIZZAZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI E PARALIMPICI DI RIO 2016.

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foto di Il Resto del Carlinho Utopia.
Qui un appello di Amnesty International contro la violenza della polizia

Amnesty International Italia

RIO 2016

Non c’è posto per la violenza in questi giochi!

Leggi il testo dell’appello

«È sconvolgente vedere quanto a Rio e in altre città brasiliane gli omicidi ad opera della polizia continuino a ritmo quotidiano»

Atila Roque, direttore di Amnesty International Brasile

Approfondisci       Leggi il rapporto

Fonte:

San Paolo: Italo, il bambino di 10 anni colpito a morte da un poliziotto militare con uno sparo alla testa, voleva diventare un cantante


Italo Ferreira de Jesus Siqueira, 10 anni compiuti da pochi mesi, è stato ucciso nella serata di giovedì scorso (02/06) da un colpo di pistola calibro 40 sparato da un poliziotto militare che lo ha raggiunto nella regione oculare destra. Italo si trovava in compagnia di un amico di 11 anni ed entrambi, dopo aver scavalcato un alto cancello di un edificio di lusso nell’esclusivo quartiere Morumbi di San Paolo, si erano diretti verso il garage e rubato una vettura tipo SUV, trovata aperta e con le chiavi nel cruscotto.

Secondo le testimonianze di alcuni presenti, i due bambini, prima di rubare la vettura, hanno gironzolato per un po’ di tempo all’interno dell’area del condominio, arrivando anche a scambiare alcune parole con una signora che vi abita e senza mai mostrare di avere con loro un’arma.

Appena usciti in auto dall’edificio, è stato subito dato l’allarme e due moto della polizia ed altre due vetture che si trovavano nella zona si sono lanciate all’inseguimento. Alla guida dell’auto rubata, che durante la fuga è quasi subito andata a urtare la parte posteriore di un bus, c’era Italo. Subito dopo è stata la volta di un camion, anche questo tamponato posteriormente e con violenza dall’auto con i due bambini a bordo. A questo punto l’auto si è fermata e una nuvola di fumo è fuoriuscita dal motore. Gli agenti che seguivano l’auto l’hanno circondata, uno di loro si è avvicinato ed ha colpito Italo a morte.

Secondo la versione data dalla polizia militare, Italo era in possesso di un revolver calibro 38 e durante l’inseguimento, alla guida della Daihatsu scura, avrebbe sparato dietro di lui, in direzione degli agenti, per tre volte: due tra il tamponamento al bus e quello al camion ed una dopo aver urtato il camion.

Impugnando il volante con una mano e con l’altra il revolver, Italo, 10 anni, sarebbe quindi riuscito a tirare giù il finestrino e sparare agli agenti che lo inseguivano per tre volte e, sempre per tre volte, ha poi ritirato su il finestrino, di tipo oscurato, motivo per cui gli agenti dichiarano di non essersi resi conto che alla guida si trovava un bambino.

L’altro bambino è stato arrestato e portato al posto di polizia, e nella sua prima deposizione ha confermato la versione della polizia, possesso di arma e spari verso gli agenti compresi. I poliziotti militari che lo hanno interrogato hanno anche realizzato una video-confessione del bambino della durata di circa tre minuti, senza la presenza di un avvocato e forzandolo abbastanza chiaramente a confermare i fatti secondo la loro versione.

Successivamente, alla presenza della madre e di una psicologa, il bambino ha detto di aver confermato la versione della polizia per paura e che né lui, né Italo erano armati ed hanno mai sparato contro gli agenti. Quest’ultima versione rafforza enormemente il sospetto dell’esecuzione sommaria di Italo da parte del poliziotto che gli ha sparato.

07.06.16

Italo, il bambino di 10 anni colpito a morte da un poliziotto militare con uno sparo alla testa, voleva diventare un cantante

di Mauro Donato, pubblicato su Diario do Centro do Mundo il 4.06.16
traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

Italo Ferreira, 10 anni

È diventato virale sui social network, negli ultimi giorni, un biglietto che un padre ha scritto per sua figlia: “Catarina, cucciolotta, a partire da oggi, tutti i giorni cambierò la password del wi-fi di casa. Per ottenerla dovrai sistemare la tua cameretta e lavare i piatti. Papá, che ti adora.” Il fatto di essere diventato virale é la controprova che migliaia di persone della stessa estrazione sociale del padre di Catarina si sono identificati nella stessa incapacità di controllare i loro piccoli ribelli e viziati.

Quasi contemporaneamente, due bambini, uno di 10 e l’altro di 11 anni, hanno rubato una macchina nel quartiere Morumbi (San Paolo) e durante la fuga, Italo (10 anni) è stato ucciso dalla polizia con uno sparo alla testa. Sarebbe stato lui alla guida del veicolo ed anche l’autore di spari contro la polizia.

Di fronte alla ripetuta divulgazione della notizia e dell’elenco delle persone coinvolte (il padre detenuto e la madre ex-detenuta), ho visto reazioni di questo tipo da parte dell’opinione pubblica: “che bella famiglia eh”, “é logico, ce l’ha nel sangue”, “guarda un po’ che santarello”, e così via. C’é bisogno di dire che questi commenti provengono dagli stessi tipi di persone che hanno trovato provvidenziale il biglietto indirizzato a Catarina? Genitori che non riescono neanche a far lavare dei piatti ai loro figli ricchi, pigri e annoiati, non hanno esitato un minuto a giudicare e condannare la famiglia del ragazzino assassinato.

