IL CORO DELL’ARMATA ROSSA E IL NATALE IN SIRIA

E’ di stamattina la notizia di un aereo militare russo diretto in Siria e  precipitato nel Mar Nero senza superstiti. A bordo c’erano 92 persone tra cui 60 membri del  Coro dell’Armata rossa e il resto quasi tutti militari (http://bobfabiani.blogspot.it/2016/12/ultimora-ministro-della-difesa-russo.html), eccetto 9 giornalisti (http://it.euronews.com/2016/12/25/incidente-aereo-in-russia-sul-tupolev-viaggiavano-anche-9-giornalisti?utm_medium=Social&utm_campaign=Echobox&utm_source=Facebook&utm_term=Autofeed#link_time=1482679173). La pietà non è selettiva. Mi dispiace per i membri del Coro dell’Armata rossa e per i giornalisti, che certo non meritavano di finire in questo modo, ma tra dei militari che andavano a trascorrere le feste in un paese che avevano bombardato (ricordiamoci dei bombardamenti russi sulla Siria) con il coro a seguito che andava a cantare sulle macerie e i civili siriani, il mio pensiero più grande resta verso quest’ultimi.

Ieri era la vigilia di Natale. Ecco come è stata trascorsa in Siria:

Dalla pagina Una Lenta Impazienza – Il Blog

di Francesco Tronci

#SIRIA VIGILIA DI COSA?
La scorsa notte bombe a grappolo hanno colpito Khan al-Asal, zona rurale di Aleppo dove la popolazione espulsa dalla città si è sistemata. Le bombe di Putin inseguono i residenti di Aleppo est, anche quando essi sono stati cacciati dalle loro case ed espulsi dalla città. Oggi, invece, almeno sei morti (tra cui una donna e due bambini) e decine di feriti in un bombardamento russo su Al-Atareb, sempre zona rurale di Aleppo ovest. Nel frattempo 7 persone di diversa età sono state giustiziate dalle forze di Assad nel quartiere Sakhour di Aleppo est.

Non solo: almeno 47 (tra cui 14 bambini di meno di 8 anni) sono i morti dei bombardamenti di Erdogan su al-Bab, città controllata da Daesh. Una strage i cui numeri sono destinati a crescere, dato che molti sono i feriti gravi e i dispersi. Il bombardamento è giunto come rappresaglia dopo la sconfitta delle forze turche e dei loro alleati da parte di Daesh e mentre Erdogan riceveva Bana Alabed, la bambina di Aleppo che si è salvata dall’assedio. Gli abitanti di al-Bab hanno giustamente detto: “His warplanes are killing us and his forces are besieging us while he is receiving the child Bana who got out of the siege, is this how he understands humanity?”.

Nel frattempo la città di Aleppo viene depredata. Ha scritto l’attivista Abdulkafi Alhamdo: “Il mio vecchio quartiere di Aleppo è stato evacuato perfino di cavi e rubinetti. Il padre di uno dei miei amici è riuscito ad entrare e ha visto qualcosa di simile a un mercato di mobili di seconda mano. Le case vengono svuotate di tutto. Egli ha descritto una situazione simile: un soldato o un ufficiale arriva con un commerciante e vende l’edificio per intero. Il commerciante arriva con i suoi lavoratori per prendere l’edificio e rivenderlo”.

Non dimenticarsi della Siria.
#SaveAleppo
#SaveSyria
#FreeSyria

 
*

Oggi ad Aleppo è stata celebrata la messa di Natale tra le rovine di una chiesa:

Aleppo, la messa di Natale tra le rovine di una chiesa

E’ successo mel quartiere Jdeideh ad Aleppo dove gli abitanti hanno celebrato la messa in una chiesa distrutta dai raid

globalist 25 dicembre 2016

Fonte:
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

Bambini uccisi in Yemen, l’Onu s’inchina alla coalizione a guida saudita

CS91 – 7 giugno 2016

Bambini yemeniti
Bambini yemeniti – 6 luglio 2015 © Amnesty International

Amnesty International ha messo in forte discussione la credibilità delle Nazioni Unite dopo che queste hanno vergognosamente ceduto alle pressioni per rimuovere i partecipanti alla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita dall’elenco degli stati e dei gruppi armati che violano i diritti dei bambini nel corso dei conflitti.

La notte tra il 6 e il 7 giugno un portavoce del segretario generale Ban Ki-moon ha annunciato che c’era stata una modifica all’elenco pubblicato il 2 giugno nel rapporto annuale del Rappresentante speciale sui bambini e i conflitti armati. La modifica è stata la conseguenza diretta delle pressioni esercitate dall’Arabia Saudita, contrariata dalle conclusioni cui era giunta l’Onu, ovvero che le operazioni militari della coalizione guidata da Riad avevano causato morte e sofferenza di bambini durante il conflitto armato dello Yemen.

“Che l’Onu s’inchini alle pressioni fino al punto di alterare un rapporto già pubblicato sui bambini nei conflitti armati è un fatto senza precedenti così come è irresponsabile che le pressioni siano state esercitate proprio da uno degli stati elencati nel rapporto” – ha commentato Richard Bennett, rappresentante di Amnesty International presso le Nazioni Unite.

“Cedere alle pressioni in questo modo compromette tutta l’azione delle Nazioni Unite per proteggere i bambini nei conflitti. Il segretario generale non deve arretrare né sminuire l’importanza del lavoro del suo Rappresentante speciale. Altrimenti, rischia di danneggiare la credibilità dell’Onu nel suo complesso” – ha aggiunto Bennett.

“Questo è un esempio lampante del motivo per cui le Nazioni Unite devono stare sempre dalla parte dei diritti umani e dei loro principi: altrimenti finiscono per diventare parte del problema e non la sua soluzione” – ha continuato Bennett.

Secondo fonti dell’Onu, l’eliminazione dall’elenco è temporanea in attesa che le stesse Nazioni Unite e l’Arabia Saudita rivedano congiuntamente le conclusioni del rapporto. Nel frattempo però i diplomatici sauditi all’Onu non hanno perso tempo a esaltare quella che hanno definito una “irreversibile” vittoria morale.

Mai in passato le Nazioni Unite avevano rimosso uno stato da un elenco già pubblico. L’anno scorso erano state criticate perché nel rapporto del Rappresentante speciale non era stato inserito Israele, nonostante le numerose e credibili denunce riguardo a centinaia di bambini uccisi e migliaia di feriti nel conflitto armato del 2014 a Gaza.

“Qui siamo di fronte a un passo ulteriore. Il Segretario generale ha istituito un pericoloso precedente che metterà ancora più a rischio le vite dei bambini nei paesi in conflitto” – ha accusato Bennett.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite del 2 giugno, nel 2015 la coalizione a guida saudita è stata responsabile del 60 per cento delle 510 morti e dei 667 ferimenti di bambini nel conflitto dello Yemen. Il Segretario generale aveva a tale proposito dichiarato:

“Le gravi violazioni ai danni dei bambini sono drammaticamente aumentate con l’escalation del conflitto”.

Amnesty International ha ripetutamente documentato le violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, anche ai danni dei bambini, da parte degli stati membri della coalizione a guida saudita impegnata nel conflitto dello Yemen, responsabile di attacchi aerei contro le scuole e dell’uso delle bombe a grappolo – armi vietate a livello internazionale – che hanno ucciso tre bambini e ne hanno feriti nove.

I bambini costituiscono un terzo – 127 su un totale di 361 – dei civili uccisi in 32 attacchi illegali, documentati da Amnesty International, portati a termine dalla coalizione a guida saudita dall’inizio delle operazioni militari nello Yemen.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 7 giugno 2016

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/bambini-uccisi-in-yemen-onu-si-inchina-alla-coalizione-a-guida-saudita

 

MADAYA, SIRIA: SE NON SI MUORE DI BOMBE SI MUORE DI FAME

Dal profilo Facebook di Fiore Sarti:

 

“Dal post di chi è in contatto con i siriani di Madaya, in particolare il personale medico:

“Cattive notizie….
ieri 9 gennaio alle 14:54 ora locale
Ero fino a poco fa in contatto con il Dr. Ali Burhan, capo dello staff medico di ‪#‎Zabadani‬, e mi ha detto: ‘Sorry, la mia voce è molto debole perchè sono stato 48 ore senza cibo. Il regime sta mentendo, non ha acconsentito ad alcun aiuto alimentare o sanitario di entrare a ‪#‎Madaya‬ e #Zabadani .. ‘

E poi ha aggiunto che non ci sono medicine in ospedale, e che si sente impotente di fronte a perdita di sensi, diarrea, e casi di avvelenamento da erbe tossiche. Ha detto anche che qualsiasi uomo armato che si arrende sparisce nel nulla, e che Hezbollah controlla completamente la periferia di Zabadani, Madaya, e Bluedan, e che gli apparati militari del regime non possono fare niente senza il permesso di Hezbollah;
ha continuato dicendo che lui stesso ha visto un elemento del regime alzare le mani di fronte ad un membro di Hezbollah, sembra che il regime abbia consegnato quest’area direttamente nelle mani di Hezbollah…. Sorry, non so cosa dirti, ho finito le parole… ”

Muhannad Al Boshi

توفيق الحلاق

كنت الآن على اتصال مباشر مع الدكتور على برهان رئيس اللجنة الطبية في الزبداني وقال لي : لاتآخذني صوتي ضعيف صرلي 48 ساعة بدون طعام . قال إن النظام يك

Altro…

توفيق الحلاق

Ero ora un contatto diretto con il dottor a prova di presidente della Commissione Medica in lzbdạny e mi ha detto: non mi porta la mia voce debole şrly 48 ore senza cibo. Ha detto che il sistema sta mentendo e non permette di inserire qualsiasi materiale alimentare o medica all’acido e burro. Ha detto: non c’e ‘ in ospedale qualsiasi farmaco e impotente di fronte a casi la sincope e diarrea e morte che arrivare per prendere la gente per erbe. Ha detto che il rapinatore che costituirsi andare alla filiale di sicurezza e smetterai di dirglielo. Ha detto: se hezbollah controllo completamente sul perimetro lzbdạny e Maya e blwdạn e disciplina sistema per trovare il coraggio di fare niente senza il loro permesso. Ha detto visto ufficiale di colonnello, compagnia a seguire le mani al muro schiena elementi Hezbollah aggiunto: come nu sistema venduto zona Hezbollah. Gli ho detto: mi scusi, non so che dirti. Ha detto: hai ragione sbarazzarsi di parlare.

Tradotto da: muhannad al boshi

Ero ora in un contatto diretto con il dottor Ali burhan, capo della Commissione Medica in ‪#‎zabadani‬ e lui mi ha detto: mi dispiace la mia voce è molto debole, perche ‘ io sono stata per 48 ore senza mangiare, ha detto : il regime sta mentendo e non consentire a qualsiasi cibo o cose mediche per entrare a ‪#‎madaya‬ e ‪#‎zabadani‬.. Ha detto anche: non ha nessuna medicina in ospedale e lui è impotente di fronte a svenimenti, diarrea, e nei casi di morte che arrivano a lui dovuti a mangiare le erbe da abitanti. Ha detto anche che qualsiasi uomo armato, chi si arrende, sarà scomparso nell’ignoto..! Ha detto: Hezbollah è controllare completamente la periferia di zabadani, madaya, e bluedan e il regime ufficiali non osate fare niente senza il permesso di Hezbollah, ha dichiarato che lui si e ‘ visto un regime ufficiale con il grado di colonnello alzando le mani davanti a Un muro mentre voltando le spalle a Hezbollah elementi. Egli ha aggiunto: sembra come se il regime ha venduto l’area completamente a Hezbollah, ho detto: mi spiace, non so cosa dire a te, formulazione è finito..