Italo, nella sua lunga traiettoria di un decennio di vita nella giungla di San Paolo, non ha mai vissuto in una “casa”. Con i genitori dietro le sbarre, il bambino dormiva sulla strada, nelle case dei parenti, nelle case di accoglienza. Addirittura, per un periodo, ha vissuto dentro una macchina abbandonata. Qual è stata l’attenzione che ha ricevuto? Quale aiuto gli é stato offerto? Chi gli ha offerto un rifugio? Nessuno.

Italo ha imparato ad arrangiarsi. Dopo tutto, é necessario mangiare per sopravvivere. Assaltava supermercati spesso (non la cassa, ma il reparto del cibo). Giovedì é finito dentro un’altra macchina, ma questa, purtroppo, non era abbandonata. Era di qualcuno e la polizia ancora una volta ha agito in conformità a quella filosofia grottesca della difesa del patrimonio.

L’intera storia è piena di incongruenze fin dai suoi primi racconti. Com’è possibile che due bambini riescano a saltare un cancello di un lussuoso edificio nel Morumbi, attraversino il garage alla ricerca di una vettura aperta e con le chiavi nel cruscotto (!!) e nessuno li veda? Non ci sono telecamere in un palazzo del genere? Le prime testimonianze dei poliziotti dicono che non é stato possibile rendersi conto che si trattava di  bambini, perché i finestrini dell’auto erano scuri.

Il corpo di Italo riverso sui sedili dell'auto rubata

Hanno anche detto che il bambino ha sparato almeno tre volte contro di loro. Ricapitolando: un bambino di 10 anni guida un’auto ad alta velocità e allo stesso tempo apre il finestrino, spara (di dietro!) poi  chiude di nuovo il finestrino (se non si poteva vedere attraverso il finestrino è perché era chiuso, giusto?). Lo ha fatto per tre volte, così naturalmente, come chi apre e chiude un finestrino per gettare la cenere di una sigaretta? Il Brasile ha perso un eccellente attore di Hollywood.

Scherzi a parte, il mondo di Italo si materializza nel mondo di Catarina (non lei specificatamente, ma tutte le “Catarine” che vivono in case con WiFi) solo quando accadono tragedie come queste. Prima di allora, la gente ignora solennemente le persone che si trovano in condizioni d’indigenza.

La riduzione di questa disuguaglianza richiede uno sforzo congiunto di vari segmenti della società. Se la si lascia risolvere solo alla polizia, questa decide a suo modo. Il bambino non poteva contare su nessun tipo di protezione sociale, quella che avrebbe potuto evitare che accadesse tutto ciò.

Italo era solo un bambino. Abbandonato, ha causato danni agli altri e ha avuto una tragica fine. Solo ora sappiamo che sognava di diventare un cantante. E il suo compagno, J. (11 anni), che è ancora vivo? Avrà un futuro diverso?

“Italo era un piccolo uragano che sembrava chiedere aiuto”, dice la psicologa.

La psicologa Maria Cristina de Ciccio, 59 anni, ha incontrato Italo quando aveva 8 anni, nel 2014, quando è stato portato in una casa-protetta del litorale di San Paolo.

di Claudia Colucci, pubblicato su Folha de S. Paulo il 6.06.16

traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

A otto anni, aveva segni di sigarette su tutto il corpo ed era stato lasciato solo in casa. Giocava con gli aquiloni e chiedeva cibo ai vicini. Commossi, chiamarono l’ente per la protezione dei bambini. Il bambino è morto nella notte dello scorso giovedì 2 giugno, dopo un conflitto con la polizia militare. Era in una macchina rubata insieme ad un altro minorenne.

Ho conosciuto Italo alla fine del 2014, quando è stato portato nella casa-protetta dove lavoro come psicologa, sul litorale paulista. Dopo aver fatto delle ricerche, abbiamo scoperto che era arrivato in città da poco tempo, con sua madre e il suo compagno ed era a casa da solo. Sua madre era entrata in travaglio di parto ed era stata trasportata d’urgenza all’ospedale. Il suo “patrigno” era sparito. Lui stava per strada giocando con gli aquiloni e chiedendo cibo. Questo provocò la commozione dei vicini che subito azionarono l’intervento degli assistenti sociali.

Arrivò alla casa-protetta con un fare guardingo, facendo la faccia da “duro”, sulla difensiva. Aveva segni di bruciature di sigaretta sulle gambe e alcune sulle braccia, sembravano vecchie bruciature. Lui diceva che si trattava di una malattia. Quasi subito iniziò ad interagire con gli altri bambini della sua età che, a quel tempo, erano pochi.

Il bambino di 11 anni che era insieme ad Italo accompagnato da un poliziotto

Quando ho avuto modo di parlare con lui, era accovacciato sul pavimento. Mi sono seduta accanto a lui e ho cominciato a parlargli. Lui, con la testa bassa, mi disse: “ non parlo agli sconosciuti”. Prontamente mi scusai e mi presentai: “piacere, il mio nome è Cris, non siamo più estranei”. Mi strinse la mano e disse:”Adesso sì.”

Era un bambino che mostrava chiaramente la sua mancanza di affetto e ci metteva alla prova tutto il tempo. Se veniva trattato bene, era gentile, se eravamo più duri con lui, lui ricambiava. Ma l’affetto é sempre prevalso. Era anche molto spiritoso, insegnava agli altri ballare (e ballava bene) e a costruire gli aquiloni. Andava orgoglioso che per questo motivo venisse continuamente cercato dagli altri. Ero sicura che dietro a quel bambino, c‘erano innumerevoli storie. Il suo linguaggio e la sua intelligenza non erano proprie di un bambino di otto anni (in quel momento), ma intromettersi in quelle sue storie sarebbe stato come penetrare in un mondo che lui, in quel momento, sembrava voler lasciare tranquillo.