‪#‎Syria‬
‪#‎OneSyria‬
‪#‎We_Will_Not_Be_Silent‬

Fonte:
https://www.facebook.com/fiore.sarti/posts/811637058944688?pnref=story

 

 

 

Morire di fame a Madaya, Siria: le immagini che non avreste mai voluto vedere

Forty thousand people live in this Syria town, Madaya, where they have been starving to death and surrounded by landmines for the past six months. Photo credit: Madaya page on Facebook

Quattrocento persone vivono in questa cittadina siriana, Madaya, dove negli ultimi sei mesi sono state ridotti alla fame e circondate da mine antiuomo. Crediti della foto: pagina Facebook di Madaya

Quarantamila persone che vivono attualmente nella cittadina siriana di Madaya [it], vicino al monte Qalamoun, stanno morendo di fame mentre il mondo le osserva in silenzio, riferiscono gli attivisti. La piccola città montana, situata a 1,400 metri sopra il livello del mare, si trova a 40 chilomentri a nord di Damasco, sotto il governtorato di Rif Dimashq, accanto al confine libanese, ed è stata assediata delle forze del governo siriano sostenute dalla milizia di Hizbulla che sta bloccando l’entrata di cibo e degli aiuti umanitari da luglio.

Si trova al centro della lotta tra diverse fazioni coinvolte negli scontri in corso in Siria, e queste persone ne stanno pagando il caro prezzo.

In un’inchiesta pubblicata ieri, insieme a strazianti foto di siriani affamati e di residenti di Madaya morti per fame, l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) con sede in Gran Bretagna, ha spiegato cosa sta accadendo [en, come tutti i link seguenti, salvo diversa indicazione] (Nota dell’Editor: Global Voices ha scelto di non ripubblicare le foto in questione a causa del loro contenuto grafico esplicito).

Gli abitanti della cittadina di Madaya stanno morendo di fame da 174 giorni a causa di un assedio strettissimo ad opera delle forze del regime e di di Hezbollah. La città ospita 40,000 persone inclusi 20,000 civili che hanno abbandonato le loro case a Zabdani, dopo aver assistito a scontri violentissimi e ai pesanti bombardamenti da parte del regime e delle forze aeree.

Il SOHR ha rilevato centinaia di mine antiuomo piazzate da Hezbollah e dalle forze di al-Assad attorno alla città di Madaya, oltre ad aver bloccato le aree circostanti con fili spinati e alte recinzioni per prevenire furti o operazioni dall’esterno. In città sono presenti 1200 pazienti in condizioni mediche croniche e 300 bambini stanno soffrendo di malnutrizione e diverse malattie. La grave mancanza di scorte di medicine e cibo sta portando i prezzi dei generi alimentari drammaticamente alle stelle: 1 kg di zucchero o riso cosano 3600 SP, circa 90 dollari. Il SOHR ha documentato la morte di 17 civili incluse 17 donne e bambini per mancanza di cibo e medicinali o di mine antiuomo, e di cecchini che si attivano durante i tentativi di raccogliere cibo nei dintorni della città.

Le agenzie di stampa riportano che la gente di Madaya si sta nutrendo di foglie, insetti e perfino di gatti, dopo che il cibo a loro disposizione è finito. Sulla sua pagina Facebook, Hand in Hand for Syria disegna un’immagine ancora più orripilante:

La maggioranza delle foto che vengono dalla piccola cittadina di Madaya (nei sobborghi di Damasco) sono troppo esplicite da condividere. Immagini scioccanti che rappresentano il vero volto della disperazione umana; persone ridotte a meri scheletri – con occhi scavati e costole sporgenti, che aspettano la morte per rivendicare il proprio nome.

Negli ultimi 6 mesi, la gente di Madaya è vissuta sotto un gravissimo assedio. I raccolti e le scorte di cibo si sono ridotte, lasciandosi dietro nient’altro che disperazione. Il cibo rimanente in città è diventato così costoso che la maggioranza delle persone semplicemente non può comprarlo.

Hanno iniziato a bollire i raccolti. Quando questi finiranno, dovranno bollire l’erba e le piante… poi gli insetti. Quando la malnutrizione diventerà insostenibile la gente inizierà a mangiare i gatti.

I gatti.

Ad oggi, la fame ha tolto la vita a più di 50 persone in città. La malnutrizione si sta diffondendo, e con il freddo clima invernale che sta arrivando, centinaia di persone sono a rischio di ipotermia.

Ma il mondo non sta battendo ciglio secondo il blogger BSyria, che scrive:

Assad sta affamando Madaya. Bambini, donne e uomini ridotti alla fame. Il mondo resta a guardare.

Secondo Raed Bourhan, un montatore siriano di base a Beirut, Libano, l’inverno in arrivo aggraverà ulteriormente la situazione già disastrosa di Madaya.

Migliaia di persone stanno vivendo in un gelo invernale rigidissimo a -5° e la legna disponibile è molto rara.

In un altro tweet, egli ha condiviso le foto di bambini “derubati dei loro diritti” mentre la guerra in Siria continua:

I bambini hanno perso i loro diritti di base alla felicità, all’educazione, al calore e alla speranza.

E in un terzo tweet spiega come i prezzi degli alimenti siano saliti alle stelle nelle zone assediate, circondate dalle mine antiuomo e dai cecchini che impediscono ai residenti di andarsene:

I prezzi del cibo sono arrivati al record di 1 kg di cereali e riso al costo di almeno 100 dollari.

Proprio sulla pagina Facebook di Madaya è stato lanciato un appello di richiamo agli attivisti affinchè mostrino solidarietà a Madaya protestando davanti le ambasciate russe (la Russia è impegnata negli attacchi aerei in Siria) e agli uffici delle Nazioni Unite:

Invito agli attivisti e alle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani di tutto il mondo, per mostrare solidarietà all’assediata Madaya protestando davanti le ambasciate russe e agli uffici delle Nazioni Unite.
‪#‎save_madaya‬ (#salvate_madaya)
‪#‎respond_to_us‬ (#rispondeteci)

Un altro post supplica il mondo di salvare i bambini di Madaya:

A Syrian child from Madaya, besieged for the past six months. Photo credit: Madaya page on Facebook

Un bambini siriano di Madaya, cittadina assediata negli ultimi sei mesi. Crediti della foto: pagina Facebook di Madaya

Su Facebook, il siriano Kenan Rahbani ha condiviso le foto dei residenti di Madaya affamati e ha aggiunto:

Scusatemi per aver condiviso queste immagini esplicite, ma devo farlo.

Queste persone non sono affamate perchè sono povere o perchè non hanno cibo. Hezbollah e il regime di Assad stanno facendo morire di fame la città di Madaya. E’ stata completamente assediata e cibo, medicinali o acqua non possono entrare. Anche le Nazioni Unite sono qui ma non possono entrare in città perchè Hezbollah e il regime di Assad non glielo permettono.

Questo sta accadendo nel 2016 in Siria. E l’ISIS non ha niente a che fare con tutto ciò.

E l’attivista siriana Rafif Joueati si domanda quante altre persone dovranno morire prima che il mondo agisca:

Madaya non è la prima a soffrire la fame sotto assedio, e nemmeno l’ultima. La domanda è, quante altre decine di migliaia di persone dovranno morire prima dell’intervento internazionale?

E chiede anche:

Cosa succederà quando non ci saranno più foglie da mangiare?

E si domanda:

Ciechi. Se avessimo detto che 40,000 cuccioli stavano morendo di fame il mondo intero sarebbe sceso in marcia a protestare. Umani? Non proprio.

Ulteriori articoli sul tema:

*

Dal blog di Germano Monti un appello per dure basta alle bombe in Siria:

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 10 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO

aleppo

Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà.

Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, centinaia di migliaia di donne e uomini sono stati arrestati, torturati e fatti sparire, mentre altri 650.000 esseri umani vivono in aree sotto assedio, senza accesso garantito ad acqua, cibo e medicinali.
Nonostante il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la Risoluzione n. 2139, abbia chiesto all’unanimità sin dal febbraio 2014 la cessazione dei bombardamenti sulla popolazione civile, questi sono continuati, e a quelli operati dal regime – anche con l’utilizzo dei famigerati barili bomba – si sono aggiunti quelli delle “coalizioni internazionali” che dovrebbero combattere i terroristi del sedicente Stato Islamico, ma che, a tutt’oggi, hanno colpito prevalentemente i civili, non risparmiando nemmeno scuole ed ospedali. Nel 2015 oltre il 73% delle vittimi civili pesano sulla coscienza delle forze governative, seguite da ISIS con l’8%, il 6% per le opposizioni armate ed in soli tre mesi l’aviazione russa ha raggiunto il 5% del bilancio annuale delle vittime. L’ ingresso diretto nel conflitto da parte della Russia – che già sosteneva e armava il regime del clan Assad, insieme all’Iran e ai miliziani di Hezbollah – non ha fatto che peggiorare una situazione già disperata: a tre mesi dai primi bombardamenti degli aerei di Putin, risulta che meno del 20% degli stessi abbia colpito obiettivi legati all’ISIS, mentre la stragrande maggioranza delle bombe sono state sganciate su altri obiettivi, senza alcun riguardo per la popolazione civile.
Sono stati colpiti ospedali e scuole, forni e abitazioni civili, aggiungendo altro sangue a quello già copiosamente versato negli ultimi cinque anni. Secondo l’organizzazione non governativa Syrian Network for Human Rights, che ha recentemente pubblicato un dettagliato rapporto, fra l’ 85 e il 90% dei bombardamenti russi hanno colpito aree controllate da gruppi dell’opposizione al regime del clan Assad e su zone densamente popolate, colpendo – fra l’altro – 16 scuole, 10 ospedali o strutture sanitarie, 10 mercati, 5 forni per il pane, 2 cimiteri archeologici e 1 ponte.
Ancora più recentemente, anche Amnesty International ha documentato le conseguenze sui civili siriani dei bombardamenti russi, sostenendo che si possono configurare come crimini di guerra e definendo “vergognoso” il tentativo del governo russo di negare di aver commesso questi crimini.
Appare evidente, dunque, come le rinnovate iniziative dei governi internazionali – nate nel solco delle conferenze di Vienna e New York degli ultimi due mesi e tese ad arrivare ad una soluzione politica del conflitto in Siria – siano a forte rischio di fallimento, nel momento in cui (oltre ad essere state avviate in assenza di qualsiasi interlocutore siriano) non prevedono l’immediata cessazione degli attacchi contro i civili. Significativo che, dopo l’approvazione della risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU del 18 dicembre, siano pesantemente aumentati attacchi e bombardamenti su tutte le aree non più sotto il controllo del regime di Assad, in impennata l’uso di cluster bomb, mentre sul sobborgo damasceno di Moaddamye è stato denunciato persino un nuovo attacco chimico.
Di fronte a questo scenario, il silenzio dei movimenti e delle organizzazioni pacifisti, per il disarmo e della sinistra in Italia è veramente imbarazzante. Spiace dirlo, ma sembra quasi che si pensi che le bombe della Casa Bianca siano criminali e quelle del Cremlino innocue o, addirittura, positive. Per quanto si ricerchi, non è possibile trovare un comunicato o un semplice commento sulle devastazioni provocate in Siria dalle bombe russe, mentre non mancano le proteste – sacrosante – contro l’invio di bombe ed altre armi italiane all’Arabia Saudita, nella legittima presunzione che tali bombe saranno impiegate nel conflitto in corso nello Yemen. Questo doppiopesismo, a nostro avviso, sta delegittimando l’iniziativa dei movimenti e della sinistra: non è credibile la denuncia dei bombardamenti sui civili quando sono operati dagli U.S.A. accompagnata dall’omertà quando analoghi bombardamenti sui civili vengono compiuti da un’altra potenza. L’alibi secondo cui gli States sarebbero nostri alleati e quindi è verso Washington e le cancellerie ad essa vicine che dovremmo concentrare le nostre attenzioni è debole, dal momento in cui il governo di Assad ha schierato mezzi di produzione italiana fornitigli da Mosca ed impiega tuttora sistemi di puntamento italiani sui suoi carri armati, come sono italiane le tecnologie di spionaggio usate per individuare e reprimere gli attivisti non violenti che diedero vita alla rivolta siriana fin dal 2011. Anche le armi italiane vendute alla russa Rosoboronexport rischiano di essere impiegate contro i civili.
Con questa lettera aperta, ci proponiamo di sollecitare i movimenti e la sinistra ad un’iniziativa coerente che chieda la cessazione di tutte le operazioni militari in Siria contro i civili, da chiunque siano compiute, così come dobbiamo chiedere la cessazione degli assedi e la creazione di corridoi umanitari per le città, i villaggi ed i campi profughi  sottoposti a questa punizione collettiva ormai da anni, oltre alla liberazione di tutti i prigionieri politici.
In assenza di una tale iniziativa, ogni discorso sul sostenere la pace in Siria non può che apparire del tutto ipocrita.