Attraverso una ricerca, scoprimmo che era stato ospitato in un’altra casa – famiglia a San Paolo. Visse con una zia e con la nonna e veniva curato  per l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività). Siccome la sua famiglia viveva a San Paolo, dovemmo mandarlo nella capitale, perché il bambino deve essere accolto  nella città in cui abita la famiglia in modo da poter lavorare sul legame familiare. Italo rimase con noi per circa tre mesi. È stato un piccolo uragano che é passato in mezzo a noi,  ma un uragano che sembrava chiedere aiuto tutto il tempo.

Oggi mi chiedo in quale momento la società  ha perso il controllo? Che bambini stiamo lasciando al mondo? Le figlie del funk? I figli  del crack? I figli carenti?  Bambini che chiedono aiuto e le istituzioni che non ascoltano? Italo era solo un bambino di dieci anni che portava addosso quello che io chiamo “animaletto della sopravvivenza”, di una società che pensiamo di conoscere, ma della quale nemmeno lontanamente abbiamo conoscenza.

So che la sua storia si ripeterà e che l’impotenza di fronte a tutto ciò ci lascia il cuore inquieto. E intanto se n’è andato via un altro bambino!

Il corpo di Italo riverso sui sedili dell’auto rubata

E GLI ABITANTI DEL RICCO QUARTIERE DI MORUMBI ORGANIZZANO UNA MANIFESTAZIONE DI SOSTEGNO ALL’AZIONE DEI POLIZIOTTI

Gli abitanti del quartiere dove l’auto è stata rubata (gli esclusivi Morumbi e Vila Andrade) stanno programmando per sabato (11.06) una manifestazione in favore dei poliziotti autori dell’inseguimento e della morte del piccolo Italo che si terrà di fronte al palazzo del governo di San Paolo. Chiedono che i poliziotti non vengano allontanati dal servizio in strada. “Stavano lavorando. Non si è trattato di un’esecuzione”, ha detto Regina Azzulini, ideatrice della manifestazione.Gli organizzatori intendono mobilitarsi per pagare gli avvocati che difenderanno gli agenti.

L’intellettuale paulista Eduardo Sterzi così commenta sulla sua pagina Facebook:

“Leggo con orrore che gli abitanti di Morumbi starebbero programmando una manifestazione in sostegno dei poliziotti militari che hanno assassinato un bambino di dieci anni (10 anni! 10 anni! 10 anni! – è forse necessario ripeterlo e ripeterlo fino a quando tutti si saranno resi conto di quello che è successo). Leggo anche che questi abitanti desiderano che questi stessi poliziotti tornino a pattugliare il quartiere e, suppongo, che probabilmente desiderino anche che tornino ad assassinare bambini di dieci anni (quanti ancora dovranno essere assassinati perché questa gente si senta “in pace”? 10? 10 mila? 10 milioni?). Questi abitanti del Morumbi – questi orrendi abitanti del Morumbi – sono peggiori, molto peggiori dei poliziotti assassini. In verità, sono loro stessi la giustificazione finale, la ragione segreta, il motore odioso che fa si che i poliziotti siano degli assassini. Questi abitanti di Morumbi incarnano come pochi altri il progetto genocida che da secoli garantisce alla elite brasiliana di continuare ad essere ciò che è, la classe sociale più barbara del pianeta. Questi abitanti del Morumbi si meritano tutto il terrore che, si suppone, vivono e che vogliono imporre alle loro vittime – che tentano di rappresentare come loro carnefici. Carnefici di 10 anni! 10 anni! 10 anni!

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!italo-10-anni-ucciso-dalla-polizia-mil/cj3c

LA CULTURA DELLO STUPRO CONDANNA ALLA PAURA LE DONNE IN BRASILE

Aggiornamenti:

Da

ULTIM’ORA.
Pochi minuti fa a San Paolo: polizia militare reprime manifestazione contro il golpe indetta da MTST (Movimento Lavoratori Senza Tetto) e Povo Sem Medo, che hanno pacificamente occupato l’ufficio della presidenza della Repubblica, e si appresta ad affrontare anche la concomitante manifestazione delle donne contro la violenza e la cultura dello stupro. Nelle immagini, una giovane manifestante, rea di aver chiesto informazioni sul fermo di alcuni manifestanti è stata brutalmente aggredita dai poliziotti…
fonti video: https://www.facebook.com/midiaNINJA / https://www.facebook.com/BuzzFeedBrasil/

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Fonte:

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Da

Pochi giorni dopo il caso di stupro collettivo di una minorenne di Rio che ha suscitato indignazione e polemiche in tutto il paese e portato in piazza decine di migliaia di donne è stata presentata ieri, 31 maggio, la nuova Segretaria per le politiche femminili del governo Temer. Si tratta di Fátima Pelaes (PMDB-AP), sociologa, evangelica, deputata federale del PMDB-AP per 20 anni, dal 1991 al 2011 e fermamente contraria alla depenalizzazione dell’aborto, anche in seguito a un caso di stupro, che, nella vigente legislazione datata 1984, costituisce invece l’unica eccezione per la pratica abortiva legale. La neo-segretaria ha affermato che non “innalza mai bandiere contrarie ai valori biblici” come, appunto, l’aborto o la costituzione di famiglie omosessuali. Sulla questione della liberalizzazione dell’aborto la Pelaes ha avuto, in realtà, opinioni differenti fino al 2002, quando ha “conosciuto Gesù” ed è passata a dire che “il diritto di vivere deve essere riconosciuto a tutti”. Nel 2010, in un suo intervento alla Camera, la Pelaes raccontò che lei stessa era stata generata a partire da un “abuso” che sua madre aveva subito mentre si trovava detenuta per un “crimine passionale”.
“Per questo oggi sono qui a dirvi che la vita comincia nel momento del concepimento”, affermò, riferendosi al fatto che se sua madre avesse abortito non si sarebbe trovata lì in quel momento. Riguardo all’aver mutato di opinione nel merito, ha affermato di essere stata “curata”.
fonte: http://brasil.estadao.com.br/…/geral,nova-secretaria-de-mul…

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26.05.16

La cultura dello stupro che condanna alla paura le donne in Brasile

 

Secondo una ricerca dell’istituto di statstica Datafolha, il 90% delle Brasiliane dicono di temere di essere violentate. Sui social network, le reazioni al caso dell’adolescente carioca ripropongono meccanismi di colpevolizzazione della la vittima

di Camila Moraes, pubblicato su El Pais il 26.05.16

Disegno di Ribs

La ragazza carioca le cui immagini di violenza sessuale sono state condivise su Internet ha ricevuto solidarietà sui social network, ma non solo. Molti suoi falsi profili sono stati creati, con post che risaltavano il suo presunto “cattivo comportamento”, circostanze e attenuanti che avrebbero reso quasi inevitabile il tragico esito. Mentre ancora sono in corso le indagini sull’accaduto, gli esperti avvertono che la pratica non è isolata. Fa parte della cultura dello stupro che fa si che le donne aggredite si sentano colpevoli e non rinuncino a denunciare i crimini, contribuendo così all’impunità dei responsabili delle violenze.

Il problema non è di poco conto, perché, secondo il Forum Brasiliano di Sicurezza pubblica è uno dei fattori dell’elevato tasso di sottostima dei casi di stupro. L’organizzazione stima che solo il 30% – 35% dei casi siano registrati. Contando solo gli episodi denunciati, in Brasile un caso di stupro avviene ogni 11 minuti. Secondo i risultati di una ricerca che il Forum ha realizzato lo scorso anno, in collaborazione con l’Istituto di Statistica Datafolha, il 90% delle donne e il 42% degli uomini hanno detto di temere una violenza sessuale. A Rio de Janeiro – dove ora si sta indagando sul caso della ragazza di 16 anni grazie al fatto che è stato condiviso sui social network – circa 4.000 casi si sono verificati lo scorso anno, e quasi la metà di essi hanno coinvolto ragazze minori di 13 anni, secondo un studio della Segreteria di Sicurezza dello Stato, il “Dossier Donna”.

Il termine cultura dello stupro” deriva da “rap culture” ed è stato coniato dalle femministe degli Stati Uniti negli anni ’70.  In essa è inclusa la colpevolizzazione delle vittime da parte della società – donne che “se la sono andata a cercare”, indossando abiti corti e scollati, frequentando cattive compagnie e consumando bevande alcoliche in feste alle quali non avrebbero dovuto partecipare se fossero “brave ragazze di famiglia”.

È presente nelle leggi, nel linguaggio, in immagini commerciali ed in una serie di fenomeni. Ha scritto, per esempio, il cantante Lobão (ndt. noto per le sue posizioni reazionarie) sul proprio profilo di Twitter: “Non c’è da sorprendersi con questi sfortunati casi di stupro. In un paese che fabbrica “miniputas” (mini-puttane), con una ricca sessualizzazione precoce e con una grave infantilizzazione della popolazione, riducendo le responsabilità”.

Al quotidiano Globo, la difensore pubblico Arlanza Rebello ha osservato, citando Jair Bolsonaro, che persino i politici brasiliani riproducono il discorso secondo cui molte donne hanno chiesto di essere violentate:  “È un contesto molto grave di conservatorismo e banalizzazione”.

Il presidente dell’Associazione brasiliana di Neurologia e Psichiatria Infantile a Rio de Janeiro, ha detto al giornale che “i ragazzi finiscono per commettere il reato sapendo che gli altri lo hanno praticato impunemente, per una questione di autoaffermazione.”

E la sociologa Andréia Soares Pinto, coordinatrice del Dossier Donne, ha fatto appello alla società durante l’intervista rilasciata al canale GloboNews: “Abbiamo bisogno di incoraggiare le donne a ridurre la sottostima dei casi di stupro. Questi numeri ci aiutano a fare pressione e ci permettono di far avanzare politiche pubbliche per combattere il problema.”

Almeno altri due casi di stupri di gruppo hanno avuto luogo nella stessa settimana – con ripercussione sulla stampa – in altri luoghi del paese.

A Bom Jesus, un piccolo paese nell’interno dello stato del Piauí, una giovane di 17 anni è stata violentata il 20 maggio da cinque individui (solo uno dei quali maggiorenne) che, secondo le indagini, lei conosceva. Come nel caso della ragazza di Rio, la polizia ritiene che sia stata drogata con una sostanza immessa nella sua bevanda alcolica prima di subire la violenza da parte di persone a lei vicine. Lo stesso giorno, in una scuola statale a sud di San Paolo, una ragazza di 12 anni è stata violentata da tre adolescenti, studenti dello stesso istituto, che l’hanno chiusa in bagno e quindi violentata. Secondo la madre, la ragazza sarebbe stata sottoposta ad una profilassi anti-AIDS ed è ancora traumatizzata.

Lo stupro nella legislazione brasiliana

Nel 2009, la legge 12.015 del codice penale brasiliano è stata modificata ed è passata a considerare, oltre al rapporto sessuale, gli atti di libidine come reato di stupro. Circoscrivere un reato di  stupro è un processo spesso umiliante per le donne. Nel 2015, la Commissione di Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che rende molto più difficile l’accesso alle cure mediche per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013, prevede che, per essere assistite, le vittime di stupro dovranno passare prima da una stazione di polizia. Poi, dovrebbero sottoporsi ad un esame del corpo del delitto per poi, e solo allora, potersi recare in ospedale con i documenti necessari a comprovare che effettivamente sono state stuprate. Per essere ratificato, il progetto dovrà ancora essere votato dall’assemlea plenaria della Camera. Contro questa realtà, le donne brasiliane sono scese in piazza lo scorso anno, in numerosissime manifestazioni di protesta in tutto il paese, momenti di lotta che sono diventati noti come la Primavera Femminista.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!la-cultura-dello-stupro-che-condanna-all/c1a0w

BRASILE: I BRUTTI ANATROCCOLI DI RIO 2016

I brutti anatroccoli di Rio 2016

Più di 80.000 abitanti di Rio de Janeiro sono stati rimossi dalle loro case, con le buone o con le cattive, a causa delle grandi opere per la Coppa e per le Olimpiadi del 2016. Dietro queste rimozioni non c’è solo un giro d’affari miliardario che beneficia grandi imprese costruttrici e politici corrotti a spese dei contribuenti, ma anche un’operazione di vera e propria pulizia sociale. Favelas e comunità come quella di Vila Autodromo, che sorge nei pressi del nuovo Parco Olimpico, vanno spazzate via per far posto a nuovi insediamenti di lusso destinati alle classi più agiate che, si sa, non gradiscono la vicinanza dei “brutti anatroccoli”…
Un reportage di Luiz Carlos Azenha [https://vimeo.com/147068151]

Fonte:

SAN PAOLO, BRASILE: REPRESSIONE MADE IN ISRAEL

Aggiornamento:

Foto scattata pochi minuti fa di fronte al Teatro Municipale di San Paolo, uno dei luoghi dove si concentreranno i due cortei previsti oggi contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici. Il clima è molto teso e lo spiegamento di forze della polizia militare imponente in tutto il centro della città. Si teme una replica della brutale e assurda repressione dello scorso martedì. Nella foto, uno dei nuovi blindati di fabbricazione israeliana descritti in questo video: https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/videos/745984885500953/)

foto di Il Resto del Carlinho - Utopia.

Da Il Resto del Carlinho – Utopia

I NUOVI BLINDATI DI FABBRICAZIONE ISRAELIANA IN DOTAZIONE ALLA POLIZIA MILITARE DI SAN PAOLO SONO COSTATI OLTRE 30 MILIONI DI REAIS

Il giro di affari e collaborazioni tra l’industria bellica israeliana e quella brasiliana è notoriamente fiorente ed in costante crescita, una partita da miliardi di dollari cresciuta nell’era delle presidenze Lula e Dilma Rousseff. Lo è anche nel campo degli armamenti per la gestione dell’ordine pubblico, come dimostrato dall’acquisto da parte del governo di San Paolo, di questi mezzi blindati ipertecnologici che, al costo di oltre 30 milioni di reais, vanno a rafforzare la dotazione della sua polizia militare. Sei dei quattordici mezzi ordinati sono già operanti, come abbiamo visto nelle drammatiche scene della violentissima repressione alla manifestazione del 12 gennaio scorso contro l’aumento dei trasporti pubblici. Le industrie israeliane fornitrici sono la PLASAN Secutiry Solutions e la Hatehof Armored Vehicles LTD.

Per approfondire l’argomento dei rapporti in campo di forniture belliche tra Brasile ed Israele, leggi qui: http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews…

Fonte:


BRASILE. IL 1500, L’ANNO CHE NON È MAI FINITO

05.01.16

Chi ha pianto per Vitor, il bambino indigeno di due anni assassinato con un coltello conficcato nel collo?

di Eliane Brum*, pubblicato sul El Pais il 04.01.16

Foto: Gabriel Felipe/RBS TV

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NOTA DEL CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) : VITOR, UN BAMBINO KAINGANG DI APPENA DUE ANNI ASSASSINATO MENTRE VENIVA ALLATTATO DALLA MADRE

Il CIMI (Conselho Indigenista Missionário) manifesta pubblicamente la sua indignazione per il crudele assassinio di Pedro Vitor, bambino Kaingang di due anni. Il crimine è avvenuto nella stazione degli autobus di Imbituba, comune di Santa Catarina. Vitor era allattato al seno della madre, Sonia da Siva, quando un uomo si è avvicinato, gli ha accarezzato il viso e, con un coltello, lo ha sgozzato. Mentre la madre e il padre – Arcelino Pinto – disperati tentavano di soccorrere il bambino, l’assassino ha continuato a camminare attraverso la stazione degli autobus, fino a sparire.

Vitor è morto in un posto che la sua famiglia immaginava fosse sicuro. Le stazioni degli autobus sono spazi scelti frequentemente dagli indigeni Kaingang per riposare, quando questi lasciano i loro villaggi alla ricerca di luoghi dove vendere i loro prodotti artigianali. La famiglia di Vitor è originaria dell’ Aldeia Kondá, situata nel municipio di Chapecó, regione occidentale di Santa Catarina. Vitor si trovava alla stazione degli autobus con i genitori ed altri due fratelli, uno di sei e l’altro di dodici.

Si tratta di un crimine brutale, un atto vigliacco, compiuto contro un bambino indifeso, che denota disumanità e odio verso gli altri esseri umani. Un tipo di delitto che si fonda nel desiderio di cancellare e sterminare i popoli indigeni.

La Polizia Militare della regione aveva dato per risolto il caso in pochi minuti, arrestando, in un quartiere povero, un giovane in libertà provvisoria perché beneficiato dall’indulto di Natale e Capodanno. Apparentemente era tutto risolto. Ma al posto di Polizia Civile di Imbuitiba sono stati ascoltati i genitori di Vitor ed un altro testimone, un taxista che si trovava sul luogo nell’ora del delitto. L’uomo indicato dalla Polizia Militare come autore dell’assassinio non è stato riconosciuto dai tre testimoni.

Le informazioni raccolte al posto di Polizia Civile da un avvocato che ha assistito la famiglia Kaingang, indicano che questo crudele delitto potrebbe essere messo in relazione con l’azione di gruppi neonazisti o di altre correnti segregazioniste, che diffondono odio e incitano alla violenza contro indios, neri, poveri, omosessuali e donne. Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene.

Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – diffuso attraverso mass media e social network. Occorrono con una certa frequenza manifestazioni pubbliche di parlamentari legati al latifondo e all’agribusiness contro i diritti degli indigeni e che aizzano la popolazione contro questi popoli. In tutto il paese si registrano casi di violenza e di intolleranza contro indigeni e quilombolas, concretamente messi in atto attraverso persecuzioni, discriminazione, espulsioni e assassini. In questi ultimi giorni almeno cinque indigeni sono stati assassinati negli stati del Maranhão, Tocantins, Paraná e Santa Catarina.

Il Conselho Indigenista Missionário spera che questo crimine odioso sia effettivamente indagato e che non si commetta l’errore di voler tentare di dare alla società una risposta immediata, imputando a un innocente un delitto che non ha commesso.

Chapecó, SC, 31 dicembre 2015.

Conselho Indigenista Missionário – Regional Sul

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Un bambino di due anni è stato assassinato. Un uomo gli ha accarezzato il volto. E poi gli ha piantato un coltello nella gola. Il bambino era un indio del popolo Kaingang. Si chiamava Vitor Pinto.

La sua famiglia, come altri del villaggio in cui viveva, era venuta in città per vendere oggetti d’artigianato poco prima di Natale. Sarebbero restati fino a Carnevale.

Dormivano nella stazione degli autobus a Imbituba, sulla costa di Santa Catarina. È stato lì che, mentre sua madre lo allattava, un uomo gli ha trafitto la gola. Era mezzogiorno del 30 dicembre. Il 2015 era molto vicino alla fine.

E il Brasile non si è fermato a piangere l’omicidio di un bambino di due anni. Le campane non hanno suonato per Vitor.

La sua morte non ha fatto notizia sulla stampa nazionale. Fosse stato mio figlio, o di qualsiasi donna bianca della classe media, ucciso in tali circostanze, ci sarebbero titoloni in prima pagina, ci sarebbero esperti ad analizzare la violenza, ci sarebbero pianti e solidarietà.

E forse ci sarebbero anche candele e fiori sul pavimento della stazione degli autobus, come per le vittime del terrorismo a Parigi. Ma Victor era un indio. Un bambino, ma indigeno. Piccolo ma indigeno. Vittima ma indigeno. Assassinato, ma indigeno. Trafitto, ma indigeno. Quel “ma” è l’assassino occulto. Quel “ma” è serial killer.

La fotografia che ha illustrato le poche notizie sulla morte del “curumim” (ndt. termine in lingua Tupi, che significa bambino in tenera età) mostra il pavimento di cemento e ghiaia della stazione degli autobus. Un paio di ciabattine infradito blu, con motivi per bambini. Una bottiglia di PET, una stellina giocattolo, di quelle con cui si fanno formine di sabbia, un coperchio di plastica, forse parte di un secchiello da bambini, un piccolo tubetto di plastica, un panno a fiori ammucchiato contro il muro, forse un lenzuolino. Viene presentata come “la scena del delitto” o come “gli effetti personali del bambino”.

Questa foto è un documento storico. Tanto per quello che in essa c’è quanto per quello che in essa non c’è. In essa resta ciò che è usa e getta, oggetti di plastica e PET, i resti delle ciabattine. In essa non c’è quello che è stato cancellato dalla vita. L’assenza è l’elemento principale del ritratto.

Gli indigeni possono esistere in Brasile solo come stampa. Apprezzati come illustrazione di un passato superato, i primi abitanti di questa terra, con la loro nudità e le loro corone di piume, una cosa bella da appendere su alcune pareti o da stampare su quei libri che adornano i tavolini da salotto.

Gli indigeni trovano posto solo se impagliati, o incorniciati. Allo stato attuale, la loro esistenza è considerata fuori luogo, di cattivo gusto.

Gli indios devono essere “falsi indios”

perché le loro terre

sono vere – e ricche

Come dice l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli indigeni sono specialisti in fine del mondo, visto che il loro mondo è finito nel 1500.

Hanno avuto, però, l’ardire di sopravvivere all’apocalisse promossa dalle divinità europee. Malgrado a centinaia di migliaia siano stati sterminati, sono sopravvissuti all’estinzione totale. E poihé sopravvissuti continuano ad essere uccisi. Quando non li si può uccidere, la strategia è quella di trasformarli in poveri nelle periferie delle città. Quando diventano poveri delle città, li chiamano “falsi indios”. Oppure “Paraguaiani”, altro pregiudizio verso il paese vicino. Nel passato, gli indios sono allegoria. “Guarda, figlio mio, come erano coraggiosi i primi abitanti di questa terra.” Nel presente, sono “ostacoli allo sviluppo”. “Guarda, figlio mio, come sono brutti, sporchi e pigri questi Indios fasulli”. Gli indios devono essere falsi perché le loro terre sono vere – e ricche.

La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica,
le foto della loro assenza

non commuovono

milioni di persone

Se Victor era un ostacolo, questo ostacolo è stato rimosso. Ecco perché questa foto è un documento storico. Se ci fosse un briciolo di onestà, è questa che dovrebbe essere appesa alle pareti.

Sembra non sia abbastanza che Vitor, un bambino di due anni, passasse settimane sul pavimento di una stazione di autobus perché la violenza contro il suo popolo è stata tanta e per tanti secoli e continua ancora oggi, tanto che i suoi genitori, Sonia e Arcelino, sono costretti a lasciare il loro villaggio per vendere dell’artigianato. A prezzi bassi, perché svalutati sono gli artigiani.

È importante capire il livello di abbandono che porta alcuni a considerare una stazione degli autobus come un luogo sicuro e accogliente. I terminal degli autobus sono luoghi di passaggio, e la famiglia di Vitor, così come altre di indigeni, si rifugiano lì perché c’è movimento. Il terminal è una terra di nessuno. E così in essa trovano posto mendicanti, bambini di strada, ubriachi, puttane, pazzi, emarginati. E gli indios. O forse trovavano posto. E non lo trovano più.

Le stazioni degli autobus sono spazi di circolazione di estranei, ed essendo “gli altri”, gli stranieri nativi, gli indigeni credono che in questo non luogo hanno la possibilità di fuggire all’espulsione. Ma poi ne vengono espulsi. Parte della popolazione dei comuni in cui indigeni appaiono con i loro oggetti d’artigianato pensa che la stazione degli autobus sia troppo per gli indios. O per i “bugre”, come vengono chiamati in alcune zone del sud del paese.(ndt. “bugre” è una denominazione dispregiativa data agli indigeni per non essere considerati cristiani dagli europei. Deriva dal francese “bougre”, eretico.) “La stazione degli autobus è la cartolina della città, in un periodo in cui tante persone viaggiano, vengono qui. Che immagine resterà loro della città? “, ha spiegato un commerciante di São Miguel do Oeste, sempre nello Stato di Santa Catarina, per giustificare l’espulsione degli indigeni da quel posto prima di Natale. Vitor ormai non rovina più nessuna cartolina. Di lui non c’è nemmeno un volto. La foto della sua assenza non commuoverà milioni in tutto il mondo come è accaduto per il bambino siriano portato dalle onde del mare. La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica.

Prima che mi accusino di essere precipitata, esagerata o ingiusta, va detto che: i “cittadini perbene” non vogliono che i bambini indigeni abbiano i loro colli trafitti. Assolutamente no. Vogliono solo che stiano lontani dalla vista. Altrove, in un altro posto dove non contaminino, sporchino o imbruttiscano. Ma che non sia nemmeno nelle loro terre, se queste sono ricche di minerali, fertili per la soia o buone per il pascolo del bestiame. Anche lì sono fuori posto. Che scompaiono, insomma. Ma uccidere, no, uccidere è male.

Il 2015 è stato l’anno in cui questo discorso ha fatto vincere il secondo campionato consecutivo al Brasile. Il deputato Fernando Furtado, del Partito Comunista del Brasile (PC do B), è stato riconosciuto come “razzista dell’anno” dall’organizzazione Survival International per la sua dichiarazione antologica, espressa in una udienza pubblica:

“Là a Brasilia, Arnaldo ha visto gli indios tutti con con le camicette, tutti ben vestiti, con le loro freccette, tutti un branco di frocetti, perché ce n’erano almeno tre che erano froci, sono sicuro, froci. Non sapevo che ci fossero indios froci, l’ho scoperto quel giorno a Brasilia … Tutti froci. Ecco, è così che stanno le cose, com’è che gli indios riescono già ad essere froci, finocchi, e non sono in grado di lavorare e produrre? Negativo!”

Per parte degli abitanti

delle città del sud del paese, 

gli indigeni “sporcano”

la “cartolina” della città

Il deputato si riferiva agli Awa-Guajá, considerati uno dei popoli più vulnerabili del pianeta. La conquista di Fernando Furtado, tuttavia, non è senza precedenti. Un altro deputato, Luis Carlos Heinze, questi deputato del Partito Progressista (PP) del Rio Grande do Sul, era già salito sul podio nel 2014, con la seguente dichiarazione: “Il governo … si è accasato con popolazioni quilombolas, indios, gay e lesbiche, tutto quello che fa schifo”.

Tutto indica che il Brasile è quasi imbattibile per la conquista del terzo campionato di fila. Si parla tanto di paese politicamente bi-polarizzato, ma la premiazione dimostra che i popoli indigeni sono un punto di rara unanimità tra una certa destra e una certa sinistra di questa grande nazione.

Vitor, il bambino assassinato, viveva nel villaggio Condá nel comune di Chapecó, nella parte occidentale di Santa Catarina.

I crimini commessi dallo Stato contro il popolo Kaingang del sud del Brasile sono registrati nel Rapporto Figueiredo, un documento storico che si credeva perduto ed è stato scoperto alla fine del 2012. Il rapporto, datato 1968, ha documentato il trattamento riservato ai popoli indigeni dall’ormai estinto SPI (Servizio di Protezione per gli Indios).

In totale, il procuratore Jader Figueiredo Correia ha dedicato 7.000 pagine per raccontare ciò che la sua equipe ha visto  e sentito. Chiunque voglia capire perché Vitor si era rifugiato sul pavimento della stazione degli autobus di Imbituba, invece di passare i mesi estivi sicuro, sano e felice nel suo villaggio, puo’ trovare una ricca fonte di informazioni nel documento disponibile su Internet. Scoprirà, tra le altre atrocità, come gli antenati di Vitor sono arrivati ad essere torturati e a vivere in condizioni analoghe a quelle della schiavitù in modo che le loro terre sono venissero disboscate e sfruttate da non indios, in pieno 20° secolo. È possibile che alcuni di questi “imprenditori” siano i nonni di coloro che oggi ritengono che gli indigeni come Vitor sporchino la “cartolina” della loro città.

Dopo l’omicidio del bambino, la polizia militare ha arrestato il solito sospettato di sempre. Un ragazzo povero, in libertà provvisoria, con “una piccola quantità di marijuana e cocaina nello zainetto.” Poiché non vi era alcuna prova contro di lui, è stato rilasciato. Successivamente è stato arrestato un altro giovane, oggi considerato il principale indiziato. La polizia cercava qualcuno dai connotati abbastanza generici: zainetto e cappellino e con una corporatura simile a quello che appare in un video registrato da una telecamera di sicurezza. La polizia militare sospetta che l’assassino fosse “infastidito dalla presenza di indigeni sul posto.” La Polizia Civile ha indicato come possibili moventi “il pregiudizio razziale”, “uno stato di crisi” e “problemi psicologici”.

In una nota (vedi nel riquadro in alto di quest’articolo) il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) ha dichiarato: “Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene. Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – che si sviluppa attraverso mass media e social network “

Abbiamo iniziato il 2016

come abbiamo

terminato il 2015: osceni.
I fuochi di Capodanno

hanno già fallito nell’artificio

Chi di fatto ha ucciso Vitor forse sarà indagato, processato e condannato, che è già una rarità nei casi di omicidio di indigeni in Brasile, segnati dall’impunità. Ma dobbiamo farci domande più complesse.

Chi ha armato questa mano? Quale crocevia storico ha fatto si che Vitor fosse scelto dal il bambino scelto dall’assassino, a prescindere dalla sua sanità mentale o meno – e non mio figlio o il tuo? Dove siamo noi in questa foto nella quale siamo senza essere?

Si è detto che il 2015, un anno di crisi in Brasile e di orrore ovunque, è l’anno che non è finito. Il 2016 sarebbe solo un looping. Ha un senso.

Alla vigilia di questo Natale, Antônio Isídio Pereira da Silva, leader contadino e ambientalista nello stato del Maranhão, è stato trovato morto. Si è trattato di un altro omicidio annunciato. Un anno fa è stata archiviata la domanda di inclusione dell’agricoltore nel programma federale di protezione ai difensori dei diritti umani. Si stava preparando a segnalare l’ennesimo disboscamento illegale in una regione con gravi conflitti per la terra quando è stato assassinato.

Sempre a Natale, cinque giovani hanno denunciato poliziotti militari di Rio per tortura e furto. Secondo il loro racconto, stavano tornando su tre moto da una festa quando sono stati fermati da poliziotti militari delle Unità di Polizia Pacificatrice (UPP) delle favelas Corona, Fallet e Fogueteiro. Oltre alle torture con coltello rovente, un accendino e pugni uno di loro sarebbe stato obbligato a fare sesso orale con il suo amico.

A San Paolo, ci sono voluti solo due giorni perché si verificasse il primo massacro del 2016, con quattro morti alla periferia di Guarulhos. Si sospetta la vendetta per la morte di un poliziotto militare avvenuta nella zona pochi giorni prima.

Abbiamo iniziato come abbiamo finito. Nulla, dunque, né è iniziato né è finito. Chi continua a morire assassinato in Brasile, in maggioranza, sono i neri, i poveri e gli indios. Il genocidio prosegue davanti all’indifferenza, quando non agli applausi, della cosiddetta società brasiliana.

Abbiamo iniziato il 2016 come abbiamo finito il 2015. Osceni. I fuochi di Capodanno hanno già fallito nell’artificio. Siamo nudi. E la nostra immagine è orrenda. Essa sporca di sangue il corpicino di Vitor per il quale hanno pianto in così pochi.

Dicono che il 2015 è l’anno che non finisce. O che è il 2013 che ancora non è terminato.

Per gli indios è molto più brutale: il 1500 non è ancora finito.

Eliane Brum* è scrittrice, reporter e documentarista. Tra le sue opere:

Coluna Prestes – o Avesso da Lenda, A Vida Que Ninguém vê, O Olho da Rua,

A Menina Quebrada, Meus Desacontecimentos e il romanzo Uma Duas.

Sito: desacontecimentos.com

Tratto da http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!il-1500-lanno-che-non–mai-finito/c1grm