Comitato Khaled Bakrawi

Per aderire e sostenere questa lettera aperta: [email protected]

Adesioni pervenute al 10.1.2016

Associazione Rose di Damasco Como
Comitato in appoggio ai popoli arabi Karama Napoli
Alessia Colonnelli Castel Giorgio
Yara Tlass Turkey founder of Watanili, grassroots organisation
Rim Banna Palestine artist
Raed Fares Kafranbel
Barbara Capone Roma Presidente Sunshine4Palestine NGO
Alberto Savioli Udine Archeologo
Simona Pisani Crotone Volontario privato
Donatella Quattrone Reggio Calabria Blogger
Mohammed Alkhalid Berna Ricercatore
Arcangela Minio Ladispoli
Eva Tallarita Milano
Franco Casagrande Novi Ligure (AL) Pensionato VVFF – Attivista Diritti Umani
Angela Bellocchi Milano
Lisanna Genuardi Palermo Madre
Stefania Aloi Como commessa
Alberto Scrinzi Milano Operaio
Gizele Alves Costa Napoli Casalinga
Veronica Bellintani Verbania studente
Riccardo Bella Milano
BDS Oudàh Milano
Stefania Sipi Roma
Carmelo Donato Agrigento
Marianna Barberio Avellino
Alessandra Santantonio Cutrofiano
Fulvia Tiziani Monza
Nicola Gandolfi Barcellona
Silvia Moroni Asso (Como) associazione Rose di Damasco
Marina Morandini Concorezzo
Chiara Rizzo Bologna
Costanza Lasagni Roma operatrice umanitaria
lzanasi Luciano Bologna
Daniela Lozzi Magliaso
Enza Guazzi Concorezzo Insegnante
Loris Caldana Milano
Hagar Ibrahim Milano Studentessa
Pietro Menghini Napoli studente
Mary Rizzo San Benedetto del Tronto Traduttrice, Restauratrice, Blogger
Carlotta Dazzi Milano Giornalista
Samantha Falciatori Terni volontaria Onsur Italia
Tanya Pensabene Milazzo Studente
Deborah Arbib Milano
Salvatore Albanese Siderno M. (RC)
Salvatore Di Carlo Palermo Studente
Francesca Diano Roma
Sara Manisera Beirut Giornalista
Anna Maria Costa Roma pensionata inv.civ.
Angela Bernardini Roma
Paolo Pasta Roma operaio in pensione
Laura Di Tosti Viterbo
Elena Babetto
Loretta Facchinetti Roma
Anna Pasotti Milano
Pete Klosterman New York, NY USA
Stefania Barsi Roma insegnante di scuola per l’infanzia
Jonathan Brown Chichester, UK Risk Manager
Manuela Giuffrida
Alessandra Mosca Monterotondo (Roma)
Marco Di Renzo Roma
Roberta Ferrullo Milano resp. marketing
Sara Grassiano Banchette impiegata
Sara Manca Pisa Arabista
Alessandra Notari Roma impiegata
Marco Rotondi Roma
Silvia Di Tosti Roma
Federica Pistono Roma Traduttrice letteraria
Silvia Pietricola Terracina impiegata
Patrizia Mancini Tunisi
Antonio Ronchi Ferrara
Nicola Bonelli Trento Studente/volontario
Mauro Canovi Reggio Emilia Conducente bus
Stefania Aloi Como
Franca Angelillo Mola di Bari Educatrice
Raffaella Cosentino Roma Giornalista
Fiorella Sarti Napoli Attivista per i Diritti Umani
Luca Rafanelli Ripatransone agricoltore
Mauro Destefano Reggio Calabria arabista, traduttore
Prisca Destro Legnano
Joshua Evangelista Pescara Giornalista
Giuseppina Iuliano Napoli
Antonino Tripi Caltavuturo Studente
Saveria Petillo Roma architetto
Giulia De Angelis Blagho Corigliano d’Otranto nonna
Sara Buzzoni Copparo (FE) Operatrice umanitaria e consulente
Siria Tallarico Modena Impiegato
Valentina Chesi Livorno Commessa
Giovanna De Luca Barcelona
Wisam Zreg Torino Giurista
Magmoud Saeed
Talal Zraik Dayton, Ohio. USA
Abdulrahim Aleppo Doctor
Iyad Kallas Bordeaux – France
Saad Soufi Washington, DC
Tim Ramadan Raqqa sound and picture
Obai Sukar Flint Media Producer
Tarek Alghorani Tunis Activist
Armando Mautone Napoli
Monis Bukhari Berlin Syrisches Haus
Hadi Albahra Damascus Engineer, businessman
Eugenia Magnaghi Verbania lavoratrice della scuola pubblica e attivista UNIONE SINDACALE ITALIANA
Piero Maestri Milano Comitato sostegno popolo siriano – Milano
Rafif Jouejati USA Syrian-American Activist
Maria Alabdeh Paris
Muhammad Abdel-Kader Roma
Zreik Nawar Paris Architecte
Giovanni Ciccone Roma Segreteria provinciale, sindacato di base Flaica Roma
 Frontiere News  Roma
Valerio Evangelista Pescara
Nando Grassi Palermo insegnante
Ruth Buchli Magliano/Gr
Filomena Annunziata Napoli Studentessa
Elisabetta Crippa Milano insegnante, Comitato di sostegno al popolo siriano Mi

 

Fonte: https://vicinoriente.wordpress.com/2016/01/05/siria-basta-bombe/

AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA IL VERGOGNOSO SILENZIO DELLA RUSSIA SULLE VITTIME CIVILI CAUSATE DAGLI ATTACCHI IN SIRIA

Gli effetti dei bombardamenti del 29 novembre © Muhammad Qurabi al-Ghazal

COMUNICATO STAMPA CS204-2015

Gli attacchi aerei della Russia in Siria hanno ucciso centinaia di civili e provocato distruzioni di massa nei centri abitati, centrando case, una moschea, un mercato affollato e strutture sanitarie: attacchi che, come denuncia oggi un rapporto di Amnesty International, hanno violato il diritto internazionale umanitario.

Il rapporto, intitolato “Non sono stati colpiti obiettivi civili. Smascherate le dichiarazioni della Russia sui suoi attacchi in Siria“, denuncia l’alto prezzo pagato dalla popolazione civile siriana negli attacchi portati dall’aviazione di Mosca in territorio siriano.

Il rapporto di Amnesty International analizza sei attacchi lanciati dall’aviazione russa a Homs, Idlib e Aleppo tra settembre e novembre, nei quali sono stati uccisi almeno 200 civili e circa una dozzina di combattenti.
Il rapporto contiene prove che lasciano intendere che le autorità russe possano aver mentito per nascondere un attacco contro una moschea e un altro contro un ospedale da campo. Infine, il rapporto fornisce prove sull’uso di munizioni vietate dal diritto internazionale e di bombe prive di sistemi di guida in attacchi contro zone residenziali densamente popolate.

“Alcuni attacchi aerei russi sembrano aver direttamente colpito civili od obiettivi civili prendendo di mira zone residenziali senza alcun obiettivo militare e persino strutture sanitarie, causando morti e feriti tra la popolazione civile. Attacchi del genere costituiscono crimini di guerra. È fondamentale che queste violazioni siano oggetto di indagini indipendenti e imparziali” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Le autorità russe sostengono che le loro forze armate stanno colpendo solo i “terroristi”. Dopo alcuni attacchi, hanno risposto alle denunce di uccisioni di civili smentendole; in altri casi, sono rimaste zitte.

Amnesty International ha intervistato testimoni oculari e sopravvissuti agli attacchi e ha esaminato immagini ferme e in movimento riprese dopo gli attacchi, assistita dall’analisi di esperti in materia di armamenti. Gli attacchi sono stati giudicati attribuibili alla Russia incrociando le dichiarazioni del ministero della Difesa di Mosca e le testimonianze oculari su ciascuno di essi.

Le ricerche di Amnesty International sui sei attacchi aerei russi in Siria indicano che, nelle aree colpite, non c’era alcun obiettivo militare né presenza di combattenti. Questo porta a concludere che gli attacchi possano aver violato il diritto internazionale umanitario e, in alcune circostanze, abbiano costituito crimini di guerra. In uno dei peggiori attacchi descritti nel rapporto di Amnesty International, tre missili hanno centrato l’affollato mercato centrale di Ariha, nella provincia di Idbil, uccidendo 49 civili.
Persone che hanno assistito alla scena hanno raccontato come il mercato domenicale si sia trasformato nella scena di una carneficina: “Nel giro di pochi attimi la gente urlava, c’era puzza di bruciato nell’aria e tutto intorno il caos. C’era una scuola elementare lì vicino e i bambini scappavano terrorizzati…
C’erano corpi ovunque, decapitati e mutilati” – ha raccontato Mohammed Qurabi al-Ghazal, un media-attivista locale. Il testimone ha visto una donna seduta in lacrime davanti a una fila di 40 salme. Aveva appena perso suo marito e tre figli. I bambini erano letteralmente smembrati. In un altro sospetto attacco russo almeno 46 civili, tra cui 32 bambini e 11 donne che avevano trovato riparo nella cantina di un edificio residenziale, sono stati uccisi il 15 ottobre ad al-Ghantu, nella provincia di Homs.

Le riprese video dopo l’attacco mostrano l’assenza di obiettivi militari. Gli esperti in materia di armi che hanno analizzato l’attacco hanno affermato che la natura della distruzione indica il possibile uso di bombe termobariche, che producono effetti indiscriminati se usate nei pressi di obiettivi civili.

In un ulteriore attacco avvenuto il 7 ottobre, cinque civili sono stati uccisi e una decina di abitazioni sono state distrutte quando un missile da crociera ha centrato una serie di edifici civili a Darat Izza, nella provincia di Aleppo.

“Era diverso dagli altri attacchi aerei. La terra ha tremato come se ci fosse stato un terremoto… è stata la peggiore distruzione che abbia visto… Una madre e i suoi due figli sono stati uccisi in un’abitazione, una giovane coppia in un’altra: si erano sposati la settimana prima…” – ha dichiarato un testimone, confermando che l’area colpita era abitata da civili e che nei pressi non c’erano basi militari né gruppi armati.

Presunti attacchi russi hanno anche colpito strutture sanitarie cui, sulla base del diritto internazionale umanitario, spetta una protezione particolare. Attaccarle costituisce un crimine di guerra. Il testimone di un attacco a pochi metri di distanza dall’ospedale da campo di Sermin, nella provincia di Idlib, ha riferito di un aereo più sofisticato di altri, a tal punto che non è stato visto né sentito prima che sganciasse i missili.

La reazione delle autorità russe all’attacco del 1° ottobre contro la moschea Omar Bin al-Khattab a Jisr al-Shughour, nella provincia di Idlib, solleva gravi dubbi sulle tattiche elaborate per sviare le critiche. Dopo la diffusione di testimonianze e foto sulla distruzione della moschea, le autorità di Mosca hanno dichiarato che si trattava di un “falso”, diffondendo immagini via satellite di una moschea ancora intatta.

Tuttavia, la moschea mostrata dalle immagini russe era un’altra. “Il fatto che le autorità russe mostrino le immagini di una moschea intatta al posto di una che hanno distrutto mostra fino a che punto intendano evitare critiche e controlli sulle loro azioni in Siria. Una condotta del genere non fa sperare che intendano indagare in buona fede.

Il ministero della Difesa di Mosca dev’essere più trasparente e rendere pubblici gli obiettivi degli attacchi, per consentire di valutare se le sue forze armate stiano o meno rispettando gli obblighi del diritto internazionale umanitario” – ha commentato Luther. Da quando, il 24 novembre, un aereo da combattimento russo è stato abbattuto dalla Turchia, il ministero della Difesa di Mosca ha rilasciato ancora meno informazioni sull’attività delle sue forze aeree in Siria.

Amnesty International ha anche raccolto prove, tra cui foto e video, sull’uso da parte russa di bombe prive di sistema di guida che hanno colpito centri abitati, così come di armi vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo. Le bombe a grappolo sono armi di per sé indiscriminate che non devono mai essere usate in alcuna circostanza. Ciascuna di esse sprigiona piccoli ordigni che si propagano su un’area estesa come un campo di calcio.

Molti di essi non esplodono all’impatto e si trasformano in una minaccia per le popolazioni negli anni successivi. Il reiterato uso di bombe prive di sistema di guida nei pressi di zone densamente popolate viola il divieto di attacchi indiscriminati. “La Russia deve porre fine agli attacchi indiscriminati e agli altri attacchi illegali in Siria e cessare di usare bombe a grappolo e bombe prive di sistema di guida contro zone civili” – ha concluso Luther.

FINE DEL COMUNICATO          Roma, 23 dicembre 2015

Il rapporto “Non sono stati colpiti obiettivi civili. Smascherate le dichiarazioni della Russia sui suoi attacchi in Siria” è disponibile all’indirizzo: https://www.amnesty.org/en/documents/mde24/3113/2015/en/
e presso l’Ufficio Stampa di Amnesty International.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/amnesty-denuncia-il-vergognoso-silenzio-della-russia-sulle-vittime-civili-causate-dagli-attacchi-in-siria

BARILI-BOMBA E OPPRESSIONE. DA COSA SCAPPANO I SIRIANI

web-wo-europe-migrant-numbers02nw7

(di Amr Salahi, per Middle East Monitor. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio). La scorsa settimana foto e video di rifugiati siriani disperati che giungono in Europa – o muoiono nel tentativo di farlo – sono stati tra le notizie di apertura dei media di tutto il mondo, ma ben poca enfasi è stata data alle cause della crisi e le voci dei rifugiati sono rimaste ampiamente inascoltate. La copertura mediatica è stata incline a ritrarre la crisi come una catastrofe naturale o a esagerare il ruolo che Daesh, altrimenti detta Stato islamico (Is), avrebbe svolto nel crearla.

Il conflitto in Siria viene ritratto sempre di più come un conflitto tra il regime del presidente Bashar al Asad e Daesh, con il primo dipinto come il minore tra i due mali. Le organizzazioni della società civile che ancora lavorano sul terreno – allo scoperto nelle zone controllate dalle forze dell’opposizione moderata, di nascosto in quelle controllate dal regime di Asad e da Daesh – sono ampiamente ignorate dai media e le voci dei rifugiati non sono ascoltate.

Uqba Fayyad, giornalista siriano della città di Qusair, nella provincia di Homs, dice che è stato costretto a fuggire dalla sua città-natale nel marzo 2013, appena prima che venisse invasa dalle forze del regime siriano e dai loro alleati di Hezbollah. Racconta che nel mese precedente alla caduta nelle mani del regime, centinaia di persone in questa città di 5.000 abitanti sono state uccise dagli attacchi aerei e via terra da parte del regime. Attacchi che includevano “barili-bomba, bombe a grappolo e napalm” e – racconta –  “poco prima che prendessero d’assalto la città, hanno usato bombe a vuoto in grado di risucchiare l’ossigeno di qualunque edificio, riducendolo in polvere nel giro di secondi”. Non ha avuto altra scelta che quella di fuggire.

“Per tre giorni – continua – abbiamo viaggiato attraverso i boschi senza cibo né acqua, portando sulle spalle i feriti, mentre le loro piaghe si infettavano. Siamo riusciti a raggiungere le città [controllate dall’opposizione] nella zona del Qalamun”. Tuttavia, non sono stati accolti con benevolenza: gli abitanti avevano visto la brutalità dell’assalto a Qusair e temevano che se avessero accolto gli sfollati, un destino simile sarebbe toccato anche a loro. Sono scoppiati scontri e Uqba e gli altri sono fuggiti ancora una volta, verso Arsal in Libano, dove sono stati soggetti a regole molto dure da parte delle autorità locali, incluso un coprifuoco dalle ore 18.00 in poi. Alla fine è riuscito a contattare il consolato svedese in Libano e ha ottenuto asilo in Svezia.

I siriani non scappano, però, solo dai bombardamenti del regime nelle zone controllate dall’opposizione. A volte, quando una zona viene catturata dalle forze di opposizione, alcuni abitanti fuggono in aree ancora sotto il controllo del regime. Di solito temono ciò che il regime potrebbe fare alle aree controllate dai ribelli, tra cui bombardamenti simili a quelli descritti da Uqba oppure – in zone circondate da territorio controllato dal regime – assedi prolungati che conducono alla morte per fame degli abitanti.

Muhammad Manla è un attivista siriano dell’opposizione rifugiato in Germania da quasi tre anni. È fuggito dal quartiere Salah ad Din di Aleppo quando è stato sottratto ai ribelli da parte delle forze del regime siriano nel luglio 2012, ed è arrivato nella parte occidentale di Aleppo, rimasta nella mani del regime. Salah ad Din è diventato poi uno dei luoghi più pericolosi del mondo quando il regime siriano l’ha colpito coi barili-bomba, insieme ad altri quartieri di Aleppo sotto il controllo dei ribelli.

Eppure, anziché trovare la sicurezza nel territorio del regime, ogni volta che Muhammad usciva, veniva fermato ai checkpoint e minacciato da soldati del regime e da agenti che lo accusavano di essere legato ai ribelli, solo perché sulla sua carta d’identità c’era scritto che era di un quartiere controllato dall’opposizione. Due mesi dopo è fuggito ancora una volta, in Egitto, e da lì in Germania.

A questi checkpoint e negli uffici governativi, la gente viene spesso rapita o arrestata in modo arbitrario. Un altro rifugiato della provincia nord di Aleppo controllata dall’opposizione – che preferisce restare anonimo – ha detto che suo padre, un uomo di 70 anni, è stato arrestato quando è andato a ritirare la pensione in un ufficio governativo nella parte occidentale di Aleppo. Accusato di essere un membro di Jabhat al Nusra, è stato tenuto in una cella di 2 metri per 1 metro e mezzo con altri sei prigionieri e picchiato. È stato rilasciato solo perché un amico di famiglia aveva contatti nei servizi di sicurezza.

Il fratello di Muhammad, studente all’università di Aleppo, lo ha raggiunto in Germania di recente dopo aver lasciato la Siria. Una legge approvata da poco ha reso obbligatorio per tutti gli studenti che si stanno laureando di unirsi all’esercito. La possibilità di coscrizione nelle file dell’esercito del regime siriano è un fattore importante che spinge i giovani uomini a lasciare il Paese. Si trovano a tutti gli effetti davanti alla scelta di combattere e forse morire per un regime cui molti di loro si oppongono, oppure intraprendere un pericoloso viaggio all’estero.

Muhammad è chiaro su quella che ritiene essere la soluzione al conflitto: “Una no-fly zone rafforzerebbe di nuovo la rivoluzione. Scuole e università potrebbero venire aperte in zone controllate dall’opposizione, cosa che impedirebbe ai giovani di venire influenzati dall’ideologia dittatoriale del regime e da quella estremista di Daesh. Permetterebbe anche ai ribelli di organizzarsi per combattere Daesh e il regime”.

Mentre le proposte di una no-fly zone suscitano polemiche negli Stati Uniti e in Europa, con molti politici che temono il coinvolgimento in una guerra in Medio Oriente, tra i siriani l’idea è accettata a un livello molto più ampio. La richiesta è stata ufficialmente avallata da Planet Syria, un gruppo di coordinamento composto da oltre 100 organizzazioni della società civile siriana, e dai Caschi Bianchi, un’organizzazione di protezione civile che lavora soprattutto nel salvataggio dei sopravvissuti agli attacchi coi barili-bomba del regime.

Il governo siriano ha il monopolio totale della forza aerea nel conflitto siriano. Gli attacchi aerei hanno causato oltre il 40% delle morti tra i civili verificate dal Centro per la documentazione delle violazioni (Vdc), organizzazione siriana che monitora il numero di civili morti e gli abusi dei diritti umani. L’arma aerea più comunemente usata è il barile-bomba. I barili-bomba sono mortali, indiscriminati e incessanti. Ne sono stati sganciati oltre 11 mila dall’inizio del 2015 e attivisti siriani mettono l’accento sul fatto che da allora il regime ha ucciso 7 volte più civili di quanti ne abbia uccisi Daesh. Pur trattandosi di un’arma molto semplice – barili di greggio senza guida riempiti di esplosivo e scarti metallici – sono comunque mortali, indiscriminati e incessanti.

Mentre gli analisti occidentali continuano a dare la propria interpretazione delle cause della crisi dei rifugiati siriani, con alcuni di loro che addossano la colpa all’estremismo di Daesh e altri che lanciano moniti sui pericoli di un intervento, un’immagine del tutto diversa della crisi emerge dalle storie dei rifugiati e dai dati raccolti da organizzazioni siriane che lavorano sul terreno. I responsabili delle politiche occidentali farebbero bene ad ascoltare ciò che i siriani raccontano su quanto sta accadendo nel loro Paese e sul perché lo stanno lasciando. (Middle East Monitor, 13 settembre 2015)

 

 

Fonte:

http://www.sirialibano.com/siria-2/barili-bomba-e-oppressione-le-radici-della-crisi-dei-rifugiati-siriani.